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Autore: Charlie_wea    15/03/2015    1 recensioni
You love me, and you're gay.
Admit it, just once.
Fucking admit it!
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Debbie Gallagher, Fiona Gallagher, Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Phillip 'Lip' Gallagher
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sorry. I'm late. 

I'm not Monica.

 
 
 

And God, tell us the reason youth is wasted on the young

It’s hunting season and the lambs are on the run
Searching for meaning
But are we all lost stars trying to light up the dark?

 

Finalmente poteva uscire dal centro psichiatrico, le 72 due ore erano passate e poteva rivedere la sua famiglia. . e Mickey.
Aveva passato quei 4320 minuti a fissare le molle del materasso sopra al suo, ad osservare i raggi del sole che entravano a fasci di triangolo, nella stanza, a causa della rete posta contro la finestra, aveva accarezzato il muro dove non c'era ne la finestra, ne i letti e ne la porta, facendo avanti e indietro molteplici volte, lasciando strusciare le nocche bianche contro il muro ruvido, ritrovandole dopo settantadue ore scorticate e messe male, ma probabilmente aveva tirato qualche pugno e non se lo ricordava.
Non ricordava parecchi particolari, probabilmente era a causa delle pillole.
Quella mattina si era svegliato presto, si era lasciato guidare dalla guardia fino in bagno e si era fatto una lunga doccia calda, lo rilassava sentire le goccia d'acqua percorrergli il corpo, come un massaggio appena accennato che gli allentava i nervi, facendogli dimenticare tutti i pesi che quella spalle ormai larghe, erano costrette a portare; si era massaggiato lentamente i capelli color fuoco mentre davanti alle palpebre chiuse gli si presentavano immagini di Mickey, che gli accarezzava i capelli, che gli baciava la fronte o che lo baciava ed è da lì che è iniziata la vera paura.
Da quando l'aveva lasciato andare in quella clinica, Ian era sicuro che Mickey non avrebbe sopportato la sua malattia e che probabilmente se ne sarebbe andato lasciandolo da solo con la sua pazzia. 

Gli avevano dato dei vestiti puliti e semplici, jeans, maglietta e felpa, gli mancava solo la lucidità, l'unica cosa che non dipendeva da lui ma dai farmici che gli davano ad orari regolari che lo stordivano e lo invogliavano a dormire, ma stranamente Ian era sveglio, aveva il cuore in subbuglio perché mancavano pochi minuti al suo incontro con Mickey, perché lui sarebbe venuto a prenderlo, doveva farlo. .doveva farlo per loro.

 
. . . cinque minuti.
. . . quattro minuti.
. . . tre minuti.
. . . due minuti.
. . . uno.

Mentre camminava per il corridoio, non si era soffermato a studiare l'ambiente come era solito fare, non voleva farlo dal momento che lì dentro non ci sarebbe mai più tornato, non si era trovato male, ma l'assenza di Mickey era un opressione fissa nel petto che gli faceva male e rinnegava le pillole perché l'unica soluzione alla sua malattia era l'amore che solo quel ragazzo sapeva dargli.
Appena la guardia aprì la porta, il sospiro di sollievo che era pronto ad uscire dalle labbra carnose e scarlatte di Ian, si fermò in gola notando che l'unica persona che aveva l'estremo bisogno di vedere, non c'era.
Fiona e Lip si erano alzati in piedi e l'avevano abbracciato con i sorrisi di incoraggiamento che spesso e volentieri utilizzavano con Monica e Ian sapeva a cosa stavano pensando e gli dava fastidio: lui non era Monica, non lo sarebbe mai stato, potevano condividere la stessa fottuta malattia, ma non si sarebbe lasciato annientare da essa come aveva fatto lei, l'avrebbe combattuta, l'avrebbe respinta, ma aveva bisogno del supporto di Mickey per farlo, sennò niente avrebbe avuto più senso.
Rivedere le strade di Chicago lo rassicurò in uno strano modo, vedere qualcosa di famigliare lo tranquillizzava, lo faceva sentire meno oppresso e lo stesso valse quando arrivò a casa e vide tutti i Gallavich riunuti in cucina, a partire dal piccolo Liam che era corso da lui per abbracciarlo e poi Debs, Sammy, Frank, Lip e Fiona anche se Carl mancava al'appello.
Si guardò in giro e accennò un piccolo sorriso a Lip e a Fiona per convincerli che stava bene, ma che aveva solo bisogno di dormire, ma in realtà voleva solo salire in camera sua, recuperare il telefono e chiamare Mickey, voleva capire perché non si era presentato quella mattina, era finita? Si sarebbe arreso? Sarebbe svanito nel nulla? 
Sfilò le scarpe e si mise sotto le coperte del suo letto, profumava di detersivo per le robe e puzza di fumo, recuperò il telefono dal comodino e come se stesse facendo qualcosa di illegale, si raggomitolò su se stesso, mettendosi di spalle alla porta, mentre gli occhi chiari si concentravano sul display del telefono, andando alle chiamate veloci, cercando il numero di Mickey.

Squillava.
Continuava a squillare.
Squillava al vuoto più assoluto.

Ian non chiuse la chiamata fino a quando l'operatore non la chiuse da se; aveva le mani che tremavano e gli occhi rivolti al vuoto che aveva udito poco primo e che adesso gli stava annientando il petto, ci riprovò un altro paio di volte, ma furono solo chiamate senza risposta.

Erano ormai le cinque, quando riaprì gli occhi e involontariamente cercò il telefono che prima di addormentarsi si era stretto forte al petto, controllò lo schermo e non trovò chiamate, Mickey non si era neanche degnato di dirgli che era finita, ma non lo biasimava e nemmeno l'odiava, continuava ad amarlo come aveva fatto dopo che l'aveva picchiato, dopo che si era sposato, dopo che era andato in esercito, dopo che aveva avuto un fottuto bambino con una donna che non amava, dopo essere stato pestato due volte da suo padre, dopo che l'aveva convinto ad andare via da lui per settantadue lunghe ore, Ian continuava ad amarlo perché lui era tutto ciò che dava un senso a quello schifo di vita e per quanto la sua presenza fosse importante in un momento simile, Ian continuava a non ragionare in modo lucido.
Ritornando alla realtà, Ian si rese conto che si era svegliato per un motivo, Carl era entrato in camera e stava rovistando tra le sue robe in cerca di chissà quale bomba pronta a saltare in aria a causa sua, ma la domanda che arrivò poco dopo non lo spiazzò affatto.

 
‹ Cosa si prova a essere pazzi? [...] Ti hanno fatto l'elettroshock? ›

Carl era il solito, niente peli sulla lingua, gli ricordava tanto Frank, ma per lui sperava un futuro decisamente migliore. Presa la bottiglietta da sopra il comodino, bevendo qualche sorso, aveva la gola secca e non riusciva a parlare benissimo.
 
‹ No. ›
‹ Il prossimo potrei essere io, sai. Hai mai pensato di correre in giro nudo con il corpo tutto pitturato? Io sì. 
O di volare? ›
‹ Questo non fa di te un pazzo. ›
‹ E spingere qualcuno sulle rotaie quando sta per passare il treno? ›

Ian sorrise alle parole del fratello, per quanto la cattiva influenza di Frank avesse rovinato quel ragazzo, in lui si scorgeva l'intelligenza di Lip e l'astuzia di Fiona, che per Carl erano stati più dei genitori che dei fratelli maggiori, così come lo era stato per lui, Monica era sparita quando aveva tre anni, Frank non era mai sobrio e l'unica che si poteva occupare di lui era Fiona, con Lip alle sue spalle che cercava sempre di far sorridere un piccolo Ian ancora capace di intendere e volere, ancora inconsapevole che nella sua vita avrebbe incontrato il vero amore che l'avrebbe perso per una malattia ereditata da una madre che non c'era mai stata.
Scese lentamente gli scalini, passando dal salotto senza fare nessun rumore e poi, aprendo il frigorifero, continuò a bere del succo di frutta, le pillole non facevano altro che peggiorargli il cervello e seccargli la gola come delle fottute puttane, le odiava, in clinica era costretto a prendere a costo di fargliele ingurgitare con la forza, ma stando a casa nessuno poteva costringerlo. . forse solo Mickey.
Rimise la bottiglia a posto e si girò per cercare qualcosa da mangiare. . ed eccole lì, in bella mostra, quelle fottute pillole grosse quanto una supposta pronte per essere prese e impappinargli il cervello e lo stomaco di merda.

 
«« Non sono Monica. »»

Ormai era diventata una cantilena, la paura di diventare come sua madre era grande tanto quella di essere affatto dalla sua malattia.
Voleva lottare, voleva combattere quella situazione che gli stava mandando il cervello a puttane, ma era tutto così offuscato, complicato che. . rendeva tutto lo sforzo vano.

Prese i tubetti e riversò sul bancone di marmo tutte quelle pillole bianche e verdognole che riuscivano solo a peggiorare la situazione, le versò nella mano sinistra posta a coppa al lato del bancone e le osservò con attenzione; poteva farla finita, ingurgitarle tutte senza il minimo sforzo, la malattia non sarebbe mai guarita, i suoi fratelli l'avrebbero sempre ritenuto uguale a Monica e Mickey. . lui l'avrebbe semplicemente lasciato solo a se stesso, alla malattia e Ian non poteva reggerlo, non poteva reggere ancora quella situazione, non senza Mickey, non senza le sue braccia dolci a sorregerlo, al suo sorriso malizioso, agli occhi chiari che gli ricordavano il cielo, alle labbra dolci che aveva morso tante volte, al piacere di sentire la sua voce, al suo profumo. 
Non poteva rinunciare a Lui, non ci sarebbe mai riuscito.
Alzò lo sguardo verso la porta del bagno e la raggiunse lentamente, con le mani chiuse a pugno sulle pillole che lasciò libere, inclinando piano la mano così da farle cadere nel gabinetto quasi una alla volta e poi, dopo un ultimo sguardo quasi soddisfatto, tirò lo sciacquone. 

Sapeva che quel gesto avrebbe avuto delle conseguenze, sapeva che Debs si sarebbe sentita in colpa per non averlo controllato come dovuto, sapeva che Lip e Fiona si sarebbero disperati per trovare altre pillole, ma a lui non servivano, il semplice gesto di averle buttate ed allontanate dalla sua vita, lo facevano sentire meglio, lo faceva sentire più forte anche il fatto che non aveva ceduto alla tentazione di farla finita, che non si era comportato come Monica e sapeva che non l'avrebbe mai fatto, sapeva solo che come Frank, anche Mickey aveva lasciato da solo la propria metà, in balia totale della malattia.
Si malediceva, si malediceva per essere il figlio con il gene della pazzia, si malediceva perché si sentiva in colpa per aver pensato che su sei figli proprio lui doveva assomigliare così tanto a sua madre, si malediceva perché dopo tante lotte per ottenere l'amore puro di Mickey, lo stava perdendo per la sua pazzia, voleva andare in giro per la città a cercarlo, forse avrebbe potuto convincerlo che le cose non erano cambiate, che lui non era cambiato, che potevano ancora stare insieme, ma alla fine, chi voleva prendere in giro? Le cose erano cambiate e di conseguenza sarebbe cambiato il suo sentimento per Ian, ma lui non avrebbe mai cambiato il proprio per Mickey; non era per il sesso sfrenato, non era per qualcosa di carnale o superficiale, il suo amore per quella testa di cazzo non è qualcosa da poter spiegare con semplici o complicate parole, era successo, era semplicemente accaduto in modo inaspettato, in modo del tutto nuovo, bello, magnifico, gratificante, completo.
Mickey l'aveva fatto crescere, gli aveva insegnato a lottare, gli aveva insegnato ad non arrendersi a combattere a spada tratta i propri ideali e l'unico ideale di cui era piena la mente di Ian era il suo amore per Mickey, dopo tutte quelle lotte non potevano semplicemente finire così.


 
‹ Penso che possa essere la fine con Mickey..sì, la diagnosi, sapete. Anche se io non ci credo, sono abbastanza sicuro che lui ci creda. ›

Avrebbe voluto lottare, lottare come aveva fatto in passato, picchiandolo e facendosi picchiare, spingendolo al limite, facendogli capire che insieme potevano risolvere qualsiasi ostacolo, ma non aveva le forze per farlo, ne ora, ne chissà per quanto altro tempo ancora.
Ma non riusciva a smettere di guardare il telefono, di guardare le chiamate, di osservare il suo numero sul display che ormai sapeva a memoria e riusciva a scrivere ad occhi chiusi. 
Poteva davvero finire così?

Ian non riusciva ancora a tenere gli occhi aperti per più di un paio di ore, le pillole gli causavano ancora un forte sonno e quindi, dopo aver urlato a Carl il necessario per non finire in prigione come praticamente tutti i suoi famigliari, si era fatto accompagnare a casa da Lip e, mettendosi una magliettina e i boxer.
Prese il telefono dalla tasca dei pantaloni e controllò nuovamente le chiamate, forse poteva chiamarlo, chiedergli di venire a casa e parlare, anche solo per sapere se lo amava ancora o meno o se aveva paura, di dargli la possibilità di rassicurarlo e di spiegare come stavano effettivamente le cose.
Ma era troppo stanco, troppo debole.

La porta della camera cigolò ed Ian aprì gli occhi pensando di essersi immaginato quel rumore, ma poi sentì il suo profumo e il cuore schizzò dritto in gola, era venuto per lasciarlo? Era venuto per dirgli che aveva paura della diagnosi? Che non poteva continuare? Forse si era immaginato anche il suo odore.

 
‹ Ehi. . ›

No, non era ancora impazzito del tutto.
Si girò di scatto dall'altra parte e lo vide lì, le spalle incurvate all'indentro, gli occhi quasi lucidi e preoccupati, le labbra tremanti e le mani che potevano sembrare ruvide e avventate, quando toccavano Ian sapevano essere solo dolci e premurose, era così bello che si era chiesto più volte come era riuscito a conquistarlo, a fargli cambiare idea sul lasciarsi andare e amarlo alla luce del sole, ma Mickey l'aveva fatto, per Ian era cambiato, si era liberato dai suoi scheletri e aveva detto al mondo che era gay solo per non perderlo, come poteva lasciarlo per una stupida malattia?

 
‹ Scusa. Sono in ritardo.

Ed eccolo lì il sospiro di sollievo che quella mattina si era fermato in gola, uscire dalle sue labbra mentre lo guardava con una grandissima speranza nel cuore, come poteva dubitare di lui? Non l'avrebbe mai più fatto, non avrebbe mai più sottovalutato l'amore di Mickey, l'aveva dimostrato così tante volte, anche se in modi molto strani, ed Ian ancora si meravigliava di quanto amore provasse Mickey per lui e ne era felice, ne era sollevato e in quel momento capì che l'essere bipolare, in confronto al loro amore, non era niente.
 
 
   
 
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