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Autore: VioletGreenEyes    05/03/2015    1 recensioni
Dal testo:
"Sherlock uscì dal suo palazzo mentale. Il micio miagolava. Lentamente si alzò dalla poltrona e si diresse in cucina, il gatto seguì i suoi movimenti col capo. Appena il detective versò il latte nella ciotola, Toby si fiondò in cucina per bere, l’uomo gli accarezzò il dorso e poi andò alla finestra. Gli piaceva vedere Londra addormentarsi. Forse aveva qualche altro motivo.
La verità, era che aspettava. "
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ la prima volta che scrivo qui, ed ho anche molta paura che non possa piacere a nessuno come scrivo. Sono molto insicura e il fatto di trovarmi dietro ad uno schermo mi aiuta a pubblicare questa schifezza che segue… grazie per il vostro tempo, per essere passati di qui a leggere. Grazie al mio migliore amico che mi ha dato il coraggio di pubblicarla. Buona serata e buona lettura a tutti.



Londra è una città che ha saputo conservare nel tempo, in maniera decisamente invidiabile, il suo fascino storico, accogliendo però i cambiamenti.
Rendendola la società multi raziale che è oggi. Ma non è solo una metropoli, affollata e caotica, è l’odore di tè con pasticcini a tutte le ore, è il fish and chips vicino le metro o agli angoli della strada, è una donna bionda che corre con il suo tailleur firmato a lavoro, è un taxista che guida per le strade nella sua berlina nera, è il suono del Big Ben che segna le dodici del giorno o della notte con grandi rintocchi, è la London eye sempre troppo affollata, è il Tamigi che è troppo scuro, è un ragazzo con i capelli rossicci e gli zigomi sporgenti con la sua divisa che prende la metro e spera di non essere in ritardo per la scuola, è un uomo con la ventiquattro ore, è il freddo che ti pizzica le guance e la punta del naso, è un uomo che canta con la sua chitarra nelle metro, è il police-man che saluta fiero i turisti, è il calore di quel caffè da asporto preso in un coffee shop, è un cielo sempre nuvoloso squarciato dai lunghi rami. Londra è una città che si sveglia piano piano, lentamente, e poi t’inghiottisce nel vortice di quei ritmi e stili di vita così frenetici, così diversi e così macchinosi.
Poi si spegne, diventando più calma, esattamente come si è svegliata, piano piano e poi profondamente.

Prologo.
Ti brucerò il cuore. Aveva letto quel messaggio, sentì qualcosa allo stomaco, come un pugno, una morsa violenta che gli contorceva le viscere. Impallidì, ma si ricompose subito e corse subito fuori dal suo appartamento, sentendo in lontananza l’amico che chiamava a gran voce il suo nome, ma non si voltò. Non c’era tempo.
Lo sapeva, sapeva che aveva sbagliato a lasciarla sola, sapeva che gli uomini di suo fratello non erano capaci. Ma dovevano essere solo un paio di ore fuori, per poter schiarirsi le idee, per capire chi c’era dietro quel messaggio che aveva terrorizzato Londra. ‘Vi sono mancato?’.  Scosse il capo per non pensarci, maledisse il taxista per essersi bloccato nel traffico, pagò quanto doveva e scese e corse, seguito dal suo affannato amico che gli era corso dietro ed era riuscito a prendere il taxi con lui.
Arrivarono al 221B di Baker Street, la porta era sfondata, sulla carta da parati c’erano dei segni. Unghie.
Una colluttazione. Il corrimano era scheggiato, dei colpi di pistola mancati, una pistola dal calibro molto piccolo e a giudicare dalla quiete doveva avere un silenziatore. Salì le scale, la porta dello studio aveva i vetri rotti per colpa dei proiettili, dovevano essere in tre.
Entrarono e la videro, distesa sul pavimento, pallida come la luna, con i capelli rossicci che le coprivano il volto, lividi sulle gambe e sui polsi. John Watson si precipitò su di lei, e le aprì gli occhi, le chiese se sentiva la sua voce e lei rispose con un mugolio di dolore. Sherlock rimase paralizzato sotto lo stipite della porta.
La vide tremare a ogni contatto di John, era indolenzita, e dei lividi all’altezza degli zigomi. Tagli superficiali su tutto il corpo, un labbro rotto. E una ferità lievemente più profonda delle altre sulla tempia. Il dottor Watson elencava tutte le cose che poteva avere la ragazza
“Non so quante altre cose potrebbe aver subito, ma posso garantirti che non è stata drogata”. Tutto quello che le avevano fatto lei lo ricordava, lo avrebbe ricordato sempre, perché era lucida. Molly Hooper era lucida.
L’avevano portata via, Mycroft gli aveva garantito la sua personale sicurezza. E lui dovette fidarsi. Fece allontanare tutti da lui, non poteva rischiare altro. Non volle vedere nessuno, né John, né Mary, né qualche stupido incompetente di Scotland Yard. Due settimane dopo, concluse il caso. Nessuno sa né come, né quando, ma lo fece.


Molly era alla finestra, che guardava il panorama, il sole che baciava il lago, gli alberi che sembrarono prendere fuoco per quei raggi caldi del sole che li illuminava mentre spariva nell’orizzonte.
Non aveva ricevuto più fiori, solitamente, riceveva un piccolo mazzo di gardenie e di rose, erano i suoi preferiti. Aveva saputo di Sherlock, aveva provato a scrivergli, ma le parole morivano in quella penna che non ebbe mai il coraggio di toccare il foglio.
La maggior parte del tempo leggeva, le piaceva farlo. Oppure quando il tempo era buono trascorreva interi pomeriggi a passeggiare lungo i viali ricchi di fiori, di quella fantastica struttura.
Quel giorno quando Mycroft entrò con il suo sorriso di convenevoli, pioveva e quindi era rimasta a leggere, era un libro di musica, prendeva appunti su qualcosa ogni tanto, poteva farlo, il libro le era stato regalato da Mycroft e aveva detto che poteva farne quello che voleva.
“Dottoressa Hooper, buongiorno” disse l’uomo con la sua voce pacata, lei sorrise alzando la testa
“Buongiorno, prego può accomodarsi se vuole” indicando la sedia che le era difronte e chiudendo il libro, l’uomo entrò ma non accettò l’invito della dottoressa
“Come se avessi accettato, mia cara. Sono qui per riferirle una notizia. Si tratta di Sherlock, ovviamente.”
Il cuore di Molly perse qualche battito. Con una voce controllata riuscì a parlare “Mi dica”, le tremavano le mani
“Mio fratello è riuscito a togliere di mezzo chiunque abbia creato quel disagio per tutta l’Inghilterra. E’ stato per due settimane da solo, non voleva visite, dopo l’accaduto.”
Molly annuì, lui continuò “torniamo a Londra. L’aereo sarà pronto tra un’ora, confido nella sua puntualità, Miss Hooper”, le fece un cenno col capo ed uscì dalla stanza chiudendo la porta alle sue spalle.
Lei sospirò. Sherlock Holmes, era vivo. Ce l’ha fatta. Lei lo sapeva. Lo aveva sempre saputo.

 1.

La pioggia cade simmetrica, linee e puntini gli segnavano il volto e la felpa azzurra ormai fradicia. Correva, con andatura regolare, cercando di controllare il respiro. Inspira per sei secondi. Espira.
Inspira.
Espira.
Sentiva il peso dei suoi passi e i muscoli delle gambe bruciare. La pioggia iniziò a cadere più forte ma lui non si fermò. I riccioli gli cadevano sulla fronte. Sentì l’odore di Londra quando piove.
Mi piace. Mi piace la pioggia. Segna un ritmo preciso, preciso come te.
Gli aveva detto una volta.
Abbassò il capo e corse più forte, non pensando più all’andatura regolare o al suo respiro. Continuò a correre, per non pensare. Finalmente, arrivò a casa.

Mentre continuava a leggere il suo libro di musica e a fare qualche appunto, Mycroft le sedeva accanto. Sorseggiava il suo tea. I privilegi della prima classe.
Il capitano annunciò di allacciarsi le cinture per una leggera turbolenza.
Londra. La pioggia di Londra, le era mancata.
La pioggia cade simmetrica, linee e puntini, Molly Hooper. Le aveva detto una volta.
Lo avrebbe rivisto. Il suo cuore si dimenticò di battere, strinse il bracciolo del suo comodo sediolino. Mycroft gentilmente le diede la mano. Lei lo guardò, e lui sorrise.
Nel silenzio del suo sorriso disse, andrà tutto bene.

Pizzicava distrattamente le corde del suo violino, il rumore della pioggia gli faceva compagnia insieme ai tizzoni che ardevano nel camino. Toby era appoggiato su quella che era la poltrona di John, avvolto nella coperta che lei aveva lavorato amorevolmente all’uncinetto.
Camminava lento per i corridoi luminosi del suo palazzo mentale, cercava la porta. Quella giusta. La sua. Poi la vide, era inconfondibile, color nocciola come i suoi grandi occhi. Prima di aprirla, ci passò una mano sopra. Liscia. Come la sua pelle. Mise una mano sulla maniglia, e aprì lentamente. L’odore del suo tea, del caffè che educatamente gli preparava quando si intrufolava in casa sua, odore di disinfettante, di composti chimici, lo invasero. Poi si concentrò su di lei.
Solo su di lei.
E sentì il profumo della sua pelle sempre pulita. Odore di cocco, il suo balsamo.
Poi la figura di Molly gli sorrise. Lui strinse la mascella e provò a sfiorarle la guancia con la mano.

Non aveva l’ombrello con se. Non importava. Era corsa via al taxi gentilmente offerto da Mycroft che l’aveva salutata con un cordiale gesto del capo. E le aveva detto di essere prudente. Disse al taxi l’indirizzo e poi l’aiutò a salire.
Mycroft dietro la sua armatura di uomo del governo e membro dell’MI6, nascondeva un animo gentile e buono. Voleva bene a Sherlock. A modo suo. Voleva bene anche a chi era suo amico e gli voleva bene, ne ebbe la conferma quando il taxi la fermò al 221B di Baker Street.

Sherlock uscì dal suo palazzo mentale. Il micio miagolava. Lentamente si alzò dalla poltrona e si diresse in cucina, il gatto seguì i suoi movimenti col capo. Appena il detective versò il latte nella ciotola, Toby si fiondò in cucina per bere, il detective gli accarezzò il dorso e poi andò alla finestra. Gli piaceva vedere Londra addormentarsi. Forse aveva qualche altro motivo.
La verità, era che aspettava.

Non aveva un ombrello per ripararsi dalla pioggia di quella notte, ma andava bene così. Aveva una borsa con sé, affondava il naso nella sciarpa di lana ormai umida. Un uomo le passò davanti e poi lo vide voltarsi, si stava chiedendo cosa ci facesse una ragazza a quell’ora della notte, da sola, sotto la pioggia ad aspettare. Ma lei sapeva che anche lui stava facendo lo stesso, lo vedeva alla finestra.


La minuta figura attraversò la strada senza neanche badare se ci fossero delle macchine in arrivo, ma guardò lui per lei, fu istintivo. Tuttavia non c’era pericolo, Londra quando voleva sapeva essere tranquilla, stava dormendo.
Il portone era socchiuso, sentì uno schiocco sordo, i piccoli passi sugli scalini e poi niente. Lui non si voltò, ma sapeva che era rimasta sulla soglia, mentre goccioline scendevano dai capelli umidi. Non voleva fare rumore, sì perché lei non voleva disturbare. Lo diceva spesso.
Dando ancora le spalle alla stanza lui le parlò
“Non sentirti in obbligo di bussare, Molly Hooper. Entra pure”, lei sorrise debolmente ed entrò, portando con sé quello strano odore di Londra quando piove. Finalmente il detective si voltò, non ci furono molte parole, anzi non ce ne furono affatto, solo gesti. Sherlock l’aiuto a togliersi il cappotto e lo sistemò sull’appendi abiti con la sciarpa. La fece accomodare sulla poltrona di John e le diede una coperta, veloce corse in cucina per fare del tè. Molly era infreddolita e la vicinanza del camino le diede subito un po’ di tepore e colorito alle guance. Il micio riconoscendo la sua padrona si strusciò sulle caviglie,
“Pensavo lo avessi dato a John e Mary, o alla signora Hudson” disse lei mentre prendeva il gatto tra le mani, che subito fece le fusa quando la giovane padrona gli grattò tra le orecchie
“Dovevo testare su di lui alcuni esperimenti.” Mise il servizio da tè sul tavolino, e lo versò in una tazza, ci aggiunse un pizzico di latte e porse la tazza a Molly che lo guardava accigliata, lui si sistemò meglio sulla sua poltrona, le mani sui braccioli e le gambe l’una sull’altra “E’ un gatto ha sette vite” continuò, lei capì che stava scherzando e forse, vide l’ombra di un sorriso sul volto dell’uomo, ma fu così veloce quell’attimo che lei si chiese se non l’avesse sognato. Gli fece un sorriso, quei sorrisi cordiali, di ringraziamento, un sorriso caldo che solo lei sapeva fare
“Grazie” disse la ragazza
“E di cosa nello specifico, mi stai ringraziando Molly Hooper?”
“Per non averlo avvelenato”, lei sorrise e lo vide sorridere con lei questa volta non l’aveva immaginato, quel sorriso a sghembo che le provocava sempre la stessa reazione, da dieci anni.
“Nonostante non abbiamo un grande feeling, non potevo non prendermene cura. Dal momento che con te non ci sono riuscito.” Sherlock strinse le labbra e continuava a fissarla, il sorriso dell’amica si spense subito e posò la tazzina sul tavolo. Il legno scricchiolava nel camino. Sempre diretto al punto, ecco chi era Sherlock Holmes.
“Non è stata colpa tua”.
“Non cambiare le carte in tavola, Molly. Non ti ho protetto. Hai subito tutte quelle…torture, per causa mia.”
“Avrei sopportato molto altro, per causa tua. Pensavo che fosse chiaro quello che provo per te”, lui non le rispose, si limitò a fissarla con i suoi occhi chiari, lei poi riprese a parlare “diciamo che per causa tua forse non è bello da dire, perciò, avrei sopportato molto altro per te”, la giovane dottoressa arrossì violentemente davanti quell’impacciata dichiarazione di sentimenti, che ormai tutti conoscevano fin troppo bene.
Sherlock strinse le labbra, e si alzò, sembrò che si dirigesse verso di lei, poi  le passò accanto e si chiuse nel bagno. Molly sentì l’acqua aprirsi. Si accigliò, poi scosse il capo, insomma era sempre di un sociopatico iperattivo di cui si stava parlando, quindi decise di non pensarci e di finire il proprio tè ormai freddo. Il detective riemerse dal bagno dopo pochi istanti, aveva indossato la sua vestaglia rossa e con uno svolazzo teatrale sprofondò nella sua poltrona, e prese a pulire accuratamente l’archetto. La patologa guardava ovunque, i suoi occhi veloci osservavano tutto senza mai posarsi su qualcosa in particolare, specialmente su di lui, che decise di rivolgerle la parola
“C’è un bagno caldo che ti aspetta, Molly. Sono le due passate non convengo sia opportuno metterti su un taxi per farti tornare nel tuo appartamento, la camera di John è esattamente come l’avevi lasciata, ci sono ancora i tuoi libri e i tuoi profumi, puoi usare quella.”, la giovane ragazza lo guardò stranita, poi si alzò e si trascinò al bagno, prima di entrare mormorò un timido “Grazie” a voce così bassa che si stupì quando il detective senza spostare il suo sguardo, con i suoi occhi fissi nel vuoto rispose con un tono basso e roco
“Non c’è di che Molly Hooper”.
   
 
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