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Autore: Fabbricante Di Sogni    16/03/2015    3 recensioni
•||885 parole | One Shot | Nico centric | Song Fic | Drammatico/Introspettivo/Malinconico | Missing Moment ||•
Sulle note di Boulevard of broken dreams dei Green Day - canzone che personalmente adoro e che ho avuto la fortuna di fare anche a canto - ho deciso di scrivere una fic introspettiva incentrata sulla psiche di Nico, abbastanza drammatica e triste se vi piace il genere--
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"Ma è questo il problema del fingere, quando non c’è nessun’altro con te ti stai solo prendendo in giro."
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Questa è la prima Fanfiction che scrivo sui personaggi della saga di Percy Jackson, spero vivamente che vi piaccia, è ambientata in un periodo non meglio precisato a metà tra la fine del quinto libro di Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo e Percy Jackson e gli eroi dell'Olimpo.
Passo e chiudo, magari ci si becca dentro c;
Un sorriso,
Smy
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nico di Angelo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I Walk Alone

 
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I walk a lonely road,
The only one that I have ever known,
Don't know where it goes,
But it's home to me and I walk alone,


I walk this empty street,
On the blvd. of broken dreams,
Where the city sleeps,
And I'm the only one and I walk alone
 








L’asfalto dell’autostrada era di un color grigio sporco di polvere, dovevano essere passati almeno dici anni dall’ultima rimessa della strada e la striscia – un tempo bianca – era quasi del tutto cancellata dal passaggio di macchine.
Nonostante la sua funzione la statale era quasi totalmente deserta, buia, illuminata giusto dalla luce del sole appena scomparso dietro l’orizzonte rischiarando ancora per pochi minuti le particelle del atmosfera.
Nel centro della strada camminava, a passo lento e incerto un ragazzo, non particolarmente alto, capelli neri palesemente non tagliati da tempo immemore. La faccia del ragazzo – in parte coperta dalla chioma un po’ selvaggia – era pallida e scarna, gli occhi profondi scuri come l’abisso. Per quanto il colore di quegli occhi fosse magnifico, quasi da perdersi a fissarlo per ore, c’era qualcosa di profondamente triste al loro interno; un avanzo di speranza lasciata a morire, i sogni infranti, un’espressione troppo triste e distrutta da essere associata a quello che era esagerando un tredicenne. La sagoma scura dal corpo esile camminava silente sulla statale.
Circondato dal nulla, al di la della ringhiera si estendeva la selvaggia natura, il lento scurirsi del cielo era accompagnato dall’incessante silenzio rotto solo dal lieve rumore dei suoi passi. Guardava dritto avanti, non soffermava nemmeno uno sguardo su ciò che gli stava attorno, sui dettagli e le meraviglie che lo circondavano.
Camminava da solo. Di nuovo solo.
Gli occhi tanto tristi e vuoti erano scavati dentro due occhiaie, oltre al tormento del giorno si aggiungevano gli incubi della notte. Lei non mancava mai di apparire, bellissima come era sempre stata, ancora vestita da cacciatrice. La sua voce era morbida, quella di sempre, stesso sorriso, stessa inclinatura della voce.
Era terapia appena la sentiva.
Poi però lei moriva, ogni volta in modo diverso, lui la guardava devastato e impotente, si svegliava urlando, non c’era nessuno, però, a calmarlo.
Doveva calmarsi da solo, ogni volta.
Così preferiva il dolore vuoto del giorno, al ansia passata della notte.
L’unica sua compagna era l’ombra, che non poteva staccarsi dai piedi e i sogni che la vita gli aveva spezzato senza guardarlo negli occhi. Non aveva una meta, aveva fatto di se stesso la propria casa, perché tutto quello a cui si affezionava finiva sempre col morire e appassire.
Quel vuoto dentro lo logorava, ma sapeva che spesso era meglio il vuoto bianco, il nulla più totale al dolore. Il dolore gli ricordava di essere vivo, gli ricordava come di lui non importasse a nessuno. Se non per le azioni avventate che avrebbe potuto fare, parlava ormai solo coi morti. Ecco che scorgeva lo spettro di una ragazza morta in un incidente; ancora sdraiata sul asfalto in corrispondenza di un ammaccatura sull’acciaio della ringhiera.
Coi morti era più facile, loro erano morti, non avevano più le emozioni, il ribrezzo o i pregiudizi, di ciò che erano stati restava solamente un’impronta appena accennata.
Sono quasi sempre muti, sofferenti,  e ascoltano, ascoltano davvero tanto, molto più dei vivi.
La felpa scura che gli ricadeva sulle spalle era un pezzo di lui, tutto ciò che aveva indosso era parte di lui, la spada dello stigie, il cristallo nero che rispecchiava le tenebre della sua anima.
Alle persone lui faceva paura, però sorridevano, visi ipocriti che cercavano di capirlo, di comprendere i demoni che si teneva dentro. Come se fosse possibile, perfino lui faticava a comprendersi, eppure non lo capiva.
Cos’aveva di così tanto sbagliato? Com’era possibile che il suo semplice sangue lo rendesse… questo.
Pensava che non era giusto, non doveva essere toccato a lui, perché proprio lui e non qualcun altro?
A tratti vedeva tutto deformarsi e cadeva al suolo ansimando dall’ansia che gli risaliva alla gola. Piangeva batteva i pugni al suolo, gli mancava il fiato. In quel momento più che mai aveva bisogno di qualcuno che arrivasse, come sempre faceva lei quand’erano piccoli. Qualcuno che gli stringesse la mani sorridendo e che lo abbracciasse per poi prenderlo per le spalle e guardarlo negli occhi. Che gli dicesse che andava tutto bene, che non c’era niente che non andava, di sorridere, che già a sorridere si sarebbe sentito meglio, anche se non era così, qualcuno che gli facesse credere di nuovo in qualcosa.
A dire il vero sarebbe anche solo bastato qualcuno che dimostrasse semplicemente di tenerci a lui. Sarebbe bastato un sorriso che sentisse caldo e vero.
Un qualcosa da poter ribattezzare come casa; ma attorno a lui stava solo il nulla, il vuoto, il forse. E l’angoscia cresceva fino a dargli quasi le allucinazioni.
Poi però si riprendeva, si guardava riflesso nell’acqua, si ripeteva che infondo lui non voleva l’affetto di nessuno, non gli serviva, tutto qui. Stava benissimo da solo nel proprio buio, coi propri problemi, non voleva che nessuno lo salvasse. Non c’era nessuno poi che sarebbe stato in grado di capirlo davvero, e allora tanto valeva l’eterna solitudine; che era spesso un tratto caratteristico dei figli di Ade. Ma è questo il problema del fingere; quando non c’è nessun’altro con te ti stai solo prendendo in giro.
  
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