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Autore: maichi    10/03/2015    2 recensioni
One Shot, qualcuno deve pur aver detto a Thranduil che suo figlio si era offerto volontario per far parte della Compagnia dell'Anello, no?
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il messo del Re

Quello del messaggero era un lavoro ingrato.

Linnorn, cavaliere agli ordini del re di Bosco Atro, giunse a questa conclusione mentre cercava di convincere la sua fedele compagna di sventura ad uscire dalla stalla. Talagor cercò di mordergli la mano mentre le accarezzava il muso per calmarla, la giumenta non sembrava felice all'idea di affrontare il tempo di fine dicembre, anzi era proprio recalcitrante. Come non comprenderla, la brina ghiacciava il sentiero battuto rendendolo duro come pietra, il sole non sembrava intenzionato a comparire ancora per un po' ed entrambi sapevano che la strada che da Gran Burrone li avrebbe condotti a Bosco Atro sarebbe stata lunga e pericolosa: dovevano attraversare terre selvagge e le Montagne Nebbiose, luoghi dove le persone erano scarse ma di creature che pensavano che tu fossi un pasto succulento ce n'erano fin troppe.

Controllò per l'ultima volta le provviste nelle sacche legate alla sella: “Non abbiamo molta scelta, amica mia”, disse alla baia con tono rassegnato “Guardando il lato positivo, prima partiamo, prima dovremmo arrivare.” diede una pacca al collo setoso dell'animale e questa sbuffò, quasi impaziente.

L'aurora iniziava ad illuminare timidamente una sottile striscia di cielo sui colli che circondavano l'inaccessibile valle che custodiva Imladris, troppo debole ancora per mostrare chiaramente il sentiero nascosto che li stava guidando alla strada per il passo di montagna. Il viaggio sarebbe durato due settimane ad essere ottimisti. E lui non era mai ottimista. In particolare non c'era modo di essere ottimisti quando si doveva attraversare quel passo di dicembre. Maledisse nuovamente il proprio lavoro al servizio di sua maestà Thranduil, re di quello che un tempo era noto come il Verdebosco.

Spinse Talagor ad un trotto sostenuto, il destriero avrebbe potuto tenere quel passo per ore senza stancarsi ed era un'andatura scomoda per il cavaliere, costringendo Linnorn a non appisolarsi in sella. Non era quello il momento per la terribile sonnolenza che lo colpiva quando si svegliava prima dell'alba.

Il mattino era forse il momento che odiava di più in tutta la giornata ed ancora di più detestava mettersi in viaggio quando ancora era la luce della luna ad illuminargli la via. Si portò la mano al petto per controllare di aver preso i dispacci che gli aveva consegnato Lord Elrond per il suo re e non esserseli dimenticati da qualche parte negli alloggi per gli ospiti. Non era la prima volta che doveva tornare indietro dopo appena qualche ora di viaggio per recuperare qualcosa. Quello era il primo dei motivi per cui odiava viaggiare da solo, il secondo era che si annoiava.

Linnorn era quel tipo di persona che non riusciva a stare zitta per più di dieci minuti messi insieme e due settimane di viaggio con la sola compagnia del suo cavallo sarebbero state provanti.

Ma la vera ragione per disprezzare un viaggio di quella portata in solitario era la sua pericolosità. Le possibilità di non arrivare a destinazione si moltiplicavano; per quanto Linnorn fosse uno dei migliori arcieri del suo regno e un ottimo spadaccino se fosse stato attaccato, la sua unica scelta sarebbe stata la fuga, sperando che la velocità di Talagor lo portasse al sicuro.

I primi cinque giorni trascorsero nel silenzio, spezzato solo dal fischiare del vento e l'ululare dei lupi. Linnorn ascoltava sempre con molta attenzione i richiami dei lupi, nel caso si trattasse di un branco di mannari. Mentre i lupi erano difficilmente pericolosi perché non si sarebbero avvicinati, i mannari non erano altrettanto timidi, se si fossero accorti della sua presenza si sarebbero gettati al suo inseguimento. Linnorn non aveva intenzione di diventare lo spuntino di un mannaro e sospettava che Talagor la pensasse alla stessa maniera.

Stavano per affrontare la discesa dal passo, per lasciarsi il prima possibile le montagne alle spalle quando il tempo cambiò repentinamente, nubi scure si addensarono e il vento soffiò con più forza, la neve divenne un muro bianco che gli impediva di vedere più in là del palmo del proprio naso. Procedere divenne sempre più difficile, finché Linnorn non decise che non ne valeva la pena e cercò riparo fra le rocce. Avrebbe volentieri evitato un viaggio a dicembre, ma il messaggio che trasportava era vitale, anche se Linnorn non aveva molta voglia di riferirlo al suo re, noto per non avere il temperamento migliore del creato. Dopotutto non si trattava certo di buone notizie.

La tempesta finì per farli ritardare di una giornata. Ma alla fine, con la criniera di Talagor che si era congelata e gli abiti resi rigidi dal freddo riuscirono a scendere dall'altra parte delle montagne lasciandosi alle spalle quella che era la parte peggiore del viaggio.

Giunti a valle, cercò un riparo con dell'acqua. Entrambi si meritavano riposo e Linnorn voleva veramente tanto accendere un fuoco per asciugare il pesante mantello che lo aveva ben protetto dalle intemperie. Talagor era più che felice dell'idea, Linnorn la spinse ad avvicinarsi abbastanza al falò affinché potesse pettinarle la criniera nella quale si era ghiacciata la neve, poi le porse una mela che si era portato dietro dalla valle. Quella notte cavallo e cavaliere riposarono vicini.

Talagor lo svegliò a colpi di muso e cercando di mangiucchiargli un orecchio ore prima dell'alba.

“Lasciami in pace.” bofonchiò esasperato “Il sole non è ancora sorto.” il cavallo raspò la terra accanto al suo giaciglio e Linnorn aprì un occhio con fare scontento: “Si può sapere che vuoi, Tal?”.

Linnorn conosceva Talagor da quando era una puledra ancora allattata dalla madre e notò che qualcosa non andava. La prima cosa che gli vennero in mente furono i mannari ma nessun ululato risuonava nella notte e i mannari difficilmente nascondevano la propria presenza. Le orecchie di Talagor erano dritte e si muovevano cercando di cogliere il minimo rumore, le sue frogie erano dilatate, la giumenta aveva avvertito qualcosa e Linnorn aveva imparato a fidarsi dei sensi della sua amica.

Raccolse i pochi effetti e montò in groppa, spronando Talagor al piccolo galoppo. Non fece nemmeno mezzo miglio che li udì distintamente, erano poco più avanti, probabilmente appostati fra le alte rocce. Non aveva modo di aggirarli, lo avrebbero visto, e forse poteva arrivare ad un accordo: erano umani, almeno non volevano usarlo per prepararsi la cena.

Rallentò Talagor ed estrasse l'arco. Talagor era addestrata a ricevere indicazioni solo dalla leggera pressione delle gambe e dallo spostamento del peso del proprio cavaliere.

I banditi attaccarono esattamente come Linnorn si era aspettato, lo circondarono spuntando da dietro i massi e i cespugli secchi, costringendo Talagor a fermarsi. Fecero talmente tanto rumore che non ebbe nemmeno bisogno di guardare per mirare e scoccare quattro frecce in rapida successione, ognuna delle quali fece volar via un'arma dalle mani degli uomini prima ancora che questi si accorgessero che era armato.

Questo li fece indietreggiare rapidamente, abbastanza perché potesse ordinare a Talagor di caricare quello che gli bloccava la strada che non si spostò sufficientemente in fretta, venendo colpito dall'animale e scaraventato a terra. Linnorn sperava che la batosta presa ed il ferito li scoraggiasse dall'inseguirli. Talagor era ben allenata, naturalmente veloce e resistente ma non avrebbe potuto tenere quell'andatura per più di alcune miglia, presto le avrebbe dovuto chiedere di rallentare, permettendole di riprendere fiato. Quella sera non si fermò, imponendosi solo una breve sosta durante la quale permise alla sua compagna di abbeverarsi per poi proseguire nella notte. Sapeva di aver perso il gruppo di banditi molte ore prima ma aveva sentito gli ululati dei mannari, che erano molto più pericolosi di una banda di ladri di cavalli male organizzata.

Sul finire del nono giorno di viaggio raggiunsero il confine di Bosco Atro, alti alberi minacciosi e uno stretto sentiero che gli avrebbe permesso di attraversarla, perché ovviamente il palazzo del re si trovava dall'altra parte della foresta. Talagor riconobbe i confini di casa, le sue energie sembrarono rinnovate, alzò la testa respirando profondamente l'odore pesante e umido della terra e degli alberi. Nitrì, un suono basso, quasi dolce e Linnorn si trovò a sorridere malgrado tutto: erano a casa.

Ci vollero comunque cinque giorni per arrivare al palazzo; il sentiero era stretto e tortuoso, Talagor era impacciata dal terreno accidentato e il fitto sottobosco, rallentando notevolmente la loro marcia. Ora che era fuori pericolo Linnorn non aveva fretta di arrivare. Una volta in città si prese il tempo di sistemare la sua cavalcatura nelle stalle, assicurandosi che lo stalliere le avesse procurato acqua e cibo e pulendola lui stesso, finendo di asciugare il pelo sudato con la paglia e poi spazzolandola con cura. Stava perdendo tempo e lo stalliere lo sapeva, infatti lo fissava con un sopracciglio inarcato, ma non disse nulla, probabilmente per pietà.

Più di due mesi prima Linnorn era partito per Gran Burrone accompagnando il figlio del re, Legolas, i due dovevano urgentemente raggiungere Imladris per affari di stato a cui Linnorn non aveva prestato troppa attenzione. Legolas aveva però deciso di partecipare ad una missione per conto Lord Elrond in seguito ad un lungo consiglio segreto al quale Linnorn non aveva partecipato. In effetti il principe si era limitato ad entrare nelle sue stanze a mattina inoltrata, mentre Linnorn ancora dormiva, tirarlo giù dal letto ed informarlo che sarebbe dovuto tornare a casa da solo, perché lui aveva da fare.

Il comportamento del principe non era una novità, era sempre stato una persona testarda. L'unico problema era che il compito di comunicare a re Thranduil le decisioni di suo figlio era di Linnorn, ed era un compito ingrato. Quando ebbe terminato le cose da fare alle scuderie, avendo anche ripulito i finimenti, vuotato le sacche del viaggio e aver consegnato la coperta usata per coprire la groppa di Talagor durante l'attraversamento delle montagne alla lavanderia, decise che non poteva presentarsi davanti al re in quelle condizioni e si diresse a casa per lavarsi e cambiarsi. Linnorn aveva un incredibile dono per la procrastinazione.

Pulito e cambiato non aveva più alcuna scusa per evitare il colloquio con sua maestà. I soldati che guardavano il portone che conduceva alla sala delle udienze, dove gli era stato confermato si trovasse il re, lo lasciarono passare senza una parola. La voce del suo arrivo si doveva essere sparsa in fretta, il re stava camminando nervosamente avanti ed indietro nella sala e alzò la testa appena lo udì entrare, le sue prime parole furono:

“Finalmente, Linnorn.” quasi ringhiate tanto il tono era teso.

Linnorn si inchinò: “Mio signore.”

“Dov'è Legolas?” Sua maestà era sempre molto diretto.

“Ha deciso di non tornare con me, mio signore.” tenne il capo basso ma colse comunque gli occhi del sovrano assottigliarsi:

“Ha deciso?” chiese.

Il principe era sempre stato un personaggio dalla volontà ferrea fin dalla più giovane età e Linnorn sapeva che il re aveva ben presente che nessuno sarebbe mai riuscito a far fare a suo figlio qualcosa che quest'ultimo non voleva fare. Comunque Linnorn si sentì in dovere di specificare.

“Lord Elrond ha ritenuto saggio inviarlo in missione a Sud, contro l'ombra che avanza da Mordor, mio signore. Il principe mi ha dato queste da consegnarle.” estrasse i documenti che gli vennero rapidamente tolti di mano, il re aprì le lettere e le percorse con occhi veloci, arrivato in fondo il suo volto si fece pallido:

“Tu lo hai lasciato partire da solo in una missione a Sud?” la voce del re si era fatta gelida come il vento delle montagne, “Ti avevo ordinato di proteggerlo.” Linnorn indietreggiò davanti a quella rabbia,

“Il principe mi ha ordinato di non seguirlo” disse e si rese conto che anche alle sue orecchie suonava intimidito e insicuro, “Lord Elrond e Mithrandir hanno affermato che avrei messo a rischio la sua vita e quella di molti altri se avessi interferito nella missione. Si tratta di qualcosa della massima segretezza e...” fu interrotto quando sua maestà gli passò accanto in uno svolazzio di mantelli e fogli.

“Se anche il Bianco Consiglio si è deciso ad agire l'ombra di Mordor deve essersi fatta più minacciosa.” disse “E' tornata esattamente come si era predetto anni fa, quando ho visto mio padre cadere sotto la stessa lama che adesso minaccia mio figlio.”

“Mio signore...?” Linnorn seguì il re attraverso la sala, in direzione la biblioteca, questo non lo degnò di uno sguardo, proseguendo a dritto per la sua strada. Aprì la porta di pesante legno che dava su scaffali e scaffali polverosi. Il bibliotecario si avvicinò con aria interrogativa.

“Tulisdir dove hai messo gli annali?” gli venne chiesto. Tulisdir fissò il proprio sovrano con aria interdetta.

Come dargli torto, pensò Linnorn, il re era entrato in biblioteca come una furia, non che fosse una persona che brillava per il proprio buonumore, sua maestà andava comunque più d'accordo con vino ed armi che con i libri.

“Non domani mattina Tulisdir!” il bibliotecario sobbalzò, uscendo dallo stupore

“Da questa parte mio signore.” li guidò fra gli scaffali con sicurezza.

“Puoi andare.” lo congedò il re, estraendo un volume dall'aria vissuta e aprendolo sul leggio. Linnorn si avvicinò ma non riuscì comunque a vedere qualcosa mentre l'altro scorreva la pagine con decisione.

“Elrond dovrebbe seriamente prendere in considerazione l'idea di mandare i propri di figli in questo genere di missione.” borbottò ad un certo punto, chiudendo il volume ed estraendone un altro. Linnorn decise che sarebbe stato saggio non commentare. Il re dovette trovare il passaggio che gli interessava, perché lesse avidamente, prima di chiuderlo e rimetterlo al suo posto. La rabbia aveva lasciato posto ad una più quieta rassegnazione.

“Penso di aver capito cosa pensano di fare, quei folli.” Il volto del re sembrava sconfitto, come se non avesse speranza di rivedere suo figlio. Linnorn sapeva bene quanto il principe fosse importante hai suoi occhi: la regina era morta quando suo figlio era ancora un infante, e il re non si era mai veramente ripreso da quella perdita, concentrandosi in maniera quasi morbosa sui suoi sudditi e il principe. Quest'ultimo non era più un bambino, ma un competente erede al trono di cui re Thranduil poteva e andava fiero.

“Tornerà mio signore. Suo figlio tornerà a casa.” gli occhi del sovrano si spostarono su di lui penetranti come una lancia.

“Tu non hai mai incontrato l'ombra alla quale stanno andando incontro.” disse, forse perso nei ricordi, “Io l'ho vista, l'ho affrontata già una volta non c'è speranza per loro.”

“Mio signore...” Il suo sovrano aveva paura e questo spaventava Linnorn a morte. Quella che era partita come una difficile conversazione su come si fosse fatto scappare il principe era diventata una realtà ben più oscura di quella a cui il messaggero era preparato. Chiuse gli occhi. La minaccia di Mordor era scomparsa prima della sua nascita e gli era rimasta impressa la sua leggenda raccontata attorno al fuoco. Più di un terzo di coloro che erano partiti per affrontarla la prima volta non erano tornati a casa e gli elfi non si erano mai abituati alla morte e ancora piangevano i loro caduti.

“Vai a riposare Linnorn, hai fatto un lungo viaggio.” lo congedò il re, aveva riacquistato la propria compostezza, il suo sguardo era duro e deciso, abbastanza da rassicurarlo. Annuì e si voltò. Non vece a tempo a raggiungere la porta che la voce del sovrano lo raggiunse nuovamente: “Di' alla prima guardia che incontri di andare a cercare i generali e mandarmeli. Se l'ombra si è spostata tanto da spaventare il bianco consiglio presto arriverà anche alle nostre porte. Dobbiamo essere pronti.”

   
 
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