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Autore: Elettra_Black    13/12/2008    2 recensioni
Ripensando a Saito di Kenshin, ricordo che trovai molto comica la sua situazione familiare, anche se nel manga è appena accennata. Mi sono sempre chiesto che razza di donna potesse sposare un uomo simile. O troppo remissiva, o battagliera. Spero che la mia versione vi piaccia, questa ff risale a diversi anni fa, ero ancora una ragazzina.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Decimo anno dell’era Meiji. Un poliziotto si trascinava per le strade della periferia di Tokyo, tenendo con una mano una piccola busta di carta. Fece di tutto per non macchiarla con il sangue che rigava e inzuppava ogni parte del suo corpo. La camicia da poliziotto era tutta stropicciata, e ormai era del tutto inutilizzabile. Ma l’avrebbe ugualmente fatta vedere alla moglie, che nel cucito era una maestra. A dire il vero sembrava perfetta per ogni lavoro manuale, cosa alquanto inusuale data la posizione sociale che ha sempre ricoperto. Era la figlia di un importante ufficiale di Aizu, Takagi Kojuurou, e il loro matrimonio combinato gli aveva donato non pochi vantaggi.

In una notte di luna piena come quella, Goro Fujita, o sarebbe meglio dire Hajime Saito, trovava particolarmente piacevole vedere la propria abitazione illuminata dai raggi delicati della notte. Una casa semplice, dotata di un enorme cortile circondato da un’alta recinzione; il giardino era in perfetto stile giapponese, e nel momento in cui oltrepassò la soglia di casa e si trovò all’interno della propria dimora che profumava di zuppa di miso e riso bollito.

<< Tokio…>>chiamò svogliatamente la donna, che fu però preceduta da tre ragazzini: Tsutomu, Tsuyoshi e Tatsuo. I tre monelli cominciarono a correre intorno alll’alta figura del padre, per nulla intimiditi dal sangue e dalle sue ferite.

<< Papà, sono dolci quelli?>>

<< Papà, ma hai ucciso qualcuno?>>

<< Papà, giochiamo un po’?>>

L’uomo sorrise benevolo, cercando con lo sguardo qualcuno << Dov’è Makoto?>>chiese ai piccoli, che sogghignando divertiti risposero in coro << Mamma l’ha messa in castigo!>>

Un sospiro scocciato fu quello che uscì dalle sue labbra strette, quando la piccola e graziosa figura di una donna comparve finalmente sulla soglia. Il volto di madre, volto di donna giapponese abituata ad avere a che fare con faccende domestiche e cura della famiglia, si imbronciò nel vedere l’uomo in quelle condizioni. Il lupo di Mibu le sorrise con aria tranquilla, abituato a quel viso che diventava più grazioso ad ogni disappunto.

<< Voi tre andate a finire di mangiare, che i dolci non li avrete prima di aver finito>>la donna li riportò all’ordine, e prendendo il sacchetto di carta lo mise nella tasca del grande grembiule bianco che copriva il kimono dalle semplici fantasia floreali azzurre e rosa. Poi rivolse all’uomo uno sguardo gelido, e con un cenno del capo gli ordinò di seguirla fino in camera da letto, e chiuso nella stanza la vide sparire nuovamente.

Saito sapeva bene cosa significava quell’atteggiamento, e in silente attesa si sedette sul futon morbido e lavato con cura, posto sopra il tatami leggermente rovinato.

Dopo qualche minuto Tokio tornò da lui, con un bollitore tra le mani, una ciotola e dei panni che sistemò sul pavimento rivestito di vimini.

<< Non dici niente?>> chiese Saito osservandola mentre, con minuziosa attenzione, lo privava di camicia e maglia, per poi pulire via ogni segno tamponandolo con un panno bagnato. La moglie si limitò a tenere lo sguardo gelido sulla pelle lacerata, riconoscendone il taglio: perfetto, lineare. Il tocco micidiale di una katana.

<< Ti ho già detto come la penso. L’importante è che torni da noi, e in che stato sono affari tuoi>> con precisione da chirurgo cominciò a ricucire le ferite profonde, senza particolare attenzione all’ago bollente sulla sua pelle. L’uomo sembrò divertito dal suo atteggiamento, e nonostante il lieve dolore continuò a guardare le mani piccole e bianche della consorte che toccavano la sua pelle. Una pelle dura, quasi impossibile da tagliare. Eppure quel cane di Battosai era riuscito ad aprire e addirittura danneggiare.

Sì, divertente. Estremamente divertente…

<< Tokio, toglimi una curiosità>>fece lui una volta che la donna finì di rivestirlo con la casacca di uno yukata malmesso. Gli occhi grandi e neri di lei si posarono su quelli del marito, mostrando la lucentezza di quel temperamento forte e severo che animava l’anima della donna.

<< Ti sei divertita a pungermi con quel dannatissimo ago? Sei stata particolarmente violenta>>

Le guance della moglie si accesero di rosso, e un sorriso maligno e soddisfatto increspò le sue labbra rosa << Una piccola vendetta per esserti presentato davanti ai bambini con tutto quel sangue addosso. Devi smetterla, questo tuo atteggiamento mette in testa strane idee ai bambini, specie a Makoto>>

L’uomo si passò una mano tra i capelli con aria colpevole << Sì, Makoto…A proposito, come mai è in castigo?>>

La donna si alzò da terra, e raccogliendo ciò che aveva usato nella medicazione si avviò verso l’uscio della porta scorrevole << Ha giocato con la tua katana, quel cimelio arrugginito che usavi nello Shinsengumi. Voleva fare seppuku a Tsutomu! E’ una bambina, lo so. Ma non mi va che cresca con la stupida convinzione di poter andare un giorno a sterminare samurai di Choshu. Va da lei e mettile in testa che i tempi sono cambiati e…>> si diede uno schiaffo sulla fronte << …cielo, è una bambina!>>

Saito avrebbe volentieri risposto “Che amore di bambina!”. E in effetti aveva sempre provato maggior orgoglio nei confronti della più piccola, dandole persino il nome ‘Makoto’. Per quel nome erano morti molti dei suoi compagni, è inutile dire che non ha dimenticato una sola di quelle vite spezzate. Ideogramma nero su sfondo scarlatto e bianco. Conserva ancora l’antico stemma dello Shinsengumi in un cassetto, piegato e accuratamente conservato insieme alla sua vecchia divisa da Lupo di Mibu.

< >la moglie interruppe i suoi pensieri, e l’uomo portò i suoi occhi sottili su di lei, osservando le piccole spalle e il collo scoperto dai capelli alzati. Un collo bianco come la neve di febbraio << …ti stavo preparando la soba. Ne vuoi?>> era rimasta ferma sulla soglia, con una mano posata sull’asse di legno chiaro. In quei momenti, solo in quei momenti rari, Tokio gli regalava barlumi di quella sua femminilità incontaminata, da donna devota e sinceramente innamorata.

Le piccole spalle vennero coperte dalle mani rudi del marito, che chinandosi in avanti baciò la nuca e poi il collo di quella piccola sposa. Una sposa che sorrise portando le dita sulle labbra, in un gesto di innocente imbarazzo.

<< Conosci i miei gusti. Hai fatto bene Tokio…>> le mormorò passando le dita, rovinate a causa del continuo maneggio della spada, lungo il collo candido, un contrasto tra i due diversi tipi di pelle che amava molto; le labbra tornarono a baciare la nuca proprio sotto l’attaccatura dei capelli, provocando dei sospiri da parte della moglie.

<< E sai che mi piacciono i tuoi capelli raccolti. Quando devo vedere il tuo viso non voglio che sia coperto da queste ciocche nere, sarebbe uno spreco. La mia sposa deve mostrare sempre il suo bel viso…>>

Avrebbe continuato a baciarla per ore e ore. Nella sua vita in cui le anime degli uomini massacrati dal filo della sua lama continuavano a minacciarlo che presto avrebbero avuto la loro vendetta, la presenza di Tokio e dei bambini serviva a bilanciare il tutto: da una parte c’era la morte, il duello e il ricordo di Mibu. Dall’altro le carezze della sua sposa, le risate e i giochi di quei bambini che purificavano il suo corpo con dei semplici sguardi. In loro vi trovava l’innocenza, quel qualcosa che cancellava il sangue dalle sue mani corrotte.

Quegli stessi bambini che stavano origliando le dolcezze sussurrate dai loro genitori in intimità.

<< Rimandiamo a dopo cena…>> sbuffò l’uomo contrariato. Ecco, in momenti come quelli avrebbe volentieri chiuso in uno sgabuzzino quelle tre pesti.

<< Finisco di cucinare allora. Avrai fame dopo aver rischiato di morire anche oggi…>> aggiunse con leggero sarcasmo, lasciando un bacio sulla guancia dell’uomo prima di uscire definitivamente; da fuori si sentivano le risate dei tre monelli, che rimproverati dalla madre per aver sbirciato nella stanza dei genitori, la fanno arrossire con commenti da bimbi che si stupiscono per un bacio scambiato tra una coppia di innamorati.

L’uomo rimasto solo gettò uno sguardo sul mobile che custodiva i suoi ricordi di Shinsengumi, e sorrise lievemente, ma con aria malinconica, nostalgica. Nessuno avrebbe visto quell’espressione sul suo volto, forse neppure la moglie che, poco a poco, era riuscita a strappare dei sentimenti da quell’animo spietato. Lei con quei quattro monelli che…

<< Mi sa che devo sculacciarne uno>> sussurrò ripensando alla figlia, che in quell’esatto momento aveva dato una fugace sbirciatina dalla finestra che dava sul giardino al retro della casa.

La piccola stava cercando un nascondiglio tra dei cespugli trascurati da diversi mesi, che erano cresciuti al punto da diventare un nascondiglio perfetto per quella scricciola di nemmeno sei anni. Lo yukata verde era scucito in diversi punti, il colore sbiadito e macchiato; segno che doveva essere passato per i fratellini più grandi. Ormai convinta di essersi nascosta alla vista di tutti, tirò un sospiro di sollievo portandosi una manina tra i ciuffi della frangia lunga e spettinata come i capelli che scendevano in un’alta e stretta coda.

<< Ho trovato un criceto>>la voce calda ma dalle perenni sfumature sarcastiche dello Shinsengumi la fecero sobbalzare, così come quegli occhi stretti che la guardavano dall’alto della sua stazza.

<< Papà, non vale se vieni a cercarmi tu>>brontolò la piccola, rivolgendo all’uomo uno sguardo che riservava sempre e solo a lui. Uno sguardo colmo di ammirazione e fervore da parte della bimba, che sorrise timidamente al padre che prese posto al suo fianco, senza rimproverarla per essersi sporcata i vestiti. Saito notò qualcosa di strano nella piccola, a cominciare dal braccino che nascondeva dietro la schiena.

<< Quanto avevi intenzione di restare nascosta? La luna sta per essere coperta dalle nuvole e ti troveresti al buio da sola, con il rischio di stare sotto la pioggia>>

Incredibile come la piccola fosse in grado di sostenere lo sguardo con quell’uomo dagli occhi da predatore. Makoto lo guardò a lungo, e stringendo in un pugno la mano paffuta si alzò in piedi in modo da poterlo guardare dritto in faccia e con estremo coraggio.

<< Per uccidere dei cani di Choshu tu e i tuoi uomini vi siete appostati sotto il diluvio per giorni interi! Anche io sono un Lupo di Mibu, e potrò resistere altrettanto!>>

L’uomo, interdetto, ricambiò lo sguardo quasi con imbarazzo. Avrebbe dovuto fermare le fantasticherie di quella bambina, ma osservare quei giovani occhi già pieni di coraggio lo riempì d’orgoglio.

<< Le situazioni sono diverse però>>disse portando la mano sul suo capo, stropicciandole di più i capelli << Tua madre, per quanto possa essere severa, non è un cane di Choshu, e tanto meno lo sono quegli scatenati dei tuoi fratelli>> sorrise. Se in quel momento qualcun’altro oltre la piccola avesse assistito a quel sorriso, probabilmente sarebbe morto per lo shock. Saito Hajime, ex comandante della terza squadra degli Shinsengumi, aveva la dolcezza dipinta sul volto scarno.

<< No, la mamma non lo è…>>mugugnò la piccola imbronciandosi leggermente << Quei tre sì però>>aggiunse con un ghigno maligno. Un ghigno fin troppo simile a quello dell’uomo.

<< Piuttosto…>>senza rispondere alla sua affermazione la spinse verso di sé, costringendola a sedersi sulle sue ginocchia << …questa l’hai fatta vedere alla mamma?>>scostando il braccino nascosto sollevò la manica dello yukata, scorgendo un taglio netto che rigava di rosso la pelle candida della piccola.

<< Mmh…>>scosse il capo guardando il padre con occhi lucidi. Gli occhi grandi e neri della piccola che poco a poco si intrisero di lacrime << La mamma si è arrabbiata quando mi ha visto con la tua katana. Io non volevo giocarci, mi stavo allenando!>>

“Ci risiamo…”pensò l’uomo con pazienza mentre avvolgeva la ferita con un fazzoletto che si trovò in tasca << Ti stavi allenando, eh?>>

<< Sì, io da grande sarò uno Shinsengumi! Non mi interessa quello che dicono i miei amici, non mi interessa per niente…>> tirò su col naso, posando il capo al petto dell’uomo.

Sono belli i sogni di un bambino. E quelli di Makoto erano così limpidi e pieni di fervore che Saito si trovò a riviverli con lei. Anche nascendo durante lo shogunato, molto probabilmente, la piccola non sarebbe riuscita a coronare il suo sogno di gloria. Magari sarebbe diventata un ninja, o forse una domestica all’interno della caserma. Ma gli shinsengumi erano uomini, uomini che plagiavano le loro anime fino a mutarle in demoni lupo pronti a versare il sangue dei nemici.

Ma perché infrangere i sogni di una piccola che una volta cresciuta avrebbe dimenticato tutto? No, non aveva senso. E poi fantasticare con lei era oltremodo piacevole…

<< E ti sei pettinata così per somigliare a qualcuno in particolare? Non è che hai visto il ritratto di Souji Okita che c’è nel mio cassetto, e ti sei invaghita di lui? Tra noi era quello che riscuoteva più successo…>>le confidò con atteggiamento ironico e sarcastico. Quando gli capitava di pattugliare insieme al giovane compagno finiva con il ritrovare gli angoli pieni di ragazzine in estasi.

<< Lui è bello, ma il mio papà ha lo sguardo più minaccioso>> fece la piccola annuendo convinta << E’ a te che voglio somigliare, perché i cani di Choshu hanno paura del tuo sguardo quando diventi cattivo>>

Questa bambina è un angelo” pensò compiaciuto. Neanche a cercarla in tutto il globo ce ne sarebbe stata un’altra come lei. L’idea di portarla da Battosai si fece strada nella sua mente, ma preferì lasciar perdere. Tokio lo avrebbe costretto a seppuku se avesse scoperto che la sua bambina ha incontrato un feroce assassino.

<< E a te non faccio paura?>> chiese divertito mentre cercava di sistemare i suoi capelli come faceva lui in quei giorni lontani.

<< No, a me no. Uno perché sono più coraggiosa dei cagnacci, e due perché non mi guardi mai con aria cattiva>>con il braccio sano si avvinghiò al suo collo riempiendo di complimenti un uomo che, a detta dei suoi nemici, meriterebbe l’inferno per il solo fatto di aver indossato la gloriosa divisa blu a bande bianche.

<< Dai, andiamo dentro. Mamma deve medicarti il braccio…>> si sollevò con lei ancora appesa al collo, e si avviò verso casa << Anche io ho una cicatrice nello stesso punto>> un attimo. Un attimo solo in cui l’uomo posò le labbra sul capo corvino della piccola, premendole in un bacio rude ma pieno di dolcezza.

Eh sì. Saito Hajime nel suo mondo costruito senza l’aiuto di nessuno: un mondo a cui poteva far ritorno dopo ogni battaglia, ogni morto tranciato dalla sua lama. Un mondo in cui non era un assassino, ma un padre e marito devoto.

  
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