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Autore: kissenlove    09/03/2015    2 recensioni
Sequel di “Dirci Addio”.
Sai Honoka..
Da quando te ne sei andata dall’altra parte del mondo, non ho fatto altro che pensare a ciò che mi hai detto, a quelle parole che non riuscivano a uscire dalle tue labbra, lo sfogo di un dolore immenso che tu hai dovuto combattere da sola. Mi sono sentita vuota, imperfetta, ho capito che in questi mesi che avevi più bisogno di me, io non ho fatto altro che girarti le spalle. Dio, mi sento così stupida ed egoista anche!
Ma sai Honoka..
[…]
sono successe tante cose da quando sei andata via. Hikari se ne è andata, mepple non vive più con me, e io ho rischiato la vita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Honoka Yukishiro/Cure White, Nagisa Misumi/Cure Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve amici affezionati di Efp e di questo meraviglioso sequel di cui abbiamo tantissimo sorprese, prima che mi dimentichi devo augurare una Felicissima Festa Delle Donne posticipata, auguri anche a Nagisa, Honoka e Kazumi ovviamente, viva le donne! 
Allora passiamo a raccontare le vicende successe nello scorso capitolo di “And I Was Made For You” che ha interessato soprattutto il leggendario incontro fra Usui Yukishiro e Kazumi Fujimura. Il primo già avete avuto modo di conoscerlo e apprezzarlo nei precedenti capitoli a questo, un ragazzo degno figlio di Honoka, studioso, appassionato ma un tantino timido, adesso conosceremo più bene la nostra Kazumi, un nome scelto perché significa bellezza vittoriosa, scelto appunto dal padre - ringraziamo quindi Shogo, il cui mistero ci accompagnerà ancora molto nel corso delle vicende, - cosa possiamo dire della piccola e carismatica Kazumi?
Un esplosione di freschezza, di grinta, di impulsività, ma anche di romanticismo e di pazzia, degna figlia anche lei della conosciuta ormai Cure Black... come vedremo la storia ha ancora molti nodi da sciogliere, ma forse tra questi due ragazzi ci sarà amicizia? Oppure, potremmo sperare in qualcosa di più serio.. - chissà, nel frattempo, leggete sotto. - 

***

 

And I was made for You

Sequel di “Dirci Addio”

Era ancora troppo presto per dire di essersi già ambientato in un nuovo contesto tutto da scoprire, Usui non conosceva nessuno, si fidava della sua impulsiva accompagnatrice, che gli indicava come un bussola la via da percorrere, e lui la seguiva attento per imprimere nella mente il percorso che avrebbe dovuto portarlo alle porte della sua nuova scuola. 
Usui seguiva la chioma castana della ragazzina che si spostava da una parte all’altra, lei non gli camminava più accanto, aveva deciso di allungare il passo superandolo di poco, mentre la stazione compariva all’orizzonte davanti a loro. Mentre velocizzava il passo per stare dietro al petulante scoiattolo, - un nomignolo che gli era venuto in mento poco dopo, - notò di nuovo tutti quei ragazzi con la loro stessa uniforme recarsi alle sbarre per aver accesso ai treni, si strinse la leggera borsa sulle spalle, e sospirò pregando che nella nuova scuola ci fosse qualcuno disposto ad accettarlo come amico e non come ripiego, gli amici a Parigi lo utilizzavano solamente per i loro interessi, vedevano in lui una macchina universale da cui potevano usufruire servigi di ogni genere, e lui stava male al pensiero che non sarebbe mai stato visto come un essere umano con i suoi sentimenti e il suo cuore che reclamava affetto. La ragazzina frenò bruscamente il passo, come se un incantesimo l’avesse incatenata al pavimento, e lui fu costretto a fare lo stesso, impegnandosi ad osservarla. 
La prima cosa che notò di lei fu la spiccata bellezza dei suoi capelli, il fatto che fossero così lisci, così morbidi, tanto che gli venne il desiderio di toccarli per scoprire se erano come lui se li stava immaginando, delle ciocche di scarsa lunghezza le solleticavano il mento, e le contornavano il volto scolpendolo, mentre il ciuffo lungo che era legato da una mollettina dietro le orecchie bruscamente cadde in avanti, sull’occhio destro a quel movimento convulso. La seconda cosa che risaltava, già di prima apparenza, era il fatto che fosse una persona impulsiva, che non badava minimamente alle conseguenze, dopotutto una persona “normale” o con almeno un poco di sale in zucca non avrebbe mai attraversato a tutta velocità le strisce con le macchine che potevano stenderla a terra no? No, lei non se ne importata, e solo il suo intervento fortuito era riuscito a risparmiarle la morte, senza neanche un grazie, ma in fondo ci era abituato, sapeva che tutto ciò che faceva a discapito suo e a favore degli altri non era mai ripagato, aveva imparato a conviverci solamente. 
Era dolce, non tanto però, allo stesso tempo era anche acida come il succo del limone. Carina, adorabile, ma una vera combinaguai. A dispetto delle francesine viziate della sua scuola lei era completamente diversa, e questa diversità riusciva a renderla speciale. 
Lei aveva più grinta, più coraggio, era esplosiva, se fosse stata in una città dove il grigio era padrone di tutto, lei avrebbe cambiato le regole e la luce sarebbe tornata a regnare, perché lei non era un pianeta insignificante nello spazio, lei era il sole, come il sole sa illuminare le giornate, così lei sapeva illuminare e scaldare il cuore delle persone, anche il cuore di un timido come lui. 
Le francesine non erano tutta quell’imprevidibilità, avevano solo una cosa: una bellezza troppo ossessiva, capelli tenuti sempre legati, pettinati, puliti, e racchiusi in fiocchetti blu o rosa a lische di pesce o portate davanti sul petto, rigorosamente biondo miele o rosso scuro, e un’altezza sul metro e settanta, invece Kazumi era l’energia che scorre nelle vene, con i capelli castano scuro, a caschetto, tenuti spettinati, che gli sfioravano il mento, mentre i suoi occhi non erano blu cobalto o verde speranza, ma un colore che si avvicinava al caramello fuso, ed era bassina, se gli camminava accanto gli arrivava perlomeno vicino al petto; non era niente male, non era una bellezza ossessiva, non aveva sentito nessun profumo provenire dal suo corpo, era semplicemente se stessa, una cosa che lui non era e che avrebbe voluto tanto essere. Era il suo opposto in tutto, era la metà nascosta della sua personalità, se lei era egocentrica e molto introversa, lui era loquace e introverso, se lei era sportiva, lui era un vero mago dello studio, se lei sapeva tirargli su il morale, lui faceva andare in depressione le persone, se lei era il sole, caldo e protettivo, lui era la luna ambiguo e pallido. E lui non trovava l’essere diverso un difetto, si stava incuriosendo sempre di più per il mondo di quello scoiattolino petulante, era emozionato di entrare a farne parte, aguzzando la vista cercava di immaginare il percorso del suo indice che tracciava la figura alquanto magra e longilinea della giovane, ancora ferma a pochi passi da lui, che lo guardava fisso negli occhi, come se lo stesse spogliando delle sue debolezze. Quei occhi dalla trama caramello lo stavano mettendo parecchio a disagio, in quei occhi la sua figura prendeva lentamente forma, e le sue guance pian piano iniziarono a colorarsi di un delizioso rosso pomodoro, che cercò di nascondere - senza riuscirci - spingendo con forza il volto al pavimento sotto di loro, ma Kazumi davanti a lui era in procinto di dire qualcosa: - Ma voi ragazzi francesi siete tutti così? - 
Usui alzò il viso, rielaborando per un istante quella domanda e per far diminuire il rossore che gli attanagliava le guance: sarebbe stato troppo imbarazzante se quella ragazza avesse capito che la persona a cui aveva diretto il suo sguardo era proprio lei, che magari oltre ad essere la pazzia fatta persona fosse anche in grado di leggere il pensiero, magari poteva anche essere dotata di poteri nascosti, dopotutto aveva sentito molte storie giapponesi che partivano proprio dalla magia fin da quando era bambino, e ne era sempre rimasto affascinato, convincendosi che un giorno lui avrebbe scoperto la verità. Sua madre gli aveva trasmesso l’amore per la conoscenza, per tutto ciò che è mistero, e lui voleva tanto smantellare tutti i misteri della sua vita: suo padre sparito anni fa, sua zia Nagisa che era morta secondo sua madre, e poi lui, lui Usui chi era? 
Ancora non lo sapeva, ma presto la soluzione sarebbe arrivata da sé.
-Che intendi, scoiattolino? - 
- Non fare il santo, guarda che ti ho visto pervertito! Mi stai osservando come... be’ non saprei,  ma fatto sta che mi stai osservando! -
-Ti stai sbagliando, non penso mica che tu sia carina, scoiattolino... adesso sei tu quella che ti fai strane idee. - 
-Finiscila con questi nomignoli, anche io comincerò a nomignolarti! -
- Dai, io mi diverto, dopotutto potremmo essere compagni di classe, e capitare nella stessa classe, non credi? - domandò lui, sorridendo.
- Oh no, dovresti capitare nella mia classe, proprio nella mia classe! Sarebbe una sfortuna.. - 
- Davvero? - cercò di dire lui, avvicinandosi e muovendo qualche passo nella sua direzione.
- Stai lì, non muoverti, non sono di certo una preda di facile conquista! - rispose lei, scattando di pochi passi indietro, come un gattino spaventato da una bestiolina più grande di lui.
- Peccato, in Francia sono molto ammirato dalle ragazzine, sono un ottimo latin lover sai. - spiegò lui, - Non mi faccio spaventare da una belva come te, scoiattolino. - 
- Come mi hai chiamata!? - 
- Non ti piace nemmeno questo? - 
- Affatto.. - Kazumi abbassò velocemente lo sguardo pavimento, contando mentalmente le mattonelle, dicendo sbrigativa: - Dobbiamo andare o faremo tardi, e non ho intenzione di collezionare delle nuove note di demerito, ne ho già avute quindici, non è affatto carino arrivare tardi ogni santo giorno, e ho promesso al vicepreside che non sarebbe capitato più. - 
- Il vicepreside? - 
-Ah sì giusto, tu non lo conosci, infondo sei appena arrivato ed è giusto che ti spieghi che il vicepreside è un tipo noioso, insopportabile.. - e la ragazzina si alzò sulle punte e sussurrò nell’orecchio di Usui. - inoltre legge manga di nascosto, ma lo ha sempre tenuto nascosto, fino a quando non l’hanno scoperto, è stata zia Akane a dire a tutti che lui leggeva manga e fumetti che sequestrava agli alunni con la scusa per non farsi scoprire. Purtroppo ogni volta che qualcuno arriva in ritardo gli fa il monologo sulla preziosa statua del domani e bla... bla... quindi in futuro evita di fare tardi, altrimenti ti dovrai sorbire lui e ti assicuro è logorroico! - 
Usui nascose un sorriso. Era la prima volta che trovava piacere nel conversare, lui non era un tipo loquace, non lo era mai stato, si era sempre ritenuto un tipo tutto segreti, non sapeva intavolare nemmeno un discorso davanti ai professori, quando doveva essere interrogato, non sapeva bene come comportarsi e l’ansia gli faceva bloccare le parole in gola tanto che per tirargliele fuori ci volevano le pinzette, così lui per dieci minuti non parlava, una volta per questo motivo prese un voto brutto a scuola in economia, perché non riuscendo ad articolare bene il discorso dell’economia nella società francese finì per essere classificato come “impreparato” una parola che per un genio era amara come il fiele e difficile da digerire in un giorno, anche se la sua serata di prima l’aveva passata sui libri. 
Le ragazzine che gli facevano la corte non le aveva mai prese seriamente, cadevano ai suoi piedi come le api che si tuffavano nel nettare dei fiori in primavera, erano solo assetate di un ragazzo carino da ammirare, a lui piaceva quella situazione non poteva non confessarlo, ma a volte era stressante, perché davanti a loro non era sé stesso, non poteva parlare liberamente, si sentiva completamente in trappola, rinchiuso in una teca di cristallo, adesso era la prima volta che si sentiva libero dalle catene dell’oppressione, era la prima volta in quindici anni che non balbettava, non cercava un equilibrio che non c’era, non abbassava la testa, non si rendeva ridicolo, e che guardava negli occhi una ragazza, anche se poi quell’unica ragazza che aveva incontrato lì in Giappone era una camionista, una recordista impossibile, e una che la morte sotto una macchina la trova eccitante.
-Come ho capito scoiattolino tu non sei molto portata per lo studio, vero? -
-Piantala con quel nomignolo! Però, in effetti, devo confessarti che hai proprio ragione. Mio padre mi sgrida molte volte al giorno per questo, ma che ci posso fare... non sono brava, non mi applico e non mi voglio applicare, preferisco di meglio lo sport. - 
- Ma lo studio è importante, soprattutto per il futuro. Se studi e ti impegni magari diventi qualcuno di importante, non pensi scoiattolino? - 
- Mio padre sì, fa il chirurgo nella clinica più importante della città, e da un anno è direttore del reparto di chirurgia, però ha non solo doti intellettuali oltre che sportive, infatti da grande vorrei diventare come lui! - 
- E cosa vorresti diventare? - chiese Usui.
Kazumi andò verso di lui alzando la punta dei piedi, raggiungendolo con gli occhi a stellina: - Non ho dubbio su cosa diventerò da grande, sarò una calciatrice a livelli professionistici, e magari parteciperò anche alle Olimpiadi! - 
- Non capisco... non sei una ragazza? -
-Questo cosa centra!? Le tue francesine sono tutto trucco e parrucco, io no e voglio diventare atleta, come il mio papà. Fin da piccola ho respirato la sportività, è come se il mio DNA lo contenga, si può dire che sia nata con un pallone in mano, infatti alla Verone Academy ho fondato la prima squadra calcistica femminile, di cui sono capitano, e mi diverto moltissimo! - 
-Ma guarda, oltre che pazza scatenata sei anche una calciatrice, scoiattolino? - 
- Sì, non c’è nessuna legge che lo impedisca! - strillò, alzando il pugno in cielo, e poi balzando in avanti verso le scale. - E tu? - 
- Io cosa? - 
- Mi racconti qualcosa del tuo papà, io ti ho detto il lavoro del mio infondo.. - 
Usui sospirò. Prima aveva avuto l’impressione di passare un primo difficile ostacolo, ma adesso era ricaduto nuovamente a contatto con il terreno, quando Kazumi aveva intensificato la conversazione con l’argomento “padri”, non amava parlare di suo padre, o doveva dire dell’uomo che lo aveva generato, probabilmente quella ragazza era stata l’unica con cui si era sentito libero di esprimersi, ma più di questo che poteva fare? Lui non poteva dirle niente, non sapeva che lavoro aveva, non sapeva che forma aveva il suo viso, il suo collo, le sue sopracciglia, la sua bocca, la consistenza dei suoi capelli, il colore della sua carnagione, non sapeva che profumo conservavano i suoi capelli, il bagnoschiuma o il dopobarba dopo la doccia o la barba, perché lui non stava a casa con loro, era sempre stato lui a portare i pantaloni in famiglia, per affrontare i pericoli finanziari, o per difendere sua madre dai dolori della vita, in una città che non era stata scelta da lui, con gente che non conosceva, adattandosi come un animale alle caratteristiche dei francesi. 
Usui non sapeva chi era suo padre, l’unica cosa che sua madre gli aveva detto era che loro avevano fatto l’amore il giorno prima che lui la abbandonasse, e che una settimana dopo la laurea lei si rese conto che era incinta, e questo bastò per metterlo al primo posto nella lista delle persone che più odiava; lui era cresciuto senza un padre, ma non se ne pentiva, ma ovviamente Usui non rivelò niente a Kazumi, cercò solo di nascondere il problema dietro una coltre di bugie. 
Kazumi non udendo risposta si rese conto di aver parlato troppo, e si piegò per chiedere scusa. 
- Yukishiro-san scusami davvero! - 
- Per cosa, scoiattolino? - 
- Per il fatto di tuo padre, non sapevo fossi orfano.. - 
-Non sono orfano scoiattolino, mio padre non sta a casa perché lavora lontano, ho comunque una madre fantastica che mi vuole bene e a me basta per essere completo. - rispose Usui, mentre Kazumi lo inondava di luce con il suo meraviglioso sorriso. 
- Sono completamente d’accordo. - 
Kazumi saltellò sulle scale, mentre i suoi capelli venivano trascinati dalla leggera brezza del vento di prima mattina, mentre il treno strideva duramente contro le rotaie, e una voce automatica annunciava le partenze e gli arrivi dei treni. 
-Eccoci arrivati! Fiu, sono le otto, abbiamo tempo comunque. Ovviamente la Verone si trova poco distante di qui, prenderemo il treno, faremo prima e non ci beccheremo la sgridata del vicepreside. - e gli sorrise di nuovo. - Andiamo! -
Usui seguì Kazumi verso il vagone del treno in partenza, e prima che le porte automatiche si chiudessero con un balzo ci saltarono su. Molte persone vi erano in treno, Usui si andò ad appostare vicino al finestrino, e Kazumi lo seguì a ruota, per assistere alla veduta panoramica che propinava il finestrino. Usui guardava estasiato le vallate che sembravano muoversi insieme al treno, e le montagne che spuntavano da dietro, poi spostava di tanto in tanto lo sguardo sulla ragazzina appoggiata con la scapola che osservava il cielo turchino, e quando i loro sguardi si incontravano di sfuggita, lo distoglievano guardando altrove, anche se tra loro l’attrazione sembrava intensificarsi sempre di più, man mano le ore che passavano e che il treno stava arrivando a destinazione: la Verone Accademy. 


                                                                                                Cimitero - ore 8.20

Honoka aveva deciso che quella mattina, prima di sistemare le cose del trasloco in casa, sarebbe andata a far visita a qualcuno di importante per lei, che quella sera di quindici anni fa era sempre stata nei suoi pensieri, anche quando era riversa a terra nei dolori più atroci, con la paura di perdere il suo bambino, il suo pensiero si sdoppiava, una parte era affannata a salvare la vita del suo bambino, e l’altra voleva lasciarsi morire come Nagisa. Alla fine scelse suo figlio, dopo un’attesa enorme in un letto di ospedale con il suono dell’ecografo a trapanarle le orecchie, la mano di sua madre nella sua per darle un supporto materno, e il desiderio di avere Kiriya in quel momento importante, questa cosa probabilmente non sarebbe successa, lo capì quando alle tre vide la testolina del suo bambino, quei pochi capelli che gli suggerivano che avrebbe avuto la capigliatura del padre, un tratto ereditario che le avrebbe sempre ricordato il suo ex fidanzato, che l’aveva lasciata sola nel difficile momento della gravidanza. Usui era nato, e lei doveva andare avanti per la sua strada, anche senza la sua Nagisa, che proprio quel mattino fresco aveva deciso di andare a trovare. 
Parcheggiò la macchina in mezzo ad autovetture invisibili, chiusa la sicura, scese dalla macchina stringendosi nel suo cappotto color crema, per combattere quel venticello un po’ freddo, mentre si recava nella fioreria, che stava aprendo le serrande al suo primo cliente: lei. La proprietaria del negozio la accolse: - Desidera? - 
Honoka entrò, avvicinandosi al bancone, si sistemò gli occhiali che le stavano cascando dal naso. 
- I fiori più belli che avete, sono per una mia amica. - disse sbrigativa, mentre la signora dopo aver accennato un sì con il capo, rientrò nella serra costruita dietro il negozio, per prendere a Honoka i fiori da lei prescelti. 
Honoka non ricordava quali fossero i gusti di Nagisa in fatto di fiori, anzi non sapeva nemmeno se le piacevano o li detestava come le cipolle, voleva solamente dare un senso alla sua tomba, fredda e marmorea che la conteneva, sapeva che quella era una visita di cortesia che si apprestava a fare, che non era ragionevole trovarsi lì, quando poi lei non aveva nemmeno assistito alla morte, e non aveva neanche potuto fare niente per evitarla. Era in crisi, si sentiva male dentro, non aveva potuto salutare la sua migliore amica, non le era stata vicino nel momento del bisogno, e adesso si presentava lì per fare cosa? Per disporre degli stupidi fiori, per onorare una morte a cui lei non è mai andata? O per discolparsi di non essere stata coraggiosa a prendere un aereo, ad arrivare a quell’ospedale e a stringerle la mano per darle il suo appoggio. Lei dopo tanti anni che tornava in Giappone, per rifarsi una vita, veniva lì in quel lugubre e triste posto per sbattere in faccia a una tomba immobile la sua felicità, a dimostrare alla sua povera amica che la sua vita era ancora lunga, e che lei era già affogata nella terra, lontana dalla famiglia, lontana da suo marito, e lontano dalla bimba che non avrebbe mai potuto stringere a sé? Era solo egoista. 
Quando tornò la signora, recava con sé un mazzo di rose bianche, accuratamente disposte in un bouquet; Honoka cacciò il borsellino dalla borsa, pagò la decorazione e uscì dal negozio, diretta verso la cancellata nera. 
La giovane oltrepassò i cancelli, e alzò lo sguardo al cielo, dove troneggiava una madonna grande, con il viso da cui non traspariva alcuna emozione, con le mani congiunte a mo di preghiera, e i mille lumini che accerchiavano i piedi, e la moltitudine di fiori disposti nei vasi; Honoka accennò una veloce preghiera, e posò una rosa bianca in uno dei vasi, mentre dai suoi occhi scendevano lente e implacabili una lacrima di dolore, che si mischiava alla cera consumata dei lumini. 
Il signore della guardiola notò la donna, chiamandola: - Signorina, chi cerca? - 
Honoka voltò lo sguardo verso la voce, e accennò un saluto, staccando lo sguardo dal volto mesto della madonnina. 
-Buongiorno. Mi può dare un’informazione? - 
- Di che tipo, signora? - 
- Sto cercando una persona. - iniziò la corvina, mentre il signore la invitava nella guardiola, dove in un quaderno aveva trascritto i nomi dei defunti che occupavano il cimitero. 
- Allora.. chi sta cercando? - 
Honoka si sedette sulla sedia che le offrì il signore, e pronunciò quel nome col cuore gonfio di angoscia. - Nagisa Misumi, vi prego. - 
Il signore iniziò a sfogliare il quaderno. Aveva i nomi numerati secondo le iniziali del cognome secondo l’alfabeto, scorse immediatamente la rubrica fino alla lettera emme, ma in quei venti nomi non c’era nessuno che si chiamasse Nagisa, tutti nomi che le si avvicinavano, ma non era lei. 
- Mi dispiace, ma non c’è signora.. - 
- Come può essere? - esclamò Honoka un po’ stupita. - Controlli bene.- 
- Scusi, ma in questo cimitero non c’è questa Nagisa, controlli gli altri cimiteri.. - 
- Ma qui l’avrebbero atterrata se fosse morta, signore. - fece Honoka, alzandosi dalla sedia.
Honoka sospirò, lasciò il mazzo di rose bianche al signore, e sconfitta si recò alla macchina, la accese e mettendo la prima si allontanò con troppe domande ancora nella testa, e con un dolore che le rodeva il cuore e che era per lei era difficile da dimenticare. Se Nagisa non era lì, allora dove era? E se non era morta, perché non l’ha chiamata più? 
Queste tutte le domande che le ronzavano in testa, e a cui non sapeva dare una risposta. 





                                                                                                                     Verone Accademy, ore 8.45

Usui finalmente aveva avuto accesso ai cancelli della sua nuova scuola insieme a Kazumi, poco dopo vicino alla Statua del Domani avevano incontrato il vicepreside, che aveva iniziato a parlare del simbolo della Verone, e il ragazzo incuriosito levò lo sguardo al cielo: vi era la statua di una ragazzina come loro, che era come se danzasse nel cielo, con una mano sembrava accarezzare l’aria, e i capelli dondolati dal vento, il vicepreside si mise a spiegare al nuovo alunno le caratteristiche di quella statua, il programma scolastico come era articolato, gli esami quando avvenivano alla fine dei semestri, l’ora di pranzo, e i club dove i ragazzi potevano accedervi. Il vicepreside smise di parlare, quando comparì all’orizzonte la figura bassina e un po’ goffa del preside, della signorina Hioshimi, di Rina Takeshimizu, e di altri professori che attendevano impazienti il nuovo arrivo: Usui Yukishiro. 
Usui si sentì importante, quando i presenti gli dissero: - Benvenuto alla Verone Accademy! - 





 



 
   
 
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