Titolo:
Give away to Darkness
Personaggi:
Allen, Lenalee, Lavi.
Pairing: AllenxLenalee
(implicito).
Rating: Giallo
Genere:
Angst, introspettiva.
Avvertimenti:
Spoiler, One-shot.
Disclaimer: D.Gray-man e i rispettivi personaggi non mi appartengono, ma sono di Katsura Hoshino.
Give away to Darkness
Sembrava tutto un
sogno.
Erano così felici e stanchi che
tutta quella situazione pareva irreale.
Quel giorno aveva portato con sé
un’innaturale pace, rotta solamente da qualche breve singhiozzo. Era finita, era
completamente finita. Il Conte ed i Noah erano stati definitivamente sconfitti,
non avrebbero più turbato l’animo di nessuno, né esorcisti né semplici esseri
umani.
Era davvero
finita.
Tutto l’Ordine Oscuro – o per lo
meno, quello che ne rimaneva - sarebbe stato sciolto a breve dal papa, quindi
tutti si godevano quegli ultimi attimi insieme, in attesa dei funerali che
avrebbero decretato la definitiva fine dell’Ordine.
Avrebbero finalmente messo la
parola Fine a quella vicenda.
Niente più guerre, almeno per
loro, gli esorcisti, i finders e tutte le altre persone che avevano contribuito
a quel finale. Erano finalmente liberi
ma ora, ottenuta quella nuova e tanto ambita libertà per anni, non sapevano
che farsene. Qualcuno aveva iniziato a programmare lunghi viaggi attorno al
mondo, altri di tornare dalle rispettive famiglie e per chi, come a Kanda, non
era rimasto niente e nessuno era iniziato un periodo di disperazione e
confusione interiore. Ma in quel momento poco importava.
Era
finita.
***
Possiamo tornare tutti a casa…
I passi
svelti di Lenalee risuonarono nei corridoi ormai vuoti della Sede dell’Ordine,
facendo riprendere Komui, tramortito dal lavoro. Si alzò di scatto l’uomo per
andare incontro alla sorella, scivolò però su un foglio, cadendo rovinosamente a
terra.
“Nii-san,
sei ancora tutto intero?”
Il volto
pallido e scarno di Lenalee fece capolino sulla porta dell’ufficio, i capelli
ora lunghi fino alla vita.
“Sto bene,
sto bene… sono solo caduto.”
Si alzò in
fretta, sistemandosi i vestiti da comune uomo ordinario che ora indossava.
“Tu
piuttosto, come stai?”
La ragazza
sorrise debolmente, inclinando gli angoli delle labbra poco convinta. “Sto bene.
Non preoccuparti.”
Invece Komui
si preoccupava, dannatamente. Jerry gli aveva riferito di non averla più vista
in Caffetteria e il suo volto scarno e pallido aveva confermato i loro sospetti:
aveva smesso di mangiare.
Avevano
sofferto tutti per le perdite subite ma lei, forse, era stata quella che più di
ogni altro si era addossata la colpa di quelle morti che, secondo il suo parere,
potevano essere evitate.
“Allora se
stai bene, io me ne ritornerei in camera mia…” Volse la schiena al fratello,
iniziando a camminare.
“Lenalee”,
il rumore dei tacchi si bloccò all’improvviso, segno che Komui poteva parlare
tranquillamente, “i funerali sono oggi alle cinque e trenta.”
L'inconfondibile rumore dei tacchi sul pavimento iniziò a
spezzare ritmicamente quel silenzio innaturale che si era venuto a creare
all’Ordine da quel
giorno, quel gioioso e dannato giorno per cui avevano pregato le milioni di
persone che erano in lotta contro il Conte del Millennio. Però, non era andato
tutto secondo i loro desideri e, dopotutto, era una guerra, delle perdite erano
più che necessarie e inevitabili.
… Ma casa nostra…
… con il passare degli anni è diventata l’Ordine…
Quella notte
Komui era più agitato che mai.
In sede
erano rimasti solo i ricercatori scientifici, gli esorcisti e i finders si
trovavano in missione, l’ultima missione, la più grande e pericolosa dalla quale
molti erano sicuri di non tornare.
Batté il
piede a terra con ritmo, nervoso, le braccia incrociate e lo sguardo
corrucciato. Attendeva, come tutti gli altri, davanti alla porta dell’Arca
l’arrivo di possibili –e desiderati- sopravvissuti che, però, non
arrivavano.
“Caposezione
Reever, che ora è?” non si voltò verso di lui, il suo sguardo era troppo
preoccupato ad osservare la porta.
“Sono le
quattro e quarantuno.” Rispose prontamente, forse anche troppo, perché il
silenzio teso di qualche secondo prima ridiscese su di loro.
Il battere
del piede si fece più frenetico; erano ore che aspettavano lì, erano ore che non
ricevevano una chiamata, una qualsiasi notizia. Nessun segno del fatto che
qualcuno fosse ancora vivo li aveva raggiunti.
“Dove sono
tutti?”
Nel dire
quello, un braccio avvolto in fasce sporche di sangue raggrumato si fece strada
attraverso la porta, seguito a ruota da un volto in lacrime che Komui riconobbe
subito.
“Lenalee!”
Corse
incontro alla sorella, aiutandola a scendere gli scalini mentre due finders la
sorreggevano.
“Lenalee…
cosa…?”
“Allen-kun…
Lavi… loro…” iniziò a piangere come Komui non l’aveva mai vista fare, senza
sosta, gli occhi rossi e gonfi e i singhiozzi che laceravano l’aria, talmente
erano carichi di paura e dolore.
Altri
finders li seguirono, reggendo fra le braccia i corpi di due ragazzi ricoperti
interamente di sangue.
“Non saranno
mica…?” esclamò Reever, avvicinandosi.
“No.” Un
altro cercatore si avvicinò, “Sono vivi, ma molto gravi. Bisogna portarli subito
dalla matrona.”
E così
iniziò la notte più lunga che Komui ricordasse.
… Per molti di noi sarebbe impossibile andarsene...
… Ma c’è chi ha sempre sperato di poter terminare questa guerra…
La stanza
gli pareva così piccola e buia in quel momento.
Aveva
passato tanto tempo lì in quei giorni e, ora, vedeva la camera per quello che
era: un ammasso di inutile mobilia che sarebbe stata gettata chissà dove fra non
molte ore.
Kanda non si
era mai posto la domanda “cosa farò dopo la guerra?”, semplicemente perché aveva
sempre creduto che non ne avrebbe avuto bisogno. Che non sarebbe vissuto
abbastanza per vedere la fine di una guerra persa in partenza.
Eppure,
avevano vinto.
Aveva
acquisito anche lui quella libertà –la considerava più un supplizio- ed ora
desiderava solo nascondersi fra quelle quattro mura storte, per non permette a
nessuno di rivolgergli ancora quella domanda a cui ancora non aveva trovato
risposta.
Sentiva i
passi della gente che correva lungo il corridoio, gli scatoloni che cadevano
rovinosamente al suo una volta che si inciampavano e tutto quel baccano, stranamente, non
lo disturbava in alcun modo. Probabilmente, ciò era dato dal fatto che aveva
altro a cui pensare, qualcosa di più importante.
L’ennesima
persona bussò alla sua porta quel giorno e lui, come aveva fatto già in
precedenza, non diede segno di vita, limitandosi a star fermo e non far
rumore.
La persona
al di là della porta non si diede per vinta, però.
“Kanda,
apri. Ti devo parlare.”
Quel malato
mentale di Komui.
“Che vuoi?”
domando burbero, alzandosi dal letto ed aprendo la porta.
“Lenalee ha
smesso di mangiare.”
Il silenzio
piombò nella stanza, mentre Kanda iniziava a sentire la mancanza di Mugen sul
fianco, sempre pronta per esser afferrata con entrambe le mani.
“E a me
dovrebbe interessare?”
La solita
frase disinteressata, non era cambiato.
“Costringila
a mangiare.”
Il ragazzo
squadrò il supervisore da capo a piedi. Stava scherzando, vero?
“Tu sei
tutto scemo.”
Chiuse la
porta di scatto in faccia all’uomo, cercando di non prestare ascolto alle
proteste di Komui, che picchiava i pugni sul legno, urlando. Inutile, strillava
troppo.
“Come se
fosse colpa mia…”
… Una Guerra Santa che non ha portato a nulla…
… Se non alla nostra profonda amicizia...
Un lieve brusio raggiunse le sue orecchie, svegliandola.
Tenne lo stesso gli occhi chiusi e rimase ferma: non voleva interrompere i due
ragazzi che, finalmente, si erano ripresi dalle ferite. Ci erano volute due
settimane perché ciò accadesse ed il primo a dare segni di vita fu proprio
Allen, che in quel momento stava sussurrando delle parole confuse a Lavi.
“… Me lo… prometti?” sibilò il più giovane, la voce
affannata come se avesse corso per ore.
“Certo. Infondo siamo…” si bloccò. Non poteva dire quella
parola, non a lui o a chiunque altro che lavorasse all’Ordine.
“… amici, sì.” Allen sorrise, tossendo e sfiorandosi il
collo fasciato. “Non voglio che… Lenalee ne soffra…” tossì ancora una volta, il
volto serio però.
“In caso contrario, tu faresti lo stesso?” domandò Lavi e
dalla sua voce traspariva una nota di terrore, di dolore.
“Cer… to…” sussurrò Allen, lasciando cadere la testa nel
morbido e candido cuscino che aveva dietro la schiena, “Rimarremo tutti uniti…
anche… dopo che l’Ordine verrà… sciolto.”
“Certo”, pareva una risposta a una domanda che nessuno gli
aveva posto, “tutti uniti.”
Lenalee sorrise, il volto ancora nascosto fra le braccia
appoggiate al bordo del letto di Allen. Aveva passato lì giorno e notte da due
settimane, spostandosi solo per andare a prendere del cibo per sé e i due
compagni.
“Tu non… hai intenzione di rimanere… vero, Lavi?”
Quella sì, era una domanda. Ma la risposta la si poteva
leggere tranquillamente negli occhi di Bookman Junior, senza necessità che
venisse espressa ad alta voce.
“Ho dei doveri da portare a termine. Questo Log è terminato.”
… E verrà distrutta a breve.
Miranda
ripose tutti i suoi – pochi - averi nella valigia, un sorriso triste in volto.
Indossava,
per l’ultima volta, la sua divisa da esorcista.
“Ho promesso
che l’avrei portata fino alla fine”, disse, come se i vestiti che stava piegando
la stessero ad ascoltare, “è la prima volta che porto a termine un lavoro.”
Silenzio.
I vestiti
non rispondevano.
“Domani si
torna a casa.”
L’ultima parola suonava una condanna, una sentenza inappellabile.
“Probabilmente dovrò cercami un nuovo lavoro.”
Al solo
pensiero di tornare alla vita di prima, rabbrividì.
“Non voglio
dover ricominciare da capo.”
Fare
l’esorcista era stata l’unica cosa utile nella sua vita, tutto ciò che era
antecedente a quel mestiere era stato un fallimento su tutti i fronti.
“Sono stati
tutti gentili e disponibili qui, vero?”
Ancora
nessuna risposta.
Sperava
davvero che i vestiti si animassero e prendessero a parlare con lei. Un po' di
compagnia in quel momento l'avrebbe fatta felice.
“Magari il
mio vecchio appartamento è ancora libero… Magari non è ancora stato
venduto.”
Parlare – e
pensare - cose
così semplici erano come accoltellare il mondo in cui aveva vissuto, squarciare
quelle memorie tanto importanti quanto dolorose.
L’appartamento, lo sapeva, anche se fosse rimasto invenduto
non lo avrebbe ricomprato. In quella città non sarebbe tornata. Era troppo
difficile abbandonare il passato, lasciarsi tutto alle spalle in un lasso di
tempo così breve e pensare anche solo minimamente di tornare alla vita di tutti
i giorni.
Indossava la sua divisa scura da esorcista, Miranda. Sarebbe stata l’ultima volta, ma l’avrebbe portata con dignità.
Avevo desiderato questa fine,
Ed ora che l’avevo conquistata, cosa avevo in mano?
Sembravano
passati secoli.
Si mosse per
la stanza, il passo svelto e nervoso. Aveva una strana sensazione fin da quando
si era svegliata; sentiva che qualcosa non stava andando per il verso giusto.
C’era qualcosa di enormemente sbagliato.
Quella
mattina, però, il cielo terso non lasciava intender nulla. Se ne stava là,
immobile, a fissare gli uomini dall’alto al basso con fare altezzoso.
Uno
sfarfallio improvviso le strinse lo stomaco in una morsa dolorosa. Strinse le
braccia al petto e si sedette sul bordo del letto, gli occhi ancora puntati
verso la finestra.
Picchiò il
piede a terra, freneticamente.
Lo stesso
vizio di suo fratello.
La
sensazione di frustrazione si fece più forte ed iniziò a sentire che il silenzio
la stava come soffocando. Le pulsava la testa.
Due
settimane. Era passate già due settimane dalla sconfitta definitiva del
Conte.
“Due
settimane…” sibilò Lenalee, lasciandosi cadere nel letto.
La matrona
l’aveva obbligata a tornare nella sua stanza, senza darle spiegazione alcuna.
Però, almeno, le aveva concesso di poter portare ad Allen e Lavi il pranzo e la
cena.
Qualcosa non
andava. Sentiva che quella pace era fasulla tanto quanto quei sogni in cui nulla
andava storto, in cui tutto era legato semplicemente dal filo del classico
finale “tutti felici e contenti”. Ma lei sapeva che quello non poteva essere il
loro caso, anche se se lo sarebbero meritati, visti gli immani sacrifici che
avevano fatto per tutta una vita.
“Perché…?”
Perché non
poteva mai concedersi dei pensieri felici, Lenalee? Perché doveva sempre cercare
il lato triste in ogni cosa? Non era lei la persona positiva, il “collante”
dell’Ordine?
E allora
perché non si concedeva non dei pensieri felici, ma solamente meno tristi?
Si prese il
capo fra le mani, iniziando a singhiozzare sommessamente.
Forse quei
pensieri pessimisti erano dati dal fatto che, infondo, aveva sempre sperato
dentro di sé che quella guerra non finisse mai, aveva sempre sperato di passare
tutta la sua vita rinchiusa in quel “recinto” con i suoi compagni. Quella
sofferenza, quei migliaia di sacrifici infondo non le dispiacevano, almeno
finché servissero a tenere attaccati quei pezzi tanto fragili del suo prezioso
puzzle.
Tornare in
Cina significava strapparle l’anima. Ormai le sue radici erano affondate in quel
terreno impregnato dal sangue di centinaia di persone che si erano sacrificate
per un “futuro migliore”. Ma chi aveva mai detto che quello fosse migliore?
Esistevano mille alternative di “futuro migliore”, e molte non contemplavano la
conclusione di quella guerra invisibile.
Era finita.
Non la guerra, ma bensì quella felicità che avevano contribuito tutti a
costruire e a tenere salda, pezzo per pezzo, sacrificio per sacrificio.
“Tutto
finito.”
… Non avrei mai abbandonato i miei compagni,
Ma sono costretta a farlo ora.
Ancora
qualche minuto.
La lancetta
più grande si spostò sull’otto con un leggero tac che, però,
risuonò forte nella stanza vuota.
Ancora
qualche minuto.
Si passò una
mano fra i capelli, accasciandosi contro il muro freddo, accanto all’armadio
ormai vuoto.
Poggiò il
capo sulle ginocchia, facendosi sfuggire un sorriso triste, accompagnato da una
lacrima.
Aveva
assistito ad abbastanza funerali nella sua vita, e la prospettiva che a minuti
avrebbe preso parte a quello di persone a cui si era affezionato lo
distruggeva.
Il tempo
passava troppo alla svelta. Infondo, era sempre stato così: quando qualcosa di
terribile era prossimo, le lancette degli orologi iniziavano a correre,
frenetiche.
Ancora pochi minuti.
“Ah…”,
sospirò, alzando il capo verso la finestra, “adesso cosa farò?”
Una volta
uscito da quel posto sarebbe stato invisibile. La divisa che lo faceva spiccare
fra la gente l’avrebbe abbandonata a breve, come la sua vita da esorcista.
Chiuse gli
occhi, abbandonandosi al rumore leggero di passi per il corridoio.
“Lenalee…”
Sapeva che
era lei. Anzi, ne era certo.
Provò
l’impulso di spalancare la porta, uscire di corsa ed abbracciarla, consolarla e
spiegarle come stavano veramente le cose, dato che nessuno si degnava di
farlo.
Lei era
quella che più di ogni altro stava soffrendo.
Però,
contrariamente ai suoi pensieri, rimase fermo.
Non avrebbe
mai voluto uscire da quella stanza, perché significava lasciarsi alle spalle il
passato e ricominciare una vita nuova. Una vita che, dopotutto, non gli
interessava. Voleva solo essere un esorcista.
Bloccato in quella stanza, attese ancora, concentrandosi solo sul suono delle lancette che scandivano il conto alla rovescia del loro finale.
… Non desideravo tutto ciò…
… Questo non è proprio quello che avevo a lungo voluto.
Il cielo
rimase terso fino a sera. Il manto della notte portò con sé qualche nuvola
grigia carica, forse, di pioggia. Al cambio repentino del tempo non fece caso
nessuno; in quel posto era sempre così. Se non pioveva per troppo tempo, c’era
da preoccuparsi.
“Lenalee!”
Una voce e
il bussare alla porta la distrassero dai suoi pensieri. Si alzò di scatto,
correndo verso la fonte della sua improvvisa gioia.
“Allen-kun!
Abbassò la
maniglia e si gettò di slancio verso il ragazzo, cingendolo stretto al
collo.
“Le-Lenalee,
se mi stringi così dovrò tornare in infermeria…”
Lei allentò
un po’ la presa, poggiando però il capo nell’incavo del collo di Allen,
iniziando a singhiozzare sommessamente.
“Sono così
felice che tu stia bene!”
Lo strinse a
sé con più forza, cercando di non fargli male, di non sfiorare nessuna sua
ferita.
Allen si
lasciò abbracciare, incapace di contraccambiare viste le stampelle che lo
sostenevano. Sorrise, poggiando il capo su quello di Lenalee.
“Dovresti
preoccuparti un po’ anche per te, Lenalee…”, bisbigliò, a pochi centimetri dal
suo orecchio.
La ragazza
si spostò da lui di scatto, facendogli perdere un po’ l’equilibrio. Lo fissò
mentre spostava leggermente una stampella, cercando di non cadere, gli occhi un
po’ lucidi.
“Allen-kun…
come stanno le tue gambe?”, domandò, portandosi una mano al petto. Era colpa sua
se lui era ferito in quel modo. Si era sacrificato per lei, come suo solito,
lanciandosi fra lei e il suo avversario, prendendo il colpo al posto suo.
“Oh”,
sorrise Allen, inarcando debolmente gli angoli delle labbra, “stanno meglio,
ormai non fanno quasi più male!” Il sorriso sul volto si allargò mentre,
lentamente, muoveva qualche passo verso la ragazza.
“La tua
mano, invece, sta bene?”
Lenalee
annuì, abbassando il braccio, nascondendolo dietro la schiena.
Restarono
per qualche minuto in silenzio, fissando il pavimento con aria sconsolata. Non
avere argomenti di cui discutere era stressante, per entrambi.
Il rumore di
qualcosa che si infrangeva al suolo li fece voltare di scatto verso la sezione
scientifica. L’urlò di dolore di Komui allarmò Lenalee, che si tranquillizzò non
appena sentì delle grosse risate sovrastare il pianto infantile del
fratello.
“Lavi
dovrebbe uscire stasera dall’infermeria.”
La ragazza
sorrise al compagno, gli occhi pieni di lacrime di gioia.
“A quanto
pare ce l’ha fatta, però
Lavi era
quello messo peggio. Aveva rischiato di non uscire vivo dall’infermeria.
Il giovane
allievo di Bookman aveva dato tutto sé stesso nell’ultima battaglia, invece di
stare in disparte come il suo maestro. Il suo comportamento gli era costato una
sgridata e quasi la vita. Però si era ripreso, e questa era la cosa più
importante.
“Ha detto
che ha intenzione di organizzare una festa”, Allen sorrise, voltandosi verso le
scale, “vuole far ubriacare il vecchio Panda”, riportò pari-pari le parole del
compagno, facendo una smorfia di dolore. Aveva picchiato un piede a terra.
“Ehm…
Lenalee, mi aiuteresti a scendere le scale?”
Se solo fosse possibile…
… Desidererei poter tornare indietro.
“Padre
Nostro che sei nei cieli…”
Lenalee si
fermò davanti alla grande entrata della chiesa, le mani inguantate di nero
congiunte. Il lungo abito scuro era nascosto da un mantello del medesimo colore
dei guanti.
Alzò il
cappuccio sulla testa, nascondendo in parte il volto, e si avviò con passo calmo
verso quelle lunghe file di bare bianche. Quanti finders avevano sacrificato la
loro vita.
Tutti quei
ricordi, che aveva seppellito in un angolo recondito della sua mente, parvero
riaffiorare quando scorse una fila meno lunga di bare nere con inciso il simbolo
dell’Ordine,
“… e
liberaci dal male…”
Lenalee andò
a sedersi in prima fila, accanto al fratello. Anche lui era avvolto in abiti
scuri, per la prima volta. Lei lo aveva sempre visto con la divisa bianca, sin
da quando aveva memoria.
“Lenalee…”
“Allen-kun
arriverà un po’ in ritardo, ha detto. Ha dei problemi a mettersi i pantaloni,
siccome entrambe le gambe sono ingessate.”
“Lenalee…”
“Sto bene.”
Sorrise, inarcando gli angoli delle labbra sul volto scarno. I capelli, che non
aveva raccolto, le ricadevano davanti agli occhi, uscendo a ciocche dal
cappuccio nero come la notte.
“Lenalee,
non devi…”
La ragazza
scosse la testa, trattenendo a stento le lacrime che minacciavano di rigarle il
volto di fronte a quelle bare silenziose. Quelle persone non si sarebbero mai
più svegliate, non avrebbero mai più parlato, mai più rivisto le loro famiglie e
gli amici. Erano morti. E presto sarebbe stato dimenticato anche il loro
ricordo. Erano diventati solo tanti nomi, non più legati ad un volto, che presto
sarebbero scomparsi come se non fossero mai esistiti. Loro, almeno, avrebbero
avuto una degna sepoltura, con tanto di lapide e fiori. Forse, qualcuno prima o
poi avrebbe trovato quello che rimaneva di loro, avrebbe trovato il nome di un
suo famigliare, e avrebbe potuto piangere. Avrebbe trovato la propria pace
piangendo sulla tomba di qualcuno che non sapeva nemmeno fosse morto, avrebbe
pianto tutte le lacrime che tratteneva da ormai troppo tempo. Ma la verità era
che nessuno avrebbe mai trovato la sede dell’Ordine, soprattutto una volta che
lo avrebbero abbandonato per tornare a casa.
“Lenalee,
forse è meglio se esci. Sei pallidissima.”
Lei non
rispose. Rimase con lo sguardo vacuo fisso in avanti, le mani ancora congiunte e
il cappuccio che la nascondeva in parte alla vista attenta del fratello.
Komui le
posò una mano sulla spalla, sperando in una sua qualsiasi reazione. Ma quella
non arrivò.
“Lenalee…”
Qualcuno si
sedette dietro di loro. Cercarono di non prestare molta attenzione al pianto
della donna, ma era troppo penetrante e colmo di dolore per poter esser
ignorato. Esprimeva appieno i sentimenti di tutti coloro che si trovavano in
quel luogo per dare l’ultimo addio a qualcuno a loro caro, amici, compagni di
una vita. Quel pianto non accennò a voler terminare, nemmeno alle parole calme e
gentili dell’uomo che le stava accanto. E Lenalee a quel punto non ne poté più.
Si alzò di scatto e corse fuori dalla chiesa, le lacrime in volto e i capelli
che ondeggiavano sulle spalle, liberi dal peso del cappuccio.
Sentì il
fratello tentare di fermarla e ritrarre subito la mano, decidendo,
probabilmente, di non seguirla nemmeno.
I suoi passi
svelti tornarono a riempire i grandi corridoi dell’Ordine, solitari. Non sapeva
esattamente dove stava andando, voleva solo allontanarsi da quelle bare. Voleva
fuggire il più lontano possibile.
Vorrei poterli rivedere tutti.
Vorrei poterli osservare mentre sorridono.
“Lenalee!”
Allen cadde
a terra, sbattendo il naso, che iniziò a sanguinare sul freddo marmo del
pavimento.
“A-Allen-kun! Ti sei fatto male?”
Lenalee si
avvicinò al ragazzo, aiutandolo ad alzarsi, sostenendolo con un braccio attorno
alle spalle. Gli porse la stampella che aveva perso mentre capitombolava per le
scale, e lui l’afferrò con una stretta salda. Non l’avrebbe fatta nuovamente
sfuggire.
“Stai
bene?”, chiese Lenalee, estraendo dalla tasca dell’abito un fazzoletto e
tamponandogli il rivolo di sangue che gli scendeva dal naso.
“Sì… ho solo
sbattuto il ginocchio contro il gradino…”, rispose, allungando una mano verso la
gamba destra.
“Non hai
sbattuto solo quello, veramente. La testa come va? Nessuna botta?”
Si avvicinò
a lui, alzandogli la frangia che copriva l’amplia fronte. Non aveva nulla, se
non quel
pentacolo maledetto. Fu vicina a sfiorarglielo, ma lui si ritrasse
sorridendo, muovendosi con le stampelle verso l’infermeria. Lenalee lo seguì in
silenzio, una mano stretta al petto, i piedi attenti a non inciampare l’uno
nell’altro.
“Lavi!”
Allen spalancò la porta chiamando l’amico che, la ragazza notò, si drizzò sul
letto a fatica.
“Allen!
Lenalee!” Si allungò verso il bordo del letto, ma l’occhiata minacciosa che gli
lanciò
Lenalee fu
tentata di tirargli un pugno in pieno viso, ma le molteplici bende che portava
la fermarono. “Stupido. Come potremmo dimenticarci di te?” Si avvicinò a lui,
allargando le braccia per abbracciarlo. “Sono felice che tu stia bene”, gli
sussurrò ad un orecchio.
Lavi sorrise
stancamente, accogliendo l'abbraccio ma non ricambiandolo. “Grazie,
Lenalee.”
Allen,
ancora vicino alla porta, osservò i compagni senza proferir parola. Sulle sue
labbra comparve una smorfia di dolore, seguita da un basso lamento, inudibile
per i due davanti a lui. Portò una mano al petto e scivolò oltre la porta senza
farsi accorgere.
Se solo
l'avessi capito prima...
E' successo tutto a causa mia.
Fuori faceva
freddo.
Ansimava per
la corsa e, ogni volta che apriva la bocca per prendere fiato, ne fuoriusciva
una nuvoletta di fumo. Faceva veramente freddo.
Forse perché erano a Dicembre inoltrato. Meno di una settimana e avrebbero
potuto festeggiare il Natale.
La neve
scesa la notte prima giaceva ancora, immobile, sugli edifici lontani e sul
terreno. Se solo non fossero successe tutte quelle cose, sarebbero potuti tutti
uscire a giocare, come dei bambini. Infondo la neve, di qualsiasi età si fosse,
spronava sempre a pensieri simili. Sarebbero potuti uscire, ammantati in pesanti
cappotti, a fare pupazzi e a tirare palle di neve a Kanda, tanto per sentirlo
iniziare a distribuire minacce a tutti e vederlo correre dietro a Lavi con Mugen
sfoderata. Allen avrebbe riso e, in quel momento, Kanda lo avrebbe chiamato
'mammoletta' e si sarebbero messi a litigare come loro solito e lei li avrebbe
divisi. Sarebbe stato bellissimo.
Camminò
stancamente lungo il viale bianco, i piedi che si trascinavano a fatica fra lo
strato spesso di neve.
Le gote
erano rigate da lacrime ormai gelide e gli occhi rossi parevano non reggere di
fronte alla vastità di quel candido paesaggio.
“Lenalee,
sei qui...”
Sentì due
braccia forti afferrarla, stringerla al corpo caldo del ragazzo dietro di
lei.
“...
finalmente ti ho trovata.”
Lui poggiò
il capo sulla sua spalla, stringendo di più le braccia attorno al suo esile
corpo.
“Vieni
dentro, qui fa freddo. Ti ammalerai.”
Non era
quello il modo migliore per convincerla ad entrare. Lo capì dal fatto che
ricominciarono a ricaderle le lacrime lungo le guance pallide.
“Lenalee...
ti prego. Lo sai che anche lui...”
La ragazza
si irrigidì. Abbassò la testa e iniziò a singhiozzare sommessamente, stringendo
con le mani le braccia del ragazzo.
“Lui è
dentro. Sta bene, è guarito. Ne sono sicura. Io lo so per certo.”
“Lenalee, è
morto. Fattene una ragione.” Lasciò che le unghie di lei affondassero nella sua
pelle, senza lamentarsi. “Sono giorni che fingi che vada tutto bene. Non è così
Lenalee, cerca di capire. E' morto, non puoi più farci nulla...”
“Non è
morto!”
“...
smetterla di mangiare non aiuterà a riportarlo indietro. Ti stai solo facendo
morire. E tuo fratello è tremendamente preoccupato per te. Ti prego, torna in te
Lenalee...”
Che stupido
gioco la vita. L'aveva sempre considerata come una cosa sacra, un valore da
difendere e per cui combattere. Ed ora avrebbe desiderato perderla come lui,
senza quasi accorgersene, colta all'improvviso. Quel vento invernale l'avrebbe
spazzata via presto, eliminandola dai ricordi di molte persone. Erano già morti
in tanti nell'Ordine, un'esorcista in meno che differenza poteva fare, per di
più, a guerra finita?
Ma lei non
poteva, non voleva credere che lui fosse morto.
L'aveva visto poco prima, gli aveva portato il pranzo in camera ed era rimasta a
parlare con lui per non lasciarlo solo. Non poteva essere morto. Era una cosa
assurda. Lo aveva visto con i suoi occhi ingoiare la minestra e lo aveva sentito
dire che, una volta guarito, lui e le sue gambe sarebbero scesi in Caffetteria
pretendendo qualcosa di meglio.
“Lui non è
morto. Gli ho parlato poco fa. Mi ha anche detto che era cresciuto ancora e che
la divisa gli era piccola. Non è morto. Non può essere morto.” Sorrise, sentendo
dentro di sé di aver ragione. Lo aveva visto, dannazione, lo aveva aiutato e gli
aveva persino parlato. Non potevano venirle a dire che era morto da giorni.
“Lenalee...”, la strinse di più: non poteva farla scappare,
“... tu hai parlato da sola. Quella camera è vuota. Lui è morto, vuoi capirlo?
E' da quando è successo che giri per l'Ordine andando di corsa, con le mani
vuote, dicendo che devi portagli da mangiare così guarirà presto. Ma lui non è
più qui. Se n'è andato. E' morto!”
La volse
verso di sé, guardandola negli occhi. Era un compito brutto quello che aveva
deciso di assumersi, ma non poteva permettere che Lenalee continuasse ad
illudersi in quel modo. Non poteva permettere che lei continuasse
quell'insensata scenata davanti a tutti, senza nemmeno accorgersene.
L'aveva
seguita, una volta, mentre bussava alla porta di una camera. “Sono io. Ho
portato il pranzo”, aveva detto, sorridendo. L'aveva lasciata entrare e chiudere
la porta, poi si era accostato al muro, l'orecchio premuto contro quelle pareti
fredde. La sentiva parlare e nessuno risponderle, ma lei continua imperterrita
il suo discorso, rispondendo di tal volta a delle domande inesistenti.
“Non è
morto. Non è morto!”
Il ragazzo
la scosse con forza, nel tentativo di farla rinsavire. “Sì, invece! Smettila di
fare così. Se ne è andato, ma tu per questo non devi permettere che le tenebre
avanzino sul tuo cuore. Sai quanto un dolore simile abbia già portato
distruzione nel mondo.”
Lenalee
scosse la testa incredula. Non voleva credergli, non voleva credere a quelle
parole. Eppure, qualcosa dentro di lei iniziò a richiamare la sua attenzione.
Era qualcosa di doloroso, che aveva cercato di non ricordare e di
nascondere.
Era successo qualche giorno prima, e lei aveva deciso di annullarsi in quel momento.
Avevo
pianificato il mio ritorno a casa da tempo...
Ed ora non volevo lasciare quelle rovine intrise di ricordi.
Era successo tutto velocemente, all'improvviso.
Lenalee era ancora abbracciata a Lavi, gli occhi chiusi.
Aveva sentito un fruscio dietro di sé, e subito aveva pensato ad Allen che si
avvicinava a loro, per partecipare, forse, all'abbraccio. Sentì una stretta allo
stomaco quando si accorse che non c'era e poi quel rumore strano, di qualcosa
che si accasciava sul pavimento, le fece riaffiorare alla mente quel brutto
presentimento che l'aveva accompagnata per tutta la mattinata.
Sentì Lavi scivolare dalle sue braccia,
La voce di uno degli scienziati l'allarmò. Si precipitò
fuori da quella stanza calda che odorava di malato, per riaffiorare nel
corridoio che già brulicava di gente.
“Cos'è successo?”, sentiva chiedere un Finder alla
Matrona.
La donna, china a terra, alzò appena lo sguardo, fissando i
suoi occhi penetranti in quelli spaventati dell'uomo che aveva accanto.
“Qualcuno vada a chiamare il Supervisore Komui. Voi tre”, indicò alcuni uomini
della scientifica, fra cui Reever, “aiutatemi a portarlo dentro.” E accennò, con
un gesto del capo, alla figura su cui era china.
Il sangue nelle vene di Lenalee si ghiacciò.
Allen.
Il ragazzo era steso a terra, una mano stretta al petto e
il volto contratto dal dolore. Respirava a fatica, alzando continuamente il
petto ed emettendo gemiti rochi, sputando sangue.
Lenalee rimase pietrificata. Era bastato il tempo per
distrarsi – quanto? Qualche secondo al massimo – e ora stava accadendo tutto
quello.
“Allen-kun...”
Si mosse istintivamente verso di lui, allungando una mano
come a superare quell'infinità di persone che li separava. “Allen-kun!
Allen-kun!”
“Lenalee, stai dove sei per favore.”
Mentre gli passava accanto, sdraiato su di una barella,
Allen si voltò verso di lei. Sputò un po' di sangue e, tra un gemito e l'altro,
le sorrise. Anche in quel momento riusciva a comportarsi così.
Lenalee rimase fuori dall'infermeria, seduta con le spalle
al muro, per diversi minuti. Forse anche per ore.
I finders e i molti ragazzi della scientifica erano stati
mandati a svolgere i loro doveri da suo fratello che, invece, era corso ad
assistere lo staff medico.
C'erano solo lei, Lavi, Jhonny e Reever lì fuori ad
attendere. Lavi fissava il muro davanti a lui con sguardo spento, quasi come non
lo vedesse; Reever e Jhonny cercavano di leggere qualche foglio stampato in un
carattere piccolissimo, senza riuscirci; Lenalee, invece, giaceva immobile, con
le braccia lungo i fianchi e la testa contro il muro. Aveva le lacrime agli
occhi, ancora fissi sul soffitto, e di tanto in tanto tremava.
Dentro di se' l'aveva sempre saputo. Era da quella mattina
che aveva quel brutto presentimento, avrebbe dovuto prestargli più
attenzione.
La maniglia della porta si abbassò e Komui uscì,
accompagnato a ruota dalla Matrona. L'espressione di rassegnazione dipinta sui
loro volti fece cadere il mondo sotto i piedi di Lenalee.
Non poteva essere vero... Non a lui!
“Abbiamo fatto tutto il possibile.” Sentì
Lenalee scoppiò a piangere, più forte di prima, più forte
che mai. Jhonny fece lo stesso mentre Reever cercava inutilmente di consolarlo;
Lavi rimase immobile.
Suo fratello la guardò di sfuggita, con l'aria affranta e
stanca. “L'innocence che aveva sostituito le cellule mancanti del suo cuore è
scomparsa, ed il sangue...”, il discorso continuò a lungo – più che altro era
per i dati che Lavi aveva il dovere di raccogliere. La voce di Komui era calma e
controllata, ma Lenalee aveva percepito fra quelle parole un tono di scusa che
non era rivolto a lei, ma ad Allen.
“... Non abbiamo potuto fare nulla.”
Lenalee smise di pensare mentre la verità di quelle parole
la trafiggeva da parte a parte.
Lui non c'era più. Era morto e non aveva potuto dirgli
nemmeno addio. Non lo avrebbe più rivisto.
Quante volte
avevo versato lacrime inutili,
se le avessi trattenute, forse in quel momento sarei stata più forte.
Lavi aveva
ragione.
“Perché...?”, domandò, buttandosi fra le braccia aperte del
ragazzo davanti a lei. “Perché lui?!”
Il giovane
Bookman scosse la testa, stringendo la compagna a se'.
“Non lo
so.”
“Lavi...”,
Lenalee alzò il capo, fissando l'amico con gli occhi pieni di lacrime, “...
Io... Io non posso farcela.”
Quante volte
avevano sentito quella frase durante la loro vita da esorcisti? Migliaia. Ed ora
era lei a pronunciarla.
“Lenalee,
devi essere forte. Lo dobbiamo essere tutti.”
La strinse
ancora di più, lasciando che affondasse il volto nella sua divisa e piangesse.
Non l'avrebbe fermata, non ora.
In momenti
come quelli, Lavi non sapeva mai se le sue scelte fossero giuste. Non la voleva
veder triste, non la voleva veder piangere, ma era l'unico modo per lasciare che
si calmasse. Forse sbagliava, ma era l'unica cosa che gli paresse sensata in un
momento come quello.
Le diede
qualche pacca sulla spalla, appoggiando il capo sul suo, per avvolgerla meglio
in quell'abbraccio e far si che non prendesse troppo freddo. Debole com'era, si
sarebbe subito ammalata.
Rimasero
così per diversi minuti e, una volta che Lenalee smise di piangere, l'aiutò ad
entrare. La scortò per i corridoi, standole sempre a fianco, senza perdere di
vista ogni suo minimo movimento. Dopo quello che era successo ad Allen, era
diventato più attento ai gesti di ogni persona che gli stava a cuore. Non voleva
ripetere un'esperienza come quella.
“Ok, ora
posso andare da sola. Grazie, Lavi.”
Il ragazzo
riemerse dai suoi pensieri di soprassalto, notando che erano ormai davanti alla
camera della compagna. Quindi non aveva intenzione di tornare al funerale.
“Lenalee, se
c'è qualcosa che posso fare... qualsiasi...”
“Sto bene,
ora. Grazie a te.”
Gli angoli
delle labbra di Lenalee s'incresparono in un debole sorriso. Com'era cambiata da
quando l'aveva conosciuta, anni addietro, all'inizio di quel Log appena
terminato.
“Ok. Se hai
bisogno di aiuto...”
“Certo.”
Quel mezzo
sorriso si allargò ulteriormente. Era perfetto, accanto a quegli occhi rossi di
pianto e spenti.
“A... A dopo
allora, Lenalee.”
“A dopo,
Lavi.”
Congedò il
compagno sulla soglia della camera, fingendo ancora quel sorriso tirato. Quando
fu sicura che si era allontanato, chiuse piano la porta, attenta a non rompere
il silenzio che regnava in quel corridoio vuoto. Dovevano essere ancora tutti
stipati nella piccola chiesetta, a pregare.
Tolse le
scomode scarpe con i tacchi, buttandole vicino alla scrivania ormai vuota, e si
levò la divisa da esorcista. Era inutile portarla ancora, ormai era tutto
finito.
Si lasciò
cadere sulla sedia, prendendo il capo fra le mani.
Per cosa
avevano combattuto tutti loro così disperatamente? Alla fine, le loro vite erano
ripiombate nelle tenebre, tenebre ben più addensate di quelle che tesseva il
Conte del Millennio. Non avrebbero avuto un futuro, non felice almeno. Pareva
che tutti coloro che venivano a contatto con l'innocence fossero destinati ad
essere dannati per l'eternità. L'unico modo per liberarsi da quell'onere era
forse la morte? No, forse Dio non avrebbe reso loro le cose facili nemmeno dopo
la dipartita.
Per loro non ci sarebbe mai stata la felicità causata
dall'ignoranza.
Ne avevano
vissute troppe insieme. Avevano lottato come disperati, erano caduti ma,
nonostante quello, avevano sempre ritrovato il coraggio per rialzarsi.
Che
situazione stupida la loro. Erano sempre costretti a spingersi oltre le loro
capacità, a provare il tutto per tutto, anche a costo della propria vita. Come
Allen.
Al ricordo
del ragazzo cominciò a singhiozzare sommessamente, passando le mani sugli occhi
diverse volte.
Si voltò di
scatto verso la porta. Aveva sentito un rumore di passi.
Probabilmente era suo fratello, era venuto a vedere come
stava dopo che Lavi gli aveva riferito ciò che era successo. Sì, doveva essere
lui. Infondo, poteva essere solo lui.
La maniglia
si abbassò, e la porta si aprì con un cigolio.
Sulla soglia
fece capolino la figura di un uomo tozzo, alla mano aveva uno strano
ombrello.
«Allora,
Lenalee Lee, vogliamo resuscitare Allen Walker? ♥»
Ringraziamenti: ringrazio tanto-tanto Edward e
Noriko chan, che mi sopportano quando non riesco a scrivere e pure quando
finisco le fanfic. Poi, ehm... ringrazio ancora Edward che mi passava le
immaginette divertenti nonostante io stessi cercando di deprimermi; mi hanno
aiutato molto, in qualche modo. xD
Beh, basta, mi ritiro
nel mio angolo buio in attesa di recensioni. *Vi prego, recensite. Basta un
click e qualche battitura di tastiera*