12/03/2015
1 recensioniCAPITOLO 1.
Il freddo, l'odore pungente dell'aria ghiacciata, il vento che dolcemente mi accarezzava le guance. I miei zigomi erano irrigiditi e il mio sguardo era perso nel vuoto. Osservavo le montagne innevate intorno a me. Cime appuntite, altezze vertiginose. E io ero lì, su una roccia ghiacciata a picco nel vuoto. Mi piaceva quella pace, quella calma interiore. Avevo aspettato tanto un momento così, uno stacco temporale dalla mia vita per pensare.Ma stavo pensando troppo e decisi di accendermi una sigaretta.
A un certo punto sentii dei passi pesanti che si facevano strada tra la neve alta e che si muovevano in mia direzione.
Per un momento fui colpita dall'ansia perché capii che sarei dovuta andare a chiedere spiegazioni a qualche passante che si era perso nella zona oppure avrei dovuto più semplicemente parlare con qualche sconosciuto che avrebbe interrotto tutti i miei pensieri per non so quale razza di ragione.
I passi avanzavano e la neve sotto le scarpe scricchiolava. Improvvisamente fui scossa da una voce e mi voltai.
Era un uomo, alto e biondo. Riprese a camminare fino a me e mi si sedette accanto.
Mi disse che si era perso ma per mia fortuna non mi chiese nessuna informazione. Mi disse anche che si trovava qui perché spesso gli piace avventurarsi in nuovi sentieri fra la neve e non immaginava di trovare qualcuno. Io gli sorrisi. Non sapevo che dirgli e improvvisai un "come ti chiami?"
<<"mi chiamo Alex" >>
<<"piacere, Veronica. Non sei di queste parti, giusto?" >>
<<"Giusto, sono qui in vacanza. In realtà sono inglese, vengo da Londra">>.
Amavo Londra. Ero capitata a Londra molte volte per lavoro.
Iniziammo a parlare di tante cose e scoprii che era un uomo davvero interessante. Poi la nostra conversazione fu sospesa da una telefonata. Era il mio cellulare. Dovevo ritornare in albergo.
***
L'indomani mattina mi svegliai come al solito alle otto. Vagavo assonnata nella suite scalza e con i capelli scombussolati. Fuori nevicava ma nella stanza faceva caldo e restai con la mia vestaglia. Era molto corta ed era di seta con alcuni bordini di pizzo.Era un regalo del mio manager per il mio compleanno. Un uomo impeccabile, sempre alla moda e con un unico armadio solo per camice di quattromila euro e di ogni tipo.
Mi truccai e mi vestii e poi scesi al ristorante dell'hotel per fare colazione. Ma appena arrivai alla reception c'era Alex seduto su una poltrona che beveva un caffè. Appena mi vide appoggiò la tazzina sul tavolino di fronte e mi raggiunse.
Facemmo colazione insieme e iniziammo a discutere sui progetti della giornata. Durante la notte aveva nevicato molto e la neve era diventata ancora più alta e soffice.
Nel cielo limpido splendeva il sole e il tempo era sereno. Non pensavo di ritrovarmi Alex nella hall. Mi aveva colto di sorpresa ma era piacevole chiacchierare con lui.
Era molto estroverso e i suoi discorsi mi incuriosivano. Riusciva ad affrontare qualsiasi argomento senza annoiare e questo mi affascinava. Era così rilassante il suono del suo accento italiano.
Se c'era davvero una persona così involontariamente consolatoria era lui e penso che sia un talento che poche persone possiedono. Quell'arte di far volare le persone ma stando con i piedi per terra.
E dall'alto la vista è spettacolare.