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Autore: Mania    11/03/2015    2 recensioni
{ CROSSOVER con Once Upon a Time }
{ Loki/Sigyn + accenni Gold/Belle ● Ambientata a Storybrooke durante la prima stagione di Once Upon a Time }
→ C A P. O 3 || Non importa tra quanto tempo, ci ritroveremo ||
«Sappiamo entrambi che per noi il piacere ha variopinte sfumature» chiosò Loki, cominciando a incamminarsi verso la sua meta – una cittadella arroccata vicino al mare, imprigionata in una morsa d’inverno che pareva averla paralizzata completamente, ma Sigyn era troppo distante per poter capire quale natura avesse quello strano immobilismo di cui aveva sentore.
«Cerchiamo di non trascurarne alcuna, allora.»
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sigyn
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SE NON CI SARà ABBASTANZA TEMPO PER NOI

C A P I T O L O   0 2
“ Se non ci sarà abbastanza tempo per noi,
lo ruberò alle vite degli altri






» CAP O2 || Ricordi consumati come candele

L’effetto dei caldi raggi solari a infrangersi sulla cascata dei capelli di Sigyn, era particolarmente affascinante agli occhi di Loki – un dettaglio al quale era affezionato, irrazionalmente, ma di cui andava geloso. Scoloriti di natura, le ciocche intrecciate della donna, possedevano un intrinseco chiarore a richiamare l’opacità della luce, la quale assumeva una nota ancora più candida quando si trovavano sotto il sole – come se fossero neve resa solida, compattata nella sua chioma.
Nel chiarore del giardino più privato del palazzo reale di Asgard, il profilo di Lady Sigyn intenta a leggere era delicato all’apparenza, come lo ricordava nella priva visione che ebbe di lei. Era solo un inganno il suo aspetto niveo, perché tra tutte le creature dei Nove Regni, lei possedeva il cuore macerato e storpiato da una moralità tutta sua – una logica creata da sé, scostata da quella della maggioranza –, degno tra tanti di accompagnarsi a quello di Loki.
La osservava silenziosamente, carpendone ogni minimo movimento per decifrarne i pensieri – cosa non semplice con una mente persa per i propri sentieri come quella di lei, ma con lo scorrere dei secoli ormai aveva imparato il suo silenzioso dizionario. Dunque non gli era difficile comprendere la sua stizza e nemmeno la sua origine, cosa che lo divertiva per come le sue sopracciglia si flettessero lievemente, creando sottili rughe e incidendo sul suo sguardo, rendendolo più duro nel consueto.
«So quel che pensi, mia devota Sigyn, non ho bisogno che parli per capirlo» asserì improvvisamente, interrompendo la lettura di entrambi per rispondere alle sue mute affermazioni. Riuscì a intercettare finalmente in pieno le sue iridi nere, abissi prive di fondo, nelle quali scovò tracce maggiori riguardo i dubbi che la affliggevano circa il piano da lui elaborato. «Non desideri che accetti l’accordo con Tremotino, troppo pericoloso e insidioso. Hai ragione, ma non chiederò soccorso a mio padre o a nessun’altro di questo mondo! Sono loro i colpevoli, i veri responsabili di tutto ciò! Se solo riconoscessero il mio valore, il mio potere, il mio posto! Se solo comprendessero che sono loro quelli che dovrebbero inginocchiarsi, rimanendo all’ombra della mia gloria, tutto questo non sarebbe mai capitato.»
La osservò alzarsi con calma dal punto del prato che aveva in precedenza scelto con cura, per avvicinarsi a lui, tagliando via i pochi metri di distanza a separarli. Gli si sedette da parte, appoggiandosi con il fianco a lui, cominciando ad accarezzare con lentezza dolce i lineamenti del volto, in un tentativo estremo di calmare parte del rancore che lo affliggeva. La soddisfazione, Sigyn lo sapeva, non era parte del suo re – eppure, non desisteva dal provare a concedergliene almeno un po’.
«Sei troppo buona con me, mia Sigyn, nonostante quello che ti è capitato per un mio errore sei ancora qui. E ci rimarrai per sempre», continuava a parlare, questa volta sussurrando appena all’orecchio della donna, per colmare il silenzio forzato al quale lei era relegata. Per aver giocato i nemici di suo padre con l’astuzia e non con la forza, mostrandoli per gli inetti incapaci che erano, deridendoli per la loro stupidità, essi si erano presi una rivincita che non sarebbe passata impunita – una vendetta calma, non appena avrebbe riavuto ciò che desiderava. Le avevano strappato la lingua[1], per punirla per la sua dedizione a lui, per il ruolo centrale che aveva giocato nella loro disfatta e per le battute di compassione malevola con la quale li aveva accompagnati alla rovina – ma soprattutto, per ferirlo colpendo l’unica persona alla quale davvero tenesse, oltre se stesso.
«La magia ha sempre un prezzo, quello che devo pagare io è rimanere a disposizione di Tremotino per i suoi affari fino a quando lo deciderà lui. Non lo trovo esagerato per ridonarti la parola – nessuno lo sarebbe per me –, quindi non essere troppo indispettita se non ti do retta una volta in più
Con un braccio a cingerle la vita, si chinò sulle sue labbra carnose per baciarla. Tutti avrebbero prima o poi subito il contrappasso per ciò che stavano attraversando – anche suo Padre, che non aveva preso provvedimenti nei confronti di chi aveva protratto un simile crimine, e suo fratello e tutti gli asgardiani, che non comprendevano la forma della sua gloria. Tuttavia, ciò che ora maggiormente desiderava era udire nuovamente la voce di Lady Sigyn, prima delle loro nozze imminenti.

La sua voce, quella di Séline Tyler com’era stata di Lady Sigyn, era composta di tonalità alte, seppur mai stridule, ma che richiamavo più quelle di un’adolescente rispetto a quelle di una donna – la morbidezza fanciullesca di anni non ancora scrollati, come dai suoi lineamenti in cui si respiravano ancora note di fresca gioventù. E con essa, aggrottando la fronte in una marea di onde interrogative, si ritrovò a domandare chiarimenti ad Emma Swan circa quanto le stava chiedendo di fare, oltrepassando le sue normali mansioni lavorative.
«L’Operazione Cobra?»
«Sì, Henry dice che te ne ha già parlato del libro delle fiabe…» continuò Emma, cercando di rendere sensato un discorso che sapeva non poterlo essere davvero per qualsiasi persona raziocinante. Spiegare a Séline perché e come le occorresse il suo aiuto non era semplice, ma desiderava più che mai essere convincente per amore di suo figlio. Conoscendo bene il secondo lavoro della sua partner, era certa che non le avrebbe negato il suo apporto se si trattava di Henry – teneva a lui, d’altronde era la sua babysitter da anni e non sarebbe potuto essere diversamente.
«Oh, certo, della maledizione» asserì mentre chiudeva il cassetto della propria scrivania, riponendo ordinatamente i documenti, prima di alzarsi. Non sembrava particolarmente turbata dalle fantasticherie di Henry, prendendole con una tranquillità insolita che Emma trovò quanto meno bizzarra – non più di quanto Séline non lo fosse in generale, in ogni caso. Una donna particolare, con gusti alquanto strani e un modo di lavorare in polizia bastato sull’istinto e sull’assenza di un senso di giustizia prepotente – cosa che si sarebbe aspettata, al contrario, di riscontrare. Sembrava quasi che avesse scelto il lavoro nelle forze dell’ordine più per capriccio che per una vocazione, come se fosse semplicemente un gioco al quale prendere parte.
«È convinto che anche il signor Odilon sia un personaggio delle fiabe – bhé, più della mitologia dovremmo dire, ma d’altronde sono racconti fantastici anche quelli. E vorrebbe che venisse anche lui alla festa di stasera, ma sa che non ci ha mai preso parte negli anni passati» continuò Emma, cercando di giungere al punto della sua richiesta – non aveva la minima idea di come avrebbe reagito ad essa, d’altronde il rapporto di Séline con Loïc era insolito. Aveva provato a domandarle qualcosa al riguardo, ma mai lei si era scoperta in tal senso, cambiando argomento e rifilandole mezze risposte prive di contenuto, cosa che rendevano maggiormente indecifrabile quel che la legava a quell’uomo – la cui reputazione sicuramente non brillava, tutt’altro.
«E io che cosa c’entro, capo?»
«Emma» la corresse per quella che doveva essere la millesima volta da quando aveva preso il distintivo di sceriffo, anche se già sapeva che sarebbe stato inutile – Séline pareva particolarmente immune a dar retta al prossimo, soprattutto quando si fissava su piccolezze come quella. «Dice che se glielo chiedi tu, verrà» continuò, riprendendo le fila del discorso principale, «Non ti ha mai detto che personaggi siete voi due, vero?»
Lo sguardo di Séline si fece improvvisamente più interessato, assottigliando lo sguardo lievemente nel ricambiare quello di Emma. Ovviamente, quando Henry per la prima volta le aveva riferito della sua idea – per quanto assurda e fantasiosa fosse –, Séline lo aveva assecondato credendo che nulla di malsano ci fosse nell’immaginazione di un bambino. Inoltre, era una teoria intrisa di un romanticismo delicato, tanto da catturare l’attenzione della giovane donna e spingerla a incuriosirsi al riguardo. «Gliel’ho chiesto, ma mi ha sempre risposto che non era il momento e dopo un po’ ho smesso di domandare. Chi siamo, allora?»
«Loïc sarebbe… Sarebbe Loki, il dio del Male e del Caos» rispose a metà Emma, indugiando sul continuo. Persino pronunciare per scherzo un simile scenario era insensato, cosa che la rendeva indecisa su quale forma fosse più adatta per mettere a parte Séline del ruolo che le era stato assegnato – ma Emma era una persona diretta, non era fatta per immettersi in dedali tortuosi, assaporando la bellezza di una dialettica ambigua. Così, semplicemente terminò la frase: «E tu sei Sigyn, sua moglie.»
«Giusto, se non è complicato non mi piace» osservò ridendo Séline Tyler. Si mise a cospargere le proprie parole di risa, più per non pensare seriamente a quanto le era stato detto che per l’inverosimiglianza, di cui sentiva che si sarebbe dovuta riempire davanti a una simile prospettiva. Una piccola fastidiosa parte della sua mente le suggeriva che le piaceva quello scenario, le era gradevole essere vista come la compagna di Loïc – perché alla fine lo era davvero, anche se si ostinava a volerlo tenere segreto. Era un capriccio, una sua stupida voglia che lui assecondava per chissà quale ragione – forse perché anche lui provava una certa vena di gelosia verso ciò che erano loro, cercando disperatamente a tenerlo lontano dagli occhi del mondo. O più semplicemente, gli era indifferente come lei decidesse di vivere la loro relazione.
«Non capisco comunque cosa dovrebbe succedere se glielo chiedessi», l’autocontrollo di Séline era impeccabile come di consueto, un mare immobile sotto il quale nessuno poteva avvicinarsi per tentare di sbirciare gli abissi. Tesori, mostri e correnti erano mantenuti al segreto dal quel manto oscuro con il quale velava i propri pensieri, interpretando la parte che si era scelta con la bravura dell’attrice che era.
«Nel suo libro c’è scritto che Loki ha chiesto la mano di Sigyn durante il Giorno di Yggdrasill[2], giorno che cade durante la festa del paese che si terrà stasera. Quindi è convinto che potrebbe recuperare la memoria se partecipaste entrambi», prese un respiro profondo mentre affondava le mani nelle tasche dei pantaloni, cercando di rintracciare perplessità sul volto di Séline senza trovarne. Nonostante la calma comprensiva con la quale la giovane donna si comportava, Emma la avvertiva come una reazione del tutto insolita – sbagliata –, e forse proprio tale constatazione le rendeva più ostico spiegarsi. Increspò lievemente i muscoli attorno i propri occhi, riducendo al minimo l’esteriorità dei propri dubbi circa le non reazioni di Séline, perseverando nello studiarla con fermezza. «Archie è convinto che mettere Henry davanti all’evidenza della realtà lo aiuterà a capire da solo che non c’è nessuna maledizione, personaggi delle fiabe e quant’altro. Mi dispiace di chiederti tanto, non voglio metterti in una scomoda posizione nel caso il signor Odilon acconsentisse, non sembra particolarmente una piacevole compagnia. Come il suo capo. E come il signor Gold, dubito che possa partecipare alla festa.»
«Gli chiederò di uscire, per Henry naturalmente. Comunque, Loïc accetterà», avvicinandosi alla porta per uscire dall’ufficio, si voltò di tre quarti per rispondere allo sceriffo con un sorriso indecifrabile a incurvarle lievemente le labbra. «In un modo tutto suo, fa sempre quello che gli chiedo.»
«Lui ti piace?» chiese improvvisamente Emma, cercando di capire qualcosa dei suoi sentimenti, ponendole un interrogativo inatteso – e decisamente personale. Sperava che almeno la sorpresa, il tema e l’assenza di giri di parole la facessero titubare, rendendo almeno in parte qualcosa afferrabile.
«A stasera, capo», ed Emma infine giunse alla conclusione che non c’erano sfumature di menzogna di Séline per il semplice fatto che si asteneva dal rispondere concretamente. Si asteneva dall’asserire ciò che le veniva richiesto, ritraendosi per lasciare la penombra del suo sorriso delicato perdurare su ogni cosa che la riguardasse. E non riuscire a vederla completamente, scoprendone almeno la maggior parte, rendeva Emma incerta sul se era un bene fidarsi di lei o meno – d’altronde era a Regina che aveva risposto fino al suo arrivo, perché mai avrebbe dovuto aiutarla? Per Henry, ovviamente, solo per lui e non per alcuna motivazione in cui bene o male, giusto o sbagliato, vi rientrassero in qualche modo.
Sperava solo che non sopravvenessero complicanzioni, come vi erano state - e continuavano ad esserci - quando aveva chiesto un favore molto simile a Mary Margaret. Cominciava a sospettare che a Storybrooke vi era una matassa di intrecci, caotici, impossibili da sbrigliare e che ogni passo che si compiva, non faceva altro che incasinare notevolmente il tutto, invece di semplificarlo.
Sbuffò, scrutando allontanarsi la figura di Séline, sperando in una serata tranquilla.

Evanescente, ecco come appariva ai più la figura di Séline Tyler. Lo era sempre stata, anche prima di possedere quel nome, e ancora prima che i Nove Mondi avessero quell’aspetto, prima della creazione di quell’Universo, in quello precedente e quello precedente ancora. Una costante inamovibile, come lo era il suo seguite perpetuamente l’anima di Loki – o forse era quella di lui a ricercare l’unica che riuscisse a concedergli un’oasi di serenità in un’oscurità perpetua.
Non c’erano definizione a presiedere l’alto compito di descrivere il legame che li univa, li trascendeva e sfuggiva anche alla loro comprensione – cosa che rendeva più semplice accettare l’ineluttabilità del fato, o del caso, o del caos che li aveva voluti unire. Un connubio insolito, una contrapposizione che era tale solo agli occhi degli altri, perché Loki mai avrebbe potuto pensare che la Fedeltà potesse essergli avversa. Così la scrutava, di nascosto, con un misto di orgoglio e riconoscenza, senza farsi notare nemmeno dalle iridi scure della donna, dissetandosi della sua presenza pacifica e chiedendosi se era solo lei l’unica vera vittoria che avrebbe mai ottenuto.
Così anche nel giorno in cui riebbe la parola, sorrise nel sentirla rimbeccare Tremotino con una delle sue battute sarcastiche, dipinte di serenità per rendere maggiormente pungenti le proprie asserzioni. Aveva sperimentato sulla propria pelle la bravura dialettica di Sigyn, era stata una delle prime qualità che aveva scoperto in lei e che aveva suscitato un interesse sempre più marcato, nel tempo.
«La vostra deliziosa sposa era maggiormente deliziosa prima che ricominciasse a parlare. Comincio a pensare che avrei dovuto lasciarla senza lingua» commentò acidamente l’Oscuro rivolgendosi al principe di Asgard, lanciando un’occhiata risentita alla donna che si muoveva nello studio del folletto per studiarne gli oggetti in mostra, soffermandosi a esaminare le provette e miscele che occupavano un intero tavolo. Era stato semplicemente un commento riguardo la polvere accumulata sulle mensole e su come trovasse adorabile la tazzina da tè esposta insieme ad altri oggetti, con i quali non aveva alcuna affinità, ma era stato intessuto con sottointesi resi evidenti dalla noncuranza apparente ad affilare le sue frasi.
«Me l’hanno strappata per un motivo, effettivamente. Comunque, non ve la prendete troppo, signor Tremotino, la mia osservazione era del tutto innocua» riprese a parlare Sigyn, alzando i propri occhi di oceani neri dalle fiale per posarli in quelli di oro sporco del loro ospite. Non le piaceva che Loki avesse un debito con quell’uomo, pericoloso e ambiguo, temeva che ci avrebbero unicamente rimesso nonostante l’abilità del proprio sposo di ingannare e truffare. Una parte di lei le suggeriva di non dubitare del piano di Loki, ma l’altra le rendeva chiaro quanto fosse un enorme azzardo – e probabilmente era tale constatazione ad aver convinto Loki a perseguire un simile progetto, ammaliato dal profumo di una scommessa irresistibile. «Come lo è quella sulla vostra raccolta notevole di oggetti magici rari, eppure non vi facevo affatto un collezionista. O forse è solo una ricerca disperata la vostra, e questi sono i vostri fallimenti?»
«Non avrei mai potuto sposare una donna che non fosse alla mia altezza, e che fosse sufficientemente sconsiderata da non avere remore di alcun tipo» commentò divertito Loki. Gli era mancata la voce di Sigyn, il suo modo di porgere osservazioni e di irritare le persone – anche lui stesso, talvolta, per stuzzicarlo –, come aveva avvertito la mancanza delle note dolci che riservava unicamente a lui, quando nessun altro avrebbe potuto udirli.
«Giusto, ognuno è libero di scegliersi la propria pena» replicò Tremotino, scrollando le spalle. «Quando vi chiamerò, dovrete venire ad aiutarmi. E puoi portare anche la tua mogliettina se ti va» continuò, riprendendo il discorso sui termini del loro contratto. D’altronde, era l’unica cosa che interessasse a Tremotino – mettere le mani sulla magia di un altro mondo, potente come quella di Loki, era stato un inatteso dono che si sarebbe rivelato estremamente utile quando il suo piano si sarebbe avvicinato agli ultimi passi.
Lanciò uno sguardo di rimproverò alla dama dai capelli lucenti, muovendo l’indice in senso negativo per avvertirla di non toccare i tomi di magia posti sugli scaffali, e intanto continuò a discutere d’affari con suo marito. Eppure, mentre continuavano ad accordarsi loro due soli, ebbe l’impressione che se Sigyn avesse avuto qualcosa da ridire, la sua opinione avrebbe avuto un peso maggiore di quanto se ne sarebbe potuto percepire – e Tremotino comprendeva quell’insolito potere, un ascendente irrazionale, caotico, perché anche lui l’aveva sperimentato. Si lasciò sfuggire unicamente una smorfia incomprensibile, stropicciato e criptico, prima di tornare a rivolgersi unicamente al principe di Asgard, per spiegargli quale sarebbe stato il primo piccolo favore con il quale avrebbe dovuto ripagarlo.
Il Signor Gold non era dunque affatto sorpreso di aver ritrovato la stessa fanciulla, priva delle sue memorie e ricca dello stesso spirito, aggirarsi per il proprio negozio sfiorando copertine di antichi volumi e oggetti trovati chissà in quale luogo lontano. Ovviamente era venuta per il suo socio, e per quanto avesse finto platealmente di essere stupito, nulla di diverso si sarebbe atteso da quella donna forgiata da una delicatezza crudele – ingannatrice, inafferrabile nella sua vera essenza. Era invece rimasto sinceramente sorpreso quando Séline Tyler aveva chiesto con un sorriso dolce e malizioso a Loïc di accompagnarla alla festa di paese, inclinando appena il collo verso destra, lasciando scivolare lievemente i ciuffi dei propri capelli quasi bianchi sulla guancia.
Ammetteva di essere rimasto più che perplesso dall’improvviso invito di Séline. Era arrivata avvolta in un abito in stile anni cinquanta, che le avvolgeva la vita e sottolineava il ventre piatto, risaltando con il rosso scuro del tessuto la neve della sua chioma, lasciata sciolta in cascate dove nemmeno una piega aveva la speranza di sopravvivere. L’aveva inchiodato con i propri occhi di un nero troppo profondo per chi non era abituato all’immensità dell’impossibile, domandando informazioni di cui conosceva già la risposta sui libri in vendita, solo per poter avere un pretesto palesemente ridicolo prima di chiedergli di uscire insieme.
«Come mai questa decisione di venire alla festa di paese insieme?», glielo domandò quando stavano già danzando e le loro dita era intrecciate con la naturalezza di cui solo Loïc serbava il ricordo.
Prima dell’arrivo di Emma Swan, la staticità della città dettata dalla maledizione gli aveva impedito di avvicinarsi a Séline più di quanto desiderasse, imbrigliato dalla magia che era stata gettata su di loro a renderli quasi immobili nel tempo. Ma dalle otto di sera del giorno in cui il nuovo sceriffo aveva preso la decisione di rimanere a Storybooke, era cambiata la dinamica del loro rapporto – finalmente, si era evoluta. Si era ritrovato a ghignare tra sé e sé, ritrovando piccoli dettagli di quanto aveva già vissuto secoli prima, quando aveva corteggiato a suo modo Sigyn – o forse era lei ad averlo sedotto? Non avrebbe saputo dire con esattezza.
«Ne avevo semplicemente voglia» replicò la donna senza modificare la propria espressione facciale.
L’illuminazione dello spiazzo sul quale le varie coppie danzavano era soffusa, gettata in caldi raggi da luci arrampicanti che si inerpicavano sui pali e rimanevano sospesi in aria tra un estremo all’altro, riempiendo la notte di lucciole artificiali a coronare i presenti come regine e re. Nel calore di una serata primaverile, Loïc ricordava un’altra sera molto simile a quella in cui aveva deciso di vincere l’amore di Sigyn per le zone grigi, domandandole la mano con la sua strafottenza abituale – quasi pretendendola, perché già conosceva la risposta e adorava osservarla con i lineamenti lievemente tirati per l’irritazione.
«Ricorderò male, eppure mi pareva che tu apprezzassi maggiormente i sotterfugi e gli appuntamenti clandestini, lontano dagli occhi» replicò Loïc tirando le labbra in un ghigno divertito. Come quando vivevano ad Asgard, anche lì Sigyn si era rifugiata nelle ombre delle notti, negli angoli disabitati e nei locali in cui la penombra rendeva i volti di tutti irriconoscibili per assaporare la nuova svolta alla loro relazione. E come in passato, nemmeno in questa nuova occasione lui si era lamentato della sua decisione, l’aveva assecondata – d’altronde, la soddisfazione effimera di essere riuscito a riaffondare le dita tra i suoi capelli, ritornare a baciare la sua pelle, riscoprire i suoi sospiri e gli sguardi dedicati unicamente a lui, era ancora vivida, poteva abbeverarsene per un po’ prima di sentire la gola ardere da nuova sete.
«Non ho interesse delle chiacchiere di paese» disse Séline, alzando lievemente le spalle – la sola idea di essere al centro dei mormorii della cittadina le provocava nelle viscere un'alterazione sottile, di quelle capaci di far sorgere alla mente brutali scenari di sangue e morte, nonostante la consapevolezza della loro futilità. «È per Henry», aggiunse, decidendo di fidarsi di lui come aveva sempre fatto, senza comprendere bene per quale ragione avvertisse tale sicurezza nei suoi riguardi.
«Il figlio del sindaco?»
«Il figlio del nuovo sceriffo» lo corresse in automatico la donna. Non era mai voluta entrare nel vivo della discussione su con chi sarebbe dovuto crescere Henry, la posizione che si era ritagliata in quella faccenda era la più neutrale possibile. D’altronde non era decisamente affare suo, e riteneva che mettersi tra Emma Swan e Regina Mills fosse più controproducente che altro – nessuno delle due avrebbe anche solo finto di prestare ascolto a sue eventuali parole, tutt’altro, quindi non vedeva perché perdere tempo. Tuttavia, se glielo avessero irrealisticamente domandato, avrebbe risposto che secondo lei sarebbe dovuto vivere con entrambe – d’altronde Henry aveva cercato Emma, dunque doveva essere decisamente fondamentale per lui averla attorno e non poteva essere sottovalutato tale desiderio. «Lui crede la città vittima di una maledizione, e che ognuno di noi non sia di questo mondo ma di altri. Emma sta cercando di seguire il suggerimento del dottor Hopper, metterlo davanti all’evidenza dei fatti che non sia così, quindi mi ha chiesto di domandarti di venire alla festa.»
Ridacchiò, seriamente divertito. Séline non poteva intuire quale fosse l’origine reale di tale sentimento, ma Loïc era certo che avesse scrutato in quel ghigno fino a trovare molto più di quanto avrebbe potuto afferrare razionalmente. Non stava giocando pulito nemmeno con Séline, ma d’altronde non lo aveva mai fatto – Sigyn lo amava anche per quello, per qualche strana ragione conosciuta unicamente a lei, e lui non poteva che arrendersi alla sua capacità di accettare ogni suo difetto con quella naturalezza esclusivamente in suo possesso. Dunque non soppesò nemmeno per scherzo la possibilità di pronunciare qualche parola circa la correttezza dell’ipotesi di Henry, ma si limitò a porre una più ovvia domanda dopo una tale dichiarazione: «Chi crede che io sia?»
«Loki», non esitò nel rivelarglielo. E forse Loïc ebbe troppa immaginazione a scorgere soddisfazione nel suo tono, però gli piacque il modo deciso con il quale scandì il suo vero nome – e non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno se avesse dovuto pagarne caro il prezzo, che gli era mancato incredibilmente udire il proprio nome pronunciato da Sigyn.
«Interessante. E tu chi saresti, Séline?» la interrogò, inclinando lievemente il capo nella sua direzione, ampliando la linea curava delle sue sottili labbra in un sogghigno lupesco. Voleva sentirglielo scandire, desiderava metterla davanti alla possibilità dell’irrealtà, spingerla anche solo per una frazione di secondo a credere in quello scenario impossibile delineato da Henry. Una parte irragionevole di Loki, quella che non prendeva assolutamente in ascolto la logica che dichiarava che mai lei si sarebbe potuta ricordare chi fosse fino a quando Emma Swan non avesse rotto l’incantesimo, era ferma della decisione di volerla spingere a rastrellare i ricordi senza aspettare nessun altro se non loro stessi – seguendo il loro, di tempo.
«Non è questo l’essenziale della serata, ma dimostrare a Henry che non sei Loki» replicò nel bel mezzo di un volteggio, arrivato all’improvviso.
La melodia suonata dall’orchestra non era sincronizzata con quella che stava danzando Loïc – e sulla quale stava sospingendo Séline. Dal suo punto di vista, erano i musicisti a non seguire i suoi desideri, dunque gliene importava poco di star eseguendo i passi di una canzone che aveva ballato per la prima volta molti secoli prima, una notte al chiaro di luna e tappezzata di un’infinità di stelle, pianeti e nebulose che Midgard poteva unicamente sperare di accarezzare nei suoi sogni - o rubare clandestinamente dai telescopi. Eppure, per quando lo scenario fosse più povero, non adatto alla magnificenza del principe di Asgard e alla sua sposa, avvertiva in egual misura le stesse emozioni che soltanto Sigyn aveva il dono di infondergli. La sua parte migliore, quella che regalava a lei, erano la ricompensa per ricordargli costantemente di avere il diritto come tutti di ritagliarsi pezzi di felicità, nel mare di insoddisfazione e bramosie rancorose di rivalsa che lo animavano.
«E se lo fossi?»
«Bhè, per Loki non finisce mai bene a quanto ne so.»
Sempre la risposta pronta, sempre senza paura di pronunciarla. Ampliò il ghigno nell’osservarla mentre contraeva lievemente le sopracciglia e nel nero dei suoi occhi si accendeva una nota di dubbio.
La strinse con più forza, fino a quando non arrivò a sfiorare la punta del suo naso con il proprio, guardando direttamente dentro la sua anima e scavandoci dentro senza che lei potesse correre ai ripari. Era ardente la voglia di confessarle ogni cosa, ma ancora di più bramava vederla cadere davanti alla consapevolezza che riaffiorava da sola. Per poterla sorreggere.
«Dipende da chi racconta la storia, Sèline», glielo mormorò all’orecchio mentre arrestava il passo. La musica continuava, ma quella su cui si erano destreggiati loro due soli era giunta al termine e ora rimanevano unicamente dita intrecciate e corpi abbracciati. «Dimmi chi crede che tu sia. Voglio saperlo», continuò tornando a depositare le proprie iridi verdi su di lei. «Anzi, lo so già. Devi solo dirlo tu, ad alta voce.»
Contrasse i muscoli degli occhi per via di uno spasmo improvvisto alle tempie. Non era una semplice emicrania fulminante, giunta come un lampo a rovinarle la serata; era come se vi fosse qualcosa che stesse premendo da dentro per riemergere e lei dovesse sopportare le vibrazioni di possenti colpi, finiti a infrangersi contro un’invisibile resistenza. Soltanto squarci di immagini indistinte le balenarono davanti gli occhi quando si sforzò di aiutare quel qualcosa che desiderava ritornare al proprio posto, ma erano talmente sfuocate e bagnate di un oceano di luce da impedirle di capire di cosa si trattasse.
Qualsiasi cosa fosse, tuttavia, aveva la totale certezza che avesse a che vedere in qualche modo con Loïc. Era una sensazione, un’intuizione priva di fondamenta logiche, ma con lui era sempre stato così – dunque si fidò e cercò di mantenere il più possibile tale fastidio per sé, lasciandolo emergere solo lievemente, quel tanto che la sorpresa le aveva impedito di sopprimere.
«Perché?» mormorò appena, provando a comprendere quale fosse la direzione nella quale Loïc voleva condurla - o dalla quale, forse, fino a quel momento l'aveva solo distolta. La sua reazione alla teoria di Henry era stata differente da quanto si aspettasse, e quell’interesse per farle sapere chi era per il ragazzino la confondeva – come la sua sicurezza nel ritenere di sapere quale fosse la risposta.
E se fosse stato vero? Se lei fosse stata davvero Sigyn? La sua Sigyn?, erano queste gli interrogativi che le affollavano la mente. Avrebbe significato che quell’amore nato per sfida era qualcosa di completamente diverso da ciò che aveva avuto in mente all’inizio, o forse non lo aveva mai sottovalutato e semplicemente compresso in dimensioni minori per paura di essersi messa in una situazione più grande di lei. Loïc era pericoloso d’altronde e lei sarebbe dovuta essere una ligia guardiana della legge; eppure anche senza che nessuno glielo avesse domandato, sapeva già che per lui le avrebbe infrante tutte quante, senza alcun senso di colpa – senza esitazione.
Non era di Loïc che aveva paura, ma di sé stessa – della portata che le sue scelte potevano avere.
«Perché voglio sentirtelo dire, nient’altro» cercò di persuaderla con voce roca, abbassandola di qualche tonalità per renderla più suadente – melliflua nei risvolti delle sillabe, rese scivolose per insinuarsi in lei e allargare le crepe di indecisione che aveva creato. «Stai al gioco, Séline, è più divertente.»
Il secondo spasmo di dolore alla testa fu maggiormente prepotente, tanto da darle le vertigini e indurla istintivamente ad aggrapparsi più marcatamente all’uomo. Non abbassò lo sguardo, tenendolo saldamente incatenato a quello di Loïc nonostante le venature di sofferenza si fossero ormai ingrossate, tanto da essere palesemente visibili. Se anche le fosse importato, non sarebbe riuscita a vedere altro all’infuori del suo volto – solo una nebbia a rendere sfuocato il palco, i musicisti intenti ad amare i loro strumenti, le luci a incorniciare la festa, gli altri stretti nei loro abiti da sera che improvvisamente le apparivano così poco adatti a un ricevimento reale, e anche sui suoi stessi pensieri.
Poi prese un respiro profondo, inspirando quanto più ossigeno fresco le fosse possibile – per una, due, tre, quattro volte, fino a quando solo il cuore rimaneva impostato su un ritmo irregolare e almeno la mente aveva ripreso il passo come di consueto. Si staccò da Loïc con decisione, ma senza brutalità, semplicemente ricreando la divisione che era consuetudine tenessero – con la quale le era più semplice pensare razionalmente, fingere, quanto meno, di essere in pieno possesso delle redini degli eventi.
«È più divertente se non ti ubbidisco», sorrise dicendoglielo come solo Séline era solita fare quando si rivolgeva a lui – una delicatezza costruita su misura, mista a una nota di malizia e sfida. Poi, senza aggiungere altro, si voltò e sparì oltre gli altri danzatori non concedendo repliche o ulteriori parole – e una parte di lei avrebbe voluto che la seguisse, la bloccasse e costringesse a tornare a ballare. Sapeva non sarebbe mai accaduto, non era nello stile di Loïc.
Vide solo di sfuggita le sagome di Emma e Henry, ma non aveva alcuna voglia di fermarsi a parlare. Finse di non vedere i loro saluti, sgusciando tra la folla con semplicità felina e i residui del mal di testa ad accompagnarla.
Per Emma non c’erano dubbi: qualsiasi cosa avesse indotto improvvisamente Séline a lasciare la festa, era responsabilità di Loïc. L’uomo non le piaceva particolarmente, nonostante i modi da galantuomo, la voce perennemente controllata, l’aspetto attraente e oltremodo curata, perché sotto tutto quello vi era una perenne aria di ambiguità e arroganza alterigia.
«Cosa le hai fatto?», Emma non si perse in mezze parole. Gli si piantò davanti con sguardo torvo, irritata dal sorriso cordiale con la quale l’accolse come se non ci fosse nulla di rilevante di cui parlare, solo ovvietà e pure molto banali. Non servivano i completi eleganti, si sarebbe potuto vestire con qualunque indumento e avrebbe sempre prodotto il medesimo effetto di nobiltà raffinata, condita dalla sensazione di essere sempre inferiori a lui - tuttavia Emma non si fidava di lui per un altro motivo, perché le sue parole erano sempre impresse di venature bugiarde a infettare la verità.
«Le ho solo ricordato una cosa. O almeno credo» rispose senza rispondere davvero, spostandosi dal centro del palco per raggiungere il prato sul quale erano state sistemate alcune panchine, tavoli e banconi dove prendere da mangiare. L’odore della cucina casalinga si espandeva nell’aria, aleggiando sopra tutti e mischiandosi alle note della musica, rendendo l’atmosfera quanto di più lontano da quel che ricordava essere la vita a Frohheimr[3].
«Ah, davvero? E che cosa?» chiese curioso Henry, senza remore nell’essere tanto schietto – e poca importanza diede allo sguardo torvo che sua madre gli lanciò.
Si limitò a sorridere in un primo momento, poi Loïc stropicciò i capelli del ragazzino prima di voltarsi di tre quarti, annunciando la sua uscita di scena, senza però togliersi la soddisfazione dell’ultima parola. «Sei un bambino sveglio, Henry, ma bisogna anche essere furbi oltre che intelligenti, altrimenti si rischia di mettersi nei guai», una lezione che Lo
ïc aveva subito molte volte e imparato di rado.



» Continua




M A N I A’ s  W O R D S
Puntuale? Ebbene sì - speriamo che ora non torni l'inverno per ciò.
Prima di tutto le note, così ce le leviamo di torto e poi parto a sproloquiare:
[1] • L'idea che a Sigyn venga strappata la lingua come ritorsione contro Loki, non è propriamente mia. L'ho presa da una delle storie dei fumetti Marvel, molto ma molto marginale, perché era autoconclusiva in pochi numeri e appena accennata come cosa. Comunque, viene da lì, e io l'ho giusto ripresa e riadattata - che poi comunque è un'idea ripresa dalla mitologia, quando a Loki vengono cucite le labbra per impedirgli di mentire ancora, mavvabbé.
[2] • Sono andata a spulciarmi le festività nordiche (se siete curiosi, potete leggervele QUI) e alla fine ho scelto quella del 22 aprile per far cadere la festa della città di Storybrooke, in concomitanza con quella del Giorno di
Yggdrasill (l'Albero del Mondo). L'ho scelta perché mi pareva la più appropriata, essendo dedicata alla rinascita e alla celebrazione del ripetersi del ciclo vitale, volendo in un certo modo riprendere indirettamente il fatto che le anime di Loki e Sigyn continuano a ritrovarsi in ogni loro esistenza.
[3] • È il nome del palazzo di Odino.
Ora il resto.
Prima di tutto ci tengo a precisare una cosa.
Uso sì come caratterizzazione di Sigyn la stessa delle altre mie storie, tuttavia non vanno considerate queste come "passato" di Sigyn e Loki in modo ferreo. Essendo un crossover ho dovuto cambiare varie cose - cose che scoprirete se riesco a scrivere la vera e propria long! -; qui per esempio si sposano molto prima, quando sono ancora "giovani" e le vicende del film di Thor sono estremamente lontane - lontanissime. Infatti il Loki che va a trattare con Tremotino è un Loki "adolescente" - come lo può essere un dio -, mentre a Storybrooke, essendo passati giusto qualche secolo tra quando stringe l'accordo e la maledizione (secolo che va calcolato anche perché immagino che il tempo che scorre tra la Foresta Incantata e Asgard abbia una cadenza diversa, come sull'Isola Che Non C'È), è il Loki adulto che conosciamo.
Credo di essermi un po' incasinata a spiegare questa parte, spero non troppo, nel caso chiedetemi delucidazioni! 
Come ho anticipato sulla mia pagina Facebook, settimana prossima dovrei finalmente aggiornare « Cuore di Sale » - se ancora qualcuno poi la segue, chissà. Nel caso qualcuno fosse interessato, sempre su Facebook trova una piccola ancitipazione.
Vi lascio il link alla pagina, se volete farci un giro: Mania FB.
Non mi rimane che ringraziare tantissimo chi ha letto il primo capitolo e inserito tra le preferite/seguite/ricordate, come sempre poi un ringraziamento in particolare a chi l'ha recensito: ovvero AlessiaOUAT96 e Yoan Seiyryu♥ Grazie di cuore!


Alla prossima,
Mania



  
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