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Autore: 2301    10/03/2015    1 recensioni
Cosa succede quando privi il criminale di Londra di ciò a cui tiene di più al mondo?...beh...questo nella mia mente contorta! Mia primissima fanfiction (e forse anche l'ultima a giudicare da com'è questa :D), in ogni caso è una mormor un po' diversa da quelle che mi leggo solitamente. E da brava autolesionista non ho potuto non mettere un tocco di angst -non è colpa mia sono stata abituata male!- .
Well....questo è tutto, siate clementi e, se possibile, commentate!! P.S. il rating è messo un po' a caso in quanto per me poteva essere un tranquillissimo rating verde, ma non si sa mai...
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim, Moriarty, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Accadde solo una volta, una sola fottutissima volta, ma credo sia stata sufficiente.
Non penso  che non vi fossero state altre occasioni, ho lavorato varie volte in edifici relativamente rintracciabili, un po' per mancanza di alternative un po' perché era la situazione a richiederlo, avrebbero potuto rapirmi di nuovo se solo avessero voluto, ma la paura di ripetere lo stesso errore fatale deve essere stata più grande di qualsiasi motivazione li avesse mai potuti spingere a farlo. Quel giorno infatti, quel fatidico 27 luglio rimarrà per sempre impresso nella mente di quei pochi superstiti, fino alla fine dei loro giorni, perché quello fu il giorno in cui la morte in persona, la paura fatta carne andò bussare alla loro porta, e coloro che hanno la fortuna di poter raccontare ciò che accadde veramente in quella base militare, preferirebbe di gran lunga vendere la propria anima piuttosto che ricordare l'accaduto.

Mi era stato affidato un lavoro abbastanza semplice: uccidere un trafficante d'armi, che aveva cercato di fregarci, assieme alla cara mogliettina  e ai due figlioletti, una volta montato il fucile però ebbi soltanto il tempo di far fuori il diretto interessato, visto che venni catturato alle spalle e non potei ribellarmi più di tanto dopo aver inalato una massiccia dose di cloroformio. Mi risvegliai in una cella dalle pareti scure e scrostate, illuminata fievolmente da un lampadario a neon mezzo fulminato, l'unica apertura era una finestrella con delle sbarre e senza vetri, dalla quale entrava un vento torrido, probabilmente ci trovavamo in una zona desertica. Ero seduto per terra su di un pavimento ruvido e polveroso, mani e piedi legati stretti da delle corde robuste, davanti a me due soldati con giubbotti antiproiettile e mitra alla mano, piazzati davanti alla porta, il primo basso ma ben piazzato aveva una leggera barba rossastra e l'aria di chi ne aveva visti di tutti i tipi in quella piccola cella, ma ne aveva visti davvero pochi uscirne, il secondo era un po' più alto e leggermente meno muscoloso, apparentemente con una decina di anni in meno dell'altro, ma non sembrava aver nulla da invidiare, in quanto ad esperienza, al suo compagno. Nonostante non fosse esplicito quella situazione urlava il nome di Mycroft Holmes da ogni parte, era prevedibile che prima o poi il paladino del governo britannico si sarebbe servito di me per raggiungere i suoi scopi, era però altrettanto palese che non si sarebbe mai fatto vedere, lui non era che un burattinaio, il suo compito era quello di dare ordini, non era tenuto ad immischiarsi in certe cose, non era tenuto ad  immischiarsi con quelli come me. Dopo svariato tempo, probabilmente ore, entrò un tipetto con gli occhiali, alto, con un completo gessato grigio topo, capelli neri ben pettinati e lo sguardo perso nel vuoto..si avvicinò a me e dopo un suo cenno gli venne portata una sedia,  accomodatosi su di essa iniziò a pulirsi distrattamente gli occhiali con tutta la calma di questo mondo “Salve signor Moran, prima che cerchi di giustificarsi, volevo avvertirla che  sappiamo perfettamente per chi lavora e abbiamo vari fascicoli sugli interessanti incarichi che ha dovuto svolgere, ce n'è letteralmente per tutti i gusti; rapine, omicidi, torture, rapimenti, spaccio di droga, insomma chi più ne ha più ne metta, come vede il governo britannico è ovunque, non importa quanto cerchiate di nascondervi, sarete sempre maldestramente sotto ai nostri occhi vigili.” “Dovrei forse congratularmi con lei?” lo interruppi alzando un sopracciglio, lui si limitò a rimettersi gli occhiali e si sporse leggermente dalla sua sedia “Vede signor Moran il nostro problema non sono le piccole formiche operaie come lei, non abbiamo alcun problema a bruciarvi sotto la nostra  lente d'ingrandimento, il problema è il suo capo, egli è infatti praticamente irraggiungibile, nel momento in cui ci sembra di esserci avvicinati a lui eccolo che scompare nel nulla, da un momento all'altro, e mi creda se le dico che ciò è quantomeno frustrante” la sua voce particolarmente piccata mi fece capire che doveva essere reduce da un recente fallimento, cosa che mi fece sorridere.“Se mi concede di fare un paragone” iniziai “Penso che non faticherei ad immaginare il mio capo come a del fumo, onnipresente, capace di raggiungere ogni angolo della stanza, è soffocante e non ti permette di vedere chiaramente, ma nonostante sia così dannoso ed opprimente è pressoché  intangibile, per quanto ci si possa sforzare non si riuscirà mai ad intrappolarlo...credo sia una delle sue migliori qualità” dissi con un sorriso sornione. “Ed è per questo che lei è qui mio caro, grazie al suo prezioso aiuto infatti, che esso sia spontaneo o meno non ha alcuna importanza, riusciremo ad avvicinarci maggiormente al suo boss, così da poter estirpare con facilità la fitta rete criminale da lui ideata”. Detto ciò attese una mia risposta e, resosi conto che non avevo intenzione di replicare, semplicemente si allontanò assieme alle due guardie lasciandomi solo nella stanza.
 Non ricordo molto delle ventiquattrore successive, ricordo in maniera confusa solo una mano armata di tirapugni che mi raggiungeva in pieno volto ripetutamente, e una vasca d'acqua gelata nella quale venivo immerso per svariati minuti, credo anche di aver perso i sensi un paio di volte, sicuramente più nitida è l'immagine del coltello da caccia che mi lacera la carne mentre sono appeso al soffitto legato per i polsi, in fondo però devo dire che  in quei momenti i miei aguzzini mi facevano quasi pena; si sforzavano così tanto per avere anche solo una minima informazione, che ovviamente non avrebbero mai ottenuto. Ad ogni modo queste torture mi permisero comunque di farmi un'idea generale dell'edificio in cui mi trovavo, durante il tragitto tra la mia cella e la sala adibita agli “interrogatori” infatti mi guardavo intorno, e così notai la grandezza di quel posto: era composto (per quanto riuscii a vedere) da tre piani, la mia cella si trovava al piano terra, piano composto da sette stanze e, nonostante queste avessero tutte la porta rigorosamente chiusa, non era difficile comprendere quanto fossero ampie e spaziose, in base alla distanza che vi era tra ogni entrata, segno anche che ogni ambiente si stendeva in larghezza e non in profondità, doveva quindi trattarsi di un edificio ben difeso e richiuso su se stesso, nella mia posizione quelle informazioni erano assolutamente inutili, ma dovevo pur tenere la mente occupata in qualche modo! La mattina del terzo giorno si ripresentò nella mia cella il tipetto occhialuto di due giorni prima, si avvicinò a me assumendo una leggera aria di soddisfazione notando il mio occhio tumefatto e la chiazza di sangue secco sulla mia maglietta bianca “Molto bene signor Moran, sappia che glielo sto dando come un consiglio spassionato: le conviene darci quante più informazioni possibili sul suo capo, perché nulla potrà mai essere paragonato ai nostri metodi di persuasione!” Mi trattenni a stento dal ridere; a parte il fatto che dubitassi fortemente potessero infliggermi torture peggiori di quelle fantasiosamente ideate dal mio capo, credevano seriamente che io non lo avessi tradito per semplice paura? No, ciò che mi spingeva a resistere era un qualcosa di più forte della paura: la mia era devozione, fedeltà, fiducia, ammirazione, beh ecco in  realtà in quel momento non sapevo realmente cosa mi spingesse a non  tradirlo, semplicemente non lo avrei mai fatto, punto e basta.
Quindi, forte delle mie convinzioni, rimasi impassibile sostenendo il suo sguardo inespressivo. “D'accordo, se non vuole collaborare, ci faremo aiutare direttamente dal suo capo, abbiamo sparso la voce del suo rapimento tra la criminalità londinese, sicuramente il suo superiore non rinuncerà al miglior  cecchino in circolazione e non passerà molto tempo prima che si faccia avanti esponendosi.” Questa volta non riuscii proprio a trattenermi e scoppiai in una fragorosa ed incontrollabile risata che riecheggiava in tutta la stanza e che, nonostante lo sguardo indispettito e sorpreso dell'uomo davanti a me, non riuscivo a far smettere. Perché ridevo tanto? Beh, perché signori miei, il mio capo era -tenetevi forte- James Moriarty, la mente criminale più pericolosa che il mondo abbia mai visto, e al professore non piace che qualcuno prenda qualcosa di suo, così, in tutta tranquillità, mi feci in un attimo serio e guardando quell'omuncolo negli occhi dissi: “Nascondetevi meglio che potete, e se non potete farlo iniziate a correre più di quanto le vostre gambe permettano, perché ne va della vostra vita...lui vi troverà, non importa quanto ci vorrà, sappiate solo che ci riuscirà e che manderà qualcuno a prendervi”. In tutta risposta ricevetti un forte schiaffo che mi ruppe il labbro già ricoperto di sangue, ma ciò non mi impedì di ridere ancora più di gusto. Quel giorno le torture furono, come previsto, più pressanti del solito, ma non me ne preoccupavo e le subivo con la consapevolezza che non sarebbero durate a lungo e che quelli sarebbero stati puniti per ogni singolo colpo che mi veniva inferto, 
quanta pena che mi facevano!
Dopo precisamente quattro giorni dal mio ultimo incontro con l'occhialuto avvenne l'impensabile. 
Ero nella mia cella, con varie ferite brucianti e una spalla fratturata, nulla in confronto a ciò di cui era capace Jim,ma se non altro si può dire che ci avevano provato.  Ad esser più precisi era nulla in confronto a  ciò che Jim era in grado di ordinare non di fare, l'uomo più pericoloso di Londra infatti ha impugnato raramente un arma, per quanto io ne sappia, non è mai stato tipo da sporcarsi le mani infatti, e in questo credo sia molto simile a Mycroft: un ottima mente, ma un pessimo braccio, almeno così credevo fino al giorno in questione.
Aspettavo che mi venissero a prendere per la mia dose giornaliera di fustigazioni, e nell'attesa squadravo le mie solite sentinelle, cercando di dedurre qualcosa su di loro, fallendo miseramente, non sono mai stato bravo in queste cose, almeno non quanto Jim. Mentre mi dilungavo sulle mie considerazioni si sentì il suono di una forte esplosione attutito dalla porta e dalle varie stanze che ci separavano da essa, l'esplosione infatti proveniva chiaramente dal terzo piano, doveva quindi essere di notevole violenza per farsi sentire fin lì, essa venne subito seguita da una sirena d'allarme che cessò dopo pochi secondi, quindi si iniziarono a sentire varie grida denuncianti un'effrazione, vidi le due guardie davanti alla porta che fremevano per uscire e scoprire cosa stesse accadendo fuori da quella stanzetta buia, ma evidentemente avevano ricevuto l'ordine categorico di rimanere là dov'erano dal momento che non si mossero di un centimetro. Non appena le mitragliatrici iniziarono a farsi sentire, non potei fare a meno di aprire la  bocca in un sorriso che esprimeva sollievo, eccitazione, stupore per quanto fossero stati veloci a trovarmi, e anche un po' di orgoglio, perché il grande James Moriarty si era scomodato a mandare qualcuno per me! Per una delle tante “formiche operaie”...
Per qualche decina di minuti vi fu il finimondo: nonostante le mitragliatrici fossero soltanto in due (il mio orecchio era abbastanza allenato per distinguere le due armi) lavoravano per dieci, fuori dalla mia cella infatti continuava ad infuriare una tempesta distruttiva che avanzava a suon di urla e preghiere, concentrandomi potevo anche sentire in lontananza gli schizzi di sangue contro le pareti e, chiudendo gli occhi, se tendevo ancora di più l'orecchio riuscivo a sentire indistinto, ma netto il suono di arti che venivano recisi da coltelli impietosi. Ogni secondo la furia omicida degli uomini di Moriarty si faceva sempre più vicina, così la smania iniziale di uscire che dipingeva il volto dei miei custodi ora non era più dettata da una curiosità personale per vedere ciò che stesse accadendo là fuori, ma da puro panico, il più giovane dei due addirittura iniziò a piangere, mentre l'altro, pur cercando di darsi un contegno, lo vedevo pregare flebilmente, non mi si poteva presentare davanti visione più piacevole, ma l'aria ormai satura di disperazione mi fece desiderare che  venissero a prendermi  il prima possibile. Ad un certo punto tutto il caos cessò all'improvviso, e il silenzio assordante veniva sovrastato solo dalle preghiere biascicate del soldato più anziano che, assieme al compagno, si avvicinò di più alla porta per carpire meglio un qualche rumore che potesse provenire da fuori, ma era abbastanza difficile determinarlo visto che il suono principale era quello dei singhiozzi soffocati del più giovane , i quali cessarono per essere sostituiti da un suono di passi lenti e calibrati che si facevano sempre più vicini, sentendo quei passi nulla mi risultò più molto chiaro: nessun soldato camminava in quella maniera, erano passi troppo regolari, troppo leggeri, troppo....eleganti? Poi silenzio. Due secondi, tre secondi, dieci secondi, la tensione in quella stanza era quasi tangibile, e al ventesimo secondo vi fu un esplosione abbastanza forte da aprire la porta e porre fine alle sofferenze delle due sentinelle, ma non abbastanza da raggiungere me che ero a terra appoggiato alla parete opposta. Logicamente rimasi esterrefatto quando, aspettandomi di vedere uno dei tanti uomini di Moriarty che avevano preso parte a quell'incursione , mi trovai davanti il consulting criminal in persona, con indosso un elegantissimo completo Westwood nero  e, non avendo addosso la giacca del completo in questione, si poteva vedere la camicia originariamente bianca, ma ora quasi completamente di color cremisi, aderire al suo petto. Lo stupore iniziale però lasciò subito spazio alla paura, che mi assalì appena incrociai i suoi occhi, i suoi profondi, caldi e avvolgenti occhi neri erano infatti ciò che di più terrificante vi fosse nell'intero universo, era come spiare nel buco della serratura della porta stessa dell'inferno, dentro vi si potevano scorgere tutte le folli atrocità che quell'uomo era riuscito a commettere e quelle che si era anche solo azzardato ad immaginare, soffermandosi un secondo di troppo su quello sguardo si sarebbero potuto udire, forti e assordanti, le preghiere di tutti gli uomini caduti preda della sua ira, rivolte ad un Dio che aveva preferito girarsi dall'altra parte piuttosto che dover assistere a quelle atrocità. Sapevo che era lì per me, sapevo che era lì per salvarmi, ma per un secondo un impercettibile secondo temetti che  non avrebbe risparmiato neanche me, ma appunto fu solo un secondo, perché non appena le sue bellissime labbra si schiusero per sorridermi mi resi conto che non sarei stato più al sicuro che li con lui. Il suo fu un sorriso bello, quasi timido, che esprimeva evidente sollievo nel vedermi, ma fu tanto confortante quanto fugace, venne infatti subito represso dal grande orgoglio  che da sempre regnava  sovrano su tutte le sue emozioni. Si precipitò subito a slegarmi “Tutto a posto tigre?” “Un po' ammaccato, ma direi di si” risposi sforzandomi di sorridere, una ferita lunga quindici centimetri e profonda tre mi attraversava tutto l'addome, a partire dal mento fino al retro del collo un graffio al sapore di ruggine tentava flebilmente di rimarginarsi e il dolore mi pulsava nella testa facendomi sentire che sarei potuto svenire da un momento all'altro, ma si, assolutamente si: adesso era tutto a posto. “Fammi prendere di nuovo uno spavento del genere e ti ammazzo con le mie mani!!...Sai che mi sei indispensabile cretino!” Disse con un tono severo che mal si reggeva in piedi. Dopo essermi alzato il mio primo istinto fu quello di abbracciarlo, abbracciarlo con tutte le mie forze, inspirando il suo profumo di lavanda, sangue e menta tanto a fondo da poterlo conservare nei miei ricordi per sempre, ma non lo feci, mi limitai a guardare quelle labbra spaventosamente invitanti, e, una volta giratosi,  a seguirlo verso la porta. Varcata la soglia di quella stanzetta mi si parò davanti uno spettacolo raccapricciante:Le pareti grondavano di sangue, pezzi di cadavere sparsi un po' ovunque, prendetemi pure per psicopatico (probabilmente avreste anche ragione) ma ciò che avevo davanti aveva un non so che di sensuale, un certo fascino proibito. “E' stata un strage coi fiocchi! Ma  po' mi spiace che vi siate divertiti senza di me!...Dove sono gli altri? Ci aspettano fuori?”  “Si può sapere di chi parli!?” chiese con un' espressione di sincero stupore in volto, nulla in confronto alla mia, che letteralmente scioccato lo fissavo incredulo “Cosa cazzo vorrebbe dire?? Tu saresti riuscito DA SOLO a uccidere decine di soldati!?!?”  “Beh, mi pare evidente Seb!  Non fare domande così sciocche, sai ce mi danno sui nervi.” disse scocciato, la terra mi venne a  mancare sotto i piedi, che razza di persona era in realtà il mio capo? E se solo avesse voluto, di cosa sarebbe stato capace? Mentre mi facevo queste domande, iniziai a rendermi conto del fatto che in realtà non gli ero poi così indispensabile, in effetti avrebbe potuto semplicemente gettarmi via o lasciarmi marcire nella cella da cui eravamo appena usciti, quindi, ecco che affiorò un'altra domanda: perché era venuto a prendermi? “Allora io a cosa ti dovrei servire?” chiesi tutto d'un fiato, con un leggero timore per la risposta che avrei ricevuto “Uff, quanto sei noioso!” disse roteando gli occhi “Sai che non mi piace sporcarmi le mani” quella risposta, all'interno di quell'edificio tappezzato di sangue era a dir poco paradossale e guardandomi intorno dissi “Sai, non si direbbe!” allora lui abbassò lo sguardo e, guardandosi le punte delle scarpe come un bambino, rispose così a bassa voce che feci quasi fatica a sentirlo: “Per te posso sempre fare un eccezione” . E davanti a quell'affermazione, proferita da un uomo come lui: un uomo forte come un castello di pietra, ma al contempo fragile come un castello di carte, un uomo così irresistibile da renderti impossibile fidarti di lui, un uomo così elegante anche mentre pittorescamente imbrattato di sangue, insomma quelle parole proferite da un uomo come James Moriarty mi fecero capire in un istante cosa mi spingesse ad essergli così fedele, a tenere così duro per non deluderlo in alcun modo, ciò che mi spingeva era semplicemente amore, esatto miei cari e diffidenti lettori, io semplicemente lo amavo.
Ci vennero a prendere con uno dei suoi jet privati, e una volta saliti passammo tutto il viaggio successivo in religioso silenzio, in effetti dopo la sua ultima affermazione non mi disse altro per il resto della giornate, ad eccezione di “ti porto subito da uno dei miei dottori di fiducia, vedrai che tempo tre settimane potrai tornare a lavorare come se non fosse successo nulla” in realtà le settimane di riposo furono soltanto due, ma poco importa. Lavorai con lui per altri tre anni, e in tutto questo tempo non mi rivelò mai come riusci a trovarmi e come riusci ad affrontare decine e decine di soldati rimanendo praticamente illeso, ma probabilmente fu meglio così, ogni leggenda rimane tale solo quando avvolta da un sottile alone di mistero, e Moriarty è stata una vera leggenda, è stato il principe azzurro del lato sbagliato, è stato l'eroe che si è battuto per la giustizia degli ingiusti, è stato l'unico capace di far inginocchiare il mondo intero con un semplice cenno del capo, era in grado di far cessare un cuore di battere con la stessa rapidità con cui faceva accelerare il mio, perché io l'ho amato, l'ho amato più della mia stessa vita e continuo a farlo tuttora. A volte mi fermo a riflettere sul quel giorno: se prima di uscire dalla mia cella avessi seguito il mio impulso e lo avessi baciato forse le cose sarebbero andate in modo diverso, forse saremmo stati qualcosa di  più che semplici colleghi di lavoro, forse lui avrebbe avuto un motivo in più per restare  in vita, o forse non sarebbe cambiato nulla, forse lo avrebbe visto come un semplice gesto di follia post traumatica, chi lo sa. So solo che in qualsiasi modo sarebbe potuta andare è andata nel modo sbagliato, perché da quel giorno, il giorno in cui mi resi conto di amarlo, non ebbi mai più l'occasione di baciare quelle labbra, di sentire quel profumo e di stringere quelle braccia, ma tutti questi rimorsi vengono sempre scacciati via dalla rievocazione di ciò che lui fece quel giorno per me. Anche se dopo tutto questo tempo nella mia mente il ricordo della sua impresa si fa sempre più sbiadito, quella frase rimarrà sempre nitida, come se fosse sempre quel 27 luglio, e non importa che non  abbia mai detto di amarmi perché  anche il solo sapere che lui per me avrebbe potuto fare un eccezione è la dichiarazione d'amore più bella che io avessi mai potuto ricevere.
   
 
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