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Autore: Madam Morgana    13/03/2015    4 recensioni
Alice Parker ha vent'anni e vive a Stratford, in Inghilterra.
La sua vita è sempre stata normale. Ha sempre desiderato vivere, Alice, che però non ha fatto i conti con le sue solite paure e paranoie.
Lei proprio non ci riesce a dimenticare Joseph, l'amico ch'è partito senza salutarla.
Spera di rivederlo, mentre continua a cercare la felicità che tanto desidera.
Scoprirà la ragione della sua costante tristezza quando, un giorno, sua madre le rivelerà un'amara verità.
Perché, in fondo, la vita è piena di segreti, piena di rivelazioni che sconvolgono.
Ma Alice lo sa. Alice sa che vinceranno loro, contro tutti, perché Calum è la sua unica cosa bella.
Perché lei è un disastro, ma Calum, lui è proprio un opera d'arte.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.












 

Adolescenza: o la ami o la odi.
In questo preciso istante la amo talmente tanto da desiderare una macchina del tempo per tornare indietro, un po' come i protagonisti di “Ritorno al futuro” balzavano da epoche in epoche con facilità disumana, che invidia!

Io invece rimango ancorata in una realtà che non mi piace, e sono certa che non piaccia a nessuno visto come stanno le cose.
Guardo il display del mio cellulare accanto al mio letto, sono le tre del pomeriggio di una Domenica qualsiasi, nulla di anomalo o stupefacente. L'altra cosa che non cambia mai è la mia solitudine, ormai vista come una migliore amica.
E penso che sarebbe bello trovare qualcuno che ti guarda come se fossi tutto ciò che ha sempre cercato, qualcuno che ti faccia capire cosa sei realmente, che gli manca l'aria al sol pensiero di perderti, come manca a me ogni giorno quando rafforzo la mia consapevolezza di non vedere più determinate persone.
I miei professori, i miei vecchi amici, Joseph...
Lui c'è sempre, nei miei pensieri, così come nei miei incubi. E' sempre lì, con quel sorriso perfetto e quei occhi scuri che fregano sempre. Ci facevo l'amore solo a guardarli, quando eravamo vicini.

Ultimamente collego molte cose a Joseph come la canzone che sto ascoltando in questo preciso istante dei Maroon 5; s'intitola Maps, ed in un pezzetto dice “Ero lì per te nelle tue notti più buie.
Ma mi domando dov’eri tu quando ero al peggio in ginocchio e dicevi che saresti stato alle mie spalle.”

E mi rendo conto che alcune canzoni, forse le più belle, si basano su principi tristi come cuori infranti, amori mai nati e rifiuti non meritati.
Ne avrei tante da dedicare a quello che si identificava come mio migliore amico, talmente tante che potrei fare un intero disco ed inviarglielo con una raccomandata di calci in culo, ma nonostante cerchi di odiarlo, non ci riesco. I momenti felici che abbiamo trascorso insieme, le cose belle che abbiamo fatto nel nostro periodo dell'adolescenza sono superiori alla rabbia che ho nei suoi confronti, e sono fottuta ancora una volta dai miei pensieri.

Abbandono il letto, alzandomi svogliatamente, affacciandomi alla finestra. Un dolce vento gentile sfiora le mie ciocche corvine meshate – ultimamente sono parecchio ossessionata dalle ciocche colorate, adesso le ho rosse, ad esempio – mentre riesco a scorgere in lontananza, un timido sole che si spegne dietro le colline. Il paesaggio visto dalla mia stanza non è male, se non fosse per il pattume stracolmo di rifiuti distante dieci metri circa dalla mia finestra. Ma del resto non mi lamento nemmeno, la città non è curata a dovere, le tasse non vengono pagate quasi da nessuno, non posso di certo lamentarmi quando la prima a non pagare è mia madre.
Le pagherei io, se disponessi di un lavoro, ma come ogni ragazza della mia età completamente inesperta su tutti i campi, non ho via di scampo.
Mi ritrovo a pensare che probabilmente morirò etichettata ancora come “apprendista in tutto e specializzata in niente” e quasi mi fa ridere l'idea.
Smetto di ridere dei miei assurdi pensieri e successivamente scendo al piano terra incontrando Lucy, intenta ad ultimare qualche saggio da consegnare entro pochissime ore.
E' sempre parecchio stressata a causa dello studio, i professori non la mollano nemmeno per un istante, alle volte si lamenta pure del ramo che ha deciso di prendere e più volte le ho ripetuto che nessuno le ha puntato la pistola al petto, deve capire che i sacrifici sono alla base di tutto. Per diventare qualcuno si dev'essere disposti anche a privarsi di molte cose come del tempo libero, ad esempio.
« Ehi Lù! » Mi siedo a capotavola, dall'altra estremità del tavolo. Lei non mi degna di uno sguardo, rimane con gli occhi incollati al foglio mentre tra i denti stringe una matita già vecchia e mangiucchiata da chissà quanto tempo, è uno dei suoi vizi più grandi: per concentrarsi ha bisogno di sgranocchiare matite e penne, bleah!
« Ciao Alice. » Dice alla fine, alzando una mano in segno di saluto. Io rido nel vederla così intenta a concentrarsi ed un po' mi fa tenerezza, se ne capissi qualcosa delle sue strane materie sicuramente le darei una mano.
Stranamente mia madre non è in casa, ed è bizzarro considerando la sua costante permanenza in essa a causa della sua ossessione sui servizi e sull'eliminare germi e batteri.
Lucy a proposito di ciò non dice nulla, scribacchia sul suo foglio e picchietta l'indice della mano sinistra sul tavolo.
Io mi guardo intorno gustandomi quel silenzio che poche volte si può udire in casa mia, ma ben presto comincio a non sopportarlo più. Ultimamente mi vedo come una tipa abbastanza logorroica, parlo e penso a macchinetta senza mai stancarmi.
« Dov'è mamma? »
« E' andata in centro, dice che doveva vedere qualcuno. »
« Qualcuno? »
« Sì, qualcuno. »
« Non ti ha detto nient'altro? »
« Alice io starei studiando, eh! »
Lucy mi lancia un'occhiataccia ed io capisco di dovermene stare nel più assiduo silenzio. Percorro nuovamente le scale, ritrovandomi nella mia stanza; apro il mio armadio e cerco qualche outfit che non mi faccia sembrare una pazza uscita dal manicomio, ed infine opto per una t-shirt completamente nera e la mia camicia a quadri blu e rossa, gli shorts e le Vans, poi ripercorro a velocità supersonica le scale e do un bacio a mia sorella, che per fortuna non mia chiesto nulla sulla mia fretta nell'uscire.
La Stratford della Domenica pomeriggio è differente da quella dei giorni lavorativi, le strade sono piene di gente che si accalca l'uno sull'altro pur di osservare le solite vetrine che potrebbero vedere tutti i giorni, bimbi in carrozzine spinte dai genitori, vecchi intenti a leggere il giornale e cose comuni che non stupiscono più del dovuto. Tecnicamente la Domenica pomeriggio anche io e la mia famiglia facciamo tutte queste cose, ma oggi papà aveva un lavoro extra, mamma a quanto pare è uscita e Lucy studia, come se fosse l'unica cosa che le importa in questa vita.
E dunque mi chiedo: cosa sta succedendo? Anzi, che cosa ci sta succedendo? Tutti a rincorrere i propri problemi senza pensare agli altri. Persi sulla propria strada. Tutti con voglia di trasgredire, ma non fare niente. E allora non lamentiamoci della monotonia quando siamo noi a cercarla. Che poi la gente si abitua a tutto e quando ci si fa l'abitudine per ogni cosa, poi tutto diventa monotono.

Sono nuovamente sola, come ormai accade ogni singolo giorno, non è un male rimanere con se stessi, ma poi diventa scocciante e desidererei davvero un amico. Ma al sol pensiero di essere nuovamente abbandonata la cosa mi spaventa e depenno l'idea dell'amicizia convincendomi che vado bene così, che a vent'anni devo pur aver imparato qualcosa dalla mia vita, anche se non sono così sicura di aver imparato le cose che mi servono realmente.
I miei passi mi conducono al Musically, e non ci faccio nemmeno tanto caso perché sono sempre con la testa tra le nuvole. Mia madre mi rimprovera spesso dicendomi “Alice quando ti deciderai a scendere dalle nuvole? Le nuvole vanno osservate e non calpestate!”
Ma vorrei tanto risponderle che a me piace vivere in un mondo fatto di sogni e speranze, le stesse utopie che mi sono state portate via tanto tempo fa, perché mi piace sperare, perché mi piace credere in qualcosa che non accadrà, perché ad Alice piace vivere, mamma.
Ma alla mia età sarei presa come una stupida, sicuramente.
« Alice! »
Calum è fuori dal negozio, sta sistemando alcune piante cadute da un ipotetico vento mattutino, mi ritrovo a pensare che, dunque, faccia solo mezza giornata il Musically. Francamente se fossi in Calum e potrei scegliere, preferirei lavorare al mattino per godermi un pomeriggio di puro e sano relax, ma ognuno ha le sue priorità, ovviamente.
S'avvicina a me, non prima di aver afferrato le chiavi precedentemente incastrate dentro la serratura, le nasconde dentro la tasca sinistra degli skinny ed infine me lo ritrovo a pochi centimetri di distanza da me.
« Ehi, ciao. »
« Che fai di bello? »
« Tecnicamente passeggio per le strade. »
Calum sembra un tipo apposto, ha un certo fascino che lo mescola alla perfezione con la strafottenza, sembra dinamico e parecchio sicuro di se, tutte cose che a me mancano, del resto. E' risaputo che ho poca autostima, ma credo che tutte le ragazze ne abbiano almeno un pizzico. Poi penso a Lucy e lei ne ha più di tutti, ecco perché nasconde sempre il suo corpo da maglioni grandi almeno tre taglie in più e copre il viso con un cerone orribile.
Invidio Calum, invidio i maschi in generale, che di complessi simili non ne hanno mai avuti.
« Beh, ti va di entrare? Stavo sistemando delle cose. »
« Certo. »
Quando entriamo dentro il negozio, ancora è sprovvisto di luce, Calum si appresta ad illuminarlo con una serie di pulsanti ed immediatamente scorgo i dischi ed i poster visti il giorno precedente. Il Musically è davvero un bel negozio e lui sembra prendersene maledettamente cura, per quanto riguarda suo padre, il titolare, non l'ho ancora visto nonostante l'attività sia sua.
« Come mai giravi tutta sola? » Il tono del moro sembra leggermente curioso misto ad un pizzico di sgomento, ed un po' ricorda mia madre che, nonostante i miei vent'anni, mi tratta ancora da bambina.
« A casa mi annoiavo, Lucy stava studiando. »
« Oh, la ragazzina di ieri? E' felice del suo acquisto? » Mi chiede, con quel sorriso che fa invidia ai raggi del sole. Tanto è lucente il suo viso che persino palla dorata si mortificherebbe al suo cospetto.
« Sì, è felice. »
« Senti io per le sette dovrei chiudere, ti va di andarci a prendere una cioccolata in qualche bar qui vicino? Ovviamente ho la macchina, poi ti riporto a casa. »
Ed accade tutto così in fretta che non faccio in tempo a metabolizzare la frase, Calum la getta così, sul posto con quella sicurezza che mi fa rodere l'animo.
« I – io, ecco... »
« Se non puoi non importa eh, magari un'altra volt – »
« No! – la mia voce emette un suono acuto, facendomi sembrare più svitata di quanto già non lo sia, mi schiarisco la voce nella speranza di sistemare tutto – cioè volevo dire, no, va benissimo. Ci vediamo alle sette allora?! »
Calum annuisce, dandomi una piccola pacca sulla spalla seguita da un bacio leggero sulla guancia. E divento paonazza, quel rossore che assumono le quindicenni, che cretina!
Mi accompagna alla porta, con quel sorriso che non abbandona mai le sue labbra carnose, e poi mi segue con lo sguardo quando, io, varco la soglia. Attende cautamente la mia scomparsa dietro una via, mentre poi si richiude la porta del negozio alle spalle, tornando sicuramente al suo lavoro.


Quando torno a casa, Lucy è nella stessa posizione in cui l'ho lasciata. Gli occhi incatenati al foglio, una catasta di scartoffie accanto a lei e qualche libro da cui prendere spunto, la matita ancorata tra i denti e lo sguardo che non si stacca dai suoi compiti; l'unica cosa diversa rispetto a prima è la presenza di mia madre, rincasata sicuramente da poco.
« Dove sei stata Alice? » Mi chiede, che dei terzi gradi lei è la sovrana. Si toglie il foulard dal collo e lo ripone nell'attaccapanni seguito dal cappotto scamosciato.
« In centro. Mamma questa sera esco, puoi anticiparmi la paghetta? »
Lei inarca un sopracciglio, si rolla le maniche del maglione e poi sparisce lasciandosi dietro la porta, rifugiandosi in cucina per cucinare qualcosa. « Con chi esci? »
Ovviamente questa domanda non poteva mancare. Lucy lascia cadere la matita sul foglio, le orecchie vispe che attendono la risposta ed i suoi occhi nero pece incatenati sulla mia persona. E' sempre stata pettegola, Lucy, nonostante non voglia essere lei quella al centro dei pettegolezzi.
« Con Calum, è un bravo ragazzo beviamo una cioccolat – »
« Ah, è il tizio del Musically, mamma! »
Lucy la spia delucida ulteriormente il mio appuntamento con Calum; sento qualcosa cadere dalla cucina e subito mi precipito in essa per vedere cos'è accaduto.
Un bicchiere in vetro o meglio i resti di esso giacciono per terra mentre mia madre si china per cogliere i cocci. « Non puoi uscire con quel ragazzo, Alice. »
« Cosa? »
« Non puoi, non mi piace. »
« Ma se nemmeno lo conosci, mamma! »
« Non si discute. »
« Invece si discute, io ho vent'anni e faccio quello che mi pare, chiaro? Mi tratti ancora come una bambina! »
I miei occhi si colmano di lacrime, mentre getto nel pattume i pezzetti di vetro, e poi l'abbandono così quella che si fa chiamare madre, che di me forse non capisce un'accidente alle volte. Predilige vedermi da sola che farmi socializzare.
Percorro le scale in fretta e furia arrivando alla mia stanza, chiudo la porta dietro di me e mi lascio cadere nel letto, sprofondando in un pianto liberatorio.
L'ho sempre vista come una donna che si prende cura dei figli, lei, ma adesso non capisco cosa c'è che non va nell'uscire con un ragazzo che mi sta anche simpatico.
E mentre penso che tutto questo è sbagliato – bagnando il cuscino che mi ha sempre visto piangere, ridere e sprofondare dalla vergogna durante le chiamate con il mio migliore amico – lentamente sento la maniglia della porta cigolare ed abbassarsi: è Lucy.
« Alice? »
« Cosa vuoi ora? Sarai contenta spero! » Le urlo, nella speranza di vederla andar via. Ora come non mai mi piacerebbe rimanere da sola; sola con me stessa.
Lei mi carezza il capo, sistemandomi i capelli e racchiudendoli in una coda. « No, non volevo questo Alice, mi dispiace sul serio. »
« Mamma non la capisco proprio. Che le è preso tutto d'un colpo? »
Lucy si morde il labbro chinando il capo, mentre sospira amaramente, s'alza ed indietreggia per andar via, non prima di avermi sussurrato un « lo fa per il tuo bene, sorellona. »
Che di bene poi, non ne capisce granché mia madre, allora. Vedere piangere una figlia non alimenta il bene che si prova, nonostante sappia che alle volte è meglio piangere piuttosto di rimpiangere cose sbagliate che non andavano fatte.
Tuttavia sono decisa a non mollare, non mi sono mai arresa nella mia vita perché credo che lottare metta a dura prova le persone che siamo davvero. Rifilo una maglia pulita, mi pulisco il viso con le salviette di Lucy ed infine sistemo i capelli approssimativamente.
Sono sempre stata una ragazza “senza tutù”, non la solita principessa che odia sporcarsi, dunque scavalco dalla finestra e con un balzo mi ritrovo per terra, con le mani sporche.
Mi alzo cercando di rimuovere l'eccesso e poi corro via, lontano dal bene di mia madre.

Sono ancora le sei, quando sblocco il mio cellulare per vedere l'orario e manca un'ora esatta all'appuntamento.
Avrei potuto lustrarmi a dovere per rendermi quantomeno accettabile, ma mi confondo alla perfezione con qualche barbone sparso qua e là che mi chiede d'accendere.
Che poi a vent'anni non ho nemmeno provato una sigaretta, mai. Che sfigata!
Conduco la strada del parco, sedendomi sulla prima panchina libera ed osservo come il tempo continua a scorrere nonostante tutto. Il mondo continua a girare anche se sono ferma, anche se abbiamo perso qualcosa, nel vano tentativo di ritrovarla lui corre più veloce trascinandosela con se, e tu sei stanca di correre per inseguire una cosa irraggiungibile, perché lui corre troppo veloce, instancabile, e tu resti indietro osservando il riflesso delle nuvole.
Ho corso tanto, nella mia giovane vita, ho cercato in tutti i modi di riprendermi le cose che mi sono state strappate ma non ho mai stretto nulla tra le mani se non una manciata d'aria che si mischia con l'altra anidride carbonica. E prima o poi tutti i desideri non esauditi diventano brezza che si libra e disperde con altra aria. E se non altro l'aria è un ammasso di desideri della gente, i desideri che non si sono mai avverati e noi li respiriamo ricordandoci quanto fa male la realtà.

Per la prima volta in tutta la mia esistenza, riesco ad arrivare puntuale al negozio di Calum, sono le sette in punto quando mi fermo dinanzi la sua porta. Lui esce subito dopo, richiudendosela a chiave e rimane sorpreso nel vedermi già lì, pronta ad attenderlo.
« Ehi, sei già qui?! Spero tu non abbia aspettato molto. »
« No, no, assolutamente, sono appena arrivata. » Mento, consapevole che l'aspetto dalle sei del pomeriggio, ma lui non conosce mia madre e forse è meglio così.
Mi prende per mano, la stessa che ha stretto i miei polsi, la stessa mano calda e grande che racchiude perfettamente la mia, come due tasselli di un puzzle appena ricongiunti.
Percorriamo un tratto di strada a piedi, poi ci fermiamo non appena Calum mi mostra la sua auto nera sfavillante, toglie l'allarme e mi apre lo sportello per farmi entrare, seguito da un inchino formale, ed io credo che ragazzi come Calum, ormai, si siano estinti dalla faccia della terra.
L'interno è favoloso, mi sembra di essere in un aereo privato, i sedili sono in pelle color caffè, è anche profumata la vettura. Il profumo è di vaniglia o forse di fragola, o magari di entrambi considerando la mia solita pecca nel riconoscere gli odori.
« Andiamo? » Mi dice, accendendo quel sorriso meccanico che sono certa sforna con tutti.
Annuisco provando a mimare quell'incurvatura all'insù, sicuramente con scarsi risultati.
Durante il tragitto parliamo del più e del meno, lui mi racconta di come i suoi genitori benestanti l'abbiano scritto ad un corso di musica imparando a suonare il basso, perché vuole diventare come Mike Dirnt, bassista dei Green Day, dice. Ed io sono certa che con perseveranza, sforzo e soldi a sufficienza, possa realizzare il suo sogno. Perché chi ha denaro riesce sempre a realizzare tutto ciò che vuole.
Le sue parole scorrono velocemente, e mi rendo conto di aver trovato un altro logorroico come me, ben presto mi convinco che io e Calum abbiamo molte cose in comune, come la passione per la musica targata anni '80, la voglia malsana di mangiare fino a scoppiare, sbalzi d'umore ed anche una dose innata nel perdere le cose.
Calum mi somiglia molto, ed è bello averlo conosciuto, come se per tutto questo tempo io stessi aspettando qualcuno come lui in grado di capirmi.
Quando arriviamo alla meta, l'imbarazzo ed il disagio che c'era all'inizio sembra essere sparito, entrambi ridiamo e ci avviamo al bar che si rivela essere caldo ed accogliente.
C'è una sfilza di tavolini e di persone pronte ad occuparli, ne riesco a scorgere uno ancora vuoto, vicino alla finestra e lo vado ad occupare mentre Calum va ad ordinare qualcosa.
« Ti ho preso anche qualcosa da mangiare, Alice. » Poggia la sua camicia sulla sedia, mostrando due bicipiti abbastanza muscolosi adornati da dei tatuaggi.
« Sono belli.» Dico, indicandoli mentre lui li osserva con i suoi grandi occhi scuri.
« Piacciono anche a me, all'inizio ho dovuto lottare con mia madre, non era d'accordo poi ho vinto io. Alla fine ho diciannove anni posso fare quello che mi pare. »
Rido un po', perché anche lui pensa le mie stesse cose, Calum deve combattere contro una madre sicuramente stressante tanto quanto la mia, che sicuramente mi frantumerebbe padelle in testa se solo osassi parlare di tatuaggi e segni che comprometterebbero la mia purezza della pelle.
« Anche mia madre è parecchio stressante, non voleva farmi uscire. »
« Come mai?»
« Non lo so, ha detto che è per il mio bene. »
Calum aggrotta le sopracciglia, prendendo dal vassoio in acciaio appena arrivato, il suo caffè. Io stringo tra le mani la tazza di cioccolata, mentre divido in due il croissant per darne una buona parte al moro, che dopo aver rifiutato almeno dieci volte si rassegna alla mia insistenza.
« Le madri sono tutte così, Alice. »
« Sì, posso immaginarlo. »
« I tuoi occhi somigliano molto ai miei, non pensavo che qualcuno qui a Stratford potesse avere queste iridi. » Annuncia, mentre fissa le mie pupille, sorseggiando il suo caffè.
« Oh, mamma dice che ne ho preso da nonno. »
« Capisco. »
E mi rendo conto che il discorso sta degenerando quando cominciamo a parlare di pupille, cosa che ad un primo appuntamento tecnicamente non dovrebbe nemmeno esistere.
Alla fine Calum paga, poggiando più banconote lasciando una lauda mancia, e poi usciamo dal bar tornando in auto.

 

« Sono stato bene.»
Mi sussurra, mentre guarda le prime stelle nascere. Io copio i suoi gesti osservando quella luna che ci ha seguiti da lassù, poi sorrido e schiocco un sonoro bacio sulla guancia del moro, non prima di averlo abbracciato. Lui lascia scivolare dentro la mia giacca il suo numero di cellulare scritto su di un foglietto. « Grazie mille Calum. »
Apro la portiera e poi vado via, Calum mi guarda fino a quando non apro la porta, poi sfreccia via insieme alla sua auto.
« Dove diavolo sei stata, ragazzina! »
Mia madre, come un dobermann, era proprio dietro la porta ad attendermi e sono certa sappia della mia trasgressione.
« Ho vent'anni mamma, non trattarmi come una che ne ha dodici. »
La sua espressione perennemente arrabbiata scruta i miei occhi, mi abbandona sull'uscio non prima di avermi detto « tu ancora non riesci a capire » e poi non la vedo più, volatilizzata nella cucina.

Tutto sommato mi aspettavo di peggio, salgo le scale ritrovandomi nella stanza che ama accogliermi, mi stendo sul letto ed un sorriso sornione contorna le mie labbra, uno di quelli che non ho mai fatto, uno vero.
Lucy varca la soglia della mia camera, si stende accanto a me e poi fissa l'umidità agli angoli del soffitto.
« Com'è stato? » Chiede.
« Come vivere. »
Lei non capisce, inarca un sopracciglio. « Eh?! »
« Come vivere Lucy, mi sono sentita viva per la prima volta, dopo tanto tempo. »
Eppure mia sorella continua a non capire, scuote il capo dandomi della strana, ma un giorno capirà anche lei la differenza tra vivere ed il sopravvivere, perché io ho sempre sopravvissuto ma non mi è mai bastato, ora adesso comincio a vivere.






 

Nda: Non pensavo di aggiornare così velocemente, in realtà, eppure eccomi qui.
Tadààààn! Indovinate un po' chi è tornata alla riscossa? Ma sì, sono sempre io, Morgana.
La vostra rompiscatole per eccellenza. Allora, cosa ne pensate della storia?
Vi sta piacendo? Io mi auguro di sì, è la prima volta che mi spingo oltre un capitolo con una
storia het, e per me è già un traguardo. Però sì, che dire, la storia mi prende e allora vado avanti.
Spero vivamente in un vostro commento. Cosa pensate stia succedendo nella vita di Alice?
E perché sua madre continua ad insistere sul non poter vedere Cal? Qual è il vostro personaggio preferito?
Fatemelo sapere, scambiamo quattro chiacchiere, non fate i timidoni, anche perché tengo troppo ai vostri pareri.
Okay ho parlato tantissimo. Evaporo.
Al prossimo capitolo, bacioni!

Vi lascio in compagnia di Joseph, interpretato dal nostro amatissimo Thomas Brodie Sangster. :D

 

   
 
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