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Autore: Helmyra    08/03/2015    2 recensioni
Credevo di aver impostato le mie giornate sullo studio, sulla morigeratezza ed ore ed ore passate a ripetere la stessa formula magica... intanto, una tempesta di cenere s’è appena abbattuta sulla mia vita.
E l’ha resa... ridicola.
___
Dorisa è l'ennesima dunmer che si ritrova a studiare magia al Collegio di Winterhold. Ad illuminare il grigiore della monotonia compare Sam, uno stregone che le offre un boccale di idromele e il futuro da lei desiderato. Purtroppo non può affatto immaginare che dietro il sorriso affabile dell'amico si nasconda Sanguine, per nulla disposto a lasciarsi sfuggire l'occasione di uno scherzo... e la sua nuova "ancella".
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dovahkiin
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Daedric Maidens'
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“Dorisa, qualcuno è venuto a farti visita. Ritieniti... fortunata”. L’entusiasmo di Brelyna lasciava trasparire una visita importante, o una gradevole sorpresa. Dopo l’esperienza delirante nel bosco incantato aveva cominciato a chiudersi nella sua stanza e ad uscire solo quando non poteva farne a meno. Brelyna le rivolse un’occhiata perplessa, decisamente interdetta dal quel comportamento insolito: era diventata la sua migliore amica, dopo un primo incontro burrascoso. Aveva alle spalle una lunga genìa di blasonati maghi Telvanni, perciò si era arrogata il diritto di giudicare Dorisa – e la sua famiglia orfana da anni della Gilda dei Maghi – dei poveri disperati scesi a patti con la fazione avversaria. Eppure, si sentiva incredibilmente a disagio quando riceveva le lettere dei parenti: era seguita, aiutata, consigliata ad intraprendere una strada piuttosto che un’altra, anche per questioni insignificanti. Quelle missive erano un incubo, e si risolveva ad aprirle solo con l’umore dalla parte giusta. Il padre era il più pedante fra tutti: coglieva sempre l’occasione per ricordarle di stringere amicizie di spicco e di pagare i giusti omaggi all’Arcimago, soprattutto di notte.
In realtà, Brelyna non era né presuntuosa né saccente: cercava un’amica che condividesse con lei le piccole disavventure quotidiane, si sentiva insicura ed impacciata nei rapporti sociali. Tutto era cominciato con un incontro non proprio casuale nell’atrio degli apprendisti: Brelyna si era avvicinata, col proposito di chiederle una mano a provare un nuovo incantesimo. Dorisa aveva finto di non notare che la stesse aspettando di proposito per il gusto della compagnia, e accettò con qualche riserva.
Parlando del più e del meno scoprirono di andare d’accordo su molte cose, finendo così a scambiarsi confidenze e a scherzare sulla vita al Collegio.
Purtroppo, l’avrebbe tenuta all’oscuro su ogni dettaglio che riguardasse la vera identità di Sam.
“Ho promesso di aiutarti con gli incantesimi a distanza, sono libera da impegni per oggi. Ci dev’essere un malinteso, di solito nessuno chiede di me.”
Il volto di Brelyna si tramutò in un tizzone ardente.
“Siamo amiche, Dorisa. Perché non ne hai mai parlato? Mi ha mandata a chiamarti, e non sono riuscita a rifiutare, ad opporgli resistenza. Ha un sorriso deciso, soave”.
Un soffio gelido le paralizzò il corpo, il cuore rimbombava in petto come un tamburo da guerra, accompagnato da uno sgradevole presentimento che le impediva di ragionare coerentemente.
No, è tornato, è qui. Maledetta freccia al ginocchio!
 “Mandalo via, le apparenze ingannano. Non è il tipo di persona con cui vorresti intrattenerti, quel bretone indisponente!”
“Credo che tu l’abbia scambiato per qualcun’altro,” insisté la maga Telvanni, dura a cedere, “viene da Solstheim, su richiesta di tuo padre. Mephala concede grazie all’improvviso, ogni tanto i nostri vecchi tormentatori ci fanno delle belle sorprese. Io non mi tirerei indietro, sai. È molto... carino.”
“Mph. Andrò a vedere di chi si tratta”.
Non avrebbe faticato ad indovinare: il maestro della lussuria, con una scusa e un nuovo travestimento per attirare la sua cuiriosità. Più un gentile sollecito a non lasciarsi distrarre da insulse bagattelle mortali.
“Dorisa Vanim,” Sanguine le baciò la mano, chinandosi con grazia, “ti porgo le mie scuse. Mi merito tanta indifferenza, ho urtato la tua sensibilità. Due mesi... due mesi sono trascorsi da quella sera, e non mi hai invocato nemmeno una volta. Tu sola hai il sangue, le doti, le qualità che cerco: tentare altrove è inammissibile. Perché non vieni con me? Ogni sera verrò qui a reclamarti, se non accetti. Dunque sei talmente empia da rifiutare il mio amore? Ti voglio, incondizionatamente”.
L’elfa guardò in cagnesco il presunto conterraneo: un guerriero dunmer dalle spalle larghe e il torace muscoloso, i capelli color piombo tirati indietro e ben pettinati. Pulito, elegante, attraente.
Un gran bel partito, se fosse stato vero.
“Ti ho già detto che non volevo più vederti per il resto dei miei giorni. Va’ via!”
“Eppure, non mi hai mai visto in questa forma.”
Una parte di Sanguine sopravviveva sempre nelle sue numerose incarnazioni: prima in Sam, dal viso candido, i capelli castani ed il sorriso birbante. Poi in questo elfo oscuro, un’immagine molto più fedele all’originale, e per certi versi più rassicurante.
“Sei sicuro che rendendoti appetibile io possa cambiare idea... mi ero innamorata di Sam, e l’hai capito benissimo. Anziché sparire per sempre e fingere di non tornare, evitando il danno a priori, hai preferito mettere il dito nella piaga per fare in modo che m’affezionassi... tutto per i tuoi loschi piani. La gente indulge ancora nei bagordi, nelle notti di passione, ma ha dimenticato il tuo nome. E senza una sacerdotessa che t’adori, senza un popolo che s’inchini a rivolgerti preghiere e offerte, ti sentiresti abbandonato, sminuito. Un dio muore quando è rinnegato dai comuni mortali...  questo è il tuo punto debole, caro zio Sanguine. Senza Tamriel non sei nessuno”.
“Hai colto nel segno.”  Anziché scoraggiarlo, se possibile, l’aveva reso ancora più ardito nel suo intento. Si sfregava il mento con il pollice e l’indice, pensieroso, in procinto di esternare chissà quale risposta. Invece, preferì avvicinarsi a lei ed abbracciarla, farle sentire il calore del suo corpo. “Sei più bisbetica di quanto immaginassi, per questo mi piaci. Diamine, avremo l’eternità per baccagliare, ed io avrò l’eternità per domarti e farti stare in silenzio. Ti mancherebbe la forza per controbattere, te lo assicuro.”
Dorisa nascose le guance sotto il lungo collo della tunica, per mascherare l’imbarazzo. Se in quel momento fosse stato Sam – Sam il mortale e non il principe Sanguine – a punzecchiarla con battute di dubbio gusto, molto probabilmente avrebbe reagito allo stesso modo, sperando che prima o poi si fosse deciso ad indossare l’amuleto di Mara. E allora sì, lei avrebbe tirato fuori il suo e, con fare evasivo, gli avrebbe fatto notare la coincidenza. Nelle dolci fantasticherie quotidiane, in un sogno ad occhi aperti, sarebbe andata così. Dopo il matrimonio avrebbero acquistato una casa a Winterhold, messo su un negozio e venduto ingredienti e ricette ai maghi di passaggio.
Un sogno dolce e tenero, e sarebbe rimasto tale.
“Sei una creatura infernale, un demone spregevole. Azura ha la mia fedeltà, la mia devozione. Io... non ti devo niente, se non ore di sconforto e lacrime nei momenti di solitudine. Cerchi i mortali e ti diverti a sobillare le pulsioni latenti. Ci sono donne che sarebbero onorate di entrare in commercio con te, io non voglio, io non...”
Il dolore sembrò ravvivarsi all’improvviso. Il nobile guerriero – Sanguine sotto mentite spoglie – le afferrò il viso e prese a baciarle la fronte, gli occhi, prima che da essi sgorgasse un fiotto di lacrime.
“Stupida, non capisci. Io ero Sam. Hai sempre parlato con me, riso per me. Vai un po’ oltre chi è chi, quello non conta. Invece, se il tuo problema parte dal naso... be’, non posso farci nulla. I miei vizi sono noti a tutti,  a quanto pare mi si perdonano facilmente le altre debolezze, ma non la puzza di vino e tabacco.”
L’incanto stava funzionando alla perfezione: razionalmente si sentiva raggirata, ma le emozioni la spronavano a non rinchiudersi in banali pregiudizi.
“Ci siamo quasi,” le sussurrò all’orecchio, lambendole il contorno con la punta della lingua, “mi sono dimenticato di dirti che non tutte possono servirmi come ancelle. Bisogna che esse siano anime semplici... e innamorate. Tu mi ami, Dorisa? Ti prometto soltanto ciò che posso offrire, e nient’altro. L’unica forma di amore concepita da Sanguine, quella che m’appartiene”.
Scomparve la pietra imbiancata sotto gli stivali di pelle, si dissolse il velo di neve sulle spalle, il sole pallido a far luce sul colonnato. Ecco, invece, un camino invitante; un soppalco di legno scolpito, l’odore di zuppa in un calderone che prometteva un pranzo gustoso.
L’elfa oscura si guardò intorno, sorpresa, rassicurata. La casetta era umile, ma accogliente, proprio come l’aveva desiderata. Per il momento ignorava la presenza del principe daedrico, e la mano che si posava sul nastro che le raccoglieva i capelli.
“Ti piace?” Dorisa osservò il liuto, adagiato accanto alla credenza, e immaginò le sue dita sullo strumento. Sanguine sorrise, godendosi la vista dei lunghi capelli sulle spalle. “Qui avverrà la tua iniziazione: un’esperienza un po’ particolare, sono sicuro che poi ti piacerà. Entrambi i sessi ti chiederanno d’invocarmi, di favorirli nei loro giochi appassionati, perché io sarò con te, e tu una parte di me. Dolcezza, hai svolto il servizio superando le aspettative, finalmente riceverai la Rosa in cambio di... un altro fiore. Sei ancora in tempo per tornare indietro, non è detto però che io mi lasci convincere. Nel tuo caso non accetto rifiuti.”
“Perché hai insistito tanto?”
“Hm...” Era in grado di leggerle la mente, e lei non poteva fare altrettanto. Si voltò per guardarlo negli occhi, non identificò nessun altro sentimento fuorché la passione che gli illuminava le iridi, tinte di rosso cupo; torbide quanto un vino d’annata.
“Dimmi la verità...”
“Ho ascoltato le tue richieste, e ritengo d’essere l’unico in grado di soddisfarle. Riuscirò a soddisfarti anche in altri modi... smettila di fare la ritrosa e dai un bacio a zietto. Non castighiamoci ancora, di sicuro non vedi l’ora.”
“No, non così...” Dorisa doveva venire a capo della situazione, comprendere perché Sanguine l’avesse cercata, inseguita, irretita, sedotta fino allo sfinimento. Gli posò l’indice sul labbro, lui sembrava divertito. Tenerlo sulle spine avrebbe solo rimandato la verità, e intendeva scoprirla al più presto.
“Hai ragione,” sorrise la maga, con fare lezioso, “perché non mi è mai saltato in mente di invocarti prima d’ora? Da quando ti conosco, tutto è cambiato. Sei tanto paziente con me...” gli allentò i lacci della casacca, e il principe emise un sospiro compiaciuto, “...ho ricambiato le tue premure con l’irriconoscenza. Se dev’essere, voglio vederti nella tua vera forma, non ho paura.”
“Tesoro, sapevo che il tuo talento sarebbe venuto fuori, prima o poi.”
Una foresta di fiamme l’avvolse, senza bruciarla. Si sentì tuttavia al sicuro, mentre un volto cornuto e un corpo possente, tatuato, emersero dal fuoco dell’Oblivion, premendo contro la sua figura flessuosa e morbida.
“Non immagini il fastidio che dà quell’armatura, cara.” Ridacchiò, sollevando con insolenza la toga con cui veniva raffigurato, leggera e buona solo a coprirgli i lombi. “Non ti offenderò, spero, mettendomi a mio agio.”
“Tanto non servirà ancora a lungo.” Commentò, incredula per tanta sfacciataggine.
“Ti ho già detto che mi piaci da morire, se potessi morire?” Finirono a terra, su un tappeto pacchiano, ricavato da una pelle d’orso: Sanguine armeggiava coi lacci del corsetto, le aveva già sfilato la tunica in un gesto veloce, sapiente.
Dorisa gli spettinò i capelli, così come avrebbe desiderato fare con Sam, poi sfiorò incuriosita le corna, soffermandosi ad esplorare la parte di lui più insolita per un’elfa.
Il principe oscuro sogghignava, osservando le sue reazioni mentre l’accarezzava. Le sarebbe rimasto fedele? Non ne aveva la certezza. Nutriva dei sentimenti contrastanti: cominciava ad abituarsi a lui, ad amarlo sul serio. Per certi versi era mortale, quasi quanto lei.
“Sono onorato, mia cara.” Sentenziò, in risposta ad una frase non ancora espressa a voce. Il contatto con la sua pelle d’arenaria aumentava ogni percezione, stava perdendo la cognizione della realtà e desiderava appartenergli, condividere con lui una gioia infinita.
“Padrone...” Gli gettò le braccia al collo, in un momentaneo abbandono. Sentiva la propria nudità contro la sua: non era affatto crudele, anzi, le baciava le labbra sussurrandole frasi  in una lingua sconosciuta.
Ti sto dando ciò che desideri.
Improvvisamente, uno scalpello affilato incise dei solchi nella carne – doveva essere un pugnale, il dolore si mischiava al piacere ed era insopportabile. Dorisa urlò, e si coprì il volto con l’avambraccio: dove la pelle bruciava e i muscoli dolevano, comparvero delle linee sofisticate, seducenti. Un intreccio di petali, foglie e fiori che avrebbero testimoniato a tutti il suo legame col dio: il marchio di Sanguine.
“Fermati!” Si dibatteva, mentre i tralci di rosa mettevano le radici sul suo corpo. “Non così. Lasciami andare, non voglio, non...”
Mentre la consolava leccandole la fronte cadde in una sorta d’ipnosi: riviveva una scena a cui non aveva dato troppa importanza. Si era imbattuta in un drago, un drago, ed era riuscita a sopravvivere alla furia con il fuoco.
 La bestia le aveva lacerato un braccio ed una gamba.  Il respiro si era fatto affannoso, sporadico. Le stringeva il busto con gli artigli; un pugnale – un pugnale! – era l’ultimo brandello di speranza rimasto, mentre confidava di avere abbastanza tempo per lanciare l’ultima scarica elettrica...
Un colpo al cuore, e poi l’incantesimo che l’aveva pietrificato, reso inoffensivo quanto uno spaventapasseri.
Pietrificato, non incenerito: eppure, un potere nuovo era entrato in lei, aveva risanato le ferite. Era il drago, l’anima del drago.
Tornò al Collegio senza dire una parola. A lei sembrava normale, più che normale.
L’immagine svanì, e subito fu rimpiazzata da una proiezione immaginaria di se stessa: sicura, fiera. La pelle ricoperta di tatuaggi, le rose di Sanguine, di fronte ad un altare eretto in una zona remota di Skyrim.
Ovunque andasse, in qualunque taverna soggiornasse, uomini e donne le chiedevano di intercedere per loro.
 “Parlagli di me, ti ascolterà”.
La gente di Tamriel aveva riscoperto il piacere nella notte:  acerrimi nemici gettavano le armi per indulgere nel desiderio. La timida servetta con l’uomo di ventura, il commerciante onesto e devoto agli Otto Déi con l’infame meretrice, una giovane altmer col proprio aguzzino Thalmor.
Al suo passaggio un cozzare di boccali, un tripudio di profumi, cibi prelibati, canti orgiastici.
“Lei, il Sangue di Drago. E Sanguine, sua guida e protettore!”
Aveva compreso, sì – ora le era tutto chiaro!
“No, non farò ciò che chiedi. Lo scambio è iniquo, non mi piegherò... mai e poi mai!”
“Troppo tardi,” il principe daedrico le rinfacciò le proteste con un sorriso sornione, “non amo lasciare a metà quello che inizio. Quindi, non mi pianterai in asso proprio sul più bello: accetta il marchio, accoglimi con te, in te...”
I vetri s’infransero, le mura di quella docile illusione crollarono e tutt’a un tratto fu libera, libera. Cosa poteva essere? Forse un tuono, una bufera di neve, invece... era la sua voce. Aveva pronunciato delle sillabe ignote, tutte le energie si riversarono contro il principe della dissolutezza, che fu sbalzato via proprio quando stava per avere la meglio.
“Mm. Hai un bel caratterino, ragazza.”
“Io... io, cosa ho fatto? Ah.”
Sanguine si rialzò in piedi, scrollandosi la polvere da dosso in un gesto stizzito. Dorisa si coprì gli occhi, imbarazzata. Mentre erano distesi sul tappeto non era riuscita a scorgere la sua virilità, ora completamente esposta.
“Non giocare alla damina innocente, brutta imbrogliona. Cosa ti aspettavi, una lista della spesa? La storia dell’ape e dei fiori? Desideravi maggiore... chiarezza? No, non ti ho ingannata. Se intendi ridefinire i termini dell’accordo, invece...” e curvò le spalle, frustrato, “mi toccherà farlo, dato che adesso conosci il tuo... potere ”.
“Ho superato delle prove, molto probabilmente rischierò la vita...” ipotizzava, inginocchiata a terra, “non farai altrimenti”.
“Vuoi che ti accompagni ad ammazzare un paio di draghi? Affare fatt...”
“No.” Dorisa scosse il capo, amareggiata. “No. Vivrai da comune mortale le stesse umiliazioni che ho subito, e dovrai dimostrare affetto oltre ogni forma di interesse e vanagloria, se mi desideri come ancella. Non mi congiungerò a te senza un pegno d’amore. Quando riceverò il dono, seguirò la strada presagita. Dovrai dimostrare di amarmi col cuore. Amarmi, capisci?”
Amarmi. Facile a dirsi, aveva ben altri piani mentre la guardava chinarsi da dietro, a raccogliere i vestiti. L’eccitazione gli inondava il basso ventre, chissà se la piccola dunmer era al corrente di quale effetto devastante avesse su di lui.
Doveva essere dolce, carina. Spietata e temibile coi nemici, uno zuccherino col suo amato zietto. Invece... è un maledetto mostro! L’immagine fatta e finita di Azura. Anch’io avrò la mia campionessa, un’eroina che farà la storia. E per ricevere onori e libagioni sarei disposto a tutto, persino ad accondiscendere a una cosa così... degradante. Non mi lascerò sfuggire una preda tanto appetitosa, no. È da secoli che attendo un’occasione simile!
 
Meditava seduta a letto, di fronte un libro e con l’alambicco di mastro Tolfdir sul tavolo delle pozioni. Dimenticava spesso l’occorrente da distillazione in giro, e quando poteva, Dorisa era sempre lieta di dargli una mano e seguirlo nelle faccende quotidiane. Stava vivendo una tregua, seppur piacevole: aveva comprato una piccola abitazione a Winterhold, ma la casa era ancora spoglia di arredi e richiedeva una pulizia a fondo. Presto o tardi, Dorisa avrebbe ingaggiato qualcuno per darle una mano a sistemare le cose, anche se conosceva già qualcuno a cui affibbiare il lavoro di manovalanza.
Aveva preso un cane per fare la guardia all’abitazione: il fedele compagno l’accoglieva sempre scodinzolando, quando tornava a casa – la sua futura casa – per accertarsi che stesse bene.
Quelle notti, comunque, erano state più fredde del solito. Col permesso dell’Arcimago e di Mirabelle aveva portato il segugio con sé; ma aveva notato un certo astio da parte di Ancano, il consigliere Thalmor, che disapprovava del tutto la presenza di animale domestico tra le mura del Collegio.
“Non preoccuparti,” gli diceva, arruffandogli il pelo e rivivendo con amarezza quel momento... i capelli di Sanguine, la loro consistenza, “prima o poi andremo via da qui. Non mi piace quello che sta succedendo ultimamente, quell’altmer pensa di essere il padrone, ci tratta alla stregua di un branco di marionette”.
Si sentiva a disagio, osservata. Non era Ancano, però, ad alimentare l’inquietudine. Sembrava che qualcuno stesse aspettando nell’ombra il momento propizio per rivelarsi: aveva il marchio di Sanguine impresso dentro di lei, sebbene non fosse ancora pronta ad accettare un roseto purpureo sulla pelle.
Il segugio si portò sulle zampe, e vagò per la stanza innervosito, annusando qui e lì. Anche Dorisa stette all’erta, rintanandosi verso la spalliera del letto.
“Dimmi, amico mio. Cos’è che senti?” L’aveva addestrato bene. Per fortuna, era capace di fiutare odore di zolfo e Daedra a leghe di distanza, per non parlare di quanto fossero sensibili gli altri sensi.
“Calmo, calmo. Va tutto bene.” Dorisa balzò giù dal letto, chiuse il libro e s’avventurò al di là di quelle pareti sicure, confortanti.
Udì uno scalpiccio leggero, passi piccoli e concitati. La porta fu sollevata leggermente dalla maniglia, per non far cigolare i cardini, poi accompagnata affinché non sbattesse. Una figura incappucciata si dirigeva verso i barili e le casse di legno accatastate all’angolo del portico. Saltellando felice, al settimo cielo.
Brelyna! L’elfa oscura si rassegnò a seguire l’amica, distanziandola appena.
Un gridolino smorzato la spaventò a morte, facendola sobbalzare. Sembrava, però, che Brelyna non fosse in pericolo, e neanche molto sorpresa di fronte alla figura sconosciuta, avvolta nelle tenebre.
“Mi dispiace,” sussurrò l’elfa, carezzevole, “detesto tutto questo, sai quanto sono prevenuti sulla nostra relazione. Vorrei trascorrere più tempo insieme a te, dimmi... come vanno le cose lì?”
“Un tedio immane,” fece di rimando la voce cavernosa, mentre un’unghia affilata giocherellava sui suoi seni morbidi, “ho accettato di venire qui non di buon grado, poiché il mio Signore me l’ha ordinato. Poi ho trovato te. Luce dei miei occhi! Splendente cristallo! A quanto pare, nessuna novità. Tutto procede come al solito, anche se ormai varcare il portale tra i due mondi  è soltanto una scusa per incontrarti.”
“Ricordo la prima volta,” pareva che pronunciasse i versi di una poesia, “non stavi esultando di gioia, temevi che le andassi a spifferare tutto – in realtà, non intendevo danneggiarti. Ho faticato a convincermi dell’accaduto: tutto ciò è impossibile... ma un legame tra il tuo popolo e gli abitanti di questo regno è sempre esistito. Sai, le prime volte ero sconcertata: mi aiutavi a progredire in Evocazione senza chiedere nulla in cambio. Sono solo un diversivo – mi dicevo – e in tutto questo vi è un secondo fine. Invece... mai un patto si è rivelato così dolce e tenero. Ricordo quando hai rivelato il prezzo delle lezioni di magia, un semplice bacio, il primo di una lunga serie. Adesso continui ad ammorbarmi coi soliti discorsi sulla famiglia numerosa, sei più tradizionalista di mio nonno! Rallegrati, sono onorata di potermi unire al Comandante della Guardia di un potente principe...”
“Ti amo, Brelyna.”
Un dremora grande e grosso, armato di tutto punto, sconfitto da una fanciulla indifesa. Gongolava con aria infantile, tra le braccia dell’innamorata. Come spia non valeva un soldo, però il principe avrebbe approvato un capovolgimento delle parti tanto inaspettato.
“Avrai il mio cuore di pietra, la mia spada affilata, spargerò sul tuo florido corpo il sangue del nemico al culmine della passione, considerami tuo servo, incatenami...”
“Ah ehm.” Il compagno peloso ringhiava, pronto a mordere. Lei si sentiva semplicemente di troppo. “Dunque eri tu a tenermi il fiato sul collo. A quanto pare, ti sei perso per strada...”
Il dremora non sguainò la spada: strinse a sé l’amata in un gesto protettivo, nascondendola alla vista della compagna.
“Sì, è me che dovrai affrontare, se non accetti il tuo destino... e le volontà del mio Signore. Attende di essere evocato, tanta pazienza giungerà a termine, è bene tenerlo a mente.”
“Vyndak, caro.” La schiena del demone s’inarcò, quando Brelyna posò una mano sul cinturone. “Dorisa sa bene cosa fare, non si sente ancora pronta. Di’ al tuo Sovrano che un’immensa felicità, per esser tale, necessita tempo e preparativi. Sta sistemando le cose, presto potrà accorrere da lei.”
“Hph.” Vyndak sbuffò, indispettito. “Così sia. Tornerò a palazzo e farò rapporto. Non vedo l’ora di gustare le tue tortine di bacche, saranno... deliziose”.
Dorisa sgranò gli occhi, allibita. Quei due si comportavano come se fossero già marito e moglie. Anche il cane s’era accovacciato a terra, insonnolito.
“Fai buon viaggio, caro. Ti aspetto domani sera!”
Svanì in una nube di fumo giallo e rosso, recuperando quel poco di serietà rimastagli. Brelyna agitava la mano, alquanto amareggiata.
“Mi devi spiegare un paio di cose... da quando va avanti questa storia?”
“Mesi, ormai.” Replicò con candore l’altra dunmer. “Dopo il tuo ritorno a Winterhold, solo allora ha cominciato a manifestarsi. All’inizio m’incuteva paura, poi... be’, hai ben presente. Non c’è bisogno che mi riassumi l’intera vicenda, so tutto.”
“Oh, perfetto. Mal comune, mezzo gaudio.”
“Ha ragione, comunque,” Brelyna strinse le braccia al petto, rimproverandola, “risolvi la questione aperta quanto prima. I Daedra non amano essere contraddetti, soprattutto se nutrono una profonda sete d’ambizione”.
“Non tireresti le somme tanto in fretta, se non ci fosse il tuo bel Vyndak a ronzarti attorno.”
“Mm.” Brelyna s’accigliò, se desiderava partire alla volta di un indefinito regno daedrico in compagnia dell’amante, perché non farlo e basta? “Non voglio che il principe se la prenda con lui. Verrà redarguito, nel peggiore dei casi declassato, frustato per secoli...”
“Calma, calma. Invocherò Sanguine e sistemerò tutto. Sono stanca di queste baggianate. Se ci sarà qualcuno da biasimare, sarò io, io soltanto. Non c’entri nulla in questa storia, Brelyna. Per quanto riguarda la vostra... relazione, invece, non hai nulla da temere. Il tuo segreto è al sicuro, e anche il mio.”
“Sapevo che avresti capito!” Esultò, giungendo le mani al petto.
Qualcosa mi dice che sono stata doppiamente incastrata, pensò Dorisa. Neanche in un romanzo cavalleresco avrebbe trovato tanti colpi di scena.

 

Come promesso, eccomi di ritorno. :) Sì, ho diviso la storia in ulteriori capitoli per rendervi più agevole la lettura, ma abbassate quella frusta e mostratemi un po’ di pietà. L’ho finita, è completa! Sto revisionando tutte le parti per benino prima di mettere online il resto, se è possibile cerco di snellire qualche frase. Ho provato ad usare un linguaggio più irriverente, ad alternare le parti tipicamente fantasy con quelle comiche. La trama è un miscuglio di generi, ma spero che vi possa piacere lo stesso.
Una nota molto importante, che anticipo adesso ed approfondirò dopo: per descrivere i Daedra, ho preso come riferimento le divinità greche, che mi sembravano simili per contesto, carattere e comportamenti. Essendo il principe del peccato e della dissolutezza, ho associato Sanguine a Dioniso. Non me ne vogliate a male, però. ;)
A dopo. :)


 
  
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