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Autore: edoardo811    16/03/2015    2 recensioni
[Anarchia: La notte del giudizio]
America 2025
La disoccupazione è ridotta al 3%, la criminalità è quasi inesistente e ogni anno sempre meno persone vivono sotto la soglia di povertà
[...]
"Questo non è un test. E’ attivo il vostro programma di emergenza che annuncia l’inizio dello Sfogo annuale sancito dal nostro governo. Possono essere utilizzate tutte le armi di classe 4 o inferiore, le altre sono proibite. Ai funzionari amministrativi di livello 10 viene concessa l’immunità. Al suono della sirena, ogni crimine, incluso l’omicidio, sarà legale per le successive dodici ore. Tutti i servizi di emergenza saranno sospesi. Il governo vi ringrazia per la vostra partecipazione."
La notte dello Sfogo, un'occasione annuale per potersi liberare di ciò che ci opprime e purificare le nostre anime. Quattro persone si ritroveranno nel posto sbagliato al momento sbagliato, riusciranno a sopravvivere?
Fic ispirata all' omonimo film.
[SOSPESA][MORTA]
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
Capitoli:
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Capitolo

II

Thia, Marianne & Dominick

 

Ore 17:02

Tempo rimanente allo sfogo annuale: 1 ora e 58 minuti.

 

La porta d’ingresso di un piccolo appartamento si aprì e una ragazza sulla ventina sgusciò al suo interno. «Sono tornata, Mary!»

La voce della donna che aveva chiamato, giunse da un’altra stanza, il tono morbido, caldo e rassicurante, come sempre, questa volta anche con una punta di ironia: «Thia, eccoti finalmente! Mancano due ore allo Sfogo, cominciavo a temere che volessi farvi parte!»

Thia sorrise mentre si toglieva il cappotto marrone e lo appendeva al gancio subito a destra nell’ingresso, rimanendo con indosso una maglietta bianca e dei jeans. «Ti sarebbe piaciuto, vero? Se fossi rimasta fuori e fatta ammazzare!»

«Non sai quanto! Peccato, vorrà dire che spererò per l’anno prossimo!» fu la risposta dal tono divertito di Mary.

«Beh, puoi sempre uccidermi tu, tanto durante lo Sfogo si può fare tutto!» esclamò lei di rimando.

«Mh...sì, hai ragione, ci penserò su!» convenne Mary, il tono sempre allegro.

Thia ridacchiò divertita da quello scambio di battute, poi percorse il breve corridoio dal pavimento di legno, ornato da un simpatico tappeto color verde vomito. Le pareti gialle del corridoio erano ricoperte da mensole con sopra i più svariati soprammobili e fotografie appese. C’era così tanta roba che non si vedeva quasi più nessuno spiraglio di muro libero.

La ragazza arrivò fino alla fine del corridoio, ma prima di svoltare a destra ed entrare nel salotto, dove si trovava Mary, si fermò ad osservare una delle tante fotografie appese. Raffigurava lei, da bambina, una decina di anni prima, insieme ad un altro bambino e due adulti, una donna ed un uomo, seduti in riva ad un fiume. Tutti e quattro sorridevano felici di fronte all’obiettivo della fotocamera.

Per prima cosa esaminò sé stessa. Non era cambiata molto, nel tempo. Aveva sempre i capelli color oro e corti, gli occhi azzurri e cristallini, come lo specchio di un lago, la carnagione leggermente abbronzata, gli zigomi delicati, il naso piccolo e appuntito e le labbra rosee e sottili. Non era una che in genere se la tirava, ma era una ragazza piuttosto carina. Senza contare che adesso era molto slanciata e aveva delle belle gambe, lisce e morbide, con le giuste curve. L’unico difetto era il suo petto, che non strabordava proprio, ma poteva anche passarci sopra. Nessuna è perfetta. Beh, nessuna tranne Mary.

Ammirò la foto a lungo, facendo vagare lo sguardo da lei, al bambino identico a lei, ma con i capelli castani e più lunghi, e ai due adulti, dai quali aveva ereditato dall’una i capelli biondi, dall’altro gli occhi azzurri, che, paradossalmente, erano i geni più deboli.

Si morse un labbro e avvicinò una mano tremante alla foto, per poi farvi combaciare sopra il palmo. Abbassò la testa e chiuse gli occhi, rassegnata, triste e nostalgica. Era una cosa che faceva da diversi anni, nella vigilia dello Sfogo.

Quando riuscì a risollevarsi, spostò lo sguardo su una fotografia di Mary. La raffigurava diversi anni prima, il giorno del suo matrimonio. Era più giovane di cinque o sei anni, ma nemmeno lei era cambiata di molto. Era bellissima. Aveva i capelli neri, lunghi e lucenti, che ricadevano sulle sue spalle come una cascata. Gli occhi di un verde smeraldo, il colore più raro e bello che potesse esserci per gli occhi. Perfino i suoi occhi cristallini erano insignificanti rispetto ai suoi. Il viso era molto bello, gli zigomi delicati, che però non le davano un aria fragile, come quella di Thia, bensì una molto più forte. Ed era vero. Mary era la donna più forte che avesse mai conosciuto.

E poi, beh...era molto più prosperosa di lei e le curve delle sue gambe e fianchi sì che erano belle. Nella foto era in abito da sposa, che la rendeva ancora più meravigliosa, abbracciata ad un altrettanto bell’uomo, vestito in smoking. Aveva i capelli corti e castani, una lieve traccia di barba, né troppa, né troppa poca e occhi azzurri e limpidi, come quelli di Thia. Entrambi sorridevano all’obbiettivo e nei loro occhi si poteva cogliere anche a distanza di un chilometro l’amore che provavano reciprocamente e la loro felicità.

Thia riuscì a sorridere vedendo quella foto. Un sorriso triste, ma pur sempre un sorriso.

«Ci sei?» la voce di Mary la riportò alla realtà.

Thia trasalì, poi scosse la testa per allontanare la nostalgia che provava nel vedere quelle foto e si voltò per entrare nella sala.

Era una stanza squadrata e piuttosto piccola, con due finestre sulla parete opposta, che davano sulla strada. Era composta da mobili vari, scaffali con altre cianfrusaglie, un divano nero con davanti un tavolino da caffè e la televisione, messa su una cassettiera. Un altro tappeto di quel bellissimo verde vomito adornava il parquet. Subito alla sua sinistra, separata dalla sala da un muretto, vi era la cucina, nella quale Mary stava smanettando con coltelli vari.

«Ehi, allora? Come va?» la salutò Mary sollevando un coltello, con ancora attaccati i residui della verdura cruda che stava tagliando.

«Beh, il mio direttore è uno stronzo e oggi le molestie al lavoro hanno superato ogni record...»

Thia lavorava come cameriera in un bordello, dove un sacco di pervertiti arrapati la toccavano e corteggiavano a loro modo. Quel giorno il locale aveva aperto di pomeriggio in quanto di sera non poteva farlo, visto che ci sarebbe stato lo Sfogo. Cioè, se il direttore avrebbe voluto ritrovarsi tutte le ballerine con l’interno della coscia sfondato e la gola tagliata, avrebbe potuto anche aprire la sera. Per fortuna non era idiota a quei livelli, anche se poco ci mancava, visto che obbligava Thia, anche se era una semplice cameriera e non una ballerina, a vestirsi come una puttana e l’aveva fatta lavorare anche la vigilia dello Sfogo.

La risata cristallina di Mary intanto riempì la stanza, contagiando Thia e facendola sorridere. «Il solito, insomma!»

«Già.» convenne Thia. «Tu invece? Com’è andata?»

Mary si strinse nelle spalle. «Il solito anche per me. Ho rifiutato qualche milione di inviti a cena e protezione da parte di colleghi e dirigenti...»

Questa volta fu Thia a ridacchiare. Mary lavorava come impiegata in un’azienda e anche lei veniva puntata da molti uomini, che in vista dello Sfogo le avevano chiesto se volesse passare la notte al sicuro a casa loro, che, tradotto, significava scoparsela. A differenza sua, aveva lavorato solo fino a mezzogiorno.

«Sai...potresti accettare qualche invito, ogni tanto...magari sposarti qualche ricco beota a cui fregare un po’ di soldi...» disse scherzosa andando a sedersi sul divano. Anche se comunque non scherzava del tutto. Un po’ di soldi extra non avrebbero guastato a loro due.

Ma quando vide Mary abbassare la testa, incupirsi all’improvviso e il suo sorriso svanire, realizzò quanto stupida fosse stata quell’affermazione. Il matrimonio per lei era un tasto molto dolente. Ogni volta che lo accennava, anche solo per scherzo, come in quel caso, Mary aveva sempre una reazione molto simile a quella, se non identica.

Si portò una mano davanti alla bocca e cercò subito di riparare al danno, parlando mortificata: «Scusa...non...intendevo...»

Mary alzò una mano e la zittì, poi risollevò la testa. Espirò e riuscì a riacquistare il sorriso, anche se a Thia sembrò molto forzato. «Tranquilla...e comunque...no, non mi va di sposarmi qualche ricco beota. Anche perché io poi mi ritroverei con una palla di marito e compilare le carte del divorzio è una bella rottura di scatole. E poi non ti aspettare che condivida i miei e i suoi averi con te...»

«Ehi!» sbottò Thia, anche se non era realmente offesa.

Mary ridacchiò di nuovo e si rimise a sminuzzare la verdura. Thia si risollevò parecchio vedendola di nuovo ridere. Per fortuna il momento buio della donna era durato poco. Sì, era veramente forte. Un carisma duro e temprato, che teneva nascosto sotto quei bei sorrisi gentili.

Thia andò a sedersi sul divano e accese la televisione. Si mise a fare zapping tra decine di servizi televisivi riguardanti lo Sfogo e le precauzioni da prendere.

«La situazione fuori com’è?» interrogò di nuovo Mary.

Thia si strinse nelle spalle. «Come in ogni vigilia dello Sfogo. C’è un mucchio di traffico e gente che cammina indaffarata per strada. Alcuni stanno innalzando barricate di fortuna intorno a porte e finestre, altri vendono armi per strada...ho anche visto un gruppo di quei pazzi truccati e mascherati...mi hanno dato i brividi...»

«Mh, capisco...»

Thia annuì e si posizionò meglio sul divano.

 

***

 

Ore 17:34

Tempo rimanente allo sfogo annuale: 1 ora e 26 minuti.

 

«Ti prego, non puoi farlo per davvero!» implorò una ragazza con lunghi capelli rossi, strattonando per la manica della giacca di pelle nera un ragazzo dieci centimetri più alto di lei, con i capelli castani e arruffati.

Questo si divincolò dalla sua presa digrignando i denti. «Sì invece! E lo farò!»

Il ragazzo aprì con rabbia una porta ed entrò nella camera da letto di suo zio, seguito a ruota dalla ragazza con le lacrime agli occhi, che cercava in tutti i modi di farlo ragionare. Puntò all’armadio e lo aprì, mostrando diverse giacche da uomo appese al suo interno e diversi vestiti piegati e adagiati sotto di esse. Spostò un paio di maglioni e trovò quello che cercava, una scatola da scarpe. La prese e la portò sul lettone, dove ve l’adagiò, continuando ad ignorare la rossa. La aprì con lentezza, quasi come se il contenuto lo preoccupasse, cosa non del tutto falsa. Una volta scoperchiata, ne rivelò in contenuto. Una pesante rivoltella con l’impugnatura marrone e la canna grigia scura, una .44 Magnum.  

Tirò indietro il cane e fece scorrere di lato il caricatore a tamburo, vuoto. Prese i proiettili, riposti a casaccio dentro la scatola e cominciò a riempirlo, con mano molto tremante ed incerta. Era la prima volta che maneggiava in quel modo la pistola dello zio.

«Dom, ti prego, non puoi...» stava ancora cercando di dire la ragazza, per poi venire interrotta bruscamente da lui: «Smettila Hester! Ho deciso, fine della storia!»

«Ma non pensi a me?!» domandò lei disperata, mentre le lacrime le rigavano il volto. «Io ti amo, Dom! Non puoi uscire durante lo Sfogo, ti farai ammazzare!»

Dom rimase in silenzio, cupo in volto, mentre finiva di caricare la pistola e si metteva una generosa quantità di proiettili nelle tasche della giacca.

«Dom...» cercò di farlo ragionare lei, fallendo. Il ragazzo si voltò verso di lei, furibondo. «Tu non puoi capire! Nessuno può! Voglio farlo, fine della storia! Dovresti appoggiarmi, non il contrario!»

«Come?! Come posso appoggiarti in questa follia!? Ti stai praticamente suicidando!» esclamò lei, con voce rotta dall’emozione. Lo abbracciò e affondò il volto sulla sua spalla, inzuppandolo di lacrime. «Ti prego, ti prego, ti scongiuro...non puoi farlo...non lasciarmi...ti amo...»

Dom sospirò e posò la pistola sul letto, poi ricambiò l’abbraccio. Avvolse le braccia intorno alla fidanzata e cominciò ad accarezzarle la fulgida chioma di capelli rossi. Per un attimo si sentì assuefatto da quell’abbraccio e dal dolce profumo dei capelli di Hester. Stava quasi per dimenticarsi tutto e restare con lei, ma poi si ricompose. Non poteva restare lì. Era da mesi che aspettava lo Sfogo, non poteva certo tirarsi indietro e aspettare l’anno successivo. Afferrò la ragazza per le braccia e la allontanò da lui. Si fissarono per un breve momento. Occhi verdi di lei contro quelli marroni di lui. La ragazza aveva un’aria sconvolta. Il suo bel viso era deturpato dalle lacrime, dal rossore e la sua bocca era contorta in un’espressione disperata, per via di ciò che il suo amato aveva deciso di fare. E purtroppo sapeva meglio di chiunque altro che quando Dominick Power si metteva in testa qualcosa, nessuno, nemmeno lei, poteva farlo desistere.

«Hester...piccola...lo so che per te è dura, ma devi fidarti di me. Domani mattina, alle sette, sarò sano e salvo sotto casa tua e ti porterò ovunque tu vorrai. Saremo di nuovo solo più io, te...» le strinse le mani e se le avvicinò al petto. «...e il nostro amore.»

Avvicinò il volto a quello della ragazza, per unire le sue labbra a quelle di lei in uno dei loro stupendi baci pieni di dolcezza, ma la ragazza si ritrasse e si liberò dalla sua presa. «No!»

«Cosa?» domandò Dominick sorpreso, mentre lei si alzava in piedi.

«Se ritieni questa idiozia più importante di me, del nostro rapporto, mi dispiace ma...non può continuare tra noi.» disse indietreggiando, avvicinandosi alla porta.

Questa volta fu lui a cercare di farla ragionare. «Hester...»

«NO!» urlò lei, sporgendosi in avanti.

Dominick si portò l’indice davanti alla bocca. «Non urlare! Sveglierai mio zio!»

«BENE! SPERO CHE SI SVEGLI! ALMENO DOVRAI RENDERE CONTO ANCHE A LUI!» poi Hester si premette le mani sulle tempie e scrollò convulsivamente la testa, per poi ricomporsi lentamente. Si lisciò la maglietta nera e disse, con tono calmo, ma allo stesso tempo deciso, che non ammetteva ulteriori giri di parole: «Scegli, Dom. O me, o la tua stupida vendetta.»

«Hester...» la richiamò lui con tono altrettanto calmo. Non voleva certo essere messo di fronte ad una decisione così critica.

«HESTER UN CAZZO! SCEGLI!» tuonò lei stringendo i pugni e sporgendosi verso di lui.

Dominick indietreggiò per un breve momento, in parte intimorito dalla fidanzata. Era proprio per quel suo carisma forte nascosto sotto un corpo minuto e fragile che le piaceva, ma certe volte quel carattere era un’arma a doppio taglio e lui stesso doveva averci a che fare, finendo sempre con lo strisciare ai suoi piedi. Si ritrovò con le spalle al muro.

«Piccola...io...tu non sai come mi sento...questa faccenda è troppo importante per me...ti prego...» le si avvicinò e le prese una mano. «Non mettermi nella condizione di dover decidere...»

Si guardarono per un breve attimo. Hester per poco non cedette di fronte allo sguardo color ebano di Dominick. Quegli occhi sembravano quelli di un cagnolino abbandonato e desideroso di coccole, un po’ come lui, del resto, però proprio non poteva permettergli di uscire. Non voleva perderlo. Ritrasse la mano e rimase impassibile. «No, Dom. Devi scegliere. O io, o la tua questione. Ma, prima che tu risponda, rifletti su una cosa: credi che, ammesso che tu sopravviva e riesca ad ottenere la tua vendetta, tutto poi si risistemerà? Credi che poi sarai migliore di lui? Credi che...poi...loro torneranno? Credi che sarebbero fieri di te, se tu facessi una cosa simile?»

Ogni volta che gli poneva una domanda, lo puntellava con l’indice sul petto, facendolo indietreggiare. Senza neanche accorgersene, si ritrovarono al bordo del letto.

Dominick chiuse gli occhi ed espirò. Le domande che Hester gli aveva posto erano tutte molto sensate e legittime. Sapeva anche la risposta ad esse. Loro non sarebbero tornati e probabilmente non sarebbero stati fieri di lui. Non avrebbe dimostrato di essere migliore di nessuno e per finire nulla sarebbe tornato a posto. Ma l’idea che la fuori ci fosse il bastardo che gli aveva rovinato la vita, rigorosamente impunito, lo faceva imbestialire e perdere ogni qualsivoglia di razionalità. Vendicarsi, aveva la priorità su tutto. «Hester...mi dispiace...ma...devo farlo. Scusa...»

La ragazza lo fissò ammutolita per un breve attimo. Rimase in silenzio, immobile, pietrificata da quelle parole. Non poteva crederci. Il ragazzo che amava aveva appena scelto. Preferiva una inutile e suicida vendetta, a lei.

«Piccola...» mormorò Dom vedendo come la ragazza rimanesse in silenzio.

Avvicinò una mano a lei, ma questa si mosse all’improvviso. Allontanò la mano del ragazzo con uno schiaffo e urlò di nuovo: «BENE!»

Detto questo girò i tacchi e la sua chioma rossa ondeggio, poi si precipitò alla porta. Dominick la inseguì chiamandola, ma fu tutto vano. La ragazza percorse il corridoio bianco e spoglio che conduceva alla camera da letto e raggiunse un piccolo salotto, dove un uomo in mutande e canottiera, con i capelli lunghi e unti dormiva stravaccato sul divano. Hester puntò alla porta, furiosa, ma poi si bloccò di colpo. Andò dall’uomo e lo svegliò urlando: «SVEGLIATI!»

L’uomo sobbalzò e si guardò intorno spaesato, poi incrociò lo sguardo della ragazza. «E tu che ci fai qui? Ti stavi scopando quel...»

La ragazza lo interruppe puntandoli contro l’indice. Dominick capì quello che voleva fare. Cercò di fermarla, ma non lo fece in tempo. «TUO NIPOTE VUOLE USCIRE LA NOTTE DELLO SFOGO!»

Dominick si irrigidì come un chiodo. Lo zio guardò Hester per un momento, sorpreso, poi scrollò le spalle. Lui odiava il nipote. Era stata una palla al piede dal primo giorno in cui gliel’avevano affidato. «E allora?! Meglio, così magari me lo ammazzano e me lo tolgo dalle palle!»

Hester ammutolì di nuovo. L’ultima possibilità che gli era rimasta per impedire a Dom di ammazzarsi era sfumata. Fissò incredula lo zio del suo EX fidanzato mentre si rigirava nel divano e mugugnava qualcosa di incomprensibile, poi guardò Dom, sorpreso tanto quanto lei. Non avrebbe mai pensato che lo zio lo odiasse a tal punto da lasciarlo andare in giro la notte dello Sfogo. Infatti stava pensando di uscire di nascosto. Ma a quanto pare, non era più necessario. Si accorse dello sguardo della ragazza.

«Hester...» disse per l’ennesima volta, ma fu tutto vano.

«No, Dominick...tra noi è finita.»

La ragazza scoppiò a piangere e corse fuori dall’appartamento, lasciando soli Dominick e suo zio.

 Il ragazzo la fissò interdetto, poi, realizzando cosa fosse appena successo, venne gettato nello sconforto totale. Hester lo aveva appena lasciato. Voleva correrle dietro, ma non ne trovò le forze. Abbassò la testa e strinse i pugni, mentre sentiva gli occhi inumidirsi e riaffioravano alla sua memoria tutti i bei momenti passati con lei. Quando si erano conosciuti e avevano cominciato a frequentarsi.

«Sei strano...» gli aveva detto lei la prima volta, per poi sorridergli, appoggiare la testa sulla sua spalla e aggiungere, guardandolo con uno sguardo che aveva subito tradito le sue emozioni:  «...mi piace!»

I picnic al parco, le serate intorno al fuoco e le passeggiate al chiaro di Luna mano nella mano lungo la riva del mare, i bagni dentro di esso e le guerre di schizzi d’acqua, le risate, le emozioni, i sorrisi, gli abbracci...quando la stava ricorrendo per scherzo lungo la spiaggia, poi lei era inciampata e lui anche, su di lei. Si erano ritrovati l’uno sdraiato sopra l’altra e senza nemmeno un attimo di esitazione si erano scambiati il loro primo bacio, un ricordo che tutt’ora lo faceva sorridere. Non poteva credere che la loro storia fosse appena giunta al capolinea.

«Hester...»

 

                                                                                                                                  

 

 

 

   
 
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