Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Koa__    09/03/2015    4 recensioni
#Blackbeard, King of Pirate
#Me, you and nobody else
#The old story of "East wind coming..."
#Down in a dark well Terza classificata al contest 'Pensami' indetto da DonnieTZ
#Obsession
#Losing Control
#My brother is a murderer
#Upside down
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Lestrade, Mycroft Holmes, Redbeard, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Personaggi: Mycroft Holmes; Nuovo Personaggio
Avvertimenti: Contiene citazioni Mystrade. La parte finale è in forma di text!fic. Si tratta di un post di tutto quello che ho raccontato fino ad ora ovvero Sherrinford ha già tentato di uccidere Sherlock.
Note: La prima parte è composta esclusivamente da un breve dialogo, che non ho mai retto esternamente. L’ho lasciato così. Perché volevo che fosse interpretativo. Immaginatevi, da parte di Mycroft, il tono che preferite. Non ho voluto, lì in quel momento, imporre una mia visione del personaggio. Però è chiaro che tra una battuta e l’altra ci sono delle pause e la voce andrebbe intonata nel giusto modo.
Intro: Tuo fratello è un assassino. E non ti importa se il delitto per il quale lo condanni, non sia mai stato materialmente commesso, a te sono sufficienti le intenzioni. E Sherrinford voleva uccidere Sherlock. Basta questo a fare di lui un nemico.





 
My brother
is a murderer




«Non so davvero cosa faccio qui.»
«Lei è venuto da me, Mr Holmes, mi dica il motivo.»
«Deve esserci un motivo dietro una richiesta del genere?»
«Me lo dica lei. Anzi, facciamo così: in poche parole mi racconti cos’è successo durante l’ultima settimana.»
«Poche parole?»
«Ci provi.»
«Dottoressa, occorrerebbe ben più dell’ora che abbiamo a disposizione per esporre a dovere i fatti che mi hanno condotto qui da lei.»
«Mr Holmes, non prendiamoci in giro e sia onesto almeno quando è in questa stanza. Lei è un uomo di cultura ed è anche estremamente intelligente, sono certa che abbia focalizzato la radice del problema o ciò che ritiene possa esserlo. Pertanto la esprima, me la dica. In cinque parole: perché lei ha richiesto i miei servizi?»
«Cinque… mio fratello è un assassino.»



 
*


 
C’è il ticchettio di un orologio ‒ sistemato sulla scrivania assieme a pile scartoffie radunate in cartellette di svariati colori, fotografie in cornici d’argento ed un bicchiere d’acqua riempito a metà che ti è stato gentilmente offerto ‒ a spezzare il silenzio. Sono piccole lancette nere che scoccano a rapida velocità su di un quadrante bianco, in quella che pare essere una sveglia dei primi del novecento. Essa scandisce i secondi uno dopo l’altro, come se il tempo stesso volesse ricordarti che non puoi sfuggire e non esiste maniera alcuna scappare e non solo da lui, ma soprattutto da quelli che sono i tuoi pensieri. Sei stranamente infastidito da tutto ciò che ti circonda ad iniziare dalla psicologa di cui tu hai richiesto l’aiuto. Per non parlare poi dell’idea, odiosa, che nemmeno le lancette di un orologio vogliano lasciarti in pace. Tutto ciò ciò ti infastidisce al punto da provocarti un principio di mal di testa che già si propaga appena dalle tempie pulsanti, ramificandosi ovunque. Tenti di sedarlo, ovviamente, ma sai che non è possibile visto che il male già si esteso ed ora ti duole persino la base del collo. Quindi ti limiti a quello che è un palliativo e ti porti una mano alla fronte massaggiandola con delicatezza, prima di deciderti finalmente a sollevare lo sguardo sulla dottoressa che, seduta dal lato opposto alla scrivania, ti scruta da dietro un paio di occhiali da lettura calati sul naso. Tiene le dita intrecciate sotto al mento e di tanto in tanto arriccia le labbra, come se stesse traendo delle conclusioni su di te che non le piacciono affatto, fatto assolutamente prevedibile. Oltre che, naturalmente, piuttosto irritante. Sai benissimo che le persone a cui piaci si contano sulle dita di una mano, compresi i tuoi genitori sui quali però preferisci non soffermarti. Non è mai stato un problema l'essere detestato, però oggi stranamente l’idea che quella donna ti stia giudicando ti dà fastidio in una maniera che è piuttosto insolita. Ti è chiaro che il mal di testa che ti fa dolore le tempie non è dato dalla stanchezza, ma dall’irritazione per la situazione in cui sei andato a cacciarti, tutte quelle emozioni incontrollate hanno avuto su di te un effetto piuttosto indesiderato. Potevi fregartene e andare avanti con la tua vita, proseguire con il tuo lavoro senza badare a niente fuorché a te stesso, potevi rinchiudere i sensi di colpa da qualche parte nella tua mente e sperare che da lì non ne uscisse più niente, potevi certo, ma non l’hai fatto. Hai deciso di affrontarli e di farlo nel modo più umano che esista, nella maniera meno da Holmes ovvero andando da una psicologa. Ed è colpa tua, il tuo trovarti lì in questo momento e lo realizzi in un frangente mentre posi lo sguardo sulla sveglia che ticchetta, impudente, scandendo i secondi con inglese precisione. È colpa tua e del tuo non riuscire mai a dire no, quando sono determinate persone a chiederti qualche cosa. Dopo quanto accaduto con Sherrinford, ti sei ritrovato con delle emozioni che non ne volevano sapere di restare sepolte ed un controllo su di esse decisamente troppo labile; tu sei Mycroft Holmes e hai un decoro da gestire, un’immagine alla quale sottostare. A stento riuscivi a lavorare, è quanto indegnamente ammetti a te stesso mentre, imperterrita, la tua mano ancora massaggia la fronte sfregandola con poca grazia. Pertanto, ora della fine, hai ceduto e hai scelto la psicologa migliore di Londra. Colei che reputavi all’altezza di un compito che chiunque altro avrebbe ritenuto impossibile, sai benissimo che se avessi scelto un idiota non avresti resistito neanche un secondo in sua compagnia e, anzi, probabilmente chiunque altro non ti avrebbe mai accettato come paziente. Lo sai perché è sempre così, con le persone, essi ti giudicano per ciò che fai vedere loro. Anche se non li puoi biasimare, se quel che mostri è gelo e freddezza; come pretendi che qualcuno riesca a scorgere ciò che c’è sotto? I pochi individui con i quali riesci a convivere per più di una manciata di secondi senza cadere nella noia, si contano su due dita e uno di questi è tuo fratello. Pertanto sì, hai scelto la più brava, la più quotata e quindi non ha nessun senso stupirsi del fatto che in pochi istanti di conversazione, è riuscita a tirar fuori la prima e crudele verità. Ciò che ti ha condotto da lei, ovvero che tuo fratello è un assassino. E tu ora sei lì a renderti conto d’aver scelto il miglior psicologo in circolazione, ma ben conscio che lei non riuscirà mai ad apprezzarti per ciò che sei. E forse non è nemmeno il suo compito. Dovreste esserne contenti, tu e la tua inappetenza emotiva, quella di cui ti vanti al pari di una preda catturata dopo una battuta di caccia. La tua fredda logica è quanto permetti agli altri di cogliere del tuo carattere, tutto ciò che lasci intravedere del tuo essere e non devi sorprenderti se anche qualcuno di esperto come la dottoressa Abbley non riesca a vedere altro. Una parte di te è convinta che già tu abbia detto tutto quanto, che in quelle cinque parole pronunciate a mezza bocca ci sia già quello che provi, quello che senti. Percepisci un discreto sollievo nell’aver detto che tuo fratello è un assassino; che altro vuole ora quella donna da te? Sei sempre stato riservato e fin dall’infanzia quando non ti aprivi neanche con i tuoi genitori. Ciò che non ritieni necessario spiegare è che il tuo apparire di ghiaccio, esiste perché è così che deve essere. Il tuo mestiere è composto di mezze frasi, piccoli ricatti, è spesso un tango delicato da ballare con violenza pur restando eleganti, è una partita a scacchi fatta di mosse e contromosse, è una guerra spietata che combatti da solo perché no, non puoi permettere che il tuo Re venga lasciato scoperto. Occorre mente libera e pugno di ferro. Specie considerando che sei Mycroft Holmes e di Re da proteggere ne hai più d'uno. [1] Quindi ti mascheri e ti nascondi: chi vuole arrivare a te deve sfogliare pagina dopo pagina, deve prestare estrema attenzione ai più piccoli dettagli e, soprattutto, deve avere pazienza. Per questo ti senti sempre così al sicuro perché le persone tendono a non vedere. Ma questa donna che ora ti fissa con fare curioso, non è un individuo come tanti. Lei è scaltra e intelligente e a stanare quelli come te non impiega poi tanta fatica. Non le piaci. Il che lo capisci da piccoli dettagli, di tanto in tanto si riscuote bruscamente da quei pensieri che ne rapiscono appena lo sguardo, e prende a scrivere una qualche parola sul taccuino in pelle che tiene alla sua sinistra. È mancina, e il pensiero ti travolge come in un lampo che ti attraversa la mente. Lo sapevi, lo hai notato alla prima occhiata quando ti ha invitato a sederti con un cenno del braccio appena percettibile, mancina, sposata, due figli sui venti, scrive molto, legge con una certa frequenza, è profondamente conservatrice e ha tre cani di piccola taglia. Niente di eccezionale, nel privato è banale e comune come tante altre persone. In effetti di lei hai analizzato tutto, così come fai ora con la sua scrittura che è svelta e spiccia. Sei infastidito perché sai perfettamente cosa pensa di te e non solo perché sei in grado di leggere al rovescio, ma perché sei sufficientemente intelligente da riuscire dedurre le altre persone. E c’è una nota leggera di rimprovero in quegli occhi dai toni verdi. Ti è chiaro che cosa voglia trasmetterti con quell’espressione seccata che ha in viso, è consapevole di star perdendo del tempo prezioso. Lei, così come te, non nutre grandi speranze per questi incontri. Sei drasticamente sincero nell’ammetterlo a te stesso, il che è esattamente ciò che hai detto a Gregory quando ti ha suggerito di andare da uno psicologo che ti aiutasse. Già, perché un fratello che tenta di ucciderne un altro non è esattamente un qualcosa che accade tutti i giorni. In questo caso, poi, la faccenda è ancora più complessa dato che te ne stai dando la colpa e che la notte fatichi a prendere sonno.

«Quale dei suoi fratelli sarebbe la vittima?»
«Sherly» rispondi, distogliendo vigliaccamente lo sguardo da lei.
«Sherlock Holmes non è morto» esordisce, dopo attimi di tragico silenzio durante il quale hai la sensazione che abbia studiato te, esattamente come tu hai fatto con lei.
«No, non lo è» annuisci, accavallando le gambe con un movimento fluido ed elegante mentre ti lasci cadere all’indietro scontrandoti con lo schienale. Non è la postura di uno che si è arreso, anzi, sei sulla difensiva e per non restare ancora fermo in questa odiosa immobilità che si sta pericolosamente instaurando tra voi, contrattacchi come se la stessi mettendo alla prova. Ma non è la dottoressa Abbley ad essere sul banco dei testimoni, l’unico accusato qui non sei altri che tu. Tu che hai condannato Sherrinford per le sue intenzioni e non per i fatti, andando contro a tutto ciò in cui hai sempre creduto e soltanto perché ha osato pensare di poter toccare il tuo preziosissimo Sherly.
«Come mai considera Sherrinford un assassino?» A questa domanda non rispondi immediatamente. Sei ancora sulla difensiva e non ti decidi a lasciarti andare. Sei stranamente controllato e molto più di quanto tu non lo sia stato negli ultimi giorni, e sai di star sbagliando nel comportarti in questo modo. Perché invece che aprire il tuo cuore e mettere un freno alla tua follia, confessandola una volta per tutte, studi la psicologa e la deduci come se si trovasse lei sotto accusa. Di fatto, la dottoressa aveva ragione quando ti ha ricordato che sei tu ad averla richiesta. Eri sicuro di aver compiuto un enorme passo in avanti nel momento in cui hai dato retta a Gregory e hai preso un appuntamento per una prima seduta, ora però già ti stai tirando indietro. E no, non pensi che visto che sei lì, tanto valga parlare. Al contrario, tutto ciò che vuoi fare è andartene.
«Mycroft; mi premette di chiamarla così?» Nemmeno a questo rispondi, ti limiti soltanto ad annuire e lo fai in modo annoiato. Non concedi a tutti il permesso di chiamarti per nome, hai annoverato tra le poche persone la tua famiglia e la Regina Elisabetta, perciò speri che la dottoressa riesca a capire che gli stai concedendo un grande onore. Cosa che ovviamente dai per scontata e non ti soffermi a sottolineare, dovrebbe essere chiaro (almeno per te lo è).
«Non deve pensare che io la giudicherò» prosegue lei, andando diretta al punto in una maniera che reputi quasi spietata, sfacciata. Come ha fatto a capire su quale nodo ti stavi corrucciando? E perché adesso ti fissa con nello sguardo una nota di dolcezza che prima non aveva? Ti sta forse compatendo?
«Ho notato che sta leggendo dal mio taccuino» prosegue, stirando un sorriso lieve «sappia che il mio unico interesse è quello di aiutarla ad esprimere le sue emozioni, nient’altro. Quindi le pongo di nuovo la domanda che le ho fatto poco fa; a quale dei suoi fratelli si riferisce? Chi è l’assassino?» Trovi, non sai dove, il coraggio di spostare lo sguardo su di lei, è ora speranzosa e desiderosa che tu ti apra finalmente. È ciò che dovresti davvero fare, ti suggerisce quella vocina nella tua testa che somiglia in modo impressionante a quella di Gregory. Lui ti urla, quasi implora, di parlare. Provi a scacciarlo, in un tentativo disperato, ma non ci riesci perché imperterrito lui grida e si divincola a quelle catene che ora gli hai stretto attorno ai polsi, ficcandolo in uno scantinato buio ed angusto. Anche da lì lo senti, perché la sua voce è potente e forte, è la voce del tuo buon senso: quello che stai tentando di mettere a tacere e che più allontani, più forte urla. Chiudi gli occhi e inspiri lentamente, immagini Gregory seduto al tuo fianco che ti stringe la mano e che silente ti sostiene. L'idea ti aiuta.  
«Sherrinford» annuisci, sconfitto. Il fatto è che hanno ragione, tutti loro: la psicologa, John, Gregory… la tua coscienza. È necessario, è vitale, che tu risolva questa situazione, anche se te ne vergogni, anche se l’idea ti imbarazza lo devi fare. In ogni caso anche se lei ti giudicasse malamente a te non importerebbe nulla, non ti è mai interessato niente dell’opinione degli altri; perché il parere personale di una psicologa dovrebbe contare di più?
«Molto bene, Mycroft, ora mi spieghi» annuisce, esortandoti a proseguire.
«Qualche giorno, Sherrinford fa ha tentato di uccidere Sherlock. Non è successo niente ed entrambi stanno bene, io fortunatamente sono arrivato in tempo.»
«Suo fratello è perciò imperdonabile?»
«Esatto» annuisci, lentamente prima di incupirti di nuovo. Il tuo sguardo si fa torvo e oscuro, ogni sensazione negativa provata negli ultimi giorni e faticosamente soppressa, sta riemergendo di nuovo. Sono quei sentimenti orrendi e che non vuoi provare ancora, perché ti feriscono e ti fanno male molto più di quanto vorresti. È un miscuglio strano di emozioni diverse, innanzitutto c’è il senso di colpa per aver ridotto Sherrinford ad un assassino. Sei la causa di tutto quanto è accaduto, dell’ossessione, della pazzia, ma non è tutto qui. Tu soprattutto provi paura, ancora adesso sei scosso dal terrore. Un terrore che cerchi di celare e che ti si manifesta con una mano che trema vistosamente. Tenti di nasconderla e ti copri, provi a non fargliela vedere sperando che serva a qualcosa. Riprendi il controllo, riprendilo! Ricorda cos’è successo l’ultima volta che hai permesso alle tue emozioni di sopraffarti e non deve succedere un’altra volta, chissà cosa potresti fare preda della tua follia. Potresti diventare un pazzo, un folle succube di rabbia e terrore, potresti diventare come Sherr... già, infine lo hai ammesso, è di questo che hai paura. Temi di diventare come tuo fratello.

«Mycroft.» La voce della dottoressa è più di un sussurro, ma tanto basta affinché ti riscuota dai tuoi pensieri. Sollevi lo sguardo e ti sorprendi nel trovarla seduta accanto a te, non è più dall’altra parte della scrivania. Il suo atteggiamento è atipico, ma forse è consequenziale al fatto che tu non sei un paziente come tutti gli altri. La dottoressa è conscia di dover tirare fuori il massimo da questo incontro perché potresti non tornare mai più, quindi osa e fa cadere quel velo che la separa dai suoi pazienti e ti viene incontro. Nonostante tu sia preda dei sentimenti e quindi molto poco lucido, riesci comunque a sorprenderti. L’atteggiamento che mostra è insolito: non sorride, non tenta di essere rassicurante e di questo gliene sei enormemente grato, perché non desideri finti sentimenti o marcato buonismo, vuoi la verità anche se dura e lei te la sta offrendo. Lei, semplicemente, ti guarda. È seria e determinata, aggressiva per certi versi e la sua voce è tagliente, seppur bassa e melliflua, è carica di toni duri e severi.
«Mycroft, lo deve dire» tuona, in un sussurro. «Suo fratello ha tentato di uccidere Sherlock Holmes ed è un fatto gravissimo e tragico, mi rendo conto di non poter in nessun modo capire che cosa si prova ad essere nei suoi panni, ma io non sono qui per empatizzarla, non sono qui per comprenderla, sono qui per aiutarla ad esprimere le sue emozioni. Lo dica. Dica come questo tentato omicidio la fa sentire. È arrabbiato? È furioso? Non le chiedo di rispondermi adesso, in questo momento, ha tutto il tempo che desidera. Ma se lei al termine di quest’ora mi avrà detto come si sente, allora potrà dire d’aver fatto un gigantesco passo in avanti.»
«Come mi sento…» borbotti, massaggiandoti la fronte imperlata appena di sudore. Ancora le tue mani tremano, ti rendi conto. Sei nervoso e agitato, hai lo stomaco serrato in una morsa e il cuore che batte ed è furioso nel farlo, galoppa e ti fa sentire agitato. Ti bagni le labbra, una, due, tre, quattro volte: hai sete e bevi un sorso d’acqua, ma il senso di nausea invece che scemare aumenta e ti fa girar la testa. Un lato di te desidera ancora scappare, fuggire lontano e rintanarsi nel tuo amato Diogenes club per non uscirne mai più. Eppure c’è qualcosa che ti tiene ancorato lì dove stai ed è la speranza, è l’idea che ti frulla in testa già da qualche istante che la dottoressa abbia ragione e che esprimere le tue emozioni, potrebbe aiutarti in qualcosa. Dovresti andartene, ma non ce la fai e rimani ancorato su quella sedia con le dita strette ai braccioli, aggrappandoti ad essi con disperazione. E quando finalmente decidi di parlare stupisci persino te stesso, non pensavi che l’avresti fatto tanto rapidamente.
«È solo colpa mia» confessi, infine nascondendo il viso tra le mani, provi vergogna. «Quel che è successo è colpa mia e di nessun altro» sputi fuori, ancora ed è una sensazione strana perché è come se ti sentissi appena più leggero. «Io mi rendo perfettamente conto di essere l’unico responsabile e sono pronto a pagare per gli sbagli che ho commesso. Io avrei dovuto saperlo. Vede, quando eravamo bambini non eravamo poi tanto diversi da un punto di vista caratteriale, avevamo la tendenza ad essere piuttosto riservati. Sherly però era diverso da me e da Sherrinford. Almeno fino alla prima adolescenza, era vivace ed espansivo. Sembrava essere felice per tutto quel che gli capitava e non si faceva problemi a mostrare le sue emozioni, se voleva piangere, piangeva, quando era felice sorrideva, se voleva dirti che ti voleva bene, ti abbracciava e baciava. Lui, con me, rideva, rideva sempre. Lo invidiavo. Ammiravo il fatto che fosse così tanto intelligente, ma al tempo stesso completamente diverso da me e da Sherry. Tutto ciò che pensavo quando lo guardavo era a che cos’avessi io di sbagliato, lui era intelligente quanto me, ma era in grado di esprimere le sue emozioni; com’era possibile? A sei anni era sfacciato e provocatore, era un Holmes in tutto e per tutto. E poi, il che era assurdo, ma sembrava che gli piacessi. Non ero mai piaciuto a nessuno tranne che a lui e la cosa mi sconvolgeva, così come le mie stesse attenzioni nei suoi confronti. Per Sherrinford non ero mai stato tanto preoccupato, attento al suo benessere. Perché a Sherlock sì? Poi un giorno…» A questo punto ti fermi, la tua voce stava tremando e non te ne sei neanche accorto. Non ami ricordare quell’evento in particolare e non credevi che il tuo discorso avrebbe scatenato tutto ciò. A dire il vero non volevi nemmeno arrivare ad un punto del genere, ma tornare indietro sino alla tua infanzia ti ha riportato alla memoria determinati eventi, certe immagini che credevi di aver rimosso, sensazioni strane, atipiche, di calore e fratellanza. Una volta eravate tanto vicini, tu e Sherlock, ma ora quei ricordi ti appaiono sfuocati e pare tutto così lontano... Distante come se fosse accaduto ad un altro Mycroft, uno che non sei tu. Ad essere terrificante però è che sembra proprio che adesso tu non sia più in grado di tornare indietro. Non puoi in nessun modo arginare quel fiume in piena che sono divenuti i tuoi ricordi. Non ci riusciresti neanche nella piacevole solitudine del soggiorno di casa tua, né se avessi Gregory accanto. Tenti di mandar via il senso di nausea che ti è ritornato addosso prepotentemente, ma non riesci. Quindi scuoti la testa, quasi volessi scacciare i ricordi, ti prendi le tempie e le stringi con le dita come se sperassi di cancellare i ricordi. La dottoressa però non sembra volerti lasciare in pace e mentre tu sei quasi tentato dall’andartene, lei ti esorta a proseguire. Sai che non mollerà, che non rinuncerà proprio adesso che hai aperto uno spiraglio. E questo ricordo è importante, lei lo ha capito dall’espressione combattuta che hai ora in faccia. Hai già perso, Mycroft, già gli stai mostrando tutto quanto. Mancano soltanto le parole come coronamento di ciò che le stai facendo vedere.

«Me lo dica» ordina, con fare perentorio. E ora il suo atteggiamento non è più freddo e scostante, non ti giudica più da dietro quei piccoli occhialini, ma è come se ti stesse esortando, come se ti implorasse. Come se questa fosse la sola tua salvezza, e forse ha ragione a crederlo.
«Avevo» mormori, ma la voce ti esce insolitamente rauca tanto che non sembri nemmeno tu. «Avevo undici anni quando i miei genitori mi mandarono al college; Sherlock quattro. Ma nonostante fosse così piccolo, era già tanto intuitivo e quando un giorno vide le valige all’ingresso, capì immediatamente cosa stava accadendo. Era così affezionato a me, in un modo sorprendente e tanto che spesso la notte mi veniva a cercare e si infilava sotto le coperte. Aveva preteso che gli insegnassi a leggere e non volle l’aiuto di nessuno se non il mio, aveva due anni e mezzo quando saltò in piedi sul tavolo del soggiorno e col suo libro in mano iniziò a declamare “Il coniglio di velluto a coste”. Aveva letto e riletto quel libricino talmente tante volte, che aveva memorizzato anche le virgole. Dopo volle imparare a scrivere il suo nome e gli insegnai anche questo, il giorno del suo terzo compleanno fece vedere a tutti quanto era diventato bravo (nessuno sapeva che gli stavo insegnando, Sherly diceva che era il nostro segreto). Fu felicissimo delle congratulazioni che gli fecero, amava i complimenti e in questo non è cambiato affatto. A tre anni e mezzo volle imparare a giocare a scacchi, gli mostrai le regole del gioco e ovviamente allora non era poi tanto esperto, ma riusciva ad apprendere piuttosto rapidamente i meccanismi del gioco anche se era naturalmente molto infantile nelle tecniche. Sherlock era quel che i suoi insegnanti definivano come un bambino precoce ed entusiasta, io però non ero sorpreso dal suo essere un genio: in quanto ad intelligenza, Sherrinford non era poi diverso. Eppure, nonostante fossero simili in molte cose, Sherlock era differente. Lui mi guardava con quegli occhi… nessuno ha mai avuto quello sguardo con me. Mai per me. Per lui ero fantastico e glielo confesso, dottoressa, amavo l’idea. Adoravo il valere così tanto per qualcuno ed è vero, mi manca. Sherlock ha perduto la sua innocenza molto tempo fa e delle volte provo nostalgia per quei tempi, per quel suo guardarmi come se fossi una sorta di eroe. Ho fatto di tutto per lui, per poter riaver indietro quello sguardo, l’ho salvato anche da sé stesso eppure tutt’oggi mi pare di non averci messo abbastanza impegno. Di certo non è servito a riaverlo indietro.»
«Vuole bene a Sherlock, Mycroft?» Eri certo che ti avrebbe posto questa domanda, ma dopo quanto hai raccontato è come se l’ammetterlo ad alta voce, fosse il male minore. Non hai mai nascosto di volergli bene, di preoccuparti per lui, ma l’idea di dirlo a qualcuno ti ha sempre messo in agitazione. Ora però, nel momento in cui lo confessi, ti senti perfettamente a tuo agio.
«Sì, ma non ritengo sia un bene.»
«Come mai ne è convinto?»
«Perché voler bene a Sherlock ha portato a tutto questo; Sherrinford era ossessionato da lui per colpa mia. Forse se avessi amato di meno uno dei due o se fossi stato in grado di amare entrambi allo stesso modo, tutto questo non sarebbe accaduto.»

Pare che confessare le tue colpe sia relativamente divertente per la psicologa che tanto credevi fosse abile e in gamba, distaccata e professionale e che invece ora sorride appena, come se stesse ridendo di te e delle tue idee assurde. Ha detto che non ti avrebbe accusato o giudicato ed è riuscita a farti esprimere certi sentimenti, che probabilmente anima viva si sarebbe aspettato che ammettessi anche soltanto di provare. Ma ora che ti fissa con uno sguardo divertito e che accenna ad una risata leggera, sei quasi oltraggiato.
«Qualcosa di divertente?» le chiedi, piccato.
«Mi perdoni, Mycroft e so che è poco professionale, ma lei è un uomo estremamente atipico. Non ritenevo che una persona del suo calibro e del suo spessore intellettuale potesse ragionare in questa maniera sciocca.»
«Esattamente, in che cosa starei: ragionando in maniera sciocca?» prosegui, con tono accusatorio e decisamente infastidito.
«Mycroft» dice lei, scrollando la testa con fare di rimprovero «non è colpa sua e la mia non è una scusa per lavarle la coscienza, sono certa di quel che le sto dicendo. Il sentimento che prova verso tutta questa faccenda, il senso di colpa, è naturale e tipico per certi versi. Ma deve capire che se Sherrinford ha fatto quel che ha fatto, è a causa della sua follia. Non sono la psichiatra di suo fratello, ma i soggetti come lui si aggrapperebbero a qualsiasi cosa pur di soddisfare le loro perversioni. Il suo aver scelto un fratello a discapito di un altro può essere considerato riprovevole, ma non è condannabile in nessuna maniera. E lei è troppo intelligente per poter parlare con i se e con i ma. Deve pensare esclusivamente a ciò che è successo e a questo soltanto, ha salvato Sherlock ed è ciò a contare ogni cosa.» La dottoressa fa appena in tempo a pronunciare l’ultima parola, che la piccola sveglia antica prende a trillare, inondando la stanza con un suono acuto e fastidioso. E quando ti dice che proseguirete la prossima volta e che spera di rivederti, quasi ti dispiace che sia già tutto finito. Ciò che conta però, non è che tu sia riuscito ad incastrare un’ora nella tua fitta agenda di impegni e non ti importa nemmeno del suo sorriso cordiale prima di salutarti, la sola cosa di cui ti interessa, tutto ciò a cui badi è al fatto che quando esci dalla porta, soprabito e ombrello alla mano, ti senti molto più leggero. È come se un macigno ti avesse lasciato per sempre, sai che non è affatto tutto risolto e che avresti molto altro da dire, ma al momento conta solo la leggera brezza fresca di Londra che ti accarezza la pelle del viso e la sensazione che sia per davvero tutto finito.

 

 
*


 
Ci andrai di nuovo? SH

Ti importerebbe qualcosa? MH

Ho già un fratello pazzo, Mycroft, gradirei che la sanità mentale di almeno uno dei due venisse preservata. Allora, ci andrai ancora? SH

No. MH

Devo quindi presumere che tu abbia raggiunto il tuo scopo? SH

Sì. MH

Bene. Questo è… buono. SH

Grazie. MH

Di cosa? SH

Di avermi trattato come un eroe, di aver chiesto a me di insegnarti a leggere e scrivere. Sei sempre stato l’unico ad aver visto qualcosa di buono in me, il solo a volermi bene. Grazie, Sherly. MH
(Messaggio non inviato).

Di preoccuparti per me. MH

Non sono preoccupato!!! SH
Non lo sono per niente…
E smettila di ridere!
Ti odio, Mycroft!!! SH

 
 

Fine


[1] I Re da proteggere sono Sherlock e Greg. Il far di loro i “Re” della scacchiera mette automaticamente Mycroft nella posizione di Regina. La comparazione dei ruoli non è data dal fatto che Mycroft è una drama queen o da come viene definito di solito: una Regina (come scherzano anche John e Sherlock in “Scandal in Belgravia”), ma deriva dal fatto che negli scacchi il pezzo più importante è il Re e tutta la scacchiera capitanata (se così possiamo dire) dalla Regina fa di tutto pur di proteggerlo. Ovviamente i “Re” sono sia Sherlock che Greg perché hanno, col tempo, assunto un’importanza paritaria.

--

Infine mi soffermo per dire due parole. Scrivere questa storia è stato difficile, tanto che fino a ieri sera stavo per cancellarla. Ho impiegato tre settimane a metterla giù, è stato come un puzzle. È stato difficile riuscire a proseguire nella caratterizzazione di questo Mycroft e fino a ieri avevo un milione di dubbi, tanto che anche adesso (in parte) mi pare di non aver detto niente e che sia una storia inutile. Spero possa essere piaciuta così come le altre o più di quanto piaccia a me. Nel frattempo ringrazio chi ha inserito la raccolta tra le preferite, seguite e ricordate e un bacio a chi recensisce.
Koa
   
 
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