Newt. Io mi chiamo Newt,pensó.Si sveglió non appena sentì un cigolio metallico. Era spiacciacato contro l'angolo di un ascensore metallico che saliva su per un corridoio senza fine. Aveva la schiena di un ragazzo appoggiata alla sua e riusciva a sentire l'odore del suo sudore.
Ricordava solo questo, niente di più. Inizió a fare ipotesi su dove si trovasse e chi fossero quei ragazzi, se quell'ascensore si sarebbe mai fermato o sarebbero morti lì, continuando in un viaggio senza meta. Si sentivano grida e urli, c'era chi piangeva, chi vomitava, chi si tenevala testa tra le mani, disperato. A Newt non era mai piaciuta la confusione. Non ricordava come facesse a saperlo ma era così. A lui piacevano la calma e restare calmi durante le situazioni sconosciute. Durante situazioni come queste.
Non sapeva quanto fosse durato quel viaggio, se 10 minuti, se un'ora, oppure un giorno, ma ad un certo punto l'ascensore si fermó. Forse Newt preferiva la confusione al silenzio pieno si tensione e paura.
Stettero immobili per qualche minuto, poi due porte di metallo si aprirono automaticamente e la luce li accecó per un attimo.
Un ragazzo alto e moro riuscì adalzarsi e staccó due ganci che chiudevano le porte dall'interno. Sembrava sapere quello che faceva, o magari era solo più sveglio degli altri. Il ragazzo uscì per primo poi lo seguirono tutti gli altri, con un' evidente marcia di coraggio in più, dopo aver visto come fare. Newt uscì subito dopo il ragazzo sudaticcio che, a notare dalla bocca, aveva vomitato.
All'inizio non riuscì bene a distinguere il luogo dove si trovava, chi avesse intorno o cosa stesse succedendo. Quel posto era bello, troppo bello, non sembrava nemmeno reale, e qualcosa nella sua mente presa questa idea come la più razionale di tutte e ci si aggrappó, come ultima speranza per sopravvivere.