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Autore: AnyaTheThief    11/03/2015    2 recensioni
"... Magari lei è tornata" espone la sua teoria ai compagni che lo guardano seri ed in silenzio per tutta la durata del suo discorso, mentre il giovane neo-Moschettiere tenta di esprimere tutta la sua preoccupazione.
Entrambi all'unisono scoppiano in una risata fragorosa.
"E tu hai capito tutto questo da...? Un ghigno sotto ai baffi?" lo deride Aramis.
Il povero D'Artagnan sospira rassegnato, ma anche un poco divertito. E va bene, forse ha esagerato e viaggiato un po' con la fantasia, sicuramente un po' di alcool ha fatto la sua parte.
"Fidati, amico, Athos sta benone." lo rassicura Porthos appoggiandogli una sonora pacca sulla spalla. "Per quanto bene possa stare uno che ha rischiato di morire più volte per mano della moglie che credeva di aver ucciso." aggiunge poi, prima di scoppiare a ridere di nuovo assieme ad Aramis.
Anche D'Artagnan ritorna ad immergersi nell'atmosfera leggera e spensierata, e a sorseggiare dal suo boccale, costringendosi a fingere solo per un attimo che i suoi amici abbiano ragione. Ma lui sa che non è così, ed andrà a fondo in questa cosa.
E poi è davvero tanto, tanto curioso.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da come alterna le risatine quasi isteriche allo sguardo cupo che continua a rivolgere ad Aramis senza motivo apparente, i suoi compagni potrebbero pensare che si sia del tutto ammattito. Ma D'Artagnan aveva capito subito.
Lo aveva rassicurato, dicendogli che non c'era bisogno che lo facesse da solo, e lo aveva aiutato ad alzarsi da terra. Athos aveva visto che le sue occhiatacce torve non erano passate inosservate, tanto che Aramis si era voltato verso Porthos con aria sorpresa, scuotendo il capo come a giustificarsi. Non era colpa sua e questo Athos lo sapeva benissimo, ma il quel momento nella sua mente c'era solo l'immagine del suo amico assieme a Liv. E probabilmente lui aveva tutte le risposte che gli servivano. L'unica cosa che vuole sapere è se lei si trova lì dentro o meno, ma non vuole chiederglielo, non vuole parlarne con lui, non vuole parlarne con nessuno.
Presto l'avrebbe scoperto. Esita davanti all'uscio, bloccandosi fermamente in modo che nemmeno D'Artagnan – che lo sta aiutando a reggersi in piedi – possa proseguire. Fissa la porta come un vecchio nemico, l'avversario più temibile, l'ultima cosa che lo separa dalla verità. Poi con un gesto deciso ma non brusco si libera del supporto del compagno e varca la soglia.
“Buonasera, Monsieur” lo accoglie un uomo fin troppo allegramente per il posto in cui si trova. Ma d'altronde c'è da immaginarsi che a lavorare in un luogo simile si debba per forza mantenere un certo livello di ironia, o si rischia di impazzire.
Athos non risponde. Gli occhi guizzano rapidamente sui tavoli disposti lungo alla parete: tre, quattro, cinque... sei. Su ognuno di essi un lenzuolo copre una macabra scena. Sei possibilità. Anzi, cinque, considerando che da uno di questi candidi sudari macchiato di cremisi sbuca la testa di un anziano. Dilata involontariamente le narici, nervoso, anche se vorrebbe tapparsele per non sentire quell'olezzo che aleggia nella stanza umida e scura.
L'uomo si muove avanti e indietro, sistemando alcuni attrezzi, e solo dopo alcuni secondi sembra accorgersi che il Moschettiere non ha proferito parola da quando è entrato. Si ferma, squadrandolo.
“Cercate qualcuno per conto del Re?” domanda, incrociando le braccia al petto.
Athos sembra aver perso l'uso della parola. Scuote il capo intimidito, abbassando lo sguardo. Prende un bel sospiro, prima di borbottare: “Una donna. Capelli rossi. Ricci.”
Tenendo il capo basso, scuro in viso, solleva gli occhi per osservare la reazione dell'uomo, che ha assottigliato i propri, pensoso.
“Sì.” decreta infine, dando un colpetto all'aria con l'indice. “Stamattina, l'ha portata la Senna.”
E' pietrificato. Non riesce a muoversi, e non sente più i vaneggi del suo interlocutore, ma solo un rumore acuto e continuo che gli pervade l'udito. Più che un fischio gli pare un tintinnio prolungato e ad altissima frequenza. I bicchieri di cristallo. La sua risata. La sua voce. Non ha potuto sentirla per l'ultima volta. Questo è l'unico pensiero egoistico che gli rimbomba in testa; un meccanismo di autodifesa gli impedisce di pensare al volto esangue, agli occhi sbarrati a fissare il vuoto per sempre, al corpo immobile e freddo. Non vuole vedere quella scena ma sa di doverlo fare, anche se poi ne sarà tormentato per lunghissime notti a venire.
Torna alla realtà quando l'uomo lo richiama più volte, mostrandogli il cadavere che giace sotto uno dei lenzuoli. Per inerzia, Athos muove alcuni passi verso di lui, la ciocca di capelli rossi che intravede gli fa sobbalzare il cuore in gola.
Mentre fissa la giovane donna distesa su quel tavolo, il tempo sembra aver ripreso a scorrere normalmente e non saprebbe dire da quanto D'Artagnan è entrato nella stanza. Ma solo ora si accorge della sua presenza, perché il guascone lo chiama a voce alta e chiara.
“Athos.”
Si volta verso di lui, con gli occhi lucidi e all'occhiata interrogativa del suo amico scuote il capo. Non è Liv. La sua Liv è ancora viva da qualche parte, lo sa di per certo. Quella piccola, vivace e muta parte del suo passato che ancora sopravvive non lo potrebbe mai lasciare in questo modo.
Anche D'Artagnan è sollevato dalla notizia. “Forza. Non puoi arrenderti ora.” lo incoraggia pur non mostrando un tono entusiastico. Come se fosse completamente logico che lui dovesse continuare a cercarla, come se fosse una cosa normale, ovvia. Come se la sosta in quel posto non fosse stata altro che una tappa della sua ricerca. E difatti così doveva essere, ma il suo cuore si era fermato quando le probabilità di trovarla davvero lì si erano fatte più alte.
Senza dire una parola barcolla incerto verso l'uscita.
Aramis lo guarda bianco come un lenzuolo.
“Allora... Ollie sei tu.”
Lo gela con lo sguardo. Probabilmente Athos si immaginava che l'amico si sarebbe messo a ridere a questo punto, ma dalla sua espressione non traspare la benché minima traccia di ironia o malizia.
“Io non sapevo...” inizia a giustificarsi.
“Smettila.” lo interrompe Athos bruscamente. “Non voglio sapere nulla.” fa per andarsene, ma Aramis lo blocca mentre gli sta passando di fianco, trattenendolo per un braccio in modo da porsi nuovamente di fronte a lui.
“Aspetta un attimo.” il suo tono è risoluto e costringe Athos a guardarlo negli occhi. “Non è successo nulla. Mi ha condotto in un'abitazione, dove si è cambiata d'abito e ha raccolto alcune cose. Poi nella bottega del sarto, dove ha insistito per restituirmi pochi soldi che le avevo dato al nostro primo incontro.” spiega, talmente scorrevolmente che Athos non ha motivo di dubitare della sua versione. Continua a guardarlo, incuriosito, come a spronarlo a continuare. “Ha preso una borsa e se n'è andata.” conclude infine Aramis, allentando la presa sul suo braccio, fino a lasciarlo andare. Ma Athos non si muove di lì.
“Dov'è andata?” domanda, la mascella rigida.
“Se avesse detto anche solo una parola, lo saprei. L'ho messa su una carrozza e da lì ho solo visto che dava delle indicazioni al cocchiere, puntando con il dito come una bambina.”
“Aspetta un attimo: vuoi dire che è... muta?” interviene Porthos che, estraneo alla faccenda, cerca solo di fare un po' più di chiarezza. Di risposta riceve solo un'occhiata ed un silenzio eloquente da parte di Athos.
“Perché non ce l'hai detto?” insiste Aramis.
La risposta che vorrebbe dare all'amico in questo momento è “perché sono una testa di cazzo.”, ma non serve esprimerlo, probabilmente lo hanno già capito dalla sua mimica mortificata, tanto che D'Artagnan gli posa una mano sulla spalla per rassicurarlo.
“Sono sicuro che stia bene e che tu in fondo sappia già dove cercarla.”
“Sarà meglio avviarsi.” aggiunge Porthos.
“Quattro paia di occhi sono meglio di uno.” conclude Aramis.
“Nessuno vi ha chiesto di venire.” replica Athos, rispondendosi poi da solo in uno scambio di occhiate con Porthos. “Ma tanto verrete lo stesso, dico bene?”

 

 





Non ha mai desiderato tanto che il suo cavallo possa correre più veloce di così.
La luna ormai sta scomparendo, annebbiata dalla luce del sole del mattino che fa capolino dietro ad alcuni colli in lontananza. Lo sguardo di Athos brucia di desiderio di raggiungere la meta, gli occhi sono arrossati per via della notte passata in bianco a cavalcare, i capelli in disordine, non indossa nemmeno la divisa, a differenza dei suoi tre compagni.
Non una parola è intercorsa tra di loro da quando sono partiti, ma soltanto sguardi eloquenti che lui ha intravisto con la coda dell'occhio: sa bene cosa stanno pensando tutti, ma non ha intenzione di dar loro risposte. Non finché Liv sarà di nuovo tra le sue braccia.
D'Artagnan è quello che sa più degli altri, ma intuisce che non abbia lasciato trapelare il suo segreto, e si augura che abbia il buon senso di non farlo davanti a lui, quantomeno.
L'attesa lo sta uccidendo; Pinon non può che distare qualche decina di minuti, ma il cavallo sembra più lento che mai. Eppure non è più lento di quelli dei suoi compagni.
La gola secca gli brucia e così anche gli occhi già sensibili alla luce, quando il sole illumina chiaramente il loro sentiero e, chiaramente, il piccolo villaggio che si intravede in lontananza. Quel posto che normalmente susciterebbe in lui rabbia, astio e repulsione, ora rappresenta solo la speranza. Tutti i brutti ricordi legati alla sua vecchia abitazione vengono soppiantati da un solo pensiero: Liv potrebbe trovarsi lì. Da quando era andato a Parigi, non aveva mai più pensato a quel villaggio in questo senso, semplicemente perché non credeva che lei fosse stata lì per tutto il tempo.
Con la mano si fa ombra sugli occhi per poter vedere meglio; il sole lo sta irritando, ma allo stesso tempo è piacevole sentire un po' di calore accarezzargli le braccia, coperte solo da una camicia piuttosto leggera.
Istintivamente fa rallentare il cavallo, quasi come se dovesse studiare da lontano una strategia militare per entrare nel paesino. In realtà il suo gesto d'impulso è dovuto al fatto che gli è parso di sentire qualcosa provenire dal bosco a lato del sentiero. Qualcosa come... Impossibile. Si guarda attorno con aria quasi spaventata, e di conseguenza gli altri tre Moschettieri si mettono in guardia, estraendo le armi e guardandosi attorno con circospezione.
Dopo alcuni secondi, Porthos lo guarda con aria interrogativa, e Athos scuote la testa. Tutti rinfoderano le armi tirando un sospiro di sollievo.
Ora il suo sguardo e la sua attenzione sono stati catturati da qualcos'altro: poco lontano si trova il ponte, quel ponte. Continuando a percorrere quel sentiero giungeranno nientemeno che al punto in cui Roland li aveva ritrovati, sporchi e sanguinanti. Quando aveva visto Liv per l'ultima volta, prima di perderla per tutti quegli anni...
Temporeggia ancora qualche attimo. La cicatrice gli pizzica di nuovo, per quanto tenti di alleviare l'irritazione mordicchiandosela.
“Devi farlo.”
E' D'Artagnan infine a rompere quel lunghissimo silenzio che, d'altronde, finora non aveva avuto alcun bisogno di parole. Il flusso di pensieri di Athos viene interrotto bruscamente, e si ritrova in qualche modo ad annuire all'affermazione dell'amico. Certo che deve farlo, ma come? Cosa potrà dirle? Non è nemmeno così scontato il fatto che la trovi, tra le altre cose...
E poi guarda quei tre scapestrati che gli stanno di fronte. Il viso pallido di Aramis, le occhiaie di Porthos, gli occhi di D'Artagnan lucidi: hanno cavalcato tutta la notte soltanto per lui. Nessuno ha chiesto loro di farlo, ma non se ne sarebbe mai potuto liberare, nemmeno se avesse voluto.
Ma in fondo non l'ha mai voluto. Non ce l'avrebbe fatta da solo.
“Devo controllare... Un posto...” bofonchia confuso, facendo un gesto in direzione del vecchio ponte tornando a controllare il cavallo a passo lento. Fedeli, i suoi compagni lo seguono senza fare domande, finché non si ferma di fronte a quello che pare un antica diramazione del sentiero, ora evidentemente poco frequentata. Sulla terra un tempo battuta sono cresciute delle sterpaglie che l'hanno nascosta quasi del tutto, e le piante circostanti hanno invaso il passaggio, lasciando libero quel poco che basta per camminarvi attraverso a testa bassa.
Quando Athos smonta da cavallo, D'Artagnan lo sta per imitare ma Aramis lo blocca con un semplice sguardo. Il guascone cerca conferma sul volto di Athos, e i suoi occhi gelidi lo convincono a non seguirlo.
Esita per un istante di fronte a quel luogo. Il luogo da cui è iniziato tutto. Se non fossero mai andati lì, se quel giorno, per una volta, avessero ascoltato Roland... Se avesse avuto un po' di buon senso e avesse convinto Liv ad andare a giocare altrove per non farle sporcare il vestito. Se, se, se... Inutile rivangare il passato.
Per tutti questi anni si è già sentito abbastanza in colpa per ciò che è accaduto, ora non può avere sulla coscienza anche quest'ultimo fatto: deve ritrovarla, costi quel che costi.
Si china ed avanza scostando le fronde, ma quando la piccola radura inizia a fare capolino, le sue speranze subito si affievoliscono: pare deserta. Solo lo scroscio del fiume che scorre gli impedisce di venire soffocato da quel silenzio innaturale.
Cerca di farsi forza, anche se gli occhi e la gola gli bruciano fortemente mentre avanza dei passi insicuri in direzione della riva. Nulla è cambiato. Si guarda attorno, ruotando il capo lentamente a destra e a sinistra con spenta attenzione; i ricordi offuscano la sua mente. Ogni passo compiuto verso quell'argine è come una pugnalata al cuore.
Poi di nuovo eccolo. Stavolta è quasi sicuro di non averlo immaginato: un tintinnio, uno scampanellio forte e chiaro che lo fa voltare di scatto in direzione del grande albero che in questo momento gli sta facendo ombra. Sono le sue radici ad attirare la sua attenzione. Lì, proprio in quel punto, avevano nascosto le bambole di Liv. Quelle che lui aveva barattato con le corde per saltare per regalargliele.
Ma le pietre sono state spostate: non c'è da meravigliarsi, dopotutto sono passati moltissimi anni, anche se è piuttosto insolito che qualcuno si sia recato in quel posto e le abbia trovate. Si avvicina al vecchio nascondiglio: nessun segno di campanelli o di qualcosa che possa tintinnare smosso dal vento. Sta forse diventando pazzo?
In compenso, esaminando da vicino il terreno circostante, nota qualcosa che prima non aveva visto, che non aveva nemmeno pensato di controllare. Con calma, riposiziona le pietre nel loro ordine, anche se ora non hanno più nulla da celare se non il segreto di due bambini spensierati che vissero tanti anni prima. 

  
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