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Autore: air_amavna    12/03/2015    1 recensioni
Era sicura di aver assunto un colorito scarlatto sotto al suo sguardo, e lei non poteva fare a meno di arrossire. Perché sì, era timida e impacciata, soprattutto in casi come quelli.
Lauren ammirò le spalle da dietro, strette in quella camicia fin troppo bianca per i suoi gusti. Era come una luce, e lei si sentiva terribilmente attratta ora che ci pensava. Non voleva mai ammetterlo, ma certe volte finiva per pensare a lui, a quello strano tizio dalle camicie colorate e stirate alla perfezione, e al suo modo di sorridere. Ed era strano, cercava di negarlo, di non illudersi, ma non funzionò.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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It's not an illusion


Dedico questa OS a L. che mi sopporta sempre
e che è pazza di lui e dei suoi occhi azzurri.


 

 

Lauren si era liberata di una difficile interrogazione di filosofia, che parlava di realtà, ragione e libertà. Lei però la filosofia non riusciva proprio a mandarla giù. Era un po' come bere il limone senza zucchero, berlo tutto d'un sorso. Sì, le faceva davvero schifo.
Era poggiata contro il bordo di una finestra della sua scuola, che permetteva ai raggi del sole di penetrare quell'area scura e poco ospitale. I corridoi a quell'ora erano vuoti, tranne per la bidella, una donna sulla sessantina vestita a strati che le lanciava diverse occhiatacce senza però dire nulla. A Lauren non le importava se quella donna le dicesse qualcosa, aveva sul serio il bisogno di uscire da quella classe di oche.
Di fronte ai suoi occhi le macchinette erano esposte e super blindate, come se qualcuno potesse prendere l'iniziativa di scassinarle e rubare tutto il cibo all'interno, e i muri bianchi e opachi rendevano tutta quella situazione deprimente.
Con la mano si fece strada nelle tasche dei jeans e afferrò le due monete, per poi avvicinarsi a passi lenti di fronte ai vetri sporchi, per scegliere qualche merendina commestibile. Non c'era tanta scelta in realtà, era in quella scuola da cinque anni e le proposte erano sempre le stesse.
Si perse nei suoi pensieri, pensando a quello che doveva studiare una volta a casa, a quello che avrebbe indossato alla festa di sua cugina e all'acconciatura che avrebbe messo in mostra quella stessa sera. Non si accorse di essersi fermata, quando una voce la risvegliò dai suoi pensieri, e una mano calda le si poggiò sulla spalla.
Lauren si voltò, ritrovandosi due occhi azzurri e grandi, a guardarla con attenzione. Lauren ricordava di averlo già visto, quel ragazzo, in realtà lo ricordava molto bene. Circa un mese prima gli aveva riferito che lo zucchero della macchinetta era terminato e che sarebbe dovuta andare direttamente al bar, che era anche meglio.
“Devi prendere qualcosa?” le chiese lui, indicandola con un dito.
“Sì ma ancora devo scegliere, fai prima tu” borbottò imbarazzata. Era sicura di aver assunto un colorito scarlatto sotto al suo sguardo, e lei non poteva fare a meno di arrossire. Perché sì, era timida e impacciata, soprattutto in casi come quelli.
Lauren ammirò le spalle da dietro, strette in quella camicia fin troppo bianca per i suoi gusti. Era come una luce, e lei si sentiva terribilmente attratta ora che ci pensava. Non voleva mai ammetterlo, ma certe volte finiva per pensare a lui, a quello strano tizio dalle camicie colorate e stirate alla perfezione, e al suo modo di sorridere. Ed era strano, cercava di negarlo, di non illudersi, ma non funzionò. Era chiaro che lei provasse attrazione per lui, lo si leggeva negli occhi che avrebbe voluto saltargli addosso da un momento all'altro.
“Non so neanche io cosa scegliere” rise di gusto, restando con una moneta da un euro tra le dita, e l'altra mano nella tasca stretta del jeans scuro. “Ci mettono sempre le stesse cose in questi affari” bofonchiò, sbattendo un pugno sul vetro.
“Già” disse lei, sorridendo fin troppo allegramente. Poi si aggiustò i capelli dorati, di un oro chiaro, e lui si voltò per guardarla.
“Di che classe sei?”
Lauren si morse le labbra e sentì il cuore battere all'impazzata all'interno della gabbia toracica. I capelli erano più scombinati del solito e gli occhi così grandi e chiari, che Lauren avrebbe potuto vederci se stessa attraverso. Quando rispose a quella domanda, lui sorrise, facendo rimpicciolire la ragazza su se stessa.
Poi lo raggiunse un suo amico e la salutò, mostrandole sempre quel sorriso. E lei sentì di nuovo un vuoto allo stomaco. Non mangiò nulla e finì per ritornare nella sua chiassosa classe, con il cuore a mille.


Per la festa di sua cugina, per i suoi venti anni, aveva optato per un vestito rosa scuro. Lo aveva comprato con la sua amica. Era partita con l'idea di comprarne uno per mettere in risalto quello che aveva, quello che mostrava ben poco ai ragazzi o alle persone in generale. Quello era perfetto, adatto a lei e alla sua personalità. Dopo l'incontro di quel pomeriggio a scuola, il suo umore era migliorato parecchio e non riusciva a smettere di pensare alla loro piccola conversazione, o al suo tocco sulla spalla. I suoi occhi erano la sua rovina, lei lo sapeva fin dall'inizio. Eppure, era fin troppo presto per capire le sue intenzioni.
Finì per truccarsi leggermente, applicando molto il mascara, e raggiunse la macchina, camminando su quei tacchi vertiginosi, cercando di non cadere.
Il locale era situato vicino al mare, le onde non si udivano nemmeno per la musica ad alto volume che riecheggiava completamente nella zona. A pensarci, avrebbe anche fatto a meno di indossare quei tacchi, il dolore cominciava già a farsi sentire.
Quando varcò la soglia di quel posto, pieno di luci colorate e tanto fumo, la musica avrebbe potuto spaccarle i timpani.
Riconobbe alcuni suoi compagni di scuola, e salutò calorosamente le cugine, che ridevano e ballavano insieme ai loro amici. A Lauren non le era mai piaciuto ballare, e questo era una cosa che sapevano un po' tutti. Ma quando si sentiva trascinata dall'atmosfera e quando qualcuno la chiamava per ballare, lei lo faceva, e nonostante si sentisse ridicola a volte, non le importava. Come in quel momento. Ballava e si scatenava, muovendo i fianchi e la testa a ritmo di quella musica house, che proprio non riusciva a farsi piacere.
Tra tutte quelle persone, lei si sentiva così sola da non accorgersi di nessuno. Era come se ballasse solo lei, come se lei fosse al centro della pista e tutti gli altri seduti e in silenzio.
Quel locale era così grande che non riusciva a vedere neanche la fine se avesse saltato, e si stava davvero divertendo, sebbene le persone che la circondavano erano esattamente dei totali sconosciuti. Poi un tizio le porse un bicchiere, e lei lo bevve, senza pensarci due volte. Era anche carino, quel ragazzo. Ma mai come lui, pensò Lauren, sentendo la testa già girare a causa dell'alcool.
Si allontanò da quell'uomo, perché in effetti doveva avere circa trenta anni, e si fiondò dall'altra parte della folla. Iniziò una nuova canzone e ballò ancora con più piacere, la aveva sentita già alla radio, un giorno di quelli.
Sentì una forte stretta al polso e si voltò di scatto, trovandosi davanti il suo corpo. E quella volta giurò di non esserselo immaginato. Sorrideva e le mostrava un bicchiere, lei subito lo afferrò e lo bevvero insieme.
Non si accorse neanche quando lui la prese per i fianchi e cominciò a ballare con lei, sulle note di quella canzone che di sicuro l'indomani avrebbe ricordato e scaricato sul suo cellulare. Le sue mani non la lasciarono neanche un attimo, e quando lei portò le braccia al collo, la sua presa si fece più stretta. Si desideravano, lui era così ubriaco, ma a Lauren non importava. Il giorno seguente non sapeva cosa sarebbe successo, l'avrebbe evitata? L'avrebbe salutata cordialmente? Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, ma Lauren sentiva il bisogno di assaggiare e assaporare quelle labbra. Erano troppo per lei, le aveva sognate per così tanto tempo, incondizionatamente.
Lui la strinse a sé ancora di più, facendo toccare i loro bacini a tempo di musica, e cominciò a lasciare una scia di baci sul collo. La sua lingua delineava la linea della mascella e i brividi erano troppi, perché diamine non uscivano da lì? Lauren voleva di più.
“Ciao” le urlò lui all'orecchio. Era chiaramente brillo, aveva gli occhi che gli brillavano, e anche con tutte quelle luci, i suoi riuscivano a trasmetterle tante di quelle emozioni che non riusciva a spiegarle nemmeno a se stessa.
“Oggi mi sono dimenticato di chiederti il nome” continuò, abbassandosi su di lei sempre di più. Era alto, poco più alto di lei, e Lauren adorava quella differenza di altezza.
“Lauren” rispose, forse troppo a bassa voce. Non era tanto sicura che lui l'avesse sentita, ma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Quelle labbra erano ancora più desiderate, le voleva come non mai.
Poi quelle labbra arrivarono alle sue, e la baciarono con foga, con un ardente desiderio e lei si sentì trascinata da quella situazione e da quei sentimenti, e finì per rimetterci il cuore.
Non pensò a più nulla se non a lui e a quel momento, dimenticò che lui fosse più piccolo di un anno, che magari il giorno seguente non si sarebbe ricordato nulla. La cosa importate era che lei lo avrebbe ricordato e nessuno poteva portarglielo via, quel ricordo.
L'indomani le cose sarebbero cambiate? Finalmente lui la avrebbe notata come desiderava? Questo non poteva saperlo, doveva solo aspettare che quella serata finisse. Ma dopotutto era l'opposto di quello che lei voleva.
Lui la teneva stretta e con le mani vagava sul suo corpo, non la lasciarono neanche per un attimo.
Quando verso le due del mattino si aprì la torta, Lauren sentì il corpo del ragazzo spostarsi dal suo. Avevano ballato per ore, avevano mangiato di tutto. Lui le aveva anche chiesto di porgergli la pizzetta alla bocca, e lei rise quando tentò di afferrarla con i denti e finì per sporcarsi il mento e il resto della camicia nera.
Si erano rincorsi attorno ad un tavolo ricoperto da numerosi bicchieri di plastica, erano caduti per terra e finito per ridere fino alla fine.
Quella sera si era lasciata andare e aveva adorato il suo modo di comportarsi e la sua risata genuina e brilla.
Il giorno seguente tutto sarebbe tornato alla normalità, o magari lui l'avrebbe saltava da quella vita monotona che stava cominciando ad odiare con tutta se stessa. Perché lui non era suo, non lo era mai stato, ma lei sentiva di appartenergli. In qualche modo assurdo le loro anime quella sera si erano ritrovate, potevano splendere per sempre, proprio come a quella festa, dove i loro corpi si erano così desiderati, così bramati, che la testa di Lauren aveva girato così forte quasi da perdere i sensi.
E quando Lauren andò via, lui era introvabile, ma poteva ancora sentire le sue labbra sulle sue. Poteva sentire le sue mani, la sua voce, e lo avrebbe ritrovato in se stessa.
Oppure il giorno seguente, vicino a quella finestra e a quel distributore di merendine, dove gli aveva parlato per la prima volta.
 

 

   
 
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