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Autore: Gio95    15/03/2015    2 recensioni
E' la prima storia che scrivo e pubblico su EFP ed è assolutamente senza pretese. Mi farebbe piacere se passasse a leggerla perchè è un racconto che mi sta molto a cuore. Parla, diciamo, di un classico cliché: una persona ritrova qualcuno che pensava di aver perso per sempre, grazie all'intervento di un aiutante, forse un po' troppo invadente ma buono.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Universitario
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Per la mia Beta.
Spero ti piacerà perché è proprio così che io mi immagino tutto.
Ti voglio davvero bene.

Quella mattina si svegliò con una strana sensazione in corpo. "Probabilmente un sogno particolare" pensò.
Si stropicciò gli occhi con le mani, si alzò e si diresse verso la cucina per prepararsi quel nettare divino che adorava. Guardò distrattamente l'orologio e notò l'ora. Doveva essere in facoltà tra poco meno di sessanta minuti. Il caffè gli andò di traverso e si tuffò letteralmente nel box doccia per un'insaponata veloce.
Quella sensazione persisteva, non la abbandonava anche se in tutta sincerità non sapeva veramente di cosa si trattasse.
Una volta preso il suo accappatoio, rigorosamente con degli unicorni, vi si avvolse e si truccò leggermente. Non era mai stata una persona particolarmente attenta al look, "il minimo indispensabile per la decenza" le ripeteva una sua amica, leggermente più fissata. "Tanto quando arriverà quello giusto mi dovrà vedere nei modi più impensabili: struccatissima, con lo chignon sfatto sulla testa, con i pantaloncini rosa corti del pigiama indossati di fretta e le ciabatte a testa di panda" ribetteva lei. Sorrise al ricordo. Ragion per cui indossò del pantacollant neri con degli shorts di jeans e vi abbinò sopra la sua immancabile felpa bordeaux di Hogwarts.
Sciarpa, giacchetta non troppo pesante e finalmente uscì di casa, arrivando in facoltà puntuale.
La sensazione continuava a starle addosso come un secondo sottilissimo strato di pelle.
Lì, davanti al bar, come al solito c'era il suo gruppo di amici che la aspettava per prendere il sacro caffè prima della lezione di inglese. Quando si accomodarono nella piccola classe, occupando tutta l'ultima fila si girò verso la sua amica e iniziarono a ciarlare come al solito degli argomenti più disparati.
Le due si erano incontrate ad ottobre e avevano instaurato questa sorta di amicizia che più buffa non poteva essere; erano due persone completamente diverse: dai gusti musicali, Beatles lei, Tiziano Ferro l'altra, alla visione del mondo, realista e con i piedi ben piantati per terra lei, romantica ed estremamente sognatrice l'altra. Insomma era solita smontare alla sua amica ogni film, ogni storielle ridicola che si inventava o portava avanti con convinzione, ogni piano malefico per conquistare il mondo, ma in qualche modo si erano trovate e affezionate, raccontandosi periodi della propria vita non esattamente lieti e gioiosi per entrambe.
Ognuna, infatti si sentiva capita e compresa dall'altra e questo era uno dei capisaldi di quello strambo legame: comprendere e ascoltare fino in fondo.
"Sei più pensierosa del solito oggi, Beta" chiese la bionda. "No, è solo una strana sensazione. Non so come spiegartelo ma è da quando ho aperto gli occhi stamattina che sento qualcosa di diverso nell'aria", rispose. "Davvero? Eppure è una giornata così ordinaria" ribatté l'altra. Le sembrò di vederla sghignazzare leggermente ma non vi fece caso. Come già detto, da eterna sognatrice qual era la sua amica, chissà quale film stava girando il suo cervello. Decise di non indagare oltre. "Però è così strano che non mi tempesti di domande" si chiese tra sé. "Come se sapesse ... " Tuttavia, cosa c'era da sapere? Era solo un presentimento, il suo.
Conclusa la lezione si buttarono sul prato, stendendo sotto di loro un telo e iniziarono a mangiare vista l'imminente lezione che incombeva.
Di nuovo le cose si ripeterono: pranzo, caffè, entrata nell'aula magna, inizio della spiegazione che quel giorno sarebbe durata tre ore.
Quando la professoressa chiamò la pausa dopo più di due ore passate a spiegare la rossa esordì: "Frozen io me ne vado, sono stanchissima e devo tornare con i mezzi". Giurò di vedere la sua amica sbiancare in un attimo e riprendersi un secondo dopo: "No, non puoi". Categorica. "Ma come no? Sì Frozen, non rompermi", "Ho detto di no, ti riporto io a casa" "Tu? Scusa devi andare dall'altra parte" "No, non è un problema. Ci penso io, o meglio i miei. Davvero" "Sei sicura?" "Sì ti ho detto, ora vatti a fumare una sigaretta e non scocciarmi".
La sensazione si faceva sempre più forte, o forse era lei più paranoica del solito quel giorno.
La lezione finì e le due raccattarono le proprie cose per metterle nella borsa. Lei si sbrigò mentre osservava la sua amica temporeggiare. "Scusa, non ci dobbiamo muovere visto che ci sono i tuoi che aspettano?" "Oh sì sì ma devo fare pausa bagno" La guardò male. "Muoviti, io intanto faccio pausa sigaretta qua fuori" .
Vide gli occhi della sua amica brillare. "Perfetto, mi sbrigo allora" e fuggì dalla classe peggio di Usain Bolt nei cento metri.
Uscì dall'aula, attraversò il corridoio e aprì la porta che l'avrebbe condotta nel cortile.
Come attirata da qualcosa alzò lo sguardo dritto davanti a sè e il suo cuore si fermò.
Non c'era nessuno, eccetto una persona.
Proprio quella persona che aveva giurato a se stessa di non vedere mai più.
LUI lì. Lui che non vedeva da quattro anni. Lui che non aveva mai voluto ascoltarla. Lui che l'aveva fatta soffrire. Soffrire era un eufenismo. A causa sua aveva imparato davvero cosa volesse dire essere distrutti dal dolore.
Ed ora era lì, proprio davanti a lei, dopo tutto quel tempo.
Lui la guardò, lei lo guardò.
Ecco cosa aveva sentito durante tutta la giornata.
Lei sapeva che lui doveva tornare.
L'aveva sempre saputo, l'aveva sempre sentito.
Poi un pensiero nella sua mente: "Cazzo, la mia Beta-Frozen mi ha fottuto un'altra volta!".

  
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