Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower
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Autore: calamity julianne    10/03/2015    6 recensioni
Jamie Campbell Bower ha ventitré anni è arrogante, splendido, presuntuoso e vanitoso. Si crede il migliore in tutto quello che fa ed è perennemente arrabbiato con il mondo.
Julie Marin ha solo diciassette anni, è bella, forte e semplice ed è fuori dalla portata di Jamie: è la sua nuova sorellastra.
Quando la madre di Julie si trasferisce insieme alla figlia a casa di Jamie e di suo padre, inizierà la guerra.
Julie e Jamie si trovano costretti a passare tutta l'estate da soli, in balia dell'odio reciproco e dell'attrazione che provano l'uno per l'altra.
Amore. Odio. Gelosia. Segreti. Bugie.
I due si troveranno risucchiati nel vortice dell'odio e dell'amore impossibile che li vede protagonisti.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jamie Campbell Bower, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo tre.
 
Il giorno dopo di Jamie non c’era traccia e Julie ne era sollevata, sebbene il pensiero di vederlo arrivare da un momento all’altro le causasse un senso d’ansia.
Rimase tra le lenzuola del grande letto più del dovuto, tentando di tranquillizzare sé stessa ripetendosi mentalmente che Jamie non si sarebbe presentato di nuovo a disturbarla. Nonostante avesse iniziato quel rapporto con lui abbastanza prevenuta nei suoi confronti si sentiva ferita, quasi scossa dalle parole del ragazzo.
Pensava davvero quelle cose? Aveva davvero avuto il coraggio di sminuire il dolore che provava per il padre? Provava davvero tanto sdegno nei confronti di una ragazzina che aveva conosciuto appena?
Probabilmente sì ma d’altro canto non c’era da stupirsi più di tanto, considerando il fatto che anche Julie, per prima, si era dimostrata parecchio diffidente nei suoi confronti.

Julie si tirò su, poggiando la schiena alla spalliera fredda del letto e si passò entrambe le mani tra i capelli, dove le dita si bloccarono svariate volte a causa dei nodi. Scese giù dal letto, poggiando i piedi sul pavimento freddo e camminò verso il piano di sotto.
Mary non c’era e dalla grande vetrata della cucina, Julie scorse Harold a potare alcune piante in giardino. Aprì il frigo e si rese conto di non avere affatto fame, aveva lo stomaco chiuso. Si morse le labbra lascivamente e si voltò, dando le spalle alle grandi vetrate.
Che fare in una casa tanto grande, da sola?
Decise che forse uscire era la cosa migliore, quindi salì al piano di sopra dove si vestì velocemente, indossando un paio di jeans e una maglia in cotone a maniche lunghe bordeaux. Legò i capelli in una treccia laterale e indosso infine le proprie converse che avevano ormai la punta rovinata. Prima di uscire dalla camera, raccattò tutte le cose necessarie: il cellulare, il portafoglio e le chiavi di casa che David aveva fatto preparare per lei e si accertò di nascondere il quadernetto per bene, infilandolo tra i vestiti nell’armadio.
Uscì poi di casa e salutò Harold, spiegandogli che sarebbe andata a fare una passeggiata e che sarebbe sicuramente rientrata presto, nonostante volesse restare più lontana da casa possibile ma questo dettaglio lo omise.
Camminò lungo la lunga stradina verso il cancello, calpestando i sassolini bianchi e tenendo le braccia conserte. La villa dei Bower era ben lontana dal centro e senza un mezzo, non sarebbe riuscita ad arrivare lontano, motivo per il quale chiamò un taxi che le si parò davanti circa un quarto d’ ora dopo. Salì in macchina e quando il tassista le chiese dove volesse andare, ebbe un attimo di esitazione.
Lontano, avrebbe voluto dire.

Alla fine optò per Trafalgar Square e si rilassò sul sedile dell’auto solo quando finalmente si mise in moto. I minuti del viaggio li passò in silenzio, con le cuffiette nelle orecchie che non riproducevano alcun suono poiché ella non sapeva che canzone scegliere. Era solita scegliere le canzoni in base al suo umore eppure in quel momento non riusciva a decifrare i suoi sentimenti. Era arrabbiata e al tempo stesso ferita per le parole di Jamie che – sebbene tentasse di scacciare dalla mente – continuavano a rimbombarle nelle orecchie, ricordandole che sarebbe stato impossibile evitarlo a lungo perché erano costretti a condividere lo stesso tetto. Avrebbe voluto urlargli contro ma da un lato sapeva che non sarebbe servito, sapeva che Jamie era così e per qualche motivo provava quasi piacere nell’ infliggerle dolore.
Quando il taxi si fermò a Trafalgar Square, Julie pagò il tassista e scese dall’ auto, camminando verso la grande fontana davanti alla quale turisti si scattavano delle foto. 
Si diresse poi verso la scalinata che portava verso il National Gallery Museum e si sedette su uno degli scalini, tirò fuori il cellulare dalla tasca e selezionò la canzone Le onde di Einaudi che l’aiutarono a rilassarsi. Era sempre stata attratta dal pianoforte, persino il nome era tutta una storia.
Ricollegò il pianoforte a Jamie, al modo in cui aveva suonato quel giorno, all’ Opera Pia. Serrò la mascella al pensiero.
 

Chiuse gli occhi mentre il sole londinese che non riscaldava le si proiettava sulla pelle e tentò di non pensare ad altro se non alla musica. S’ inumidì poi le labbra e quando riaprì gli occhi, vide un ragazzo davanti a lei che scrutava il display del suo cellulare, aggrottando la fronte per via del sole.
Julie si sfilò una cuffia. «Ti serve qualcosa?», domandò facendo sì che il ragazzo spostasse lo sguardo dal cellulare a lei.
«Oh, no stavo solo tentando di capire cosa stessi ascoltando», ammise il ragazzo, passandosi una mano sulla nuca. «Einaudi, un po’ triste, no?».
La ragazza aggrottò le sopracciglia, sorpresa dalla domanda del ragazzo. Aveva i capelli scuri e gli occhi verdi, di un verde intenso e un sorriso tanto bello da nascondere l’imbarazzo.
«Un po’», fu l’unica risposta di Julie.
Il ragazzo si sedette accanto a lei e piegò le gambe sullo scalino sottostante, poggiando gli avambracci sulle ginocchia. Puntò lo sguardo su Julie e intrecciò le sue mani tra le gambe. «Non sei di molte parole», constatò lui con l’ombra di un sorriso sulle labbra. «Io sono Chris, comunque».
«Io sono Julie, piacere di conoscerti».
«Non credo di averti vista nei paraggi, sei di qui?», domandò lui e Julie si sfilò anche l’altra cuffia dalle orecchie per prestare attenzione al ragazzo.
«Sì, solo che mi sono trasferita e non sono venuta qui spesso», ammise lei e Chris parve accorgersi dell’ impercettibile smorfia ch’ella fece.
«Non sembri entusiasta della cosa», constatò Chris.
Julie sbuffò un sorriso e sollevò le spalle. «Diciamo che è un po’ complic-», s’ interruppe nel sentire il cellulare squillare e abbassò lo sguardo sullo stesso, dopo essersi scusata con il ragazzo. Guardò il display del cellulare e corrugò la fronte nel non riconoscere il numero. Accettò la chiamata e portò il telefono all’ orecchio.

«Pron-», fece lei ma fu subito interrotta da una voce.
«Dove sei?», sbottò Jamie dall’altro capo del telefono. Julie schiuse le labbra e le richiuse poco dopo.
«Come hai avuto il mio numero?».
«L’ho chiesto a tua madre».
Dopo che l’aveva insultata senza mezze misure aveva il coraggio di chiamarla?
«Non hai ancora risposto», ribattè Jamie prim’ancora che Julie potesse formulare una frase.
«A cosa?».
«Dove sei?», ripeté Jamie con un sospiro, palesemente irritato.
«Non è affar tuo», disse lei secca.
Sentì Jamie dall’altro capo del telefono sbuffare e Julie lo immaginò serrare la mascella, con gli occhi che parevano farsi più scuri dalla rabbia.
«Lo è da quando i nostri genitori hanno deciso di sposarsi, quindi te lo ripeto, dove sei?».
Julie schiuse le labbra e richiuse le labbra più volte prima di decidersi a parlare. «A Trafalgar Square», rispose vinta in un sospiro.
«Non muoverti da lì», disse Jamie prima di riattaccare.
Chris era rimasto a guardare e ad ascoltare la chiamata, corrugando la fronte di tanto in tanto. «Chiamata indesiderata?», domandò.
Julie annuì. «Era il mio quasi-fratellastro», spiegò. «Tra poco sarà qui».
«È un tipo geloso?», domandò Chris.
«Non saprei, non lo conosco bene».
«Lo sentivo sbraitare da qui», disse Chris accennando una risata per tentare di allentare la tensione creatasi.
Riuscì a strappare un sorriso a Julie che a sua volta riuscì a sviare la conversazione per evitare di parlare di Jamie o di qualsiasi altra cosa che poteva ricollegarsi a lui.
Chris si rivelò un ragazzo simpatico oltre che bello e intelligente. Aveva 19 anni, studiava economia all’ università ed era al primo anno. Era per di più una piacevole compagnia, tanto da far dimenticare a Julie l’esistenza di quel ragazzo dai capelli biondi che poco dopo le si parò davanti.

Trovò Julie mentre rideva con quel ragazzo a lui sconosciuto e raggiunse gli scalini a grandi falcate e quando la ragazza si accorse della sua presenza, non disse niente. «Andiamo», ordinò semplicemente Jamie con voce autoritaria.
Lei dal canto suo avrebbe voluto opporsi ma non voleva fare una scenata davanti al ragazzo appena conosciuto e alle altre persone che passeggiavano accanto a loro indisturbate. Si voltò verso Chris e gli rivolse il sorriso più convincente che era capace di creare, sporgendosi a lasciargli un leggero bacio sulla guancia. «Mi ha fatto piacere conoscerti».
«Anche a me, spero di rivederti», disse Chris ricambiando il suo sorriso mentre entrambi si alzavano dagli scalini.
 Jamie roteò gli occhi al cielo e afferrò il braccio di Julie. «Sì, certo», borbottò tirando Julie giù per le scale con sé e stringendo la presa sul suo braccio fino a farle male.
Una volta percorsa la scalinata, Julie si dimenò mordendosi le labbra. «Mi fai male, lasciami», disse secca ma decisa. Jamie parve non sentirla e continuò a camminare a passo svelto, trascinando Julie con sé tanto che dovette accelerare il passo per stargli dietro. Si fermò solo quando arrivarono alla Harley Davidson di Jamie e lasciò la presa sul braccio di Julie sul quale la ragazza passò la mano più volte. Riusciva quasi a sentire ancora la sua presa, nonostante non ci fosse più.
 
Jamie le porse il casco senza degnarla di uno sguardo e indossò poi il suo montando sulla moto. «Sali», le ordinò poi dopo che l’aveva vista indossare il casco dallo specchietto della moto.
«Con che coraggio riesci a parlarmi così dopo quello che hai fatto ieri sera?», sbottò lei.
«Di questo parleremo dopo, ora sali», ripeté Jamie guardandola dallo specchietto.
Julie salì in moto con riluttanza e poggiò le mani sulle proprie cosce senza sfiorare minimamente il corpo di Jamie che a sua volta, sì curò bene dal non chiederle di aggrapparsi a lui.

Jamie guidò guardando la strada, tanto concentrato sulla stessa che gli si creò una piccola ruga tra le sopracciglia. Julie – che affondava le unghie nelle proprie cosce ogni volta che Jamie prendeva una curva – si guardava intorno e non riusciva a riconoscere la strada ch’egli stava seguendo per tornare a casa.
Pensò fosse una scorciatoia, ma quando Jamie posteggiò davanti ad un grande palazzo, capì che non era così. Scese dalla moto e si sfilò il casco, rovinando la treccia laterale dalla quale uscivano piccole ciocche adesso.
«Dove siamo?», domandò lei.
«A casa mia», rispose Jamie mentre si sfilava il casco e con un cenno indicò a Julie che doveva seguirlo. Camminò a grandi falcate verso il portone del palazzo accanto al quale vi era un portiere che salutò Jamie con un “Signor Bower” nonostante lui non rispose. Julie gli rivolse un sorriso gentile a labbra chiuse e Jamie nel frattempo raggiunse l’ascensore e vi entrò  seguito dalla ragazza che quasi aveva il fiatone per riuscire a stare al passo con lui.
 
Jamie selezionò il pulsante dell’ ultimo piano e attese che arrivassero, fissando la parete opposta come Julie.
Nessuno dei due fiatava.
Quando l’ascensore tintinnò per annunciare che erano arrivati, Jamie si diresse a grandi falcate verso l’ unica porta del piano che apparteneva alla sua casa e Julie pensò che dovesse essere parecchio grande per questo.
Quando entrò in casa, schiuse le labbra trovandosi davanti ad una grande sala dove padroneggiava un pianoforte nero, nella cui superficie lucida si rifletteva il lampadario in cristallo. Il pavimento era in marmo nero e nella stessa stanza, separata da uno scalino vi era un grande tavolo da pranzo che poteva ospitare sei persone e pensare che lì viveva solo Jamie, secondo Julie era uno spreco. Più vicini al pianoforte, si trovavano dei divani e un tavolinetto. Il tutto era incorniciato da grandi vetrate che concedevano una vista della città mozzafiato.
Jamie gettò le chiavi della moto e di casa sul ripiano in marmo sopra il caminetto spento e si voltò verso Julie che era rimasta a guardarsi intorno. «Perché stai da tuo padre se hai questa casa?», domandò lei poggiando il casco per terra.
«Sto da lui solo perché me l’ha chiesto, per recitare la parte della famiglia unita mentre ci siete voi», sputò con la punta di veleno che spuntava ogni volta che parlava del padre.

Padre.
Le parole di Jamie tornarono a rimbombare nella mente di Julie che s’irrigidì.
«Dovresti farmi delle scuse».
Jamie sollevò un sopracciglio e si diresse verso la cucina a isola. Aprì il frigo sotto gli occhi di Julie che si avvicinò lentamente. «Dovresti vedere le mie parole come critiche costruttive», disse indifferente mentre tirò fuori dal frigo una bottiglia di birra che stappò e portò successivamente alle labbra.
«Critiche costruttive? Sul serio?», disse Julie incredula, riducendo gli occhi in fessure per l’espressione che aveva assunto. «Evita di scherzare, è già tanto se
sono qui».
Jamie si accarezzò il labbro inferiore con la punta della lingua. «Ho problemi nel chiedere scusa alla gente», disse come a giustificarsi.
«Però quando si tratta di sputare veleno non ti fai tanti scrupoli».
Jamie sbuffò poggiando la bottiglia sull’ isola e vi si appoggiò con le mani mentre Julie incrociava le braccia al petto, in segno di distacco.
«Spero tanto che i nostri genitori non si sposeranno», disse solamente. Julie aggrottò le sopracciglia e lui aggiunse: «Sei un tantino insopportabile».
Julie sbuffò un sorriso amaro e si girò, dirigendosi verso la porta. «Questo è troppo», mormorò tra sé ma Jamie la sentì. La raggiunse velocemente e la strattonò indietro dal braccio, lo stesso che portava ancora i segni della sua presa a Trafalgar Square.

«Scusa, scusa», disse prima che Julie potesse sbraitargli contro di lasciarla andare. «Che sei un tantino insopportabile lo penso davvero, quindi non mi scuso per questo. Ti chiedo scusa per ieri. Non rifletto su quello che dico».
«Dovresti iniziare a farlo invece», rispose Julie dopo un attimo di silenzio. Portò la mano sulla sua che era intenta a stringerle il braccio e la tirò via, facendo poi un passo indietro.
Avrebbe voluto urlargli contro tutta la sua rabbia e il disprezzo che adesso provava per lui eppure davanti a lui, in quel momento, si sentì quasi intimidita.
Di una cosa però era certa: le scuse di Jamie non avrebbero cambiato nulla. Si era tolta un piccolo sfizio, questo sì ma niente di più.
Julie si passò una mano sul collo e guardò fuori dalle vetrate per un attimo prima di tornare su di lui. «Dovresti accompagnarmi a casa, Mary sarà
preoccupata».
«L’ ho avvertita io, prima di venire a prenderti. Pensavo volessi compagnia invece di stare in quella casa sola», disse con finta innocenza.
«Preferisco la solitudine alla tua compagnia».
Jamie sollevò un sopracciglio, infastidito e divertito al tempo stesso della sua risposta. «A proposito di compagnia», disse pronto a cambiare discorso. «Chi era quello?».
«Di chi parli?», domandò Julie indietreggiando fino a poggiarsi alla spalliera del divano da dietro e poggia le mani sui bordi della stessa.
«Lo sai di chi parlo, di quel belloccio da quattro soldi con cui parlavi sulla scalinata».
«Non è un belloccio da quattro soldi. Si chiama Chris, l’ho conosciuto proprio stamattina».

«Fammi ben capire, tu passi del tempo con uno che conosci appena, promettendogli anche un secondo incontro?», disse come se stesse raccontando
un’assurdità.
«Teoricamente anche tu sei uno sconosciuto per me», disse lei con tutta la tranquillità che era in grado di dimostrare.
«Io non sono affatto uno sconosciuto», sbottò lui mantenendo un tono di voce normale.
«Hai ragione, tu sei quello che insulta mia madre, me, che legge le mie cose private e si prende gioco di ogni dolore altrui», disse lei con tutto il veleno che aveva in corpo e che pian piano riaffiorava con la rabbia.
Jamie parve essere preso alla sprovvista ma rispose ugualmente con un tono duro. «Ti ho chiesto scusa».
«Ma cosa pensi che cambino le scuse? Niente, non cambiano niente».


Le labbra di Jamie si schiusero per rispondere ma preferì tacere. Julie, scuotendo il capo, si spostò dal divano. «Come non detto», mormorò mentre tornava di nuovo verso la porta principale e stavolta Jamie non si azzardò a seguirla.
«Dove stai andando?», si limitò a chiedere mentre guardava la sua schiena e la sua treccia disordinata allontanarsi.
«Lontana da te», disse sbattendosi la porta alle spalle.

Jamie sussultò ma non fece altro.
  
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