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Autore: Some kind of sociopath    04/03/2015    2 recensioni
Anno 1769: Haytham E. Kenway, dopo il suicidio dell'amico Jim Holden e la morte della sorella Jenny è tornato a Boston alla ricerca di Tiio. Lei è sopravvissuta all'incendio del villaggio, nonostante il figlio non lo sappia, e Haytham ha intenzione di ricucire la sua famiglia, quella che non è riuscito ad avere nella propria gioventù. Ma non ha messo in conto gli altri Templari, il suo vecchio Gran Maestro Reginald Birch e la piccola e fastidiosissima Confraternita degli Assassini...
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Il testo dei primi due capitoli è stato rivisto e modificato. Mi farebbe piacere sapere che cosa ne pensate al riguardo e quale "versione" preferite, ;)
 
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Achille Davenport, Altro personaggio, Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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Era il loro momento. Il momento che aspettavano da tutta la vita.
Non credeva che espressioni come quella si potessero sentire anche fuori da Dirty Dancing, eppure non c’era niente di più adatto. Dio, Dirty Dancing. Una volta Spence lo aveva costretto a guardarlo, e avevano fumato così tante canne da riuscire solo a ridere e a pensare al culo di Baby. Spence e le sue stupide canne. Desmond si ricordava fin troppo bene il giorno in cui il suo coinquilino era entrato al bar completamente fatto e aveva stampato un bacio sulle labbra del suo capo. Con tanto di slinguazzamento. «Perché perdi tanto tempo dietro al culo di Des quando puoi avere il mio?» aveva urlato nel bel mezzo del locale. Qualcuno lassù gli voleva davvero bene se quella volta non era stato licenziato in tronco, restando definitivamente con le chiappe per terra.
Perché diavolo stava pensando a Spence in un momento come quello? E a Dirty Dancing. Dirty Dancing, per l’amor di Dio. Sbuffò l'aria stantia del tempo fuori dalle guance e sollevò l'amuleto, evanescente di luce verdastra tra le sue dita. – Ci siamo. L'ora della verità. – Davvero non riusciva a cavarsi di bocca niente di meno stupido? Razza di idiota. Gli Assassini avevano lavorato anni per giungere al Tempio e lui banalizzava il momento con due frasette. 
Shaun si mise una mano sul cuore. – Che la forza sia con te, allora.
– Shaun! – Rebecca. Istintivamente gli si aprì un sorriso sul volto. Aveva sempre cercato di difenderlo dalle battutine di Shaun, soprattutto da quando Lucy era… Cristo non riusciva nemmeno a pensarci. Prese un respiro profondo, tentando di spostare l’attenzione su qualcos’altro. C'era da dire che, per quanto Rebecca non fosse esattamente il suo tipo, aveva anche un didietro niente male. Specie dopo tutto quel tempo lontano dalla civiltà. Isolati come topi sotto miglia di roccia. Soli al mondo.
Argh, perché cazzo nessuno gli mollava una bella botta in testa? Non poteva andare avanti così. Più serie si facevano le cose e più i suoi pensieri diventavano degni di un bambino di cinque anni. Manco lo facesse di proposito. Desmond era sicuro che se fossero riusciti a leggergli nella mente anche solo per cinque secondi lo avrebbero preso a schiaffi. Davvero era lui quello che la Confraternita aveva aspettato per secoli? Un barista del Sud Dakota impiantato a New York?
Basse aspettative, le loro. Il cuore gli batteva nel petto come un martello pneumatico, più dei colpi di grancassa nella sala discoteca sotto il bar. Il Bad Weather. Certe volte gli mancava da morire. Le ragazze fasciate nelle gonne corte. Coetanei zuppi d’alcool fin nel midollo. Quarantenni in cerca di avventure. Era assurdo che un locale come quello potesse raccogliere un campione simile di persone. Ed erano felici. Un aspetto che lo aveva sempre sconvolto: potevano aver avuto la peggior giornata della loro vita, ma buttavano giù shot e bicchieri di Shirley Templar con le bocche aperte in ampi sorrisi e nessuna preoccupazione al mondo.
Shirley Templar. Ridicolo. Lanciò un’occhiata a Shaun, Rebecca e suo padre, sentendo il loro fiato caldo e ansioso sul collo, e avvicinò la Chiave al piccolo oblò luminescente sulla lastra di vetro. C’era qualcosa di strano in quel posto. Come se avventurarsi oltre quella porta fosse sbagliato. Il sudore che colava in grosse gocce fredde sulla sua nuca, i brividi lungo la schiena. E la Mela nel suo zaino, che pareva pesare una tonnellata.
Quella che aveva creduto essere eccitazione si stava solidificando nelle sue vene. Lo ghiacciava fino alle punte dei piedi. Paura. Terrore, forse. Guardò la Chiave affondare nel vetro come fosse stato acqua e sparire da qualche parte là dietro. Come nel quinto film di Harry Potter, quando il padrino di Harry…
Spence. Perché si era fatto convincere a guardarlo? Scosse piano la testa. Il passato era rimasto fuori di lì. Lontano. Duecentodiciassette miglia. Che cos’era fuori da quella grotta? Era ancora qualcuno senza gli Assassini? Senza il Tempio?
Forse al Bad Wheather non mancava a nessuno. Potevano non essersi nemmeno accorti della sua assenza. No, no. Dirty Dancing. A questo punto, era meglio persino Dirty Dancing. Inclinò il capo da una pare e il muro si dissolse a partire da quel cerchio luminescente, come quando si getta un sasso in acqua.
Il vetro. Non c’era più… il vetro. Il vetro non scompare, giusto?
E una sfera di metallo non può costringere uomini dotati di facoltà fisiche e mentali a uccidersi. In teoria.
Sentì la mano di Bill serrargli la spalla in una morsa e il suo fiato dritto nell'orecchio. – Sono qui, Des – sussurrò, le dita affondate nella sua carne.
Annuì tra sé, scrollando appena le spalle. Wow. Confortante, suo padre. Si ravviò i capelli con una mano. Per una volta era bello sentire il calore di qualcun altro addosso. Solo le vibrazioni della pelle contro la felpa, senza rabbia, senza rancore. Forse si era arreso, rinunciando per sempre all’idea di un figlio che non fosse una completa delusione.
Desmond si costrinse a sorridere oltre la spalla. Ormai ci aveva fatto l’abitudine. Non sarebbe mai stato come Bill Miles voleva, ma in cuor suo pensava che ci fosse qualcosa in quella grotta. In quell’impresa. Qualcosa che potesse cambiare tutto.
 La mano di suo padre restò lì a scaldargli le scapole in una pacca… affettuosa? Non aveva mai imparato a riconoscerle. Da che ricordava, le sole volte in cui suo padre lo aveva toccato servivano a spingerlo in avanti durante gli allenamenti di scherma e fargli perdere l'equilibrio. La pazienza. Ringhiargli contro che i suoi avversari sarebbero stati sleali, che doveva aspettarselo. Quali avversari, papà? Però non glielo diceva. Non credeva sarebbe mai uscito dalla Fattoria.
Sollevò l’angolo delle labbra in un sorrisetto. Invece. Ce l’aveva fatta, giusto? La Grande Mela. La terra delle opportunità. Ci era arrivato e si era rifatto una vita con quell’idiota di Spence, probabilmente il miglior coinquilino che avrebbe potuto mai trovare. Erano stati nove anni di pace. Di normalità, ecco. Non c’era niente di più bello della normalità, quella vera, fatta di bollette, film da guardare sul divano e bestemmie alla metropolitana.
I nove anni più belli della sua vita.
Poi l'Abstergo lo aveva trovato. Come precipitare nel vuoto. All’inferno. Lucy era stata la sua unica salvezza. Ed era stato capace di distruggere tutto. Cacchio… Meglio che smettesse di pensarci. Qualunque altra cosa, ma non quello.
Strano. Gli mancava un sacco la vita fuori di lì, eppure non riusciva più a vedersi come una persona normale. Un Assassino. Un neo sulla sua pelle, rannicchiato in un posto così stupido da non essersi reso conto della sua presenza per venticinque anni. Un’inutile macchietta che poteva essere innocua o diventare un cancro.
Cazzo. Basta. Sollevò lo sguardo. La vita era anche quello, no? Cercare qualcosa che ti distraesse dallo schifo in cui eri affogato. Qualsiasi cosa. Musica. Cocktail. Arte. Bastava ti ricordasse che non eri soltanto un inutile pezzo di carne. Si umettò le labbra, godendosi il silenzio che regnava nel Tempio, nella parte che fino ad allora era rimasta inaccessibile a tutti loro, chiusi in un muto stupore davanti alla grandezza e maestosità di quella passatoia. Che poi a Desmond non pareva niente di speciale, a essere onesto.
Allora perché il cuore gli batteva così forte nel petto, l’aria difficile da mandare giù? Mentre divorava con gli occhi quell’ambiente da film di fantascienza gli parve di sentire un’altra volta la voce di suo padre, un sussurro gelido contro il collo.
Sono qui.
Sbuffò. Ed era lì, Bill. Lo era sul serio. Allora perché non glielo diceva in faccia, eh? Perché non lo abbracciava, invece di dargli quelle patetiche e forzate pacche sulla schiena? Più cercava di parlargli e più lui si allontanava. Gli diceva di essere lì. Come se significasse qualcosa. William Miles non aveva mai avuto un dialogo con lui. Roba da strizzacervelli, non da bifolchi hippie del Sud Dakota. Lo aveva spronato colpendolo più forte con la sciabola per infliggergli la batosta finale quando contrattaccava con tutta la sua rabbia. "Di pancia!", ringhiava disgustato. Il peggior errore del mondo. Solo perché si rifiutava di obbedire, solo perché odiava quel maledetto posto. "Devi usare la testa quando tiri di spada, Desmond. La testa!"
La testa. Non la sentiva nemmeno sulle spalle, in quel momento. – Diavolo – grugnì Bill. Il suo vecchio si portò in testa al gruppo e mosse i primi passi oltre il vecchio portale. Forse avrebbe voluto fermarlo e riservarsi quell'onore, ma non gli fregava nulla di quelle piccolezze. Ce l'aveva fatta. Ce l'aveva quasi fatta. Avrebbero fermato la tempesta solare e sarebbero tornati a casa. Avevano la Mela. Vidic era morto. Che altro poteva succedere? Desmond sarebbe tornato a servire Shirley Templar, ricevere avance dal suo capo e lasciarsi stordire alle feste dopo l'orario di lavoro. Non si era mai reso conto di quanto belle fossero tutte quelle cose. Era un fortunato figlio di puttana. Un fortunato figlio di puttana.
– Ma tu guarda che posto... – Rebecca. La voce squillante suonava più acuta del solito. Se ne stava lì, al suo fianco, lo sguardo da bambinetta curiosa che correva in tutte le direzioni. – È fantastico.
– Oh, certo. – Shaun fece schioccare la lingua, le braccia strette attorno al corpo in una specie di abbraccio. – Dovresti farti vedere da un medico, Rebecca. O da un buon insegnante d'inglese. La parola giusta è inquietante.
Ostentò un altro sorriso davanti all'occhiataccia che Rebecca riservò a Shaun, dunque prese tutto il proprio coraggio e mosse un passo avanti. Era stato per giorni nell'Animus rischiando la vita solo per arrivare lì, non poteva chiudere gli occhi. Sarebbe stato come ordinare a un bambino di tapparsi il naso davanti a dei biscotti al cioccolato appena sfornati. – Bene! Bene! Meraviglioso! – grugnì Shaun, esausto. – Adoro i posti bui e senza fine su cui affacciarsi allegramente nel giorno della fine del mondo.
Bill si voltò di scatto e li fulminò tutti e tre con un'occhiata di rimprovero, Desmond compreso. Strinse i pugni. Non gli importava del fatto che lo avesse difeso da Vidic, che avesse ucciso il Gran Maestro Templare e usato la Mela su decine di impiegati armati. Non gli importava che l'avesse salvato perché era suo padre. Voleva solo che quel compito venisse portato a termine, e in fretta. Era sempre stato così Assassino, lui. Con quel senso della responsabilità e del dovere. Cose che lui riusciva a malapena a immaginare. La sua unica responsabilità era assicurarsi di non versare il liquore sbagliato nello shaker o… non farsi superare alla cassa del supermercato, ecco. – La Mela – chiese Bill, una mano allungata nella sua direzione.
Desmond tirò quell’affare fuori dallo zaino. Una palla calda nel palmo della sua mano. Così potente. Faceva impressione. Aggrottò la fronte, sollevando lo sguardo su suo padre; gli sarebbe davvero piaciuto non fare lo sbruffone, ma la tentazione era troppo forte. Come dire di no? – Te la saresti dovuta procurare – sibilò mentre faceva la sfera di metallo sulla punta del dito come fosse una palla da basket. – Non puoi imporre il diritto di proprietà su tutto ciò che...
– La Mela – ripeté. Era ancora un tipo autoritario, il vecchio. E gliel’avrebbe data, lo sapeva, ma questo non toglieva il fatto che potesse giocare un po’ con lui. Dimenticava un po’ troppo spesso che il mondo era una bomba ad orologeria sotto i suoi piedi. Tic tic tic. Come nei film di spionaggio. C’era sempre una bomba nei film di spionaggio. O in Fight Club. Già.
Strinse il Frutto dell'Eden in mano e fece spallucce, come un bambino indisponente. Poteva scappare di nuovo, come quando aveva sedici anni. No. Non era più un poppante viziato. Quel tempo era finito. Qui si giocava il futuro nell'intero pianeta, e se c'era qualcosa che, per una volta, Desmond Miles non voleva essere era un egoista. – Pensi che serva a qualcosa? – disse dopo aver ricacciato la bile in fondo all'esofago. – L'abbiamo già usata per aprire la porta.
Rebecca scoppiò in un gridolino di giubilo, forse un banale tentativo di spezzare la tensione. – Questi Precursori non finiranno mai di stupirmi – esclamò con un gran sorriso. – Tutto il posto è stato costruito con una tecnologia avanzata persino per noi! Persino per l'Abstergo! È...
– Sì, Rebecca, quando hai finito con l'ufficio informazioni mi piacerebbe capire che stiamo cercando qui. – Shaun arricciò le labbra, apparentemente a disagio. A Desmond venne quasi da ridere: era lui, di solito, quello fuori posto quando lo storico apriva bocca. – Insomma, non abbiamo attraversato mezzo mondo su un furgone scassato per arrivare in quest'attraente androne vuoto... o sì?
– Sembra quasi che tu abbia paura, Shaun. – Desmond sorrise e la Mela s'illuminò, stretta tra le sue dita. Un fascio di luce dorata spazzò il pavimento di pietra. Non c'erano tracce di polvere, neanche un granello, e ripensò al casino che regnava sovrano nel suo appartamento di New York. E lui aveva il coraggio di dare del fifone a Shaun? Lui, che se n'era rimasto in cima alle scale per un buon quarto d'ora prima di prendere il coraggio di avanzare? Che era scappato dalla Fattoria? Che aveva gettato nei recessi della sua mente la vera causa della morte di Lucy? Quello sì che era fegato.
Strinse le rabbia in una smorfia confusa, terribilmente confusa. S'incamminò lungo la piattaforma avanti e indietro, i suoi passi tesi in quel silenzio spettrale, e afferrò il cellulare. Non segnava neanche una tacca. Solo chiamate di emergenza. – Affanc... – Si fermò a metà dell’imprecazione, il piede destro improvvisamente bloccato da... qualcosa, ecco. Fece per avanzare di un passo e il piede non si mosse, come fosse incastrato in un cespuglio di rovi. Cadde malamente in avanti e il suo mento impattò a terra con una forza tale che, per un attimo, pensò gli fosse saltato via qualche dente. – Merda! – biascicò con una mano alle labbra. Sputò, un fiotto di saliva rossa a sporcargli le nocche.
– Cazzo!
Non si era nemmeno accorto che, nel frattempo, la Mela gli era sfuggita di mano, rotolando inesorabilmente verso il bordo della piattaforma rocciosa. Continuava a lanciare lampi dorati, illuminando i loro visi sconvolti a intervalli regolari, come la palla stroboscopica di una discoteca. Vide suo padre lanciarsi all’inseguimento di quella dannata sfera come un bambino che corre dietro a uno scoiattolo. Gettarsi a terra per afferrarla, le dita tese fino allo spasmo proprio mentre precipitava nel buio e infinito nulla, solo una scia luminosa, come una stella cadente. Bill Miles restò con la bocca mezza aperta, il labbro inferiore che tremava furiosamente e una mano allungata verso quella scintilla, prima di esplodere in un singhiozzo e un’imprecazione disperata. – Maledizione!
Non avessero appena perso un Frutto dell’Eden, il più importante manufatto della Prima Civilizzazione mai ritrovato ai giorni nostri, Desmond sarebbe scoppiato a ridere. – Merda! – ringhiò William, alzandosi a fatica e strofinandosi le mani in faccia come un bambino viziato. – Merda!
– È… andata? – Shaun si avvicinò al limitare della roccia, titubante, e lanciò un’occhiata giù. – È veramente… Cazzo!
Fece un balzo indietro come un canguro e sbiancò. Persino Desmond sussultò, agitando furiosamente i piedi per cercare di liberarsi e alzarsi. Fece per seguire l’esempio di Shaun e allungarsi a sbirciare giù, ma un’enorme ondata di luce lo investì, facendolo voltare. Tra le palpebre mezze chiuse intravide ciò in cui si erano incastrate le sue sneakers. Poteva sembrare solo una massa di rami vecchi, chiari e piatti. Un grido gli si bloccò in gola. Aveva visto abbastanza film dell’orrore di bassa categoria nei pomeriggi di noia insieme a Spence per capire di avere il piede incastrato in una cassa toracica. E, a giudicare dal tenebroso teschio che lo squadrava con un ghigno da brividi, non gli ci volle molto a riconoscere che si trattava di uno scheletro umano.
Eh?
Umano?
Non pisciarsi sotto, quello richiese uno sforzo mille volte maggiore. Non si era mai sentito tanto stupido in vita sua, tranne forse quando suo padre lo metteva al tappeto durante gli allenamenti di scherma. Non era solo fortunato a essere vivo, era fortunato ad avere le viscere al loro posto e la merda a non appesantirgli il fondo dei jeans. Scrollò il piede con il fiato grosso e riuscì a liberarsi di quel mucchio d’ossa. Strisciare lentamente indietro, il respiro affannoso e le mani sopra la testa. Come un serpente. Forse la tempesta solare era arrivata in anticipo e quelli erano gli ultimi minuti di conoscenza che gli restavano prima della morte. Fantastico. Gran bella figura da idiota, come al solito. Inciampare in uno scheletro.
Un singhiozzo gli scappò di bocca. Solo pensare quella parola gli aveva fatto venire i brividi. – Pensavo che voi Assassini aveste più a cuore questo stupido pezzo di metallo.
La luce si spense all’improvviso, e Desmond sentì la minuscola lampada attaccata al passante dei pantaloni scaldargli la coscia. La strinse a mo’ di spada e si puntellò sui gomiti per fissare chiunque avesse appena parlato. La sua voce suonava così familiare, ma dove diavolo l’aveva sentita?
La Mela dell’Eden, niente più che una sfera bronzea solcata da linee luminose, rotolò nella sua direzione. La strinse in mano come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Si sentiva così quasi sempre, da quando aveva vissuto le memorie di Altaïr. Gli si formò un groppo in gola. All’Abstergo aveva conosciuto Lucy. In quelle stanze Clay era uscito di testa. E adesso… Era solo questione di tempo prima che crollasse anche lui. La Mela era caduta, l’aveva vista con i suoi occhi. E allora che ci faceva lì, stretta nella sua mano?
– Oddio. – Vide Shaun sbirciare tra le dita, messe davanti al viso per coprirsi gli occhi. – Sei… È…
Se persino la parlantina dello storico era messa alla prova, Desmond non aveva la minima idea di cos’aspettarsi. – Oh, buon Dio. – Scattò in avanti, questa volta, perché la voce proveniva dalle sue spalle. Rotolò istintivamente sulla schiena, strusciando indietro con i gomiti, i denti stretti e i talloni che spingevano sul pavimento per farlo allontanare dallo scheletro e dall’uomo.
L’uomo?
C’era qualcuno accanto alla composizione di ossa umane. Più che un uomo, però, sembrava un ologramma, come i membri della Prima Civilizzazione. Strisce luminose che svanivano e tentennavano seguendo i movimenti del loro proprietario. Come succedeva con quei televisori vecchi, quelli col tubo catodico. Questo qui sembrava appena uscito da una puntata di Zorro. Che diavolo aveva addosso? Un vecchio cappello, calzoni, stivali e un cappotto lungo quasi fino al ginocchio. Brillava di una strana luce dorata che impediva di percepire i colori, ma la sua posizione parlava chiaro. Con le mani dietro la schiena e il labbro inferiore sporto, il fantasma – o quello che diavolo era, Desmond non era poi tanto sicuro di volerlo sapere – sembrava colmo di disapprovazione. Sarcastica disapprovazione. Un’espressione caratteristica solo di due persone che avesse conosciuto nella sua vita, una delle quali stava dietro di lui, le mani sulla faccia e le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti, incapace di spiccicare il benché minimo commento cinico e arrogante. Quindi gli restava solo…
– Haytham. – Quant’era strano pronunciare il suo nome. Si tirò in piedi a fatica e lo scrutò. Voleva mantenere una certa distanza tra sé e quell’uomo. Lo aveva visto morire, aveva vissuto la sua vita, ma non pensava… Non avrebbe mai immaginato di trovarselo davanti.
– No, sono il suo gemello idiota. Quello che si è fatto fregare come un giocatore di carte pieno di rum fino alle orecchie, hai presente? – La voce del Templare era così chiara, viva e iraconda da farlo tremare. Haytham chinò lo sguardo sul proprio scheletro e tirò un calcetto al teschio, illuminando le orbite vuote di luce dorata.
Desmond inclinò il capo da una parte. Non era certo di aver capito bene. Ebbe l’istinto di alzare la mano, come a scuola, e chiedere se poteva svuotarsi la vescica un minuto, perché era completamente andato. Era impazzito, sicuro. Oppure fatto. C’era qualcosa nel caffè che Rebecca gli aveva offerto quel mattino. Non poteva essere. – Quindi... – Il Templare lo squadrò con la testa inclinata e un mezzo sorriso ironico. – Sei tu l'altro. E mi conosci. Sarà... più facile, suppongo. – Emise uno sbuffo, guardandoli come se non fosse pienamente soddisfatto di ciò che aveva davanti a sé. – Non dovrei rivolgermi a voi, soprattutto visto il poco rispetto mostrato per la mia carcassa. – Indicò le costole ammucchiate a terra con un cenno scocciato della mano, la bocca storta in una smorfia a metà tra il disgusto e la pietà. Era… lui? Quello scheletro era lì da quasi... quanto? Due secoli e mezzo? Due secoli e mezzo? Non era possibile, non era… Desmond si passò il dorso della mano sulle labbra, certo di star per vomitare anche l’anima. 
– La più antica zucca di Halloween del mondo – brontolò Shaun con un sorrisetto. Dove cazzo trovava la forza di far battute? Maledetto bastardo, quanto lo invidiava.
– Prego? – Desmond trasalì, trovando il suo modo di dire quell'unica parola incredibilmente simile a quello di Ezio Auditore. Sempre parenti erano, giusto? Eppure, per quanto suonasse buffo non riusciva a trovarci nulla di davvero divertente. Stava parlando con un morto. Un morto! Chissà se Spence aveva mai vissuto qualcosa del genere nei suoi trip.
Doveva pensare alle persone vere, quelle vive, che conosceva, perché aveva attraversato mari e monti e vissuto esperienze che oltrepassavano beatamente il confine della normalità, ma parlare con Haytham era… troppo. Troppo e basta.
Shaun sollevò le mani in cenno di scusa. – Niente. Roba recente. Da Assassini.
Haytham ridacchiò cogliendo il sarcasmo nelle parole dello storico. A quanto pareva l'unica persona in grado di ridere in un momento come quello era un fantasma. – Dicevo, non ho aspettato tutto questo tempo solo per fare l'orgoglioso. Anche se dovreste chiedere scusa alle mie povere e magnificentissime ossa, ma sarò clemente. – Si girò a guardare Desmond e fece spallucce. – Sai, mi hanno detto due parole su di te, quando... – Si diede un colpetto alla tempia. Davanti all'espressione basita di Desmond, Haytham scoppiò in una risata rauca. – Oh, Gesù, non dirmi che sono io l'unico imbecille che ha dovuto parlare con quelle due! Cristo santo, sei stato così fortunato? ? Si schiaffeggiò la coscia e gli rivolse un sorrisetto incredulo. 'Fortunato figlio di puttana.' Lo era sempre stato.
Le dita di Desmond allentarono la presa sulla Mela. Giunone e Minerva? Era di loro che parlava Haytham? Le aveva conosciute? Ma quando? L'Animus non mostrava niente del genere. Se lo sarebbe ricordato, no?
Era spaesato come un pesce fuori dall'acqua, che agita la coda e le branchie cercando di respirare e non ce la fa, nonostante tutti i suoi patetici sforzi. Riprenditi, pensò con i denti serrati. Riusciva a malapena a respirare. Riprenditi e di’ qualcosa. – No, hanno parlato anche con me, ma non... – gli fece il verso picchettandosi la tempia con il dito e il vecchio Templare sbuffò indispettito.
– Ah, fantastico! Sai, è una cosa strana, ragazzo, perché hanno torturato la mia vita con le loro stupide voci e indovina? Cos'ho ottenuto come ricompensa? – Tirò un calcio al nulla, sollevando una nube di pulviscolo dorato. – Niente. Niente, niente Paradiso, Inferno o buio assoluto per l'eternità, nemmeno una Cristo di fossa! Solo questo posto, ad aspettare te. Lussuosa come tomba, per carità, niente da dire. È quasi più grande di casa mia. Dio!
Shaun, Desmond, William e Rebecca si scambiarono un'occhiata preoccupata. – Tutto bene? – chiese suo padre. Lo stesso tono scettico che usava con lui, come se sapesse solo raccontare balle.
– Magnificamente. – A Desmond non sembrava poi tanto convinto. Forse anche nel caffè di Haytham era stato aggiunto qualcosa, o magari duecento e fischia anni chiuso lì dentro gli avevano dato di volta al cervello.
Grugnì, passandosi la manica della felpa contro la tempia. Doveva piantarla di dar conto alla propria testa e a tutto ciò che ci passava attraverso. Però, diavolo, nell'Animus aveva visto Haytham riempire di pugni un suo vecchio amico fin quasi a farlo fuori. Ben... Church. E poi era un Templare. Non esattamente l'uomo con cui si sarebbe sentito più sicuro al mondo. Si voltò a guardarlo, gli occhi truci sotto le falde del cappello. – Immagino che nessuno di voi santarellini abbia qualcosa da fumare, giusto? – Desmond si strinse nelle spalle. A quanto pareva non era l'unico a sentire l'impellente bisogno di una delle canne di Spence. O una birra. Qualunque cose potesse sciogliergli la lingua. – Ah. Grandioso – biascicò sarcastico prima di spolverarsi il cappotto con un gesto distratto. – Vuoi sapere una cosa, tu? – chiese sogghignando. Sembrava quasi che gli dicesse "Be', sei qui, quindi ti tocca, no? Oppure assaggerai la mia ira!". Una roba del genere. – Anni fa – disse il Templare, lo sguardo puntato oltre Desmond, oltre le pareti di roccia del Tempio. Anni? La sua cognizione nel tempo doveva aver iniziato a dare i numeri. Un limbo oscuro. Una vita di giorni l'uno uguale all'altro. Il suo sogno. – ...due membri della Prima Civilizzazione mi dissero che il sangue forniva legami potenti. Che lo usavano per comunicare con i discendenti, ragazzo, quelli come me e te. – Si strofinò le dita sul polso destro, tastando le vene sporgenti con una certa nostalgia. – Mi confessarono che anche la Mela poteva essere usata allo stesso modo, essendo un loro strumento. Comunicazione. C’era una sola persona con cui avrei voluto parlare – un’altra sola persona con il nostro stesso sangue –, e ci riuscii anche senza quella maledetta Sfera. – Prese fiato, e Desmond vide gli occhi del fantasma luminoso spostarsi, puntando dritti verso Bill Miles. – Mio padre. Lo so che non t'importa niente. Non importa nemmeno più a me. Però era bello avere qualcosa per usarla che non fosse ammazzare, o accumulare potere. Però dimenticai facilmente quell’idea. Mi dedicai alla mia vendetta. Vendetta contro Reginald, contro Church, contro i traditori e i bastardi che avevano rovinato la mia vita. Lasciai vivere gli unici uomini a cui tenevo, quelli che credevo avrebbero agito nel modo migliore. E mi sono sbagliato, ma non è questo ciò che conta. Volevo dire che c’è un motivo per cui ora sei qui a parlarmi, e non so dirti se sia a causa della Mela, della tua volontà o delle due adorabili damigelle che ti stanno fregando. Non mi guardare in quel modo, Assassino – gli puntò un dito contro, la mascella contratta. La testa di Desmond cominciava a pulsare. – Sai benissimo che è così.
– Fregando? – Era come se gli mancassero dei pezzi per capire quel rompicapo. Un puzzle incompleto perché un bambino dispettoso aveva nascosto la scatola. – Non so proprio di cosa tu stia parlando, amico.
– Mi spiace per te – replicò Haytham. – Non so di preciso perché io sia rimasto bloccato qui. Probabilmente perché volevo metterti in guardia, ma, porco demonio!, avessi saputo che sarebbero stati anni d'attesa... – Storse le labbra e schioccò la lingua. ? Be', ci avrei pensato due volte prima di decidere di aiutarti.
– Aiutarmi? – Si sentiva un completo idiota. Quel fantasma... perché Haytham, se davvero era lui e non una stupida invenzione della sua testa, pretendeva di sapere cosa dovesse o non dovesse fare? Perché tutti – tutti quanti, da suo padre a quel suo antenato ultracentenario – non facevano che trattarlo come se non avesse voce in capitolo, come se ogni cosa fosse già stata stabilita nel suo passato e nel suo futuro? Una pedina. Totale passività a qualsiasi evento, solo uno strumento per qualcosa più grande. – Senti, non ho idea di cosa tu voglia, ma io non sono qui per ciò che pensi. – Qualunque cosa sia. Non aveva mai sentito nel petto così tanta voglia di scappare a casa a vedere un film. Uno qualsiasi. – Io…
Il vecchio Templare scoppiò a ridere, reclinando il capo e incrociando le braccia sul petto. Tra loro quattro si fece strada un’occhiata interrogativa, venata di paura. – Oh, buon Dio, per quale diavolo di motivo credi di essere arrivato fin qui, si può sapere? – chiese Haytham, scosso dalle risate. – Un'avanscoperta? Una passeggiata tra le rovine Mohawk? Un’allegra scampagnata con tanto di albero genealogico sotto il braccio?
Haytham lanciò uno sputo nel vuoto senza fine oltre la balaustra in pietra. Brillava. Come guardare le insegne di Times Square in forma umana. – Questo posto è dannatamente pieno di potere, ragazzo. Non lo senti? – Tirò su col naso, inspirando come un cane da caccia. Desmond si ritrovò d’istinto a fare lo stesso. Incredibilmente, la prima volta che avevano aperto il Grande Tempio era stato investito solo da una brezza leggera, come se l'aria avesse continuato a circolare lì dentro attraverso i secoli. Forse c'era un portellone di emergenza incassato nella roccia, o dei lucernari invisibili, qualcosa del genere. La Prima Civilizzazione aveva fatto tante di quelle cose inutili e pericolose, di certo dovevano aver inventato qualcosa che permettesse ai loro santuari di non puzzare.
Scrollò il capo, passandosi una mano sulla fronte. – Che intendi dire? – chiese, concentrandosi sui luminosi lineamenti del suo antenato. Esattamente come l'aveva visto – impersonato, vissuto – nell'Animus.
– Sono rimasto qui per duecento anni, senza potermene andare, senza la pace eterna che i preti ti mettono in testa da quando nasci. Per te. Solo per te. Ora, chi è che l'ha desiderato? Io, certamente, perché volevo metterti in guardia. Ma se mi hanno portato qui c'è un motivo, ragazzo. Qualcosa in cui c'entri anche tu. Sappiamo entrambi – portò le mani dietro la schiena, camminando ora sul vuoto, ora sul metallo, come se niente fosse – che tu sei come me. C'è il loro sangue nelle tue vene. Dipende solo da te. – Le sue labbra s'incresparono in un sorrisetto e un brivido gli corse lungo la schiena. - Cristo, fa' in modo che tutti i miei anni passati qui non siano stati una perdita di tempo. – A Desmond pareva proprio che quello sapesse cosa gli passasse nella testa, e anche ciò che avrebbe dovuto fare, ma volesse sentirlo dire da lui e tenerlo sulle spine.
Sospirò, inclinando il capo all'indietro. Non ce la faceva più, a essere onesto. – Voglio sapere perché sono qui. Che cosa vogliono da me. – Strinse i pugni. Sentiva gli occhi di suo padre, di Shaun e di Rebecca affondati dentro la schiena, ma nessuno sguardo lo riempiva di rabbia, disprezzo e rigido disagio come quello del Gran Maestro templare. – Io... – Desmond sollevò le mani e se le sbatté contro le cosce in un gesto di stizza. – Io non ci capisco più niente. Perché sei qui?
Il Templare aggrottò un sopracciglio. – Tu sei morto a Fort George – sibilò Desmond. Si sentiva sempre più stupido, come fosse uscito di testa. – Cavolo, io... Io t'ho visto!
L'altro arricciò le labbra in una smorfia divertita. Sapeva, quindi. Sapeva qualcosa, almeno. – Interessante – ribatté Haytham, poi sollevò gli occhi all'invisibile soffitto della caverna, continuando a ghignare. – Bella idea, lo ammetto! – gridò, e una morsa serrò le viscere di Desmond. Non stava più parlando con lui. Come aveva detto? Comunicazione. – Farglielo spiegare da me. Assolutamente geniale. – Scosse la testa in una debole risata e tornò a scrutarlo. Il giovane Assassino sentì un brivido gelargli la nuca. Stava parlando con un morto, cazzo! Un morto di secoli prima! La famiglia Addams era rassicurante, in confronto. – Ci conoscono meglio di quanto pensiamo. L'hanno fatto anche con me, sai? Non in questo modo, ovviamente. – Si grattò la testa. – E chi se lo aspettava? Bella fregatura. – Abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle, scoccando un'occhiata sprezzante a Shaun, Rebecca e suo padre. – Potrei sapere chi diavolo siete voi tre? No, solo per... d'accordo, non importa. Dobbiamo parlare di te, giusto, ragazzo? Com'è che ti chiami?
Si sentiva la bocca secca come un ciocco di legno. L'espressione di Haytham gli ricordava quella dei ragazzi più grandi, alla Fattoria, quando sfidavano il coprifuoco per raccontarsi storie di fantasmi. Quasi sempre Assassini e Templari morti. Ne stava vivendo una. Oh, Cristo. – Miles – riuscì a grugnire. – Desmond Miles.
Haytham annuì. – D'accordo. Desmond. Giusto. – Sembrava non avesse mai sentito un nome più brutto. Almeno riusciva a pronunciarlo senza problemi. – Dunque, tu stai dicendo che mi hai visto morire a Fort George. Un destino misero, cazzo. Ma come hai fatto a... – Sbuffò. – Voglio dire, mi capisci, no? Io posso essere qui, guardarti negli occhi e contarti i peli del naso, ma io... figliolo, io sono morto. Come hai fatto a vedere la mia vita e allo stesso tempo a essere ancora qui per raccontarlo? Perché mi conosci?
Il ragazzo si umettò le labbra. Dio, era una storia così lunga e complicata che non voleva affatto raccontarla. – Una macchina. – Grazie al cielo Rebecca gli corse incontro. Si appuntò mentalmente di ringraziarla, dopo. Per tutto. – Abbiamo inventato una macchina capace di scovare i ricordi nella memoria del nostro... Oh, ma tu non sai cos'è il DNA! – Accanto a lei, Shaun roteò gli occhi, esasperato. Lo capiva. Quasi gli venne da ridere. E lo sguardo di Haytham era mille volte meglio. Scrutava Rebecca con un labbro sporgente, come se gli dispiacesse da morire non sapere tutte quelle robe sulla moderna tecnologia. Probabilmente anche lui voleva solo tornare a casa e rilassarsi. Con un porno settecentesco, magari.
Che qualcuno lo menasse, per piacere. Era esausto. – Cioè, dentro di noi, in qualche modo, ci sono anche i ricordi dei nostri antenati. Questa macchina li trova e li analizza in formato video. Immagini che si muovono, ecco. – Rebecca fece un gran sorriso, fiera della propria capacità di espressione.
– Un po' semplicistico – puntualizzò Shaun. – A mio parere anche tutte le bestemmie che hai lanciato mentre cercavi di farlo funzionare erano degne di nota.
– Oh, chiudi il becco! – replicò la ragazza. – Comunque...
– In italiano, per di più. Roba bella colorita. – Shaun ripeté una bestemmia a mezza voce, qualcosa che c’entrava con Dio e con i maiali, se aveva capito bene.
– ...la macchina si chiama Animus – sibilò con un'occhiata velenosa in direzione dello storico.
Haytham sogghignò, lo sguardo divertito che passava da Rebecca a Shaun e viceversa. Desmond non riusciva a crederci. Non che gli piacesse stare al centro dell'attenzione, ma pensava che gli fosse quasi dovuto, quella volta. Non si era mai sentito tanto frustrato. Inutile. Non solo una pedina, ma di quelle bloccate in un angolino da tutti i lati. In trappola. Il Templare lo stava letteralmente mandando fuori di testa con le sue strane affermazioni, le domande e le risate sarcastiche di chi sa ciò che accadrà ma rimane zitto solo per il proprio sadico piacere. – Dicevi, Kenway? – brontolò con le braccia incrociate sul petto e gli occhi al soffitto.
...ci fosse stato, un maledetto soffitto. Quel postaccio non faceva altro che confonderlo. – Oh, sì. – Haytham si voltò verso di lui con un sorrisetto. – Mi spiace sconvolgerti, ragazzina, ma la tua macchina dice un sacco di balle.
Rebecca spalancò la bocca. Non riusciva bene a capire se era stupita per essere stata chiamata ragazzina o perché un morto aveva osato dubitare dell'Animus. – Scusa? – ringhiò contro Haytham, le labbra ritratte sui denti. – L'Animus... dice balle?
L'altro rispose con una stretta di spalle. – O quella o il predestinato qui – brontolò. Lo stava indicando con il pollice e tutta l'aria di chi voleva solo prenderlo per il culo. – Due facce della stessa medaglia – bofonchiò.
– Ehi! – Cominciava a essere stufo di quell'uomo. Dal vivo era molto più irritante di quanto sembrasse nell'Animus. Ma, a quanto diceva lui, quella macchina non era altro che una poltrona allucinogena, quindi poteva benissimo essere così. – Io non sto raccontando...
– Scherzavo, permaloso che non sei altro. – Haytham lo squadrò con una strana smorfia in viso. – Chissà, magari sono stati loro.
Gesù, ci capiva sempre meno. – Loro... i Precursori? – Adesso riuscivano anche a modificare i suoi ricordi?
Fece spallucce. – Oh, Dio solo sa di cosa sono capace quelle due. E anche l'altro non scherza. – Sputò oltre il bordo della piattaforma. – Schifosi figli di puttana. È stata Giunone a farmi sapere la verità su Reginald. Lo conosci, vero? Reginald Birch! – Manco gli stesse parlando di un suo vecchio amico del liceo. Annuì comunque, strofinandosi i polpastrelli sugli occhi. Aveva bisogno di uno Shirley Templar, ma anche un goccetto di whisky sarebbe andato bene. – Chissà come lo conosci tu... Va bene, non importa. Sappi solo che io non sono mai morto a Fort George.
Desmond aggrottò la fronte. C'erano troppe domande in cerca di risposte. – Quindi sei riuscito a sconfiggere Connor? Hai ucciso tuo figlio?
Haytham lo guardò con tanto d'occhi e scoppiò di nuovo a ridere con una mano sulla bocca, caracollando verso Bill e affondando la mano nel suo braccio per tenersi in piedi. Sbavava come un cane, singultava e ansimava cercando di riprendere fiato, senza riuscirci. La luminosa mano di Haytham lo attraversò come fosse fatto d'acqua. Il volto di suo padre sbiancò e, per un attimo, Desmond sorrise soddisfatto. Un po' per uno, no? – Oh, Dio – mugolò Haytham da dietro la mano e, quando si voltò di nuovo a guardarlo, Desmond si accorse che gli mancava un dito.
L'anulare sinistro. – Porca puttana! – sbottò, trattenendosi l'uccello con una mano. Stava per pisciarsi addosso, tanto rideva. – Che diavolo ti ha fatto vedere quella macchina, eh? Io ci volevo collaborare, con quel deficiente. È lui che ha fatto l'idiota. Ora non date la colpa a me. – Storse la bocca e scrollò la mano che teneva sotto la palle. Desmond sperava vivamente che non se li fosse bagnati sul serio, i pantaloni. – Gli volevo bene, eh. Non gliel'ho mai detto, d'accordo, ma in fondo gliene volevo. Non l'ho ucciso, perdio, non l'avrei mai fatto! – Si grattò i favoriti, pensieroso. D'istinto Desmond lanciò uno sguardo al padre, gli occhi grigi e freddi come il ghiaccio puntati di fronte a sé. Non ci poteva proprio sperare. Maledizione. – Be', tranne quando mi mandava fuori di testa con quei patetici discorsi da Assassino, però... Oh, andiamo, quindi è stato lui a farmi fuori? – Si voltò a guardare il soffitto invisibile, qualcosa sopra la loro testa. – Dio mio! Che razza di bastardi, mi avete sentito? È umiliante! – Scrutò Desmond con gli occhi sgranati, come a dire "Accidenti, ragazzo, con questi Precursori ci vogliono proprio le maniere forti!". – Diavolo – sibilò. – Quel vostro aggeggio fa proprio schifo. Non poteva mostrarvi qualcosa di meno patetico? Vuoi sapere la verità, Miles? Mio figlio è morto solo tre mesi dopo di me. Tre mesi! – Sventolò le tre dita della mano sinistra davanti al volto di Desmond, l'inquietante vuoto tra il medio e il mignolo ben in evidenza. – Insomma, hanno provato a fare le cose per bene, e per un po' hanno anche funziomato. Poi ha avuto la gran bella idea di mettersi tra Washington e il piombo di Thomas Hickey. Me l'hanno detto loro, direi che almeno su questo mi fido. – Scrollò le spalle e si passò un dito lungo il naso. – Be', grandioso. Mi sa che ti toccherà sorbirti la storia per quello che è veramente, Desmond.
Storse la bocca. Per quanto tempo, da quando Vidic l'aveva rapito, aveva sentito dire che la Storia era scritta dai vincitori, che solo l'Animus poteva mostrare la verità e bla, bla, bla? Cazzate! Enormi e magistrali cazzate. Non c'entravano un fico secco i vincitori e i vinti se poi bastavano tre spiriti di merda per scombussolare completamente la sua memoria. – Spara – grugnì. Tutta l'eccitazione provata al suo ingresso nel tempio era sparita. Voleva solo sloggiare.
Haytham sollevò un sopracciglio. – Come direbbe il vecchio Hickey, cazzo hai detto? – Sorrise, scaldandosi le spalle come prima di un combattimento. – Immagino che oggi voi parliate così, non dovrei stupirmi, già ringrazio di riuscire a scambiare due chiacchiere senza chiedere ogni secondo che diavolo ti sia appena uscito di bocca. Comunque... Uh.
Un altro lampo, più forte dei precedenti, fu sprigionato dalla Mela stretta tra le mani di Desmond. Si costrinse a chiudere gli occhi, serrandoli fin quando i femminili e lamentosi sospiri che non sentiva da qualche ora, da quando lei gli aveva spiegato gli ultimi metodi della Prima Civilizzazione per salvare il mondo – spettacolari e tutto il resto, eh, ma, ops!, nessuno di quelli era andato a buon fine. Alla faccia dell'incoraggiamento – non tornarono a torturargli le orecchie. Gli ricordavano da morire Flipper. Ah, Spence e la sua passione per il buon cinema. – Sì... Vieni... Infine... Sei qui. Conosci la storia. Sai dei tentativi. Dei fallimenti.
Attraverso gli occhi socchiusi scorse Haytham levare gli occhi al cielo e stringersi due dita sul naso. – Per piacere! Non sa niente di niente! – Incrociò le mani sulla nuca, sbuffando frustrato. – Che il diavolo mi porti, siate onesti! Almeno con lui, no? È un Assassino. – Desmond ridacchiò, sentendosi maledettamente fuori posto, ma Haytham sembrava una brutta parodia di Heidi mentre diceva quell'ultima frase. – Lui non sa... Ragazzo... – Si allungò verso di lui, fermando le dita titubanti a un pollice o due dalla sua felpa. – Davvero, io... tu non hai idea di ciò che ti costringeranno a fare. Mi avevano promesso...
– Silenzio! – La voce di Giunone risuonò più forte nel Grande Tempio, la disperata eco di una madre che pensa solo a lamentarsi. Haytham scoccò uno sguardo furioso alle sue spalle, senza guardare davvero verso la... Nemmeno Desmond sapeva bene come definirla. Uno spirito, a farla breve. Lì. Dietro di loro. Apparsa dal nulla. Cristo.
– Oh, puoi provare a zittirmi quanto ti pare – ringhiò Haytham. – Devi sapere, Miles. Mi avevano promesso la pace! Mi avevano promesso la collaborazione, tutto ciò che volevo!
– Le nostre speranze svanite. – La voce di Giunone e quella di Haytham si sovrapponevano nelle sue orecchie, lo stavano facendo diventare più matto di quanto già fosse. Non sarebbe dovuto essere traumatizzato, ripeteva a se stesso. Aveva già parlato con Clay, ed era morto anche lui, no?
Sì, ma allora era in coma. Pensava di morire, era... quasi normale. Ora no. Era vivo, e tutti quei fantasmi dorati e luminescenti gli stavano annebbiando la vista. – Salvo una.
– Non ascoltarla! – Con l'ennesimo ringhio, Haytham fece per afferrarlo per la felpa. Non strinse altro che l'aria. – Merda! – Si sbatté le mani sui calzoni, sibilando una bestemmia che Desmond non colse per bene. – Lasciala perdere, mi hai sentito? Ascoltami! – Poteva anche dire a suo padre di mollargli un altro pugno in faccia, ma non passò per la mente di Haytham. E lui non avrebbe certo insistito.
Distolse lo sguardo dal Templare e lo posò su Giunone. Colei che gli aveva raccontato tutto, che lo aveva informato sulla tecnologia della Prima Civilizzazione e tutti i loro tentativi di salvarsi dalla prima Apocalisse. Lo sguardo disperato e dolce sembrava quasi quello di sua madre. Chissà che fine aveva fatto.
Passava le mani su una grossa sfera bianca e luminosa, simile a un mappamondo o a un astro caduto dal cielo. Non c'era prima. Ne era sicuro. Si sarebbe accorto di un affare del genere, no? – Toccalo, su – disse Giunone dolcemente. – La scintilla. La scintilla salverà il mondo.
– Non ascoltarla! – Haytham sembrava più matto di lui. – Guardami! Guardami, cazzo! Hai visto che fine ho fatto per dar loro retta? Sono rimasto bloccato qui! Niente pace e nessuna tregua! Io... – Desmond chinò il capo da una parte. Sbagliava o Haytham gli pareva sull'orlo delle lacrime? – Mi avevano detto che tu eri la chiave per la pace, sai? È questo che mi hanno detto, ma ho smesso di crederci da un pezzo. Non c'è niente che tu possa fare per l'umanità! Hai tutta la vita davanti, maledizione, non ascoltarla! Non toccare quel... coso! – Era come in stato di shock, e i lineamenti distorti dalla rabbia di Haytham erano l'unica cosa che vedeva. Oltre alla luce del mappamondo o quel che era. Le voci gli bucavano le orecchie e non arrivavano al cervello, s'ammucchiavano l'una sull'altra come neve in una slavina.
– Il servo della Croce ha ragione. – Un'altra voce. Oh, Dio, era troppo. Stava diventando davvero troppo, ci mancavano solo Clay e... e Lucy, e perché no, Ezio, Connor, Altaïr, Michael Jackson, Tupac, Lincoln, Hitler. Almeno ci sarebbe stata un po' di musica. Oppure tutte quelle voci sarebbero state zittite da una bella doccia di gas.
Che cazzo stava pensando? – Non toccare il piedistallo! – esclamò l'altro spirito, una donna con uno strano elmo in testa, i lineamenti affilati e gli occhi brillanti d'intelletto. Tutto il contrario dei suoi in quel momento.
– Minerva...? – Non riuscì a spiccicare nient'altro, neanche il suo unico pensiero, un memorabile: "Piedistallo? Ma io pensavo fosse un mappamondo."
– Tu? Ma come... Come hai potuto? – Giunone era sconvolta. – Hai distrutto il dispositivo.
Le labbra di Minerva si piegarono in un sorriso malvagio. – Credevi ce ne fosse uno solo?
– Che diavolo succede qui? – berciò Bill nel fare un passo avanti. Oh, Desmond non ne sapeva niente. Aveva rinunciato a capirci qualcosa da un bel po'.
Haytham si passò le mani in faccia. – Ah, tranquillo, niente di che! – sibilò. – Lo stanno solo intontendo con le loro idiozie! Lasciatelo in pace, maledizione! – Il Templare avanzò, piazzandosi tra il figlio e i due spiriti. – Dovrete passare sul mio... fantasma se volete prendervi anche lui. – Sputò ai loro piedi, sdegnato.
Desmond batté le palpebre, accecato dalla luce di Haytham così tanto vicina a lui. Un Templare. Un Gran Maestro lo stava difendendo. Oh, Dio, probabilmente da qualche parte là fuori i taxi avevano anche messo le ali.
Sorrisero entrambe, per un attimo d'accordo. – Non metterti in ridicolo, servo della Croce – sussurrò Minerva con un sorriso malizioso. – E lasciaci parlare con lui. Avrai la tua pace, no?
– Non avrò niente! Non sono così stupido da cascarci un'altra volta! – Sembrava di nuovo sul punto di scoppiare in lacrime.
Giunone schiuse le labbra, malinconica. – Fatti da parte, ora che puoi.
Gli lanciò un'occhiata e fece un grosso sospiro. – Ragazzo? Ehi, ragazzo, mi senti? – Si affondò le mani nelle tasche e abbassò gli occhi, sconfitto. – Ascoltami bene. – Desmond non voleva ascoltare più nessuno, maledizione. – Non cercare di fare l'eroe. Non ne vale la pena. – Incassò la testa tra le spalle e fece un cenno con la testa agli spiriti dei Precursori. – Prego! Stupide... bastarde. – E si allontanò, lo sguardo colmo d'ira e disprezzo, lasciandosi cadere seduto accanto a Shaun.
Minerva gli scoccò un’occhiata severa, dunque si voltò verso di lui, un pugno stretto sul petto. – Non devi liberarla – esclamò indicando Giunone, un passo dietro di lei.
– Liberarla? – Avrebbe quasi preferito la tempesta solare. Qualunque cosa purché smettessero con tutto... quello, ecco. Stava diventando pazzo.
– Smetti di fare il pappagallo. – Haytham incrociò le braccia sul petto, le gambe tese di fronte a sé. – Non perdere tempo ad ascoltarle e vattene. Ti parleranno della fine del mondo, dei loro patetici litigi da comari e di un sacco di altre cose che non interessano a nessuno.
Desmond chinò il capo. Probabilmente era uno dei vantaggi di essere un morto, poter dare aria alla bocca senza che nessuno, neanche i Precursori, potessero dirti alcunché. Lui, invece, si sentiva più inetto che mai. Aveva ragione ad avere paura di ciò che avrebbe trovato all’interno di quel tempio, maledizione. Era un inganno, quindi, a sentire Haytham. Tutto un terribile inganno. – Deve sapere, servo della Croce. Giunone attendeva qui dentro di essere liberata. – Minerva scosse il capo, come se stesse per rivelare un terribile errore. Si voltò un attimo a guardare Haytham, giusto in tempo per vederlo sillabare muto “Bastarda melodrammatica”. – Ora ti spiego.
Ancora? Ancora volevano spiegargli cose, e… e intontirlo con quelle vecchie storie? Non aveva sopportato abbastanza a lungo quando era un ragazzino? Ci era già dentro fino al collo, non potevano risparmiargli le prediche? Venticinque anni, e ancora non riusciva a impedire agli altri di rigirarlo come un calzino alla propria maniera. Si sentiva strattonato tra Haytham e gli spiriti mentre Shaun, Bill e Rebecca lo guardavano preoccupati e increduli. Chi cazzo gliel’aveva fatto fare, eh? Perché Dio, o chi per lui, non l’aveva fatto nascere in un’altra famiglia, con altro sangue? Niente morti che gli parlavano, niente coma, niente ragazze pugnalate e niente rapimenti. Canne con qualcuno che non sarebbe stato Spence, ma almeno si sarebbe evitato tutti quei fastidi. Addio Templari, addio Assassini, che si salvassero il culo da soli, senza tirarlo in causa. Che aveva fatto di buono, poi? Per quattro mesi non era stato altro che una patetica palla al piede. – …Non puoi più fermare la fine ora, Desmond. Solo sopravvivere a essa. – Oh, no, si era perso lo spiegone.
E va be’. Come se cambiasse qualcosa, in fin dei conti. – Lei mente! – strillò Giunone. Perché non la smetteva? Doveva solo stare zitta. Come tutti gli altri. Era così bello, il vuoto. Il silenzio. – Tocca quel piedistallo e il mondo si salverà.
Haytham emise una sonora pernacchia. – Oh, certo, gli Assassini e i Templari cammineranno per New York a braccetto e dal letame fioriranno gemme. – Roteò gli occhi, circondandosi le ginocchia con le braccia. – E voi pensate pure che il vostro stupido predestinato vi stia ascoltando. – Desmond non si era neanche conto del fatto che Haytham fosse scattato in piedi, ma una frazione di secondo dopo era lì, al suo fianco, a sibilargli contro l’orecchio. – Perché ti conoscono, non è vero? Sanno che farai quello che dicono, una delle due, e non gliene frega niente di chi ci finirà in mezzo. Sanno come sei fatto, così come lo sapevano con me. Bravo. Fregatene e getta alle ortiche la tua vita per loro! – Desmond fece un balzo indietro, le braccia sopra la testa come quando suo padre lo sfidava a schivare le bastonate, alla Fattoria. Non era cambiato nulla. E ci mancavano solo gli incoraggiamenti di Haytham in quella giornata di merda.
Minerva gli si avvicinò, poggiando una mano sul petto del fantasma. – E levami le mani di dosso! – strepitò Haytham, stizzito. – Perdio! – Si allontanò e prese a girargli intorno come un cane rabbioso, brontolando tra sé e sé. Una teiera. Sembrava davvero una teiera.
– Meglio che il mondo bruci, Desmond, piuttosto che lei si liberi. – Scosse la testa, sconsolata. Perché sembrava così sincera? Maledizione.
Vide Haytham farle il verso a mezza voce mentre anche Giunone prendeva posto accanto a lui, dall’altra parte. – È veramente così? – Sospirò. – Mostragli, su.
– Ma lui non capirà. – Oh, no, non era quello il punto. Lui non voleva vedere. Non voleva vedere più niente. Correre lì fuori e morire per le radiazioni della tempesta solare non sembrava più tanto male, a pensarci. – È complicato… È…
– Oh, per piacere, non importa niente a nessuno di questa stupida fine del mondo! – Haytham puntò un dito al soffitto e si morse un labbro mentre Shaun lo fissava con la fronte aggrottata. – Maledizione, non è quello che intendevo. Volevo dire… Niente di ciò che ti diranno condizionerà il futuro. È un loro piano. Magari non sono nemmeno davvero l’una contro l’altra, sai? Devi solo… – Sentiva la testa pesante. Non sapeva dove guardare. Il Grande Tempio stava cominciando a girargli intorno come una trottola.
– Fa’ vedere – sussurrò. Qualsiasi cosa pur di non svenire come un idiota e allontanarsi, anche solo per cinque minuti, da quello schifoso posto di pietra.
Strizzò gli occhi con tutta la forza che aveva, e il mondo sparì.
 
La terra bruciava. I vulcani emergevano da sotto i grattacieli e gettavano fiamme, la gente scappava, i bambini tenuti in braccio alla bell’e meglio, le espressioni di terrore pitturate sui volti. Correvano, ma dove? Verso cosa? C’era fuoco dappertutto. Crepacci ovunque si poggiassero i piedi. Il ponte di Brooklyn che si spezzava a metà, i treni della linea che da Triangle Plaza lo portava al bar crollavano sulla strada, schiacciavano le auto e sfrigolavano in una pioggia di scintille rossastre. Giusto per attizzare il fuoco. Altro che carbonella.
E di nuovo, la voce lamentosa di Giunone. – Se obbedirai a Minerva, il sole farà il suo corso. La Terra si spaccherà e sputerà fuoco nel cielo. Tutto il mondo brucerà. – Dio santo, avrebbe dato un rene per farla smettere. Anche un polmone. Il cuore. O il cervello. Tanto non gli funzionava più. – Ma non sarà la fine del mondo, sarà soltanto l’inizio. Verrà l’oscurità. – E come un ordine dato dalla regia, tutto si fece buio. – Poi risorgerete… – La roccia lavica, il sole che lo accecava mentre strisciava come un verme fuori dal Tempio, con Rebecca, suo padre e Shaun a guardargli le spalle. Come quando scendeva dai treni, solo che allora era solo. Solo in mezzo alla folla che si agita e ti frusta come un fottuto bosco di alghe, alghe vive e pronte a soffocarti. – Deciderete di fare in modo che una tragedia simile non accada mai più. – Lui, con la barba più lunga, un libro in mano e una piccola folla intorno, sparpagliata su un prato, per spiegare… cosa, di grazia? Non era manco in grado di dare le indicazioni ai passanti, che diavolo poteva insegnare a dei sopravvissuti? Come andare avanti a pane e cocktail? – Diventerai un simbolo per i sopravvissuti. Speranza. Sapere. Determinazione. Li spingerai a ricominciare. A rifiorire ancora. – L’immagine cambiò di nuovo. Una stanza buia, uomini e donne in ginocchio intorno a un tavolo, candele tra le mani e visi affondati nelle spalle, a piangere. C'era un uomo steso sulla tavola, coperto da un lenzuolo e petali di rosa. Oddio.  – Il mondo guarirà, come la vostra razza… – No. Su, non poteva… Mica poteva essere lui! Sembrava Gesù Cristo coi capelli corti, porca miseria, non…
Niente bara di mogano nella tomba di famiglia su alla Fattoria, dunque. Razza di idiota. – Ma non sei che un uomo. Debole e mortale. Quando morirai, di te resterà solo il ricordo. Una… stipe. – Una frase incisa sopra la sua testa, oltre il suo corpo e le persone piangenti. A piangere per lui. Fino a quattro mesi prima pensava che, se fosse morto, era già tanto se avesse pianto Spence, al suo funerale. Era roba da profezia. OBBEDISCI A QUESTE PAROLE E SARAI SALVATO. Le lettere ruotavano e cambiavano. Mutevoli come il vento. – All’inizio verrai ricordato come un eroe. Poi come un mito. E infine… come un dio. – Le lettere smisero di vorticare, incise nella sua mente come un marchio a fuoco. OBBEDISCI A QUESTE PAROLE O MUORI DA ERETICO. A pensarci si sentiva anche più scemo del solito, ma che avrebbero fatto? Non potevano mica ricreare la Santa Inquisizione per lui, no? Per Desmond Miles? Gli veniva da ridere al solo pensiero. – Che destino crudele. – Quelle stesse parole scolpite su una lastra di pietra sollevata da un uomo misterioso, un muro di fiamme alle sue spalle e la folla che lo acclamava. E chi era questo, la Deluxe Edition di Mosè? – Lasciare tracce per il loro bene e vedere che le utilizzano in modo abietto. Ciò che doveva favorire la vita, usato per giustificare la morte. – Sopravvissuto, certo, ma ricordato come un mostro. Un groppo gli si bloccò in gola, e si rese conto che non voleva. Diamine, già non era stato un buon figlio, né un grande Assassino, che non gli spalassero altra merda addosso. Non più di quanto meritasse. – E ora capisci che ciò che era sarà ancora. Allora dimmi: che cosa è meglio?
Il nulla, pensò Desmond. E gli si manifestò davanti agli occhi, una tenda nera vuota e senza fine.
 
La prima cosa che sentì fu la voce di Haytham. – Che mucchio di stronzate – sibilò il Templare mentre osservava Minerva e Giunone con gli occhi socchiusi, truci. – Non capisci, Desmond? – Magari ci sarebbe anche riuscito, se lo avessero lasciato respirare per trenta secondi. – La vita è un cerchio. Sei davvero così orgoglioso da obbedire per evitare di infangare il tuo nome?
– Lei sacrificherebbe te e il mondo intero, Desmond. – Giunone coprì l’uomo con i suoi lamenti. – Solamente per negarmi la vendetta.
– Diventerete i loro schiavi. Non è per questo che lotti? Non è per questo che sei qui? – La libertà. Giusto. Quello che predicavano gli Assassini. Però… Però non gli piaceva. Che senso aveva, se tanto poi sarebbe stato lui, il predicatore stesso, a diventare un nemico? – Per dare alla tua gente non solo un futuro, ma la libertà?
– Quale futuro? Quale libertà? – Giusto. Di nuovo. Dov’era la sua, di libertà? Era costretto lì con un pezzo di metallo tra le dita, a fronteggiarsi con due scelte quando avrebbe preferito gettarsi nel nulla e diventare una macchia di sporco sulle pareti del Tempio. Insomma, non era così che voleva finisse il mondo, la sua vita o quel che cavolo c’era in ballo. Manco se lo ricordava più. – Migliaia di morti e l’intero ciclo ricomincerà. Questo mondo non è stato altro che miseria e orrore dacché siamo partiti.
Haytham poggiò una mano sul suo braccio, senza passargli attraverso, invitandolo a indietreggiare. Che cosa voleva? – Lasciami in pace – grugnì, lo sguardo fisso nel vuoto.
L’altro roteò gli occhi, sbuffando. – Guarda che io ti capisco. Io sì che sono stato infangato. Ammazzato da mio figlio. – Arricciò le labbra e fece spallucce, quindi affondò le mani nelle tasche. – Si può sapere perché ci tieni tanto? Non farlo. Alla fine sarai solo carne morta, ma almeno potrai vivere felicemente altri venti, trenta o quarant’anni. Lo dico per te. Crepare giovane per la Prima Civilizzazione… Tanto vale buttarsi nel fuoco. – Boh. Sapeva che però buttarsi nel fuoco faceva male, mentre il mappamondo aveva un che di rassicurante. – Te l’ho detto, no? Mi avevano promesso una collaborazione se fossi morto anche tu. In confidenza, eh. Due sacrifici e ci sarà la pace, o qualcosa del genere. Mi volevano solo fuori dai coglioni, altrimenti… – Sorrise nostalgico, inclinando il capo da una parte mentre Minerva e Giunone, davanti ai suoi occhi, continuavano a litigare. Che fine aveva fatto suo padre? E Rebecca, e Shaun? Forse erano lì dietro, troppo scioccati per spiccicare parola. – Qualcosa mi dice che se fossi rimasto vivo una tregua ci sarebbe stata eccome. Forse Washington sarebbe morto e tu non saresti qui, ma, ehi, è un piccolo prezzo da pagare. È per questo che mi hanno ammazzato. Me ne sono convinto, ormai. È l’esperienza a dirmi di avvisarti. Non fidarti di loro, hai capito, Desmond?
Vivere da mostro o morire da eroe.
Un mappamondo o le fiamme lì fuori. La paura. Il panico. La gente che urla e schiaccia i più deboli in una lotta primordiale. La civiltà mandata a ‘fanculo. E lui rintanato lì come un vigliacco, solo per uscire da quello schifo di grotta e istruirli su cosa fare, cosa credere e come andare avanti.
Storse la bocca. Suonava patetico persino dentro la sua testa.
– Basta! – esclamò. Si rese a malapena conto di ciò che aveva appena fatto, ma due degli ultimi membri della Prima Civilizzazione lo fissavano contrariati e incuriositi. Volevano solo sentire le sue parole.
Parole da eroe.
O da codardo, a lui la scelta.
Prese fiato. – Se lo farò – sussurrò con le labbra appena schiuse – mi garantisci che ci sarà la pace? – Fissava Giunone con tutta la sicurezza che riusciva a ostentare, ma non era certo di riuscire poi tanto bene nel suo intento. Prima di fare qualunque cosa avrebbe pisciato, poco ma sicuro. – Cioè… – Scrollò le spalle. – Qualunque cosa sia il piano di Giunone…
– Non ha capito un cazzo di niente – borbottò Haytham con il naso stretto tra due dita. – Ma se nemmeno l’hai ascoltato, il suo piano! – Emise un grugnito rabbioso che gli ricordava terribilmente le sue conversazioni con Shaun.
Proseguì comunque. I discorsi eroici non s’interrompono mica per il primo guastafeste che si mette in mezzo, giusto? – …per quanto orribile ci sembri, riusciremo a fermarlo. Ma l’alternativa, ciò che vuoi tu… – Si girò verso Minerva, le labbra contratte. – Sarebbe ancora peggio. ? Peggio per lui, forse. E per coloro che sarebbero stati condannati come eretici per aver ignorato le parole di un barista visionario, il leggendario inventore dello Shirley Templar! Che vergogna!
Strinse i denti. Stupidi pensieri. Di fronte a lui, Minerva sembrava contrariata. – Se la liberi, lei vi distruggerà.
– Pazzo. – Oh, Haytham. Che stesse zitto, cacchio. – Non ti rendi conto che è una fregatura in ogni caso?
– Certo, Desmond. – Eccola. Giunone in versione madre amorevole gli faceva quasi apparire il compito più facile. Si trattava solo di toccare un mappamondo, no? – Succederà in un istante. Niente dolore.
– Non devi! – replicò Minerva. Ne aveva abbastanza di chi cercava di dirgli cosa fare.
– È fatta. – Lo stava dicendo a Minerva, a Haytham, a suo padre, a tutti quelli che aspettavano solo la sua scelta. – Ho deciso, ormai.
Minerva fece spallucce, i denti serrati. – Allora dovrai convivere e morire con le conseguenze del tuo errore. – Convivere? Per poco non scoppiò a riderle in faccia. Convivere per, quanto, cinque minuti? Sopportabile. Sopportabilissimo, cazzo.
Fu lui a stringersi nelle spalle e a voltarsi verso Shaun, Rebecca e Bill. Suo padre. Il padre che gli era stato accanto in quegli ultimi due mesi, da dopo il coma, ma che gli era mancato più di quanto volesse dare a vedere.
– Desmond – disse soltanto. Forse persino Haytham sarebbe stato più affettuoso, ma era rintanato per i fatti suoi, accomodato sul bordo della piattaforma a fissare il nulla sottostante. Non voleva rovinagli il momento, forse.
– Ne sei proprio sicuro? – Shaun si stava grattando la nuca con l'altra mano poggiata sul fianco. – Intendo... Io ero dell'idea di prendere la crema solare e filarcela. Vuoi davvero...
Rebecca gli poggiò una mano sul braccio, gli occhi fissi in quelli di Desmond. Non poteva che esserle grato per avergli impedito di dire altre stronzate. L'unica ragazza rimasta nel gruppo gli gettò le braccia al collo, stringendolo in un abbraccio soffocante. Le mani si posarono goffe sui suoi fianchi e appoggiò il capo sulla spalla di Rebecca. Strinse le palpebre, assaporando un'ultima volta il calore del corpo di una ragazza tra le sue braccia. Si sentiva un po' ipocrita, ma a occhi chiusi immaginò fosse Lucy. Quanto gli mancava.
I rumori però non sparivano. C'erano i sussurri di Giunone e Minerva e, più vicini, quelli dei suoi stessi amici.
– Perché non lo fermi, Will? – O-oh, Shaun! Allora sotto quella montagna di sarcasmo e cinico umorismo inglese batteva un piccolo cuore, eh? Istintivamente si ritrovò a sorridere.
– La scelta è sua – replicò Bill gelido.
– Sì, ma l'amico che se ne va all'altro mondo è anche mio. – Così come si erano piegate, le labbra gli si tesero di nuovo mentre Rebecca Crane gli batteva una mano sulla schiena.
Non disse niente. Il suo sguardo gli bastava. – Mi mancherai, Becks – sussurrò sfiorandole le dita. Lei non rispose. Fece solo un passo indietro e annuì. Anche a lui dispiaceva. Dispiaceva da morire. Spostò lo sguardo su Shaun, guardandolo con un sopracciglio sollevato e le braccia mezze aperte.
Lo storico roteò gli occhi. – Al diavolo – sussurrò porgendogli la mano mentre con l'altro braccio gli circondava il busto. – Sei stato l'Assassino più facile da sfottere con cui abbia mai lavorato – disse con un sorriso.
Desmond gli fissò la mano con un attimo di riluttanza, dunque gliela strinse e rispose al suo mezzo abbraccio con una smorfia triste. – Ti auguro il meglio, Shaun. Grazie.
L'altro fece spallucce. – Di niente. In fondo, dove saresti senza di me?
Alzò le mani aperte. – Sotto un ponte a scavare nei cassonetti di un McDonald's, immagino. – Schioccò la lingua. – Sei stato l'unico a non trattarmi come fossi da sempre destinato a... questo.
Shaun strofinò la mano sulla sua felpa. – Per me resterai sempre l'unico soggetto maschio incinto che l'Animus abbia mai ospitato – replicò con un sorrisetto. – Be'... Ci vediamo, immagino. Prima o poi. – Si piantò la mano alla testa nel saluto militare e gli diede le spalle, così come l'aveva sempre visto. Scapigliato, gli occhiali spessi sul naso, le maniche della camicia arrotolate e quei pantaloni adatti a tutto, tranne che per una bella discesa in una caverna.
E poi, be', mancava lui. Suo padre, che continuava a guardarlo freddamente, un braccio gettato sulle spalle di Rebecca. Gli toccava, no? Poteva non essere stato il miglior figlio del mondo ma, cazzo, stava per morire. Era il minimo.
Lasciò andare Rebecca e gli si avvicinò. Lo abbracciò così forte che temette di soffocare mentre lui sbatteva le mani sul suo zaino, abbandonato sulla schiena. – Sedici anni – sussurrò Desmond. – E in quei sedici anni non ho mai smesso di pensare d'essere nato e cresciuto all'inferno.
– Non posso darti tutti i torti. – Il suo solito sussurro senza un tono particolare, che voleva intendere tutto e niente. – Non era esattamente il posto migliore in cui vivere. Ma forse ci saresti dovuto rimanere, no?
– Può darsi – ringhiò in risposta. Non voleva litigare. – Ma è andata come è andata. – Non era questo che voleva. Mi vuoi bene? Dio, se si sentiva patetico. Io sì. E se davvero lo aveva cercato in tutti quegli anni perché adesso lo trattava come un appestato? Gli aveva salvato la vita. Era una delle poche persone che gli fossero rimaste. Doveva essere sincero con lui, ma non riuscì  a spiccicare nessuna di quelle parole. Semplicemente lo sentì sospirare sul suo collo e se lo staccò di dosso. Come una vecchia crosta. – Dovete andare – mormorò, la schiena ritta e tutta la volontà di assumere un'aria sicura. – Tutti voi. Ora. Scappate il più lontano possibile.
William lo fissò, occhi negli occhi. Allungò una mano verso di lui, senza sfiorarlo. – Vieni con noi. Troveremo un modo.
– Non c'è tempo! – E d'altronde la scelta era sua, no? Era stato lui a dirlo.
– Figlio... – Chiamarlo bastardo lo avrebbe fatto incazzare meno, in quel momento. Voleva solo che gli si levasse da davanti agli occhi e lo facesse crepare in pace, ma un'altra parte di lui sapeva che era solo un pensiero infantile. Era suo padre. Gli sarebbe mancato più di chiunque altro.
– Sai che è giusto. – Per gli Assassini. Sapeva fin troppo bene cosa fosse meglio per loro, mai cosa lo era per lui e se stesso e sua madre. Per la sua famiglia. – È già iniziata. Devo farlo ora. – E lui doveva andarsene. Era sempre sembrato tutto così facile per lui. – Andate. Andate!
Indietreggiarono oltre il punto in cui poco tempo prima sorgeva quella lastra di vetro, giù per le scale, e lui voltò loro le spalle prima che oltrepassassero la bocca del Tempio. Minerva e Giunone non c'erano più. Solo lui, Haytham, che si era appena rialzato e si spolverava il cappotto con noncuranza, e il mappamondo. Stupido mappamondo.
Haytham si strofinò le palpebre con i polpastrelli, come frustrato dall'intera situazione. – Allora? – chiese, la schiena poggiata contro un pilastro di pietra nera, messo lì a reggere il nulla più assoluto, e le gambe accavallate. – Cos'hai deciso?
Desmond sbuffò. – Avevo già scelto prima che se ne andassero. – Abbassò il capo, fissando le venature della Mela per non essere costretto a guardarlo negli occhi. – Non fare il finto tonto. – Non voleva piangere, nemmeno davanti a Haytham. Sentiva le gambe molli, e nonostante sapesse cosa dovesse fare non riusciva a staccare i piedi da terra. Ricacciò i singhiozzi in fondo alla gola, ricordando l'addestramento di suo padre. Non era mai stato clemente con lui, e quando piangeva lo colpiva forte in faccia con il dorso della mano. Il dolore cresceva, si tramutava in rabbia, e lui tornava a combattere.
Qui non c'era il vecchio, ma Haytham sembrava comunque perfettamente in grado di mollargli un manrovescio. Per fortuna si limitò a sollevare le sopracciglia. – Be', speravo solo che il tuo grande genio ti avesse suggerito di cambiare idea e scappare a gambe levate. – Sbuffò rumorosamente, facendo uscire l'aria dalle narici come un vecchio drago spazientito, e posò lo sguardo sulle sue mani. – Ragazzo, hai la Mela. Potresti fare qualsiasi cosa, tutto ciò che vuoi. Non... – Il Templare si chinò in avanti, schioccando la lingua e strofinandosi la bocca con le mani, cercando le parole giuste. Sembrava un politico che organizza la miglior propaganda possibile. – Desmond, non sei obbligato a fare ciò che dicono – sussurrò teso verso di lui, le mani sulle ginocchia. – Sono...
– Li ho mandati via. – La sua voce era quasi un ringhio. – Se non faccio quello che vogliono, moriranno tutti quanti. Mio padre, e... Io... – Serrò i pugni, stringendo i denti così forte da sentirli vibrare, quindi affondò le mani nelle tasche e reclinò il capo. Era una marionetta. Lo era sempre stato. – Senti, non sei mai stato esattamente un grand'esempio di moralità. Quindi...
– Moralità? – Haytham ridacchiò, chinandosi ancora di più e indicandolo con aria accusatoria. – Tu, ragazzo mio, sei più egoista di quanto pensassi. Non vuoi salvare il mondo. Vuoi salvare la tua reputazione. Quindi non parlarmi di moralità, per l'amor di Dio. – L'indice di Haytham fremeva per la rabbia a pochi millimetri dal viso di Desmond che, immobile, faceva scattare lo sguardo tra la Mela dell'Eden e la grossa sfera luminosa, una tremula aureola che circondava anche il piedistallo e si rifletteva sul pavimento lustro. – Lo farai davvero? – chiese, la voce colma di rabbia.
Desmond fece spallucce. Non aveva la forza di allargare le braccia in un gesto di strafottenza. – Sì – sussurrò senza sicurezza alcuna. Che altra scelta aveva? – Sì.
Haytham gonfiò le guance. – Be', complimenti – sibilò grondando sarcasmo. – Sei un maledetto eroe. Figlio di puttana... – Scosse la testa, impotente. – Ti stanno fottendo. Credimi. Io...
– Hai avuto la tua possibilità – sussurrò Desmond. Non voleva più sentire parlare nessuno. Voleva solo farlo, mettere fine a tutto... quello. Tutto quanto. – Smetti di dirmi quello che devo fare, okay? Hai sbagliato secoli fa, e non ho chiesto io il tuo parere!
Haytham sgranò gli occhi. – Idiota! – berciò sbattendosi un dito sul petto. – Io le conosco meglio di te! Le ho avute entrambe dentro la testa! So di cosa sono capaci, e lo sai anche tu! Perché...
– Chiudi quella cazzo di bocca! – Desmond indietreggiò. La voce gli si era fatta acuta, tesa, come quella di un bambino. Portò le mani tremanti alla testa, stringendo forte le palpebre, poi sgranò gli occhi con la voce rotta. – Sto per morire. Sto per morire, maledizione! Lasciamelo fare in pace!
Chinò il capo, sentendo le lacrime spingere per scorrergli sulle guance. Tremava come una foglia dalla testa ai piedi, e Haytham sollevò le mani. Si era arreso. Finalmente. – Al diavolo – sussurrò acido. – Al diavolo, va bene? Fa' pure ciò che vuoi. Io sono rimasto qui per quasi tre secoli, ragazzo. Sto cercando di sfruttare la situazione al meglio, ti voglio aiutare. Non posso più fare nulla per me stesso, diamine! – Si lasciò andare a una risatina, stretto nelle spalle. – Vuoi fare qualcosa di buono, ragazzo? Vuoi morire per qualcosa? Avresti dovuto prendere la Mela e far saltare in aria questo posto. Bum! Ciao, Minerva, ciao, Giunone, e benvenuto Paradiso! Urrà! – Roteò gli occhi e si grattò un sopracciglio con le dita, lanciando uno sputo luminoso sul pavimento del Tempio. – Ti credevo più furbo di così.
Desmond abbassò il capo, lasciandolo cadere mollemente sullo sterno. – Se non lo faccio la tempesta solare distruggerà tutto il mondo. Loro...
Haytham lo squadrò e, di nuovo, non riuscì a trattenersi. Si piegò in due, i palmi premuti sul ventre mentre rideva come un bambino. Desmond tese la mascella, irritato. Cosa cazzo aveva da ridere, eh? Gli avrebbe tirato un pugno, ma sapeva che l'avrebbe parato con la stessa facilità di Tyson. Anzi, gli sarebbe passato attraverso. Gran figura di merda. – E tu ancora credi a quelle due? Dio! – Stava addirittura piangendo, lacrime come lampadine di Natale agli angoli degli occhi. – Sono fantasmi! Non hanno più potere di me e di te, cazzo! Ti ho detto cosa m'avevano promesso, e ti sembra che abbiano mantenuto? No!
– Loro... – Desmond strinse i pugni. Anche solo ricordare quell'evento di pochi mesi prima, prima del coma, subito prima del coma, era come riviverlo. Il dolore e... e l'impotenza come aghi roventi in tutto il corpo. – Mi ha fatto uccidere una persona. Giunone.
Haytham incrociò le braccia sul petto che ancora sussultava per le risate. – È una strana cosetta legata al sangue. Hanno un'influenza del diavolo su me, te, tutti i discendenti della Prima Civilizzazione. – Tirò su l'angolo della bocca in una smorfia scettica. – Fuori dai nostri corpi possono a malapena costringere un uomo a pisciare. Oh, Dio, sono un po' più in gamba di me, ma sono morte. Deboli. Non è comunque abbastanza per fermare una maledetta... Com'è che si chiama? Be', è una cosa grossa, a quanto ho capito. Dammi retta, lascia perdere, e se proprio vuoi morire crepa in modo che nessuno possa darti dell'idiota.
– Lasciami in pace. – Non voleva sentirlo parlare ancora, e ancora. Non ne poteva più. – Voglio farlo.
– Non è vero – cantilenò il Templare, – proprio no.
– Oh, sta' zitto!
– Va bene, va bene, d'accordo! – Giunse le mani, come in una preghiera, e fece una mezza riverenza. – Sei un eroe – ripeté. – Un fottuto, stramaledetto eroe.
Desmond chinò il capo da una parte, sussurrando un'imprecazione. – Lo dici come fosse una cosa sbagliata.
– Gli eroi. Patetici. – Scrollò il capo e fece spallucce. – Non sono altro che stupidi, vittime delle circostanze che hanno commesso errori e preso posizioni che nessun altro avrebbe considerato. Sono morti per il loro orgoglio. Gli eroi non esistono, a volte sono fighette più grosse degli altri. – Sollevò lo sguardo all’indistinto soffitto, lassù da qualche parte, un occhio mezzo chiuso. – Non sono forse un eroe, Desmond? Non mi sono lasciato far fuori in nome di un'alleanza tra Templari e Assassini, l'alto ideale che entrambi conseguiamo? Sono morto per mio figlio. È la verità. – Arricciò le labbra con scherno. – Vedi un po' che fine fanno gli eroi, Desmond Miles.
L'altro sbuffò. – Tu non sei un eroe.
– Lo dici perché sai che ho fatto cose terribili, prima. Insomma, gli uomini non sono senza macchia. Non è mai stato così. Adesso rispondimi sinceramente, Desmond. – Haytham si mise una mano sul cuore, in una sorta di giuramento solenne. Una solenne presa per il culo. – Sei davvero pronto a morire per questo? Per una manciata di fumo? Hai bisogno di espiare qualche colpa o sei solamente un vittimista senza uno scopo migliore?
Desmond lo guardò negli occhi, le mani strette sulle cinghie dello zaino. – È la cosa giusta da fare.
– Sei ridicolo. Te ne pentirai.
– Oh, e a te che importa? – Si tolse la borsa dalle spalle, aprendola e infilando la Mela in una delle tasche interne. Frugò ancora nello zaino, tirando fuori il cellulare da una piccola tasca sul davanti. – Avrai tutto il tempo del mondo per insultarmi. Forse hai ragione, me ne pentirò. – Armeggiò con le dita sullo schermo per qualche attimo, dunque si sedette a terra e scrollò le spalle, rivolgendo al fantasma un sorrisetto di scherno. – Ma allora sarò solo carne morta, no?
  
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