Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Ricorda la storia  |      
Autore: Unendlichkeit_b    12/03/2015    1 recensioni
Ma lei non si sentiva normale, non si sentiva come le altre… aveva il cuore spezzato, aveva le cicatrici di un passato che nessuno poteva comprendere, si sentiva menomata, come se non potesse meritare l’amore delle persone e per questo tendeva sempre a stare da sola e a chiudersi in sé stessa. Lei era la migliore amica di sé stessa, lei sapeva vedersi dentro, sapeva ascoltarsi, a volte sapeva anche mentirsi… e questo in fondo le bastava.
“Tu riesci a vedermi?” chiese lei con un filo di voce ed una strana preghiera dentro gli occhi.
“No Kaulitz… riesci a vedermi, dentro?” la sua era quasi una supplica.
Tom smise di respirare per un secondo. La vedeva? Vedeva cosa aveva dentro? Forse… ma non ne era sicuro.
Tom la prese delicatamente per il mento costringendola così a guardarlo. I suoi occhi sprofondarono i quelli di lì e si incatenarono con una forza invisibile che non li avrebbe separati.
“Resta” le sussurrò prima di appoggiare le sue labbra calde su quelle di Rebecca.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAN YOU SEE ME?                                                                                         9 MARZO 2015; MARSIGLIA
 
 
“Stupide, stupide stupidissime oche starnazzanti!” imprecava Rebecca nella sua testa vedendosi spingere continuamente in avanti e sentendosi strattonare i capelli dalle numerose ragazze in preda agli ormoni che, come lei, aspettavano il tanto atteso – per non dire dispendioso- meet.
Eppure, nonostante le numerose suppliche agli dei dell’olimpo per far tacere quelle ragazzette, lei stava lì, in fila… ma di certo non osava comportarsi allo stesso modo. Sì, aveva speso una somma abbastanza esorbitante per le sue tasche solo per vederli, ma non lo aveva fatto per i futili motivi di tutte le altre; no… era di più… molto di più.
Guardava tutte quelle ragazze che erano vicino a lei, super truccate, agghindate con vari orli e fronzoli di cui invece lei… non aveva bisogno.
“Allora? Come sto? I capelli? Il vestito si è stropicciato?” diceva una ragazzetta bassa ad una vicina con un’infelice acne malamente nascosta dietro al trucco.
“Truccati ancora, il resto va bene” le rispose con noncuranza l’amica.
“Povere illuse, di certo non vi considereranno mai conciate così” pensava Rebecca, vedendo quei vestitini imbottiti sul seno e vergognosamente succinti, accompagnate da una stampa pressoché improponibile e dalle scarpe più vertiginose che avesse mai visto.
Uno schiamazzo continuo in francese le stava facendo scoppiare le orecchie, ma riusciva in tutto quel boato a distinguere alcune voci in italiano, ma non aveva assolutamente voglia di andare a fare conoscenza.
Sono qui solo per vederli, nulla più, non mi interessa nemmeno la foto” ed era vero, visto che si era vestita e truccata come normale amministrazione: il solito look casual ma fine... qualcosa di comodo in poche parole.
“Filles, s'il vous plaît soyez prudent! Mettrez vous en ordre dans une manière ordonnée, bientôt nous ouvrirons les portes à la réunion ! Sur la ligne, je l'ai dit!” iniziò a urlare un omaccione vestito tutto di nero con un ricevitore trasparente all’orecchio.  (“ragazze, per favore fate attenzione, mettetevi in riga in modo ordinato mentre noi apriamo le porte per l’incontro! In riga ho detto!”)
Quasi tutte le ragazze iniziarono a disporsi –senza ovviamente abbandonare il loro eccesivo entusiasmo- in una fila ordinata in cui si infilò di soppiatto anche Rebecca.
“Oddio, oddio non ci credo! Tu ci credi? Oddio che emozione!” le disse la ragazza dietro di lei torcendole una spalla.
“Si, ma ti prego mi stai facendo male!” rispose Rebecca allontanandosi dalla sua stretta con un sorriso. Le faceva tenerezza.
“Oh scusami tanto, non volevo” disse la ragazza arrossendo.
Rebecca la guardò: era una ragazza semplice, bruna come lei, nulla a che vedere con le altre oche presenti, era solo molto entusiasta.
Le porse la mano: “Rebecca” le disse sorridendole gentilmente.
La ragazza gliela strinse riconoscente con un vago sorrisino timido: “Caterina… scusami ancora”.
“Non fa niente, davvero” le rispose. Quella ragazza le stava vagamente a genio.
Un boato si levò forte nel corridoio, tanto che Rebecca e Caterina dovettero tapparsi le orecchie.
“Direi che ci siamo!” urlò qualcuno.
Ci siamo… dopo otto lunghi anni, ci siamo … mi basta un secondo soltanto”.
La fila iniziò a scorrere precipitosa tanto che era difficile non inciamparsi, e in un attimo senza nemmeno essersene resa conto, era … con i capelli arruffati dalla calca, lei era .
Davanti a loro. Davanti a lui.
Il fiato le mancò per un secondo.
Quei maledetti, maledettissimi occhi nocciola.
Venne riscossa dalle urla e dai numerosi flash che iniziarono ad invadere la stanza; il bagliore era troppo forte così decise di spostarsi e proprio in quel momento incontrò quegli occhi nocciola che la stavano scrutando curiosamente.
In preda al panico si fece strada fra le ragazze smaniose di farsi notare e premette la schiena contro la parete fredda respirando forte.
Che reazione infantile e insensata Rebecca! Un contegno maledizione! incominciò a rimproverarsi nella mente, ma quei due pozzi erano il suo punto debole, il suo tallone d’Achille… erano troppo.
“Miss, se sent bien?” le disse un altro uomo vestito di nero (“Signorina, si sente bene?”)
“Oui, je vous remercie, tous très bien” gli rispose col cuore in gola. (“Si, vi ringrazio, tutto bene”)
“Oddio no non va bene per niente, non lo dovevo fare, non dovevo venire qui!”
I ragazzi iniziarono a passare lungo la fila per firmare cd, foto, magliette e via dicendo, ma lei non aveva il coraggio di avvicinarsi mentre alcune si facevano persino autografare il seno.
“Non c’è davvero un limite alla depravazione” disse senza nemmeno essersi accorta di aver pronunciato quelle parole… ma nessuno sembrava averla sentita.
Come se a te dispiacesse essere toccata dalle sue mani, vero?
Scacciò via quella vocina impertinente dai suoi pensieri ed iniziò ad avvicinarsi alla fila, cercando però di rimanerne in disparte, ma ad un tratto Caterina la prese per un braccio conducendola vicino a lei.
“Fra poco è il nostro turno! Non sei emozionata?” disse con una vocina qualche nota più alta del normale.
Rebecca annuì senza riuscire a staccare gli occhi da lui.
 “Ma non hai niente da farti autografare?” le chiese accigliata Caterina.
“No” rispose semplicemente.
Non ce la faccio.
I ragazzi si avvicinarono uno a uno per firmare vari gadget quando lui si fermò davanti a lei, fissandola.
Occhi nocciola contro occhi nocciola.
Oddio.
 Il cuore le perse un battito.
Iniziava a sprofondare in quel turbinio di sfaccettature mielate, in quei due pozzi da cui una volta caduta sapeva non avrebbe più fatto ritorno.
“E tu?” le disse sorpreso “Non hai niente da farti autografare?” lei continuava a fissare quel viso scalfito dal solito sorriso sornione mozzafiato.
“No”.
Lui rimase attonito davanti alla sua sincera affermazione.
Le si avvicinò.
Per l’amor di Dio non ti avvicinare.
“Sai… tante ragazze pur di avere un mio autografo si sono fatte firmare varie parti del corpo” sorrise leccandosi il piercing vicino al suo orecchio.
Lei deglutì.
“Non andrebbe anche a te?” disse malizioso.
Oh no bello, io non faccio quella che ci casca.
“Ti piacerebbe, Kaulitz” gli rispose ritrovando la sua audacia.
Lui la fissò tenacemente negli occhi, facendo vacillare la sua fermezza per un lunghissimo ed interminabile secondo.
“Puoi giurarci” disse alitandole sull’orecchio.
Lunghi brividi le percorsero la schiena fino a procurarle una dolcissima fitta nel basso ventre.
Lei continuava a fissarlo negli occhi, senza volgere mai lo sguardo a tutte quelle ragazze che la guardavano un po’ con sdegno e un po’ con invidia.
Lui manteneva il contatto, lei pure.
“Tom” disse Georg “Muoviti, non stare lì impalato”.
Tom scostò lo sguardo riluttante per lanciare una rapida occhiataccia al così detto “Hagen” per poi tornare a lei.
“Ci vediamo dopo” le disse quasi in tono di sfida.
“Non mancherò” lui sorrise scuotendo la testa divertito.
E’ successo davvero?
Caterina iniziò a scuoterla da quella catalessi in cui era piombata violentemente, riportandola al presente.
Aveva vissuto un minuto con lui. Un interminabile minuto con lui.
Continuava a sentirsi richiamare dalla sua vicina quando le altre ragazze iniziarono a muoversi per reclamare la loro foto per cui avevano mandato al creatore i loro risparmi.
“Ehi ci sei? Sembri sconvolta” le disse
Lo sono.
Quel minuto era stato così… così… non lo sapeva nemmeno lei, ma l’unica cosa che sapeva e che non le piaceva affatto era che sentiva l’inizio di alcune spiacevoli venature all’interno della sua corazza… quella che aveva costruito con tanta fatica durante tutti quegli anni.
Doveva allontanarsi da lì, da quelle emozioni immotivate che nemmeno lei riusciva a concepire.
Sei cresciuta diamine Rebecca, smettila di reagire così!
“No, si scusa, io... stavo pensando… senti vado in fondo alla fila, ci vediamo fuori” le disse tutto d’un fiato.
Doveva bere.
Lasciò Caterina in fila che la guardava incredula mentre lei si stava dirigendo in fondo alla stanza dove per fortuna c’era un distributore d’acqua.
Mentre camminava a testa bassa sentiva il suo sguardo addosso che la seguiva.
Smettila accidenti, smettila! imprecava mentalmente verso Tom.
Prese un bicchiere, lo riempì e se lo portò alle labbra bevendone avidamente il contenuto. L’acqua fredda le scorreva lungo la gola in modo piacevole, dando sollievo alla sua bocca arsa.
Buttò il bicchiere nel cestino, ma si accorse di avere una goccia sul labbro e la succhiò.
Alzo gli occhi e vide lui che la stava fissando intensamente con la bocca socchiusa.
Lei deglutì mordendosi il labbro e vide un fremito percorrere le sue mani.
Occhi contro occhi e il mondo si fermò ancora un attimo.
Lei e lui.
Lui e lei.
Un attimo infinito.
Venne riscossa violentemente dagli urletti deliziati delle fan che si erano appena concesse una foto con la band, ma in quel momento sollevando gli occhi verso la fila, si rese conto che dopo poche ragazze sarebbe stato il suo turno.
No merda, mi serve tempo!
Iniziò a guardarsi intorno agitata, quasi in cerca di una scappatoia, ma i suoi occhi finivano sempre .
E lui era sempre lì a guardarla.
Maledizione, ma non si può concentrare sulle ragazze che stanno facendo la foto con lui?
C’era qualcosa nell’aria, qualcosa di tangibile… ed era tanto intenso che lo si poteva tagliare con le mani. Un brivido le scese lungo la schiena, fino al ventre facendola contrarre deliziosamente.
Che diavolo mi stai facendo?
Arrivò il turno di Caterina e per un secondo il suo sguardo si staccò da quello di lei che ne approfittò per andare a posizionarsi in fondo alla fila.
Fecero due o tre foto, tutte con facce imbarazzanti, ma Caterina era felice e questo le rasserenò il cuore per un secondo.
Aspettò il suo turno, cercando un modo per poter evitare quella situazione in cui si era messa volontariamente.
Ma cosa mi ha detto il cervello quel giorno?
Mancava ancora una ragazza e poi sarebbe stato il suo turno.
Lui la stava fissando impaziente, come un cacciatore che smania per la sua preda.
Un altro brivido la percorse.
Basta santo cielo! Contegno Rebecca!
Iniziò a contare mentalmente i secondi che la separavano da quella dolce tortura; vide quella ragazzina bionda e magrolina attorcigliata intorno a Gustav e questo non poté far altro che farla sorridere.
Finalmente qualcuno che non considera solo le due sorelline.
Trattenne in fiato quando arrivò al numero 47.
Solo 47 secondi… solo 47 miseri secondi per un biglietto da capogiro, un viaggio in seconda classe e otto lunghissimi anni d’attesa.
Sono troppi? O troppo pochi?
L’ansia la stava dilaniando quando la ragazza bionda uscì dalla stanza, raggiungendo tutte le altre che potevano ancora vedere la band dalle porte aperte.
Loro iniziarono a guardarla sorridendole, mentre lui la guardava leccandosi il labbro; di tutta risposta lei se lo morse sovrappensiero scatenando un altro fremito nelle sue mani.
Decise di avvicinarsi, ma le gambe erano incollate al pavimento. Le orecchie fischiavano e il respiro iniziò ad accelerare.
Non ce la faccio.
“Miss est à son tour” le disse un omaccione alto con un codino sulla nuca. (“Signorina, è il suo turno”)
“Oui, je vais” e in quel momento i piedi si staccarono magicamente dal pavimento e dentro di lei iniziò ad ardere il fuoco dell’orgoglio che l’aveva accompagnata lungo tutta la sua vita. Esplose così, senza preavviso e talmente forte che anche lei iniziò a stupirsi di sé stessa. (“Si, vado”)
Non vacillare, hai aspettato questo momento per una vita si ripeté questa frase in mente come un mantra, mentre si avvicinava a loro.
“Ciao!” la salutò vivacemente Bill allungandole la mano per stingergliela. “Come ti chiami?”
“Rebecca” disse con fermezza e Tom sorrise sentendo il suo tono.
“Bene Rebecca, vuoi una foto tutti insieme o solo con uno di noi?” continuò il vocalist.
Per un attimo il suo sguardo incontrò quello di lui che la guardava intensamente.
Un altro brivido.
Maledetto non guardarmi, non te la dò vinta.
Si accorse di trattenere il fiato: “Con tutti, per favore” disse velocemente.
“Come desideri” disse lui prendendola per una mano e facendola posizionare tra lui e Bill.
“Ce ne hai messo di tempo, ti piace farti attendere eh?” le sorrise audacemente mentre preparava la macchina fotografica.
“Oh sì, non sai quanto” replicò lei fissandolo.
“Mi stai sfidando?” chiede alzando un sopracciglio divertito.
“Qualunque cosa ti faccia dormire la notte”.
Lui scosse la testa sorridendo mentre posizionava la macchina, la cinse con un braccio per i fianchi e la avvicinò a sé; lei si irrigidì.
“Non ti piace stare vicino a me?” chiese facendo finta di essere deluso.
“Ci sono molte cose che mi piacciono, Kaulitz”.
“Uh sfoderiamo il cognome eh? Ci vai pesante”.
“Mi piace un gioco equo” rispose lei continuando a ripetersi il mantra in mente.
Non vacillare per l’amor del cielo, non vacillare!
“Posso sempre farti vedere come gioco io più tardi” disse lui con quella strafottente punta di malizia nella voce.
“Non adularmi”.
“Potrei mai?”.
“Lo stai facendo!” .
Bill si schiarì la voce ponendo fine a quell’inusuale botta e risposta tra un chitarrista e la sua fan. Tom lo guardò e annuì silenziosamente.
“Bando alle ciance, vieni qui che ti scatto una foto” disse avvicinandola a sé in modo impertinente e provocatorio.
Rebecca sentì una fitta nel basso ventre. Le sue gambe aderivano perfettamente a quelle di Tom e il suo respirò si fermò per un attimo.
“Mi piacerebbe vederti più tardi, se Miss non adularmi me lo permette” le sussurrò all’orecchio mentre scattava la foto. Le guance di Rebecca si infiammarono immediatamente al suono di quelle parole.
Non cedere.
“Potrei essere impegnata” rispose guardando fisso l’obiettivo della fotocamera, ben intenta a non far vagare gli occhi nei suoi.
“Credo che tu possa disdire… non trovi?” le alitò alla base del collo facendole accapponare la pelle per il piacere.
Bastardo, ma chi ti credi di essere?
“Non sono pane per i tuoi denti Kaulitz, non sono come le altre”.
“Ma ti piace farti adulare” le disse sempre in un sussurro mentre scattava l’ennesima foto.
Rebecca sentì gli altri ragazzi muoversi quasi infastiditi… erano state scattate più foto del necessario e la band doveva ormai iniziare a prepararsi per lo spettacolo.
“Potrebbe” rispose lei staccandosi dalla presa di Tom, ma quando appoggiò la mano sulla sua per allentare a presa, tra di lor passò una scossa che li costrinse a guardarsi negli occhi.
“Lo prendo come un invito allora”.
Rebecca lo fissò... a che gioco stava giocando? Gli sorrise e dopo aver salutato i ragazzi lei si avviò alla porta, ma qualcosa la fermò.
Le sue dita calde le avevano circondato il polso, le si avvicinò all’orecchio “Non scappare dopo il concerto, voglio vederti di nuovo” sussurrò.
“E’ una minaccia, Kaulitz?” gli rispose divertita ma con il respiro accellerato, ma la sua risposta le accese un fuoco dentro.
“Potrebbe” e staccò le dita dal suo polso per passargliele lungo la schiena.
                                                                                              *
“Oh mio Dio, Rebecca!” urlò Caterina non appena la raggiunse. Solo in quel momento si rese conto che durante tutto quel bel teatrino le porte erano sempre rimaste aperte e tutte le fan avevano ammirato lo spettacolo incredule.
Merda!
“Si può sapere cosa c’è fra voi due?” le chiese alzando la voce di parecchi decibel.
“Niente, non c’è assolutamente niente” disse secca.
“Non mi sembra proprio” rispose alzando le mani quasi in segno di resa “ma se lo dici tu, va bene. Vieni andiamo nella sala concerti, non sai le cattiverie che hanno detto su di te tutte queste matte”.
In quel momento Rebecca fu grata a quella ragazza conosciuta quaranta minuti prima.
                                                                                              *
Quando il concerto finì, una serie impossibile di urla si alzò nell’aria, quando i ragazzi tornarono sul palco per i ringraziamenti e per lanciare acqua, plettri e quant’altro.
Per una qualche strana e suicida ragione lei e Caterina si erano posizionate in prima fila senza sapere che quella parte era proprio la sua.
Inutile dire che l’aveva osservata durante tutto il concerto con un certa ammirazione e sorpresa... perché lei contrariamente a tutte le altre non cantava e non urlava… lei ascoltava.
Questo gli scatenò qualcosa dentro che non riuscì a decifrare e che lo mandava letteralmente in confusione.
Cosa diavolo mi sta combinando questa ragazza?
                                                                                                              *
“Cosa fai ora che è finito il concerto?” le chiese Caterina riponendo la piccola Canon dentro lo zaino.
“Niente, ho il treno tra un paio d’ore” disse Rebecca guardando verso il palco.
“Mi piacerebbe vederti più tardi, se Miss non adularmi me lo permette” un fremito la scosse al pensiero di quelle parole che cercò di scacciare via repentinamente dalla sua mente.
“Anche io devo andare in stazione, ma prima mi vedo con alcune amiche qui fuori per un drink, ti unisci a noi?” chiese speranzosa sistemandosi il cappellino rosso sulla testa.
Le sorrise. “Certo”.
“Avanti ragazza sciogliti un attimo si va a brindare” e iniziò a saltellare facendo urletti che fecero ridere di cuore Rebecca.
                                                                                                        *
Nonostante le previsioni, la temperatura a Marsiglia a serata inoltrata non era propriamente tiepida, così Rebecca si stinse al petto la sua giacchetta di lana che aveva pensato erroneamente che le avrebbe tenuto caldo; ma quella era la giacca: aveva quella giacca quando aveva preso in mano per la prima volta un giornale al cui interno vi era un inserto totalmente dedicato ai Tokio Hotel, aveva quella giacca quando andò a comprare il suo primo cd con i suoi risparmi, aveva quella giacca quando andò al suo primo concerto della band e aveva quella giacca vicino… quando decise di comprare il biglietto che le avrebbe permesso di vedere i suoi idoli dopo tanti anni, anche se forse tanto idoli ormai non erano più.
Dopo tutto quello che aveva passato non poteva più permettersi di pensare come una ragazzina qualunque, ma l’unica cosa che incrinava la sua corazza di acciaio erano le note di una chitarra malinconica sulle note della sua canzone preferita… Schwarz, che ironia della sorte aveva scoperto poco tempo fa essere una delle poche canzoni composte interamente da Tom.
Stupido idiota.
Lui per un qualche strano ed incomprensibile motivo aveva un potere su di lei che non riusciva a comprendere, aveva la capacità di renderla malleabile come un pezzo di argilla sotto il suo volere, incrinando la sua corazza.
Non voglio che mi veda.
Eppure lei a volte aveva la voglia di gridare al mondo cosa le opprimeva il cuore, voleva che le persone la vedessero, ma sapeva che non avrebbero mai capito; per questo non voleva far vedere a Tom il vero lato di sé stessa, e decise di farlo scappando, in modo tale che lui non l’avrebbe trovata una volta uscito dal back stage e lei avrebbe portato quel piccolo scorcio di non si sa bene quali emozioni, dentro di sé.
“Hai freddo?” esordì Caterina vedendo Rebecca stringersi convulsamente la giacca addosso “Forse avresti dovuto metterti qualcosa di più pesante”.
Rebecca la guardò: la sua nuova amica –amica? La poteva definire così? Ancora non lo sapeva bene- era una bella ragazza soprattutto con le guance arrossate dal vento freddo. Tutto sommato non era stato spiacevole incontrare qualcuno al meet con cui poter condividere una passeggiata fino alla stazione.
“No, non ti preoccupare, sto bene” rispose cercando di simulare un tono orgoglioso.
Caterina la fissò intensamente, poi con un sospiro si fermò e le porse la sua sciarpa rossa in tinta con il cappello.
“Tieni” le disse allungandogliela “Terrà più caldo a te che a me, ho una giacca più pesante della tua” e le sorrise.
Rebecca la guardò con uno sguardo riconoscente e decise di non controbattere afferrando l’indumento.
“Sei sicura che non ti rovini il look? In fondo è in tinta col cappello” le disse punzecchiandola.
“L’importante è quello che c’è sotto no?” rispose scoppiando in una sana risata divertita e Rebecca non poté far altro che unirsi a lei.
Si stavano avvicinando all’entrata del bar dove erano attese dalle amiche di Caterina, quando una voce le fece fermare.
“Ah beh, vedo che capisci il concetto di volersi vedere più tardi, Miss non adularmi” Rebecca si raggelò sentendo quelle parole dal suono vagamente divertito. Non aveva il coraggio di voltarsi.
Non ci credo, non è vero, non può essere possibile.
Quando trovò il coraggio per voltarsi, lui era lì. Era lì con la maglietta a miche corte e i palmi delle mani premuti sulle ginocchia per poter riprendere fiato più facilmente.
“Allora? Non mi dici niente?” continuò a punzecchiarla.
Ma le parole erano ferme in gola, lei provava a farle uscire ma non ci riusciva.
Stupida cretina, parla!
“Hai tutta l’aria di aver fatto una lunga corsa, Kaulitz” gli rispose cercando di sfoderare il suo tono più audace.
Lui la fissò.
Caterina era ferma immobile ad ammirare la scena incredula, ma Rebecca, nonostante preferisse essere sola, non le dava tutto questo peso.
“Sai com’è, quando ti ho vista uscire dal palazzetto mi hai irritato abbastanza e volevo darti una lezione, ma dovevo raggiungerti prima” e sfoderò quel maledettissimo sorriso sbilenco che lei amava da morire.
Un fremito le attraversò la schiena.
Dio cosa mi stai facendo.
“E cosa avevi intenzione di farmi?” lo sfidò.
“Vieni con me e lo vedrai” disse allungandole la mano. Lei la osservò, era grossa e rovinata in certi punti dai calli portati dalle corde della chitarra; aveva tutta l’aria di essere calda nonostante la temperatura fosse mediamente vicina ai cinque gradi… e lei aveva freddo, tanto freddo e voleva solo trovare qualcosa – o qualcuno- pronto a scaldarla.
“Non esco con gli sconosciuti, mi spiace” gli rispose asciutta girandosi per dirigersi nuovamente verso il bar. Stava congelando.
Lo chiamano SexGott per una ragione, se è qui è solo per portarti a letto e tu non vuoi questo.
“Hei aspetta!” le urlò di rimando, ma lei non si girava e continuava a camminare senza degnarlo di uno sguardo. “Mi stai ascoltando?” era decisa a non girarsi perché sapeva che avrebbe ceduto, e le avrebbe fatto troppo male.
Continua a camminare, non vacillare.
“Oh maledizione, Rebecca!” le urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e in quel momento, sentendo il suo nome essere accarezzato da quelle labbra si fermò.
Si ricorda il mio nome.
Caterina la stava guardando impressionata, ma non le importava.
Si girò, e quando lo vide il suo cuore le mancò di un battito.
Dio quanto sei bello, Kaulitz.
Con il viso corrucciato e gli occhi socchiusi fissi su di lei, lui era ancora lì, e la stava aspettando.
Cosa diavolo vuoi da me?
“Sei come i cani cara mia, ti giri solo sentendo il tuo nome, ma ti va di fortuna… io amo i cani” a questa affermazione Rebecca sapeva di doversi sentire indignata, eppure non riuscì a nascondere un sorriso divertito.
Mettiamo il carico da cento, eh Kaulitz?
“Comunque, non credo di essere tanto sconosciuto per te… sono io che non so niente di te” le disse affranto.
“E questo come potrebbe mai interessarti, Kaulitz?” gli rispose atona.
Dove diavolo vuoi andare a parare? Non sono come le altre.
“Non lo so… io non ne ho idea lo giuro” si fermò “Ma, qualcosa mi dice che… che non posso lasciarti andare. Non so cosa sia, ma devo sapere chi sei” disse d’un fiato e Rebecca non poté far altro che fremere al suono di queste parole.
Non è possibile, tutto questo è assurdo.
“Non c’è molto da sapere su di me” disse mentendo.
Oh sì, ci sono così tante cose da sapere su di me, ma scapperesti subito.
“Lascia che sia io a deciderlo” la guardava speranzoso e lei per un impercettibile istante sentì la sua corazza cedere. “Ti prego”.
Non sapeva più come reagire, era combattuta. Non poteva abbandonarsi ad una cosa simile, non dopo aver ricostruito così a fatica i suoi cocci andati in frantumi.
“Mi dispiace Kaulitz, ma devo andare. Abbiamo il treno tra poco” e si rigirò iniziando a camminare, lanciando uno sguardo a Caterina che la seguì in silenzio.
“Oh per l’amor di Dio, Rebecca!” sbottò lui all’improvviso “Sei così maledettamente cocciuta! Non voglio portarti a letto, dannazione! Voglio solo parlare con te!” e lì quella venatura che poche ore fa aveva iniziato ad incrinare il suo muro, divenne una crepa da cui schegge di pietra cadevano… trafiggendola.
Si fermò di nuovo. Per la milionesima volta.
Sei una debole che si arrende a lui.
Ma alla fine lei, in fondo al cuore, quell’incontro lo voleva disperatamente.
“Rebecca forse dovresti andare con lui” le disse dolcemente Caterina sorridendole. “Non fa niente, mi raggiungi dopo in stazione, tanto non sono sola”.
Rebecca la guardò: quella ragazza iniziava ad andarle veramente a genio, avrebbe forse anche potuto esserle davvero amica.
“Sicura?” disse con un flebile sussurro.
“Assolutamente!” rispose con un sospiro smagliante “Goditelo anche per me!” poi si girò verso Tom facendogli un cenno con la mano al quale lui rispose con un cenno soddisfatto del capo.
Rebecca puntò i suoi occhi nocciola dentro quelle due ardenti pozze del medesimo colore.
Occhi contro occhi ancora una volta.
Vuoi giocare Kaulitz? Giochiamo.
“Sei contento? Hai fatto scappare la mia amica”.
Lui le sorrise con un sogghigno soddisfatto. “Oh non sai quanto, Miss non adularmi”.
“Io ho un nome, Kaulitz” Gli disse con fermezza.
“Anche io, ma ancora non te l’ho sentito dire” rispose vagamente incuriosito. “Come mai usi solo il mio cognome?”.
Rebecca non lo sapeva. Lo usava e basta, le piaceva di più di “Tom”.
“Oh piantala con queste fesserie Kaulitz, muoviti dai, sto ghiacciando qua fuori” il tono era vagamente secco, ma non ci diede troppa importanza.
“Proprio a me lo vieni a dire” e iniziò a camminare verso di lei.
                                                                                                              *
Il bar in cui l’aveva portata era carino, forse un po’ troppo buio per i suoi gusti, ma tutto sommato era… intimo.
Sul tavolino a due, di fronte a lei c’era un piccolo mazzolino di fiori finti dentro un piccolo vasetto di ceramica bianca, un posacenere e una piccola candelina rotonda che probabilmente era appena stata accesa.
Tom tirò fuori dai pantaloni un pacchetto di sigarette e un accendino, in un secondo si portò alla bocca una sigaretta e la accese inspirando bruscamente. Per un attimo Rebecca invidiò il piccolo involucro di tabacco.
“Allora, parlami di te” le disse espirando una nuvola di fumo grigio. Lei odiava il fumo ma si stupì nel non volere che lui smettesse di fumare.
Quelle labbra…
“Te l’ho detto, non c’è molto da sapere su di me, solo ordinaria amministrazione”.
“Mi interessa molto la tua ordinaria amministrazione” e le sorrise.
Quando lei sospirò decisa a cedere al suo invisibile potere, il cameriere raggiunse il loro tavolino. Era un bel ragazzo, alto moro occhi azzurri, il tipico francese insomma.
“Vous êtes prêt à commander?“ chiese. (“siete pronti ad ordinare?”)
Rebecca guardò Tom spaesata e notò con piacere che non aveva assolutamente capito cosa aveva detto il cameriere. Decise di prendere in mano la situazione.
“Oui, nous prenons un Thè et un caffè… et…” si girò verso Tom che la guardava sbigottito. “Hai fame Kaulitz?” (“Si, prendiamo un Thè e un caffè e…”)
“Si, direi di sì” le rispose sconcertato.
“Et bien, un Toast aussi, s'il vous plaît” il ragazzo prese velocemente la comanda e se ne andò. (“Bene, anche un toast per favore”)
Tom la guardava incerto, ma con un’aria divertita.
“Perché mi stai fissando così?” e lui continuava a guardarla sorridendo e scuotendo leggermente la testa.
“Sei un donna piena di risorse” le disse.
“Oh e non sai quante”.
“Allora permettimi di conoscerle”.
Oddio ancora lì, mi sta stufando.
“Ti piacerebbe” disse sorridendo.
“Dio non sai quanto, Rebecca” e quelle parole la fecero rabbrividire.
I loro occhi si attraevano come magneti, c’era una forza silenziosa che li interessava, ma nessuno dei due era pronto a cedervi.
Mentre si fissavano intensamente i loro respiri iniziarono a diventare più affannosi quasi come se cercassero di reprimere un impulso irrefrenabile. L’aria iniziò a farsi improvvisamente più viziata ed era come se non esistesse nient’altro all’infuori di loro due.
“Rebecca” sussurrò Tom, iniziando ad avvicinarsi a lei dall’altra estremità del tavolo. La sua mano sfiorò quella di lei che improvvisamente divenne bollente; vedeva avvicinarsi sempre di più il suo viso e sentiva la sua mano sempre più pesante sulla sua. Lei si sporse in avanti, sempre mantenendo gli occhi inchiodati ai suoi e cercò di controllare il respiro, ma c’era qualcosa che non le permetteva di regolarsi, qualcosa di più potente, di più coinvolgente, qualcosa a cui lei voleva sottomettersi totalmente senza nemmeno provare a lottare.
I loro visi erano sempre più vicini e i loro respiri erano entrambi fuori controllo.
“Rebecca” continuò a dire con un filo di voce Tom, mentre la sua mano andò ad appoggiarsi al viso di lei che ardeva.
“Sì” rispose lei con il respiro mozzato dalla voglia di toccare quelle labbra così morbide.
Le loro bocche si stavano per sfiorare, la mano di Tom era scivolata ormai nei suoi capelli che profumavano di miele e la avvicinava a sé con una lentezza che le procurava un dolore carnale.
Rebecca si lasciò andare, chiudendo gli occhi, pronta a concedergli quel bacio che sapeva, non si sarebbe perdonata molto facilmente.
Lo spazio fra loro era quasi inesistente.
“Voici vos ordres” disse il cameriere ad un certo punto, ma si paralizzò vedendo la scena che aveva appena interrotto. (“Ecco il vostro ordine”)
Rebecca e Tom scattarono immediatamente sentendo la sua voce e tornarono compostamente al loro posto. Lei con le guance arrossate e lui con il fiato mozzato mentre si passava la lingua sulle labbra per inumidirsele.
Il cameriere appoggiò l’ordinazione sul tavolino e porse loro lo scontrino.
“Sont 8 euro et 70” disse schiarendosi la voce. (“Sono €8,70”)
Rebecca prese in mano il biglietto e guardò Tom. “Avanti Kaulitz, paga”.
Tom si risvegliò improvvisamente dal suo torpore. “Cosa?” chiese frastornato.
“Il conto Kaulitz, è da pagare” disse lei sventolandogli il pezzetto di carta da sotto il naso.
“Oh… sì sì, certo” rispose quasi senza fiato. Si alzò leggermente dalla sedia, prese il portafoglio e ne estrasse una banconota da duecento euro nuova di zecca e la porse al cameriere che lo guardò imbarazzato.
Rebecca si portò le mani nei capelli e rise sconsolata.
“Perché ridi?” le chiese Tom. “E perché questo qui mi guarda in questo modo?”.
Non te ne rendi proprio conto…
“Kaulitz, ragiona” gli disse.
“Cioè?” rispose stranito.
“Dove siamo?” lo guardò Rebecca.
“In Francia” il suo viso era così maledettamente confuso che lei non riuscì a trattenere un sorriso.
“Dove di preciso?”
“A Marsiglia” rispose continuando a non capire.
Rebecca sospirò. “Siamo nella periferia di Marsiglia Kaulitz…” lo guardò, ma lui sembrava ancora non afferrare il concetto “Siamo in un piccolo bar anonimo in periferia… secondo te, hanno da cambiarti quella cifra esorbitante per darti il resto?” disse alla fine con enfasi.
Tom spalancò gli occhi illuminato da quella rivelazione. Riprese il portafoglio e ne estrasse la carta di credito. “Questa è meglio?” chiese. Il cameriere guardò Rebecca grattandosi imbarazzato la nuca.
Sconfitta, prese il suo portafoglio e ne estrasse una banconota da dieci euro che porse al ragazzo: visibilmente sollevato la ringraziò andando a prendere il resto.
Stava richiudendo il suo piccolo salvadanaio di stoffa quando le cadde la carta d’identità. Non fece tempo a raccoglierla che Tom la prese, aprendola.
“Rebecca Schwarz” lesse e sollevò immediatamente gli occhi su di lei “Sei tedesca?” le chiese stupefatto.
Maledetto, ridammela.
Con uno scatto veloce, Rebecca prese dalle mani di Tom ciò che le apparteneva e si premurò di riporre accuratamente il documento nella borsa. “Non sono affari che ti riguardano” rispose acida.
Tom non vacillò alla sua risposta, rimase impassibile. “Lo sai che Schwarz è una nostra canzone? Strana coincidenza vero?” ma lei rimase impassibile.
 Lui continuò. “Quindi parli il francese, l’inglese, a questo punto direi anche il tedesco e l’italiano… sei piena di colpi di scena Miss non adularmi”.
“Come diavolo fai a sapere che parlo l’italiano?” sbottò infuriata.
Lui non si scompose. “Sulla tua carta d’identità c’è scritto che sei italiana, Rebecca. Ti facevo più perspicace” e le sorrise con quel ghigno sensuale che solo lui sapeva fare.
Incassò il colpo mordendosi la lingua tra i denti.
Uno a zero per te, Kaulitz.
“Ne deduco quindi, che parli anche l’italiano” si interruppe per puntare i suoi pozzi ardenti in quelli di lei. “Ma spiegami una cosa ti prego...”
“Cosa?” disse secca.
Lui la fissò più intensamente e lei perse un battito. “Se sei mezza tedesca… perché stai parlando in inglese con me?”.
Domanda logica Kaulitz, troppo logica per te.
“Non c’è un motivo, è solo tanto tempo che non lo parlo” si giustificò Rebecca intenta a far cadere il discorso, ma lui non sembrava demordere.
“Bhe, davanti hai un madrelingua puro al cento per cento, direi che è il momento ideale per rispolvelarlo, non trovi?” le disse malizioso.
“No Kaulitz, piantala. Ti stai addentrando in qualcosa che non ti riguarda” disse lei furente. Tom capì che qualcosa turbava quella ragazza ed era fermamente convinto che lo avrebbe scoperto prima o poi… ma non quella sera. Alzò le mani in segno di resa e Rebecca si rilassò visibilmente.
Tom comprese che Rebecca aveva qualcosa in più, quel qualcosa che per anni aveva ricercato nelle numerose fan con cui aveva intrattenuto rapporti, ma non era mai riuscito a trovarlo. E ora lei era lì… lei era la coronazione delle sue aspettative; forse era un po’ troppo aggressiva per essere un primo incontro, ma sicuramente dietro a tutta quell’ira c’era qualcosa di così grande che lui forse non avrebbe mai compreso.
Lui la guardava mentre prendeva con le sue dita affusolate perfettamente curate, la tazza di Thè e se la portava alle labbra, e in quel momento Tom invidiava quella tazza, e il modo in cui le sue labbra avvolgevano la ceramica fredda lo fece fremere.
Rebecca dal canto suo era ancora frastornata per quel bacio mancato e si malediceva mentalmente per aver ancora solo potuto pensare di cedergli. Non poteva proprio permetterselo, sarebbe stato quel “troppo” che l’avrebbe fatta affondare.
Eppure essere lì con Tom in quel momento era qualcosa di completamente meraviglioso, ma anche così totalmente sbagliato e dentro di sé si accusava di aver comprato quello stupido biglietto con cui avrebbe potuto tranquillamente pagarci quella vacanza che aspettava di fare da anni, ma allo stesso tempo non riusciva a contenere nel suo cuore una gioia infantile che le fece capire che forse tutto quel cinismo in cui aveva vissuto fino a poche ore prima non fosse reale. Ma questo era un pensiero troppo difficile da elaborare e troppo profondo per quel momento, ma sapeva che prima o poi avrebbe dovuto farci i conti… e ci sarebbe voluto molto tempo.
Lei si sentiva lo sguardo di Tom addosso, ma non aveva il coraggio di alzare gli occhi per incontrare i suoi: si stava autoconvincendo che tutta questa faccenda fosse un errore, un terribile ed enorme errore, ma stava anche raggruppando le forze per mettere dei veloci cerotti a quelle crepe che si erano formate dentro di lei.
Perché non posso godermi questo momento come una ragazza normale?
Ma lei non si sentiva normale, non si sentiva come le altre… aveva il cuore spezzato, aveva le cicatrici di un passato che nessuno poteva comprendere, si sentiva menomata, come se non potesse meritare l’amore delle persone e per questo tendeva sempre a stare da sola e a chiudersi in sé stessa. Le piaceva la solitudine, poteva fare con sé stessa ragionamenti che altri suoi coetanei avrebbero preso in giro o che magari, non avrebbero capito.
Lei era la migliore amica di sé stessa, lei sapeva vedersi dentro, sapeva ascoltarsi, a volte sapeva anche mentirsi… e questo in fondo le bastava.
Ma poi qualche strano dio del cielo, le aveva mandato questo ragazzo tra capo e collo proprio nel momento in cui aveva combattuto –o almeno così credeva- i suoi fantasmi.
E se fosse una prova per vedere se davvero ho voltato pagina?
Aveva deciso tempo fa che avrebbe provato a non tagliare il resto del mondo fuori, che avrebbe provato a reintegrarsi con le persone, e questa sua nuova sfida iniziò proprio quel giorno, quando premette sul tasto “acquista” e comprò il biglietto per andare a Marsiglia.
E la sfida più dura le si stava presentando in quel preciso momento davanti: Tom Kaulitz il tanto amato chitarrista sciupafemmine, voleva parlare… solo parlare… nulla di più.
Quella parola… parlare,le ricordava una vecchia, vecchissima canzone dei loro tempi d’oro: Reden.
Wir wollten nur Reden, eh Kaulitz?
Un sorriso le aleggiò sulle labbra e continuò a sorseggiare il suo Thè caldo che finalmente la stava scaldando.
“Perché sorridi?” le chiese Tom curioso, osservandola di sottecchi.
Lei si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri. “Niente stavo solo pensando ad una vostra vecchia canzone”.
“Reden?” disse ridendo e addentando il suo Toast e lei rimase sconvolta.
Come diavolo fa a saperlo? Non dirmi che sai anche leggere nel pensiero Kaulitz.
“Ho indovinato?” la incitò.
“Forse” rispose Rebecca riprendendo in mano la sua tazza bianca.
“Si certo” le disse guardandola con fierezza “Perché non vuoi che io ti veda veramente?”.
Il Thè le andò di traverso e iniziò a tossire sonoramente.
“Ehi tutto bene?” Tom si alzò dalla sua sedia per accucciarsi vicino a lei e prenderle la mano.
A quel contatto la tosse passò immediatamente, quasi come se lui fosse una qualche sorta di strano medicinale… e lo guardò, lo guardò così intensamente che per un attimo pregò affinché lui potesse leggerle dentro tutto quello che aveva patito; ed era bello, bello, maledettamente bello che in quel momento avrebbe voluto gettarsi tra le sue braccia e lasciarsi andare a qualsiasi cosa lui volesse.
Perché mi fai quest’effetto? Mi rendi impotente…
“Va meglio?” le chiese e lei annuì.
Tom fece per alzarsi e andarsi a sedere al suo posto, ma le dita di Rebecca facevano pressione sulla sua mano e non lo lasciava andare. La guardò e vide qualcosa in lei che lo paralizzò. Si riaccucciò e aspettò pazientemente che lei proferisse parola, non voleva metterle fretta… gli stava bene stare mezzo seduto sulle gambe a guardarla… lo avrebbe fatto per sempre, gli bastava solo questo.
“Tu riesci a vedermi?” chiese lei con un filo di voce ed una strana preghiera dentro gli occhi.
“Bhe direi che tutti riescono a vederti, sei vera no?” Tom decise di smorzare la situazione con una battuta, ma lei rimase impassibile.
C’era qualcosa nei suoi occhi che aleggiava silenzioso, ma che lui faceva fatica a capire. Era indubbiamente una ragazza strana e complicata, ma a lui erano sempre andate a genio le sfide.
“No Kaulitz… riesci a vedermi, dentro?” la sua era quasi una supplica.
Tom smise di respirare per un secondo. La vedeva? Vedeva cosa aveva dentro? Forse… ma non ne era sicuro.
“Non ancora, ma so che se me lo permetterai ci riuscirò.” Le rispose d’un fiato.
Rebecca fece una smorfia di delusione. “Sembra quasi che tu voglia farlo davvero”.
Tom la scrutò ancora per un attimo e in quel momento capì. Lei aveva paura… no, no era terrorizzata, da cosa ancora non lo sapeva, ma ci sarebbe arrivato presto. Voleva essere rassicurata, voleva che qualcuno la salvasse da sé stessa, voleva che qualcuno le desse un motivo per cui valesse la pena lottare.
Il cellulare di Tom squillò improvvisamente nei pantaloni e si accorse che di lì a poco il tour bus sarebbe partito per Parigi. Non rispose. Spense il cellulare, lo ripose nella tasca e tornò a fissare quei grandi occhi nocciola adornati da rimmel e eyeliner.
“Non rispondi?” chiese lei stupefatta, indicando il telefono.
Lui scosse la testa. “Ci sei tu ora, e ti sto vedendo”.
Rebecca strinse convulsamente la mano di Tom, ma lui non ci fece caso.
Cosa diavolo stai cerando di dirmi, Rebecca?
“E’ tardi” esordì lei guardando l’orologio fisso sulla parete. “Fra poco mi parte il treno” disse con malinconia.
Rebecca si alzò e lui la imitò senza mai lasciarle la mano.
“Lasciami andare, Kaulitz” gli disse cercando di liberarsi delicatamente la mano, ma lui gliela strinse con più vigore, non gli importava se le stava facendo male. Lei voleva andarsene e lui non gliel’avrebbe permesso.
“No.”
“Ti prego” la sua era quasi una supplica che fece stringere il cuore di Tom.
“Perché?” e i suoi occhi cercavano quelli di lei.
“E’ sbagliato.”
E Tom capì che la cosa di cui Rebecca aveva così tanta paura… era lui.
Questa nuova rivelazione però non lo fece demordere, gli diede solamente la forza di continuare a fare quello che stava facendo. Non farla andare via.
“Vieni con me” le disse serio. Lei alzò finalmente i suoi magnifici occhi velati di lacrime, nei suoi.
Tom sentì una morsa stringergli il petto e qualcosa di caldo che gli inumidì le ciglia.
“Vieni con me” le ripeté con più enfasi, ma lei continuava a fissarlo con la bocca socchiusa. Sapeva che stava soppesando la sua richiesta.
“Tom, io…” rispose Rebecca. Lui si sentì sconvolto vedendo l’effetto che gli aveva procurato sentire il suo nome pronunciato dalle sue labbra; era la prima volta che lo chiamava così ed era innamorato di quel suono dolcissimo.
“Ti prego” le disse.
Rebecca cercò di divincolarsi dalla sua stretta, ma Tom la attirò a se mettendole entrambe le mani sulla schiena.
“Lasciami…” gli sussurrò sul petto.
Tom appoggiò il mento sui capelli di Rebecca che sprigionavano un profumo intenso ed avvolgente. La strinse più forte a sé e lei si abbandonò alla sua stretta.
“Non puoi andare via” disse baciandole i capelli. Rebecca si sentiva amata e coccolata in quell’abbraccio, non voleva andare via in realtà, voleva restare lì con lui… ma questo non era possibile, aveva una vita in Italia, gli studi, il lavoro e… e nient’altro. Era sola. Lei non aveva nessuno tranne che se stessa, ma in quel momento sentiva che aveva qualcosa di più per combattere anche se non sapeva questo dove l’avrebbe portata.
Tom la prese delicatamente per il mento costringendola così a guardarlo. I suoi occhi sprofondarono i quelli di lui e si incatenarono con una forza invisibile che non li avrebbe separati.
“Resta” le sussurrò prima di appoggiare le sue labbra calde su quelle di Rebecca.
E lei in quel momento decise che sarebbe restata perché lui aveva la voglia e il bisogno di vederla; decise che lo avrebbe baciato con tutta la foga, l’amore, il dolore e la paura che aveva in corpo. Decise che avrebbe lottato contro il mondo intero pur di poter preservare quella flebile luce di serenità che iniziava a scaldarle il petto. Decise che con lui non avrebbe avuto più paura.
Capì, quando sentì la lingua di Tom danzare a ritmo con la sua, che lui avrebbe sempre avuto questo effetto su di lei, si sentiva come se dovesse essere plasmata di nuovo dalle sue mani, come se stesse aspettando un nuova vita… forse migliore.
Tom la stringeva a sé con tutta la dolcezza e la forza che aveva, per non lasciarla andare… non sapeva cosa avrebbe portato tutto ciò, le conseguenze, le liti… non lo sapeva, ma se lei fosse stata con lui allora tutto sarebbe andato bene.
E il tempo passava, lento, inesorabile mentre loro si baciavano, mentre capivano che qualcosa li aveva legati fin dal primo sguardo.
E quella piccola candela, sul tavolo iniziava a consumarsi continuando a bruciare, così come i loro animi bruciavano… incatenati l’uno all’altra, per il resto della loro esistenza.
 
 
 
 
 
______________________________________________________________________________________
Note: Ciao a tutti! Dopo numerosi anni sono ritornata con una One-shot! Per chi avesse seguito la fan-fiction che avevo scritto anni fa, sappiate che non è mai stata finita, ma la storia e i suoi sequel sono tutti ben definiti nella mia mente. Appena avrò tempo provvederò ad aggiornare, e a cambiare alcune parti di When love takes over... (dopo anni cambia la mentalità, ma soprattutto la mentalità!). Inoltre per coloro che ancora fedelmente mi seguono, sappiate che ho fatto richiesta per cambiare nickname da billina pikkolina a Unendlichkeit_b.
Aggiungo che la fan fiction è di mia pura invenzione, non sono mai andata a Marsiglia né tanto meno ho preso un biglietto per il FeelitAll tour 2015. Ho realizzato questa One-shot solamente guardando le foto delle fan al meet.
Scusate se ho fatto errori con il francese, sono solo pochi mesi che lo studio, sono una novellina! Nel caso di errori vi prego di farmeli notare per poterli correggere subito. Per chi volesse la traduzione sono scritte in piccolo e in grigio chiaro a fine frase, ma se la evidenziate con il muose si dovrebbe vedere meglio.
Vi auguro una buona lettura e se vi va lasciate una recensione, sono sempre costruttive.
B. 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: Unendlichkeit_b