Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Eriok    07/03/2015    1 recensioni
Dopo un'anno circa dalla famosa "estate ghiacciata", Elsa ed Anna dovranno affrontare problemi molto più "scottanti" dell'inverno pungente di quest'anno.
Elsa, regina di Arendelle, incontrerà i nuovi emissari del neonato regno "Le Terre del Fuoco".
Con una sovrana dai poteri molto - troppo - simili a Elsa. Facendole nascere dubbi su di sé e sul mondo che l'ha circondata fino a quel giorno.
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri, FemSlash | Personaggi: Anna, Elsa, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 4.

 

«Vostro zio?» rimase stupita, Elsa, nel sentire quelle parole.

«Sì.» disse con amarezza Elyce, lo sguardo basso. «È il fratello gemello di mia madre, ma si ribellò quando lei prese il posto di mio nonno come erede della casa Brandjӓrn, invece di scegliere lui. Il suo rancore lo portò alla guerra civile. È una serpe in seno alla civiltà, quell’uomo.» strinse i pugni dalla rabbia.

Elsa camminava silente al suo fianco, le mani giunte al ventre, pensierosa. Lo sguardo che poggiava su di lei era saturo di pacata compassione, come un petalo accarezza il dito che lo sfiora.

«Avete provato a parlare? Fa pur sempre parte della vostra famiglia...» suggerì Elsa, ricordando il rapporto tra lei e sua sorella Anna.

«Sì. Anche mia madre ha provato a parlargli, numerose volte.» lo sguardo diventò ombrato da ricordi dolorosi. «Otteneva sempre astio da lui, e ne soffriva.».

Alzò lo sguardo, vide il fratello parlare con le guardie del castello.

«Io non saprei che fare, se lui...mi odiasse.» mormorò, dando voce alle sue inquietudini.

«Anch’io.» sussurrò Elsa, e si guardarono per un istante, collegandosi per un secondo che divenne era. Puri anni istantanei persi ognuna negli occhi dell’altra. Fu Elyce, stavolta, a scostarli. Aveva sentito una vibrazione nell’anima troppo forte. Ricordi dolorosi e il cuore che riprende a palpitare di un’emozione dimenticata e maledetta.

«Mi scusi, regina...» e con un breve inchino si girò, rinfoderando la spada.

Elsa la guardò con occhi dispiaciuti, non comprendendo il suo istantaneo allontanamento.

C’era qualcosa di sconosciuto nel suo cuore, la bionda lo aveva capito. Ma non sapeva ancora darvi una forma. O un nome.

Enos vide la sorella, e le corse dietro, chiamandola. Ottenne un ordine perentorio di non seguirla, bloccandolo sul posto, vicino alla regina. Gli bruciava nell’animo, quel tono di voce. Gli ricordava un’epoca che considerava dimenticata.

 

«El!» chiamò Enos, riuscendo finalmente a vedere la sorella uscita da una stanza. Lo guardò con occhi spaventati, si guardò intorno. Non vide nessuno. Non poteva...

«Giochiamo insieme!» disse, correndo verso di lei.

«NO!» le impose, intimandogli di fermarsi. Gli occhi erano colorati di rabbia.

Enos non capì che la rabbia era rivolta a se stessa, e non a lui.

«Non seguirmi.» gli intimò, e iniziò a correre per il corridoio. Sparendo dietro un angolo del corridoio, lasciando il bambino a giocare da solo.

 

«Cos’ho fatto?» disse ad alta voce, rivolgendosi di più a se stesso, che non alla regina di fianco a lei.

«Niente, Enos.» gli rispose, accarezzandogli un braccio, con occhi colorati di pensieri cangianti.

«Non è vero.» disse, scostando il braccio «Non è mai “niente”.» calcò l’ultima parola con forza «Non mi merito questa freddezza, se non ho fatto “niente”.» e gli occhi facevano trasbordare l’animo ferito del ragazzo. L’uomo si voltò, facendo lo stesso gesto della sorella, andando dalla parte opposta.

Elsa guardò entrambi camminare per i corridoi del castello, in opposizione.

E capì che c’era qualcosa di sospeso, tra i due fratelli, irrisolto. Forse, da anni.

 

 

 

I giorni nel castello sembravano uguali tra di loro, Enos ed Elyce aspettavano notizie che non arrivavano dalla guardia della regina Elsa. La regina della Terra del Fuoco mandava missive su missive, il suo regno neonato sentiva la mancanza di una regnante sempre presente, e questo pesava sulle sue sole spalle, confinandola nelle sue stanze per la maggior parte del tempo, a parte gli ormai quotidiani allenamenti mattutini. E le cioccolate consumate in compagnia di Elsa.

«Oggi sei più silenziosa del solito, Elyce.» disse Elsa, sorseggiando la bevanda calda.

La donna, vestita negli abiti regali, aveva lo sguardo perso verso il basso, le gambe incrociate e una mano sorreggeva la tazza sovrappensiero. «Elyce?» la richiamò la bionda, notando lo sguardo perso e la non risposta.

«Sì?» finalmente alzò lo sguardo, ma lo scostò subito. Rifugiandosi nella cioccolata ormai fredda. Il battito del suo cuore che accelerò per un secondo, sentendo la sua voce chiamarla.

«Cosa c’è che ti turba?» Elsa poggiò la tazza, tintinnando leggermente con il piattino. La biblioteca era silenziosa nei pomeriggi corti dell’inverno, e il fuoco che scoppiettava al loro fianco riscaldava la stanza in modo tenue.

Elyce poggiò la tazza, si sporse in avanti e incrociò le mani.

«Niente, Elsa. Stavi dicendo?» disse, sorridendo pacatamente.

«Non ho detto niente. È da mezz’ora che stiamo in silenzio, a bere la cioccolata, così come le volte scorse.» Elsa incrociò le caviglie, ed Elyce seguì il suo movimento con gli occhi, rapita «Cosa c’è che non va, Elyce?».

“Non posso dirglielo” pensò Elyce, diventando leggermente rossa, scostando gli occhi dalle sue gambe, evitando con disinvoltura gli occhi.

«Non ignorarmi. Per favore.» Si chinò in avanti, ricercando il suo sguardo. Ne aveva bisogno, Elsa, e non sapeva perché.

«Scusami.» e alzò gli occhi, Elyce, raccogliendo tutto il suo coraggio per guardarla e tutta la sua forza per non discostare lo sguardo. Si fissarono, per qualche minuto, e nessuno delle due parlò.

Quegli occhi, così caldi, le accarezzavano l’intima parte della sua anima, ricordandole un calore dimenticato. Sottile, e delicato, come un bacio appoggiato al volto.

«È per via di tuo fratello?» domandò Elsa, cercando di carpire qualche informazione dal suo sguardo.

“Tutto, fuorché questo.”.

«No, mio fratello non c’entra niente.» rispose, e scostò lo sguardo, ritornando al solito punto perso tra l’aria e il pavimento.

«A me sembra tutto il contrario. Lui ti vede meno di me. E questo per me è tanto.» affermò, osservandola. Elyce si passò una mano nei capelli e incrociò le braccia, appoggiando il busto allo schienale della poltrona.

«È normale, ho molte cose da fare, visto che sono lontana dal mio paese. È giusto così.».

«Non è vero, dovresti dedicargli qualche minuto del tuo tempo, così come fai con me. Mi metti in una difficile situazione, Elyce.».

«E perché mai?» lo sguardo della mora diventò tagliente, la ramanzina che stava ricevendo non le piaceva per niente.

«Perché mi sembra ingiusto che ti vedo di più io, Elyce, che non lui, che è tuo fratello.» e lo sguardo della regina diventò freddo e allo stesso tempo combattuto. «Non è giusto, e tu lo sai. Per cosa lo stai punendo?».

«Punendo?!» disse, alzandosi in piedi. «Cosa ti ha detto?!».

“Cosa gli ha detto Enos?!” iniziò a pensare la mora, elaborando tesi su di lui che gli parla dei suoi poteri, di lui che parla di come sia fredda e calcolatrice, di lei. Sua sorella. Un mostro.

«Niente, non mi ha detto niente, Elyce.» Elsa vide l’agitazione della donna, vide i suoi occhi ricolmi di paura, e di timore. Ma per cosa? Cosa nascondeva quella ragazza dalla carnagione scura e da un passato burrascoso?

Di cosa aveva paura, Elyce?

«Bene.» e si calmò, per un secondo. Poi si incamminò verso la porta, la finestra mostrava il sorgere del sole ormai. «Scusami, ma ora devo andare. È stato un piacere, Elsa, come sempre.» gli dava le spalle, la mora, e sentiva il suo sguardo su di lei. Poteva quasi immaginarlo. Lei sporta sul bracciolo, con quegli occhi così belli e dolci, che le supplica di restare. Almeno un altro minuto, e non di lasciarla lì, a metà di un discorso che la rendeva giudice e accusatrice, senza speranze di redimersi, e lei, Elyce, la colpevole e vittima.

Si girò, e vide quello che aveva immaginato farsi realtà. La guardava, Elsa, come per dire “non andare”. Ma la mora chinò di poco il capo, e chiuse la porta dietro di sé. Chiudendo il discorso scappando, come sempre, per evitare dolori ad entrambi, per evitare a lei di sbagliarsi, di essere nel giusto, di sperare in qualcosa che non doveva accadere.

Di non permettersi di innamorarsi di nuovo, non di lei, non di Elsa. Perché non poteva permettersi un altro sbaglio, un altro dolore.

Non poteva.

 

 

Elyce corre, corre nella foresta, sente che sta per scoppiare, e non può farlo. Non deve farlo.

Inciampa, cade giù da un dirupo e si scontra con qualche ramo, nella caduta, atterrando su un giaciglio di neve ghiacciata.

«Ah...» si rialza, Elyce, e si appoggia con una mano ad un tronco, che istantaneamente inizia a fumare, come a contatto con qualcosa di rovente.

«NO!» e stacca la mano, Elyce, come se si fosse scottata. L’impronta della sua mano si poteva scorgere sulla corteccia, marchiata a fuoco.

«No. No...No...» incrocia le braccia, e china sulle ginocchia inizia a dondolarsi. Gli occhi ricolmi di paura, di terrore, di dolore.

«Ti prego basta...» ma le mani iniziano a scoppiettare, come il fuoco appena acceso. La neve intorno a lei si scioglie, mostrando un terreno nero, duro, sterile. Rami secchi che iniziano a prendere fuoco intorno a lei.

«Fermati. Basta!» parla, Elyce, come una litania, ma è più una preghiera verso se stessa, che non verso gli dèi.

“Ti prego, fermati...” lo sente ribollire dentro di sé, quella foga, quel fuoco che mangia e divora la sua anima, che vuole uscire. Come un animale in gabbia, graffia le pareti e pretende di uscire, ruggendo e scalpitando.

«Ciao bellezza...» una voce la riscuote e la fa scattare in piedi, guardando un uomo incappucciato.

Ne spuntano fuori altri due, dalle sue spalle, armati di randelli.

«Cosa ci fa un bocconcino così da sola in mezzo alla foresta?» l’uomo che aveva parlato prima muove la spada con fare sicuro.

Elyce è spaventata. Ma non dagli uomini intorno a lei, ma dal potere che sente, non si è assopito. È pericolosa.

«Scappate, vi prego! Non voglio farvi del male!» mormora la ragazza, stringendo le braccia intorno a sé. Gli uomini non si accorgono che trema non per la paura, ma per evitare di scoppiare.

«Oh, stiamo tremando di paura...».

«Suvvia, dolcezza, non ti facciamo niente...».

«Sì, vieni con noi, che ci divertiamo.» l’uomo sogghigna, mentre la mano scuote il cavallo dei pantaloni.

«No...» Elyce mugugna di terrore. Non vuole altri morti sulla coscienza. Ne ha già a migliaia.

Il giorno delle ceneri già grava sulla sua coscienza.

Si sente una mano appoggiare sulla spalla.

«NO!» e l’uomo ritrae la mano urlando dal dolore, la mano ridotta a carne bruciata.

«Puttana!» gli urla l’uomo affianco, cercando di colpirla con il randello di legno. Elyce, inconsciamente, pone la mano nella traiettoria, e una vampata di fuoco riduce in cenere l’arma, rendendo vano l’attacco dell’uomo che, spaventato, si allontana e scappa.

«Mostro! Muori!» Elyce vide, con la coda dell’occhio la spada arrivarle sul fianco e lei chiuse gli occhi, pronta a sentire la fitta di dolore. Ma non arrivò. Aprì gli occhi e vide che l’uomo aveva lasciato cadere a terra il moncherino di una spada fusa e resa rovente.

«Mostro!» gli urla di nuovo, tenendosi la mano ferita. Una vampata di fuoco bruciò i due uomini intorno a lei. Gli occhi di Elyce erano rossi come il fuoco che la dominava.

«Non chiamarmi “mostro”.» Era fredda, distaccata, come lontana dalla paura che la dominava. Era cosciente che ora quegli uomini dovevano morire. Nessuno che vede il suo potere manifestarsi può rimanere vivo.

Il fuggitivo tornò con altri due uomini, pronta a ucciderla. Bastarono pochi istanti per renderli carne bruciata.

Così come si era accesa, Elyce, si spense in pochi istanti. Gli occhi tornarono castani, e riprese il controllo di sé. E così come tornò la coscienza, tornò la paura, tornò il terrore. E il disgusto verso sé stessa.

«No...» Elyce piange, e le gambe le vengono meno.

Altri cinque uomini che la fisseranno durante gli incubi, altre cinque anime che brameranno vendetta. Altre tacche sulla sua coscienza.

«Mi dispiace...Mi dispiace...» mugugna Elyce, sentendo la bestia dentro di sé ritornare al suo posto. Come soddisfatta.

«No...» le lacrime le impediscono di vedere l’ombra che la fissa dall’alto della radura.

Un sogghigno passa sul volto dell’uomo incappucciato, e svanisce, inghiottito da un’ombra nera.

 

   
 
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