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Autore: My Pride    12/12/2008    9 recensioni
In my dreams I'm not so far away from home, what am I in a world so far away from home?
All my life all the time so far away from home, without you I'll be so far away from home.

«Che cos'hai?»
«Lasciami stare... non ho niente»
[ Alfons/Edward oneside ]
[ Preview Shanbara wo iku mono ]
[ Dedicata alla mia cara nee-san Liris ]
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alphons Heiderich, Edward Elric, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The Flame's name
Titolo: The flame's name
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist
Tipologia: One-shot [ 2442 parole ]
Personaggi: Alfons Heiderich, Edward Elric
Genere: Malinconico, Romantico, Triste
Rating: Arancione
Avvertimenti: Shounen ai, What if?


FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.


I'm loving living every single day, but sometimes I feel so.
I hope to find a little peace of mind, and I just want to know.
And who can heal those tiny broken hearts, and what are we to be.
Where is home on the milky way of stars, I dry my eyes again.
In my dreams I'm not so far away from home,
what am I in a world so far away from home?
[ Far away from home, Groove Coverage ]



    Anche quella notte, a causa della progettazione di quel razzo a cui stavano lavorando lui e il suo gruppo, era rimasto fuori casa troppo a lungo, e se non avesse avuto l'accortezza di ricordarsi di prendere le chiavi, la mattina stessa, avrebbe passato la notte all'addiaccio. Già un paio di giorni prima, per la sua dimenticanza, aveva dovuto svegliare il suo coinquilino. Infilò la chiave nella toppa aprendo la porta lentamente, tentando di fare il meno rumore possibile, richiudendosela altrettanto silenziosamente alle spalle prima di appendere il cappotto.
    Non ebbe il tempo di fare qualche passo nell'ingresso che fu colto da un accesso di tosse che lo costrinse a piegarsi a mezzo busto, con una mano poggiata contro il muro e l'altra a coprirsi la bocca. Quando se la portò dinnanzi agli occhi, alla debole luce della luna che filtrava dalla finestra, e a quella fioca dell'ingresso, la vide macchiata di sangue. Capitava ormai da un bel po' di tempo, e lasciò correre.
    Si ripulì con la manica della camicia gli angoli della bocca tossendo ancora leggermente, dirigendosi a passi mogi verso la cucina, dove, una volta accesa la luce, sbatté perplesso le palpebre nel vedere la figura del suo coinquilino seduta al tavolo, con la testa bionda abbandonata su di esso, e una mano convulsamente stretta intorno ad un bicchiere riempito a metà di whisky. La bottiglia di liquore, frattanto, era riversa sul bordo del tavolo, e il liquido dorato ne fuoriusciva cadendo sul pavimento, dove si era creata una pozza ambrata, proprio vicino ai piedi del ragazzo.
    Accigliato e non poco, si arrischiò a fare qualche passo verso di lui, poggiando una mano sulla sua serrata sul bicchiere facendogli delicatamente mollare la presa, incontrando qualche attimo dopo quegli occhi felini annebbiati dal liquore. Corrugò preoccupato le sopracciglia, chinandosi appena verso di lui.  «Quanto tempo sei rimasto solo al buio, Edward-sama?» gli chiese, ricevendo uno sguardo quasi assente.
    Lo vide sorridere appena prima che si alzasse a mezzo busto e riafferrasse il bicchiere per rigirarselo fra le mani con non curanza, come se la domanda che gli aveva appena posto fosse assolutamente irrilevante. Poi Edward si decise a portare la sua attenzione su di lui, rivolgendogli un falso sorriso.  «Non ero da solo», fece pacato e con tono neutro, ritornando ad osservare il bicchiere. «C'erano le tenebre a farmi compagnia», mormorò, posando il bicchiere sul tavolino e allungando il braccio per afferrare qualcosa poco distante da lui per mostrarlo all'altro ragazzo. «E la fiamma di quest'accendino», soggiunse, sempre sorridendo, ma in quel sorriso, stavolta, Heiderich colse una sfumatura di amara tristezza, persino nel timbro della voce, che era d'improvviso diventata mielosa e dolce.
    Il ragazzo aggrottò in maniera significativa le sopracciglia, scansando una delle sedie per accomodarsi accanto a lui, poggiando un gomito sul bordo del tavolino in modo che potesse sorreggersi il volto. «Sei ubriaco?» domandò calmissimo, inarcando finemente un sopracciglio.
    Edward scosse la testa lentamente, cominciando a giocherellare con l'accendino, facendolo scattare continuamente creandone la fiamma, con quel lontano sorriso che gli illuminava appena il viso diafano. Restò a guardare le lingue di fuoco che danzavano davanti ai suoi occhi, allungando la mano libera per spegnerle con le dita - come se volesse provare a toccarle - ma fu prontamente bloccato dal ragazzo al suo fianco, che lo ammonì con lo sguardo, afferrandogli quasi malamente il polso.
    «Edward-sama, sei ubriaco», ripeté paziente, togliendogli anche l'accendino dalle mani. Non voleva che in quelle condizioni rischiasse accidentalmente di dar fuoco alla casa. Si appuntò mentalmente che il giorno dopo, prima di uscire, avrebbe nascosto ogni accendino o fiammifero che avrebbe trovato per casa, persino le bottiglie di liquore. «Forse è meglio che ti accompagni a letto», fece tranquillo, alzandosi per tirare anche lui su di peso, ma l'altro si impuntò deciso sulla sedia, strattonandogli il braccio per liberare il polso.
    Fu lui stesso ad alzarsi in piedi per dirigersi mogio verso il lavandino, dove, una volta preso un bicchiere dalla credenza, se lo riempì d'acqua, bevendola tutta d'un sorso. Lo posò poi sulla mensola, voltandosi quasi adirato verso Heiderich. «Non trattarmi come se fossi un bambino», sbottò, assolutamente in possesso di tutte le sue facoltà mentali. «Ho bevuto solo un bicchiere e, anche se avessi voluto ubriacarmi, non avrei dovuto metter conto a te».
    Il ragazzo gli si avvicinò piano, incrociando le braccia al petto e inclinando la testa di lato come se volesse valutarlo, sospirando poi mesto. Gli poggiò una mano sulla spalla, e il biondo si ritrasse di scatto, poggiandosi contro il lavandino. Con uno sguardo infuriato lo scansò da sé avanzando a grandi falcate per la cucina, sparendo nel corridoio per correre svelto nella sua stanza, sedendosi sul letto con un gomito poggiato sul ginocchio mentre si reggeva il volto, come se volesse nasconderlo ad occhi estranei.
    Fu scosso da un singhiozzo giusto qualche attimo prima che si presentasse anche Heiderich che, rimasto sulla soglia, appoggiato allo stipite della porta a braccia conserte, si limitava solo ad osservarlo, preoccupato. Fece esitante qualche passo avanti sedendosi sul materasso accanto a lui, costringendolo a scansare le mani e ad alzare il volto, per poterlo guardare intensamente negli occhi. Quelli dorati di Edward erano quasi arrossati agli angoli, con la scia di una lacrima che scintillava lungo una guancia, e lui se li strofinò furente nel tentativo di cancellarle, ma inutilmente. Aveva cominciato a piangere.
    Per quanto avesse provato a non mostrarsi fragile in presenza di quel ragazzo così simile al fratello, stavolta, forse un po' per gli eventi della giornata appena trascorsa, non era riuscito ad evitare che quelle lacrime che si era tenuto dentro fino a quel momento gli rigassero il volto, facendo andare in frantumi la maschera di compostezza che si era creato e che aveva provato a non togliersi mai. Abbassò lo sguardo nel tentativo di nasconderle a lui e a se stesso, ma sentì ancora una volta le mani di Heiderich alzargli il volto, asciugandogli appena con la punta delle dita le lacrime che gli scendevano copiose dagli occhi.
    «Che cos'hai?» gli chiese dolce, facendogli sussultare il cuore nel petto. E la cosa lo spaventò. Solo una persona, fino a quel momento, era riuscita a farglielo battere all'impazzata. Quel suo strano sentimento in presenza di quel ragazzo, quindi, lo interpretò come un tradimento.
    Si scansò fulmineo da lui e distolse lo sguardo, serrando gli occhi nel tentativo di non vedere quel volto. «Lasciami stare... non ho niente», bisbigliò in tono concitato, strofinandosi ancora una volta gli occhi. «Ho solo... ho solo bisogno di riposare... vai anche tu nella tua stanza, Alfons». Ma la mano dell'altro si posò sulla sua spalla, facendolo sussultare ancora una volta. Anche quel semplice e innocente contatto stava rischiando di mandarlo in confusione. Era colpa del liquore che aveva bevuto poco prima?
    «Qualcosa ti turba, Edward-sama?» domandò ancora, con lo stesso tono dolce. «Non è da te comportarti così».
    Edward ringraziò il fatto di essere girato di spalle, poiché le lacrime avevano ripreso contro la sua volontà a rigargli copiosamente le guance. Si sentì tremendamente stupido. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe più pianto per lui perché sarebbe tornato. Che non sarebbe stato condannato a vivere in quel mondo che non era il suo. Che avrebbe trovato una soluzione per riattraversare il portale anche se non sapeva come. Perché quindi, proprio quel giorno, non aveva evitato di farlo?
    Quando sentì le braccia dell'altro stringerlo a sé come a volerlo proteggere dilatò gli occhi stupendosene, ma si lasciò completamente andare voltandosi verso di lui, affondando il viso nel suo petto e cominciando a piangere a dirotto, senza preoccuparsi più di nulla, come se tutto fosse sparito dalla sua mente ma grato di quel conforto che, dopo tanto tempo, stava ricevendo. Era solo e spaventato, in quel mondo sconosciuto. Solo quel ragazzo sembrava essergli sempre vicino, nonostante lo conoscesse da poco. Si aggrappò con entrambe le mani dietro alla sua schiena, quasi artigliando la stoffa della camicia, soffocando i singhiozzi in essa mentre lo sentiva lisciargli lentamente i capelli, mentre sentiva la sua voce bassa sussurrargli parole rassicuranti all'orecchio, proprio come quando si cercava di calmare un bambino.
    «Va tutto bene, Edward-sama», mormorò il giovane Heiderich in tono dolce, ritrovandosi a cingere i fianchi di quel ragazzo così solo. «Non è nulla».
    Lui non si diede la briga di rispondergli, anche perché non aveva abbastanza fiato per parlare. Si strinse solo maggiormente a lui, cominciando pian piano a calmarsi. Odiava quel suo lato così debole, ma non aveva potuto far nulla per evitare che affiorasse. Il ricordo della sua vita passata aveva riaperto la ferita non del tutto cicatrizzata del suo cuore riprendendo a bruciargli fortemente nell'animo, a bruciare intensamente come le fiamme con cui, giusto poche ore prima, aveva ben pensato di giocare osservandole quasi ammaliato, come se avessero in qualche modo potuto avvicinarlo a lui. Al suo fuoco
    Ci mise un po' per ricomporre la sua solita espressione facciale, staccandosi da quel ragazzo che gli aveva offerto il conforto del suo petto senza ritrarsi, passandosi quasi distrattamente il dorso della mano sinistra sotto agli occhi per asciugarli dalle lacrime. Lo guardò appena, tirando su con il naso. «Cerca di non farci caso», farfugliò, ancora con il respiro un po' corto. «Devo esserti sembrato... anzi, ero davvero patetico... uno sfogo simile senza motivo, non...»
    Fu l'altro a zittirlo senza permettergli di continuare, poggiandogli un dito sulle labbra. Ricevette da lui uno sguardo che non riuscì ad interpretare. C'era dolcezza, certo, quasi compassione, ma gli parve di scorgere qualcosa di più di cui non riuscì a capire la provenienza. La cosa che più lo stupì però, fu quando Heiderich lo attirò nuovamente a sé, quasi ad una spanna dal suo volto.
    «Non dire che sei patetico, Edward-sama», sussurrò, avvicinando ancora di più il viso. «E poi, nessuno piange senza motivo... dovevi averlo per forza se hai pianto a quel modo».
    Edward sentì il suo respiro solleticargli il collo, quando si chinò verso di lui sfiorandoglielo appena con le labbra. Sussultò colto alla sprovvista, ma prima che potesse nuovamente allontanarsi per porre fra loro le distanze, una mano di Heiderich gli afferrò il volto con pollice e indice, e si ritrovò, ad occhi sgranati, con le labbra incollate alle sue. Con il cuore che aveva preso a battergli a mille nel petto cercò in tutti i modi di ritrarsi, di interrompere quel bacio, ma prepotentemente l'altro lo costrinse a non allontanarsi, mentre il volto del suo Flame non faceva altro che comparire davanti ai suoi occhi con quel suo solito sorriso sghembo, facendolo sentire ancor più male di prima.
    Serrò gli occhi sentendo le lacrime rigargli ancora una volta il viso, e prima ancora che potesse pensarlo, la sua mano destra scattò serpentina verso il volto di Heiderich, schiaffeggiandolo. Indietreggiò sul materasso coprendosi le labbra con il dorso della mano, osservando l'altro ragazzo portarsi una mano alla guancia segnata, prima che gli rivolgesse uno sguardo confuso. Poi, come se si fosse reso conto di ciò che aveva fatto, dilatò gli occhi, alzandosi in piedi.
    «E...Edward-sama», bisbigliò, scuotendo debolmente la testa. «Non... non so cosa mi sia preso... scusa». Fece per sfiorargli appena una spalla con una mano, ma lui gliela scansò di malo modo costringendolo a fare qualche passo indietro, ricevendo dal biondo uno sguardo quasi infuriato.
    «Non toccarmi!» esclamò quasi squittendo, con gli occhi gonfi di lacrime. Non sapeva nemmeno lui perché stava piangendo. Forse perché, per la seconda volta in quella notte, si sentì come se avesse tradito lui. Con il respiro velocizzato e le sopracciglia corrugate per la tensione, deglutì a vuoto, con un groppo in gola. «Non toccarmi...» ripeté sotto voce, portandosi le gambe al petto per circondarle convulsamente con le braccia, posando la fronte sulle ginocchia. «...ti prego».
    Ancora una volta sentì un braccio dell'altro cingergli delicatamente le spalle come per confortarlo, ma sconvolto com'era quasi non vi badò. Restò solo a testa china senza fiatare, con il corpo scosso da singhiozzi isterici. Anche quando la mano di Heiderich prese lentamente ad accarezzargli la schiena fece finta di nulla, immerso completamente nel suo dolore. I volti di tutte le persone con cui aveva vissuto si accavallavano nella sua mente, tutti i momenti felici passati con loro e persino i litigi o le incomprensioni, fino all'attimo in cui aveva attraversato il portale. Più di tutti, era il ricordo bruciante del Colonnello a restargli impresso nella mente, a farlo continuare a piangere.
    Singhiozzò nuovamente contro la sua volontà, stringendosi di più le gambe al petto. «Roy», mormorò fra i singulti, ritrovandosi ad alzare lo sguardo al soffitto per lasciare che le lacrime gli rigassero completamente il volto, e a quel nome l'altro sussultò.
    Allontanò la mano con cui aveva preso ad accarezzargli la schiena quasi si fosse scottato, facendo un piccolo passo indietro. Era per quel Roy che piangeva, quindi. Non avrebbe potuto dargli quel genere di conforto, se lui stesso non gliel'avesse chiesto. Si arrischiò ad accarezzare appena il volto di quel biondo ragazzo cancellandogli le lacrime che gli rigavano le guance, posandogli appena un lieve bacio sulle labbra, non ricevendo stavolta alcuna reazione. Come se non si rendesse conto di ciò che gli capitava attorno. Trasse un lungo sospiro dirigendosi mogio verso la soglia, ritrovandosi a scuotere la testa come se considerasse idiota il suo stesso gesto. Se avesse continuato in quel modo non avrebbe fatto altro che ferirlo, e lo sapeva.
    Poggiando una mano sullo stipite, si voltò appena verso di lui, guardandolo quasi con inconsapevole dolcezza. «Edward-sama», lo chiamò in un sussurro, vedendolo rivolgergli uno sguardo distaccato. L'oro che caratterizzava i suoi occhi era completamente vuoto, inespressivo.
    Distrattamente, il biondo si scostò i capelli dal viso schiudendo le labbra. «Cosa c'è», mormorò, guardandolo senza vederlo davvero.
    L'altro sospirò per l'ennesima volta, mordendosi il labbro inferiore. «Posso chiederti una cosa?» domandò, deglutendo. Ricevuto un cenno d'assenso, provò bene a formulare il quesito, staccandosi dallo stipite della porta per massaggiarsi con una mano il braccio sinistro, quasi fosse a disagio. «Chi è... Roy?» chiese, pentendosene subito dopo quando vide ancora una volta quegli occhi dorati quasi vuoti che lo osservavano riempirsi di lacrime.
    Edward abbassò dapprima lo sguardo per osservare il materasso con finto interesse, per poi portare la sua attenzione sul muro contro cui era accostato il letto. Le labbra, nascoste alla vista dell'altro ragazzo, gli si stirarono in un amaro sorriso. «È solo il nome che ho dato alle fiamme».








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