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Autore: fireslight    07/03/2015    4 recensioni
Non era sicuro che avrebbe potuto sopportare di vedere ancora quegli occhi azzurri immobili, ridenti, immortalati nell’eternità di una fotografia, fissarlo dall’altra parte, invisibili al suo dolore.
Sarebbe stato troppo anche per lui.

[Alec/Magnus♥][2O Years Later from CoHF | Angst, Dramatic − 1.527 words]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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.. He still couldn’t forget him.
 
                         

                                                                                                                          “I always need your strenght, Alexander.”


 

Soffiava un forte vento quel giorno, e Magnus si costrinse a camminare più velocemente,
curvando le spalle e il viso nel tentativo di ricevere calore dall’elegante cappotto grigio indossato, con scarse possibilità di riuscita.
L’aria di New York era gelida sulla sua pelle, le correnti ferivano il viso come lame taglienti graffi ancora freschi. Svoltò ad un incrocio, scorgendo in lontananza un vecchio cancello in ferro battuto, un giardino disseminato di chiare lapidi come margherite su un candido prato in primavera; una visione che, non consolandolo, aveva il potere di farlo sentire abbastanza giù di morale.
E Magnus Bane era sempre stato tutto, tranne che giù di morale.
Il cancello era aperto, così − invisibile ai mondani che percorrevano le vie della giovane città sulle rive dell’Hudson, − ne spinse i battenti, inoltrandosi per l’accenno di un sentiero in quel dedalo di mausolei mal disposti, fiori smunti e pallidi dispersi nel grigiore di erbe morte.
Suo malgrado, Magnus conosceva a memoria il tragitto, lo aveva imparato.
La lapide davanti alla quale si trovava era semplice, senza decorazioni superflue − del resto, a cosa potevano servire dettagli in argento, oro o acciaio, quando eri morto? −
ed anche senza una foto.
Forse era stato meglio così. Magnus non era sicuro che avrebbe potuto sopportare di vedere ancora quegli occhi azzurri immobili, ridenti, immortalati nell’eternità di una fotografia, fissarlo dall’altra parte, invisibili al suo dolore.
No, decisamente, sarebbe stato troppo anche per lui.
Si accorse solo allora di star stringendo qualcosa in mano, quando avvertì il fastidioso pizzicore di spine fra le dita. Magnus si chinò sulle ginocchia, gli occhi all’altezza delle eleganti lettere che vergavano un nome sussurrato così tante volte in quegli anni − fra lenzuola che sapevano di serenità, caffè troppo freddi per esser consumati, un gatto talmente fastidioso da fargli desiderare di gettarlo dalla finestra − nome che adesso faceva belle e triste mostra di sé, lettere candide su uno sfondo di marmo nero.
Posò una rosa bianca a terra, tra i fili d’erba scura vicini alla lapide, e dopo essersi alzato, Magnus fissò con aria pensierosa quel nome, ancora e ancora, come se potesse dargli qualche suggerimento affinchè smettesse di sentirsi così vuoto, come se gli mancasse qualcosa di fondamentale − l’altra metà della sua testa e del suo cuore.
Prima che potesse anche solo pensare al fatto che quella mattina la CNN avesse previsto pioggia, cominciò a sentire minuscole gocce d’acqua tra i capelli, sul viso come silenziose lacrime, infiltrarsi nel colletto del cappotto, giù per la schiena, un percorso di gelida solitudine e disperazione in cui sentiva di poter cadere da un momento all’altro.
Magnus rimase sotto la pioggia per diverso tempo, finchè non gli sembrò che i rumori della città potessero attutirsi − non avvertì più per diversi minuti le auto che sfrecciavano per le strade, né il rumore della metropolitana a breve distanza, non sentì più niente.

 
 
 
Brooklyn, 20 anni prima.
 
«Alexander..»
«Non puoi essere serio, Magnus.»
«Sono serissimo, invece. Quella ferita ti farà infezione, se non mi consentirai di curarla adeguatamente.»
Alec sospirò, voltandosi così da rivolgere la schiena allo stregone, entrambi seduti sul letto di quest’ultimo. Lui e Jace erano tornati da poco da una battuta di caccia contro demoni particolarmente pericolosi per l’incolumità di ignari mondani, riportando ferite più o meno gravi. Alec, al contrario di Jace − il quale aveva preferito tornare all’Istituto − aveva pensato bene di andare a Brooklyn da Magnus, ignaro del fatto che lo stregone si sarebbe preoccupato così tanto nel vederlo arrivare con la tenuta scura praticamente strappata in più punti.
«Ti ho lasciato un paio di messaggi,» azzardò Alec, mentre Magnus era intento a curare con scintille azzurre le ferite riportate sulla schiena.
«Li ho ignorati, Alexander. Non sapevo quando e se ti avrei rivisto. Vivo, e..»
Magnus sospirò, poggiando la fronte sulla spalla del Cacciatore, chiudendo gli occhi come se gli mancassero le parole.
Come poteva Alec non capire come si sentisse, cosa dovesse provare e cosa avesse provato in quei tre giorni di totale assenza?
«Alexander.» disse, abbracciandolo da dietro la schiena, le mani di Alec adesso unite indissolubilmente alle sue, «Non puoi minimamente immaginare cosa io abbia dovuto passare. Non sapevo niente, niente su dove ti trovassi, con chi fossi, se fossi morto o in fin di vita, e..»
«Magnus, davvero, non−»
«No, fammi finire.» Alec si girò, quella volta, sistemandosi al fianco dello stregone sul bordo del letto, intrecciando le proprie dita alle sue, spalla contro spalla.
«Non sarei riuscito a salvarti, Alexander. Questo.. questo mi distrugge. Non riesco neanche solo a contemplare un mondo in cui tu non ci sei. E so che abbiamo affrontato non poche volte questo argomento, ma non riesco a immaginare di trascorrere una vita, altre vite, Alec, senza di te.»
Alec lo guardò, quella volta, osservando attentamente gli occhi dello stregone, così particolari ed espressivi da averlo confuso, stregato − nel vero senso della parola − sin dall’inizio. Pensò che forse quella era una delle rare volte in cui Magnus si lasciava andare, una delle poche occasioni in cui esternasse davvero i suoi sentimenti, senza nascondersi a lui.
Alec avrebbe voluto saper confortarlo, promettergli che sarebbe stato al suo fianco sempre, che non lo avrebbe lasciato, non più.
«Vieni qui,» mormorò il Cacciatore, accogliendolo fra le sue braccia, inducendolo a sdraiarsi sul letto, dimentichi di ogni cosa che non fosse prendersi cura l’uno dell’altro, ancora una volta, come sempre. «Forse non posso immaginare come tu possa esserti sentito, e per questo ti chiedo scusa. Ti amo, Magnus, dico sul serio. E mi dispiace, avrei dovuto avvisarti in qualche modo.»
Magnus rifletté attentamente su quelle parole, sul significato ad esse attribuite dal Cacciatore. Alec era sincero, lo era sempre stato e di questo, lo stregone ne era sempre stato consapevole; ed anche quando lo aveva sfiorato il pensiero che per Alec lui non contasse più di tanto, ora doveva ricredersi.
Alec era il suo futuro, ogni sua certezza. Era il porto sicuro ove rimanere attraccati sino alla fine della tempesta, quanto più Magnus avesse sempre desiderato − egoisticamente, forse, ma se non si era egoisti in tali situazioni, quando era consentito esserlo? − per tentare di essere felice.
«Ti amo anch’io, Alexander. Sempre.»
Il rumore della città coprì il fruscio indefinito delle lenzuola attorcigliate ai loro corpi, sospiri destinati a rimanere segreti, celati fra i labirinti del tempo.
 
 
 
Le lettere sul marmo scuro sembravano sbiadite, come se qualcosa stesse cominciando a cancellarle lentamente dal suo campo visivo. Magnus si sfregò gli occhi, infastidito dalla pressante umidità della città, accorgendosi quasi con studiato stupore del fatto che non fosse pioggia. Quand’era stata l’ultima volta che aveva pianto, pensando di aver perso ogni cosa?
Non aveva voglia di ricordarlo davvero.
Sapeva solo che ad un certo punto aveva smesso di piovere − no, aveva solo un ombrello sul capo − e che qualcosa di leggero gli si era posato sul braccio sinistro.
Magnus alzò gli occhi, incontrandone un paio grigi come la nebbia che stringeva l’orizzonte nella sua morsa, una sfumatura così particolare da esser divenuta per lui familiare più un secolo prima.
«Non sapevo fossi in città.»
Tessa Gray accennò un sorriso, poggiando il capo sulla spalla dello stregone.
«Avresti potuto chiamare, Magnus.»
«Sai che non amo che mi si consoli.»
«Tu lo hai fatto, però. Quando è morto Will, mi sei stato vicino. Come potrei non essere al tuo fianco adesso?»
Magnus non rispose, trincerandosi nel proprio silenzio. Ricordava il dolore provato dalla donna alla morte del marito, di come fosse giunta a Parigi nel bel mezzo della realizzazione di un dipinto poi rimasto inconcluso, e di come l’avesse consolata della perdita di chi aveva più amato in quella vita.
«Dobbiamo soltanto raccogliere i cocci, Magnus. Lo hai detto tu, in Francia. Raccogliere i cocci, andare avanti, cercare di accettare che la vita ci sottrae ciò che amiamo per una ragione. Lui è in un posto migliore, adesso.» mormorò Tessa, stringendogli appena il braccio, e lo stregone le fu grato di non aver pronunciato almeno il suo nome.
«Certo, hai ragione.» le rispose, pensieroso. Si strinse di più nel cappotto, prendendo l’ombrello che Tessa reggeva ancora su di loro, e offrendole il braccio con fare galante, «Non dimentico di doverti una cena, dopotutto. Cinese andrà bene?»
Tessa lo guardò per qualche istante negli occhi, infine sorrise. «Ma certo. Adesso però, andiamo via.»
Lo stregone si lasciò trascinare per il sentiero che aveva già percorso così tante volte in venti anni, imponendosi ogni volta di non voltarsi indietro, perché Alec non avrebbe voluto che lui vivesse di rimpianti, di occasioni perdute.
Eppure, quella volta Magnus trovò il coraggio e la forza di guardare indietro, mentre le lettere in marmo candido che formavano il nome di Alexander sembravano fissarlo in lontananza con affetto, come se quegli anni in solitudine non fossero realmente passati.
Magnus osservò con indolenza l’orizzonte colmo di nebbia, il ricordo ancora fresco nella mente dei loro nomi sussurrati nel segreto di una città così chiassosa da far male, di sorrisi e risate che sembravano lontane quanto l’estate in un freddo pomeriggio di Novembre.






 
Note dell'autrice.
Buonasera, aw. Quanto può essere distruttivo l'angst di sabato sera? Tanto. Mio primo esperimento sulla Malec, coppia che ti uccide lentamente e con dolore, ma sulla quale volevo davvero buttar giù qualcosa, seppur non aspettandomi qualcosa di triste. Sono passati un paio o tre anni- con le date sono una frana, ma dovremo comunque esserci - da CoHF, Alec ha 25 anni nella parte insieme a Magnus, e secondo la mia non poco apocalittica visione, muore in battaglia a 45 anni, praticamente giovanissimo. E Magnus ne è naturalmente, inevitabilmente distrutto.
Volevo far comparire Tessa perchè credo che i due stregoni abbiano un bellissimo rapporto - come fratello e sorella, almeno per come l'ho interpretato alla finde di Clockwork Princess per la faccenda di Will - e perchè voglio pensare che per come Magnus abbia consolato Tessa, anche quest'ultima avesse potuto consolarlo alla morte di Alec.
Dunque, spero vi sia piaciuta almeno un po', che non vi abbia fatto eccessivamente piangere, e mi piacerebbe sapere cosa ne pensaste, aw
Alla prossima, un bacio e un grazie per chi è arrivato fin qui,
fireslight.
 
 

 
 
 
 
  
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