Capitolo
II
Thia, Marianne
& Dominick
Ore 17:02
Tempo rimanente allo sfogo
annuale: 1 ora e 58 minuti.
La
porta d’ingresso di un piccolo appartamento si
aprì e una ragazza sulla ventina
sgusciò al suo interno. «Sono tornata,
Mary!»
La
voce della donna che aveva chiamato, giunse da un’altra
stanza, il tono
morbido, caldo e rassicurante, come sempre, questa volta anche con una
punta di
ironia: «Thia, eccoti finalmente! Mancano due ore allo Sfogo,
cominciavo a
temere che volessi farvi parte!»
Thia
sorrise mentre si toglieva il cappotto marrone e lo appendeva al gancio
subito
a destra nell’ingresso, rimanendo con indosso una maglietta
bianca e dei jeans.
«Ti sarebbe piaciuto, vero? Se fossi rimasta fuori e fatta
ammazzare!»
«Non
sai quanto! Peccato, vorrà dire che spererò per
l’anno prossimo!» fu la
risposta dal tono divertito di Mary.
«Beh,
puoi sempre uccidermi tu, tanto durante lo Sfogo si può fare
tutto!» esclamò
lei di rimando.
«Mh...sì,
hai ragione, ci penserò su!» convenne Mary, il
tono sempre allegro.
Thia
ridacchiò divertita da quello scambio di battute, poi
percorse il breve
corridoio dal pavimento di legno, ornato da un simpatico tappeto color
verde
vomito. Le pareti gialle del corridoio erano ricoperte da mensole con
sopra i
più svariati soprammobili e fotografie appese.
C’era così tanta roba che non si
vedeva quasi più nessuno spiraglio di muro libero.
La
ragazza arrivò fino alla fine del corridoio, ma prima di
svoltare a destra ed
entrare nel salotto, dove si trovava Mary, si fermò ad
osservare una delle
tante fotografie appese. Raffigurava lei, da bambina, una decina di
anni prima,
insieme ad un altro bambino e due adulti, una donna ed un uomo, seduti
in riva
ad un fiume. Tutti e quattro sorridevano felici di fronte
all’obiettivo della
fotocamera.
Per
prima cosa esaminò sé stessa. Non era cambiata
molto, nel tempo. Aveva sempre i
capelli color oro e corti, gli occhi azzurri e cristallini, come lo
specchio di
un lago, la carnagione leggermente abbronzata, gli zigomi delicati, il
naso
piccolo e appuntito e le labbra rosee e sottili. Non era una che in
genere se
la tirava, ma era una ragazza piuttosto carina. Senza contare che
adesso era
molto slanciata e aveva delle belle gambe, lisce e morbide, con le
giuste
curve. L’unico difetto era il suo petto, che non strabordava
proprio, ma poteva
anche passarci sopra. Nessuna è perfetta. Beh, nessuna
tranne Mary.
Ammirò
la foto a lungo, facendo vagare lo sguardo da lei, al bambino identico
a lei,
ma con i capelli castani e più lunghi, e ai due adulti, dai
quali aveva
ereditato dall’una i capelli biondi, dall’altro gli
occhi azzurri, che,
paradossalmente, erano i geni più deboli.
Si
morse un labbro e avvicinò una mano tremante alla foto, per
poi farvi
combaciare sopra il palmo. Abbassò la testa e chiuse gli
occhi, rassegnata,
triste e nostalgica. Era una cosa che faceva da diversi anni, nella
vigilia
dello Sfogo.
Quando
riuscì a risollevarsi, spostò lo sguardo su una
fotografia di Mary. La
raffigurava diversi anni prima, il giorno del suo matrimonio. Era
più giovane
di cinque o sei anni, ma nemmeno lei era cambiata di molto. Era
bellissima.
Aveva i capelli neri, lunghi e lucenti, che ricadevano sulle sue spalle
come
una cascata. Gli occhi di un verde smeraldo, il colore più
raro e bello che
potesse esserci per gli occhi. Perfino i suoi occhi cristallini erano
insignificanti rispetto ai suoi. Il viso era molto bello, gli zigomi
delicati,
che però non le davano un aria fragile, come quella di Thia,
bensì una molto
più forte. Ed era vero. Mary era la donna più
forte che avesse mai conosciuto.
E
poi, beh...era molto più prosperosa di lei e le curve delle
sue gambe e fianchi
sì che erano belle. Nella foto era in abito da sposa, che la
rendeva ancora più
meravigliosa, abbracciata ad un altrettanto bell’uomo,
vestito in smoking.
Aveva i capelli corti e castani, una lieve traccia di barba,
né troppa, né
troppa poca e occhi azzurri e limpidi, come quelli di Thia. Entrambi
sorridevano all’obbiettivo e nei loro occhi si poteva
cogliere anche a distanza
di un chilometro l’amore che provavano reciprocamente e la
loro felicità.
Thia
riuscì a sorridere vedendo quella foto. Un sorriso triste,
ma pur sempre un
sorriso.
«Ci
sei?» la voce di Mary la riportò alla
realtà.
Thia
trasalì, poi scosse la testa per allontanare la nostalgia
che provava nel
vedere quelle foto e si voltò per entrare nella sala.
Era
una stanza squadrata e piuttosto piccola, con due finestre sulla parete
opposta, che davano sulla strada. Era composta da mobili vari, scaffali
con
altre cianfrusaglie, un divano nero con davanti un tavolino da
caffè e la
televisione, messa su una cassettiera. Un altro tappeto di quel
bellissimo
verde vomito adornava il parquet. Subito alla sua sinistra, separata
dalla sala
da un muretto, vi era la cucina, nella quale Mary stava smanettando con
coltelli vari.
«Ehi,
allora? Come va?» la salutò Mary sollevando un
coltello, con ancora attaccati i
residui della verdura cruda che stava tagliando.
«Beh,
il mio direttore è uno stronzo e oggi le molestie al lavoro
hanno superato ogni
record...»
Thia
lavorava come cameriera in un bordello, dove un sacco di pervertiti
arrapati la
toccavano e corteggiavano a loro modo. Quel giorno il locale aveva
aperto di
pomeriggio in quanto di sera non poteva farlo, visto che ci sarebbe
stato lo
Sfogo. Cioè, se il direttore avrebbe voluto ritrovarsi tutte
le ballerine con
l’interno della coscia sfondato e la gola tagliata, avrebbe
potuto anche aprire
la sera. Per fortuna non era idiota a quei livelli, anche se poco ci
mancava,
visto che obbligava Thia, anche se era una semplice cameriera e non una
ballerina, a vestirsi come una puttana e l’aveva fatta
lavorare anche la
vigilia dello Sfogo.
La
risata cristallina di Mary intanto riempì la stanza,
contagiando Thia e
facendola sorridere. «Il solito, insomma!»
«Già.»
convenne Thia. «Tu invece? Com’è
andata?»
Mary
si strinse nelle spalle. «Il solito anche per me. Ho
rifiutato qualche milione
di inviti a cena e protezione da parte di colleghi e
dirigenti...»
Questa
volta fu Thia a ridacchiare. Mary lavorava come impiegata in
un’azienda e anche
lei veniva puntata da molti uomini, che in vista dello Sfogo le avevano
chiesto
se volesse passare la notte al sicuro a casa loro, che, tradotto,
significava
scoparsela. A differenza sua, aveva lavorato solo fino a mezzogiorno.
«Sai...potresti
accettare qualche invito, ogni tanto...magari sposarti qualche ricco
beota a
cui fregare un po’ di soldi...» disse scherzosa
andando a sedersi sul divano.
Anche se comunque non scherzava del tutto. Un po’ di soldi
extra non avrebbero
guastato a loro due.
Ma
quando vide Mary abbassare la testa, incupirsi all’improvviso
e il suo sorriso
svanire, realizzò quanto stupida fosse stata
quell’affermazione. Il matrimonio
per lei era un tasto molto dolente. Ogni volta che lo accennava, anche
solo per
scherzo, come in quel caso, Mary aveva sempre una reazione molto simile
a
quella, se non identica.
Si
portò una mano davanti alla bocca e cercò subito
di riparare al danno, parlando
mortificata: «Scusa...non...intendevo...»
Mary
alzò una mano e la zittì, poi
risollevò la testa. Espirò e riuscì a
riacquistare il sorriso, anche se a Thia sembrò molto
forzato. «Tranquilla...e
comunque...no, non mi va di sposarmi qualche ricco beota. Anche
perché io poi
mi ritroverei con una palla di marito e compilare le carte del divorzio
è una
bella rottura di scatole. E poi non ti aspettare che condivida i miei e
i suoi
averi con te...»
«Ehi!»
sbottò Thia, anche se non era realmente offesa.
Mary
ridacchiò di nuovo e si rimise a sminuzzare la verdura. Thia
si risollevò
parecchio vedendola di nuovo ridere. Per fortuna il momento buio della
donna
era durato poco. Sì, era veramente forte. Un carisma duro e
temprato, che
teneva nascosto sotto quei bei sorrisi gentili.
Thia
andò a sedersi sul divano e accese la televisione. Si mise a
fare zapping tra
decine di servizi televisivi riguardanti lo Sfogo e le precauzioni da
prendere.
«La
situazione fuori com’è?»
interrogò di nuovo Mary.
Thia
si strinse nelle spalle. «Come in ogni vigilia dello Sfogo.
C’è un mucchio di
traffico e gente che cammina indaffarata per strada. Alcuni stanno
innalzando
barricate di fortuna intorno a porte e finestre, altri vendono armi per
strada...ho anche visto un gruppo di quei pazzi truccati e
mascherati...mi
hanno dato i brividi...»
«Mh,
capisco...»
Thia
annuì e si posizionò meglio sul divano.
***
Ore 17:34
Tempo rimanente allo sfogo
annuale: 1 ora e 26 minuti.
«Ti
prego, non puoi farlo per davvero!» implorò una
ragazza con lunghi capelli
rossi, strattonando per la manica della giacca di pelle nera un ragazzo
dieci
centimetri più alto di lei, con i capelli castani e
arruffati.
Questo
si divincolò dalla sua presa digrignando i denti.
«Sì invece! E lo farò!»
Il
ragazzo aprì con rabbia una porta ed entrò nella
camera da letto di suo zio,
seguito a ruota dalla ragazza con le lacrime agli occhi, che cercava in
tutti i
modi di farlo ragionare. Puntò all’armadio e lo
aprì, mostrando diverse giacche
da uomo appese al suo interno e diversi vestiti piegati e adagiati
sotto di
esse. Spostò un paio di maglioni e trovò quello
che cercava, una scatola da
scarpe. La prese e la portò sul lettone, dove ve
l’adagiò, continuando ad
ignorare la rossa. La aprì con lentezza, quasi come se il
contenuto lo preoccupasse,
cosa non del tutto falsa. Una volta scoperchiata, ne rivelò
in contenuto. Una
pesante rivoltella con l’impugnatura marrone e la canna
grigia scura, una .44 Magnum.
Tirò
indietro il cane e fece scorrere di lato il caricatore a tamburo,
vuoto. Prese
i proiettili, riposti a casaccio dentro la scatola e
cominciò a riempirlo, con
mano molto tremante ed incerta. Era la prima volta che maneggiava in
quel modo
la pistola dello zio.
«Dom,
ti prego, non puoi...» stava ancora cercando di dire la
ragazza, per poi venire
interrotta bruscamente da lui: «Smettila Hester! Ho deciso,
fine della storia!»
«Ma
non pensi a me?!» domandò lei disperata, mentre le
lacrime le rigavano il
volto. «Io ti amo, Dom! Non puoi uscire durante lo Sfogo, ti
farai ammazzare!»
Dom
rimase in silenzio, cupo in volto, mentre finiva di caricare la pistola
e si
metteva una generosa quantità di proiettili nelle tasche
della giacca.
«Dom...»
cercò di farlo ragionare lei, fallendo. Il ragazzo si
voltò verso di lei,
furibondo. «Tu non puoi capire! Nessuno può!
Voglio farlo, fine della storia!
Dovresti appoggiarmi, non il contrario!»
«Come?!
Come posso appoggiarti in questa follia!? Ti stai praticamente
suicidando!»
esclamò lei, con voce rotta dall’emozione. Lo
abbracciò e affondò il volto
sulla sua spalla, inzuppandolo di lacrime. «Ti prego, ti
prego, ti
scongiuro...non puoi farlo...non lasciarmi...ti amo...»
Dom
sospirò e posò la pistola sul letto, poi
ricambiò l’abbraccio. Avvolse le
braccia intorno alla fidanzata e cominciò ad accarezzarle la
fulgida chioma di
capelli rossi. Per un attimo si sentì assuefatto da
quell’abbraccio e dal dolce
profumo dei capelli di Hester. Stava quasi per dimenticarsi tutto e
restare con
lei, ma poi si ricompose. Non poteva restare lì. Era da mesi
che aspettava lo
Sfogo, non poteva certo tirarsi indietro e aspettare l’anno
successivo. Afferrò
la ragazza per le braccia e la allontanò da lui. Si
fissarono per un breve
momento. Occhi verdi di lei contro quelli marroni di lui. La ragazza
aveva
un’aria sconvolta. Il suo bel viso era deturpato dalle
lacrime, dal rossore e
la sua bocca era contorta in un’espressione disperata, per
via di ciò che il
suo amato aveva deciso di fare. E purtroppo sapeva meglio di chiunque
altro che
quando Dominick Power si metteva in testa qualcosa, nessuno, nemmeno
lei,
poteva farlo desistere.
«Hester...piccola...lo
so che per te è dura, ma devi fidarti di me. Domani mattina,
alle sette, sarò sano
e salvo sotto casa tua e ti porterò ovunque tu vorrai.
Saremo di nuovo solo più
io, te...» le strinse le mani e se le avvicinò al
petto. «...e il nostro amore.»
Avvicinò
il volto a quello della ragazza, per unire le sue labbra a quelle di
lei in uno
dei loro stupendi baci pieni di dolcezza, ma la ragazza si ritrasse e
si liberò
dalla sua presa. «No!»
«Cosa?»
domandò Dominick sorpreso, mentre lei si alzava in piedi.
«Se
ritieni questa idiozia più importante di me, del nostro
rapporto, mi dispiace
ma...non può continuare tra noi.» disse
indietreggiando, avvicinandosi alla
porta.
Questa
volta fu lui a cercare di farla ragionare.
«Hester...»
«NO!»
urlò lei, sporgendosi in avanti.
Dominick
si portò l’indice davanti alla bocca.
«Non urlare! Sveglierai mio zio!»
«BENE!
SPERO CHE SI SVEGLI! ALMENO DOVRAI RENDERE CONTO ANCHE A
LUI!» poi Hester si
premette le mani sulle tempie e scrollò convulsivamente la
testa, per poi ricomporsi
lentamente. Si lisciò la maglietta nera e disse, con tono
calmo, ma allo stesso
tempo deciso, che non ammetteva ulteriori giri di parole:
«Scegli, Dom. O me, o
la tua stupida vendetta.»
«Hester...»
la richiamò lui con tono altrettanto calmo. Non voleva certo
essere messo di
fronte ad una decisione così critica.
«HESTER
UN CAZZO! SCEGLI!» tuonò lei stringendo i pugni e
sporgendosi verso di lui.
Dominick
indietreggiò per un breve momento, in parte intimorito dalla
fidanzata. Era
proprio per quel suo carisma forte nascosto sotto un corpo minuto e
fragile che
le piaceva, ma certe volte quel carattere era un’arma a
doppio taglio e lui
stesso doveva averci a che fare, finendo sempre con lo strisciare ai
suoi
piedi. Si ritrovò con le spalle al muro.
«Piccola...io...tu
non sai come mi sento...questa faccenda è troppo importante
per me...ti
prego...» le si avvicinò e le prese una mano.
«Non mettermi nella condizione di
dover decidere...»
Si
guardarono per un breve attimo. Hester per poco non cedette di fronte
allo
sguardo color ebano di Dominick. Quegli occhi sembravano quelli di un
cagnolino
abbandonato e desideroso di coccole, un po’ come lui, del
resto, però proprio
non poteva permettergli di uscire. Non voleva perderlo. Ritrasse la
mano e
rimase impassibile. «No, Dom. Devi scegliere. O io, o la tua
questione. Ma,
prima che tu risponda, rifletti su una cosa: credi che, ammesso che tu
sopravviva e riesca ad ottenere la tua vendetta, tutto poi si
risistemerà?
Credi che poi sarai migliore di lui?
Credi che...poi...loro torneranno?
Credi che sarebbero fieri di te, se tu facessi una cosa
simile?»
Ogni
volta che gli poneva una domanda, lo puntellava con l’indice
sul petto,
facendolo indietreggiare. Senza neanche accorgersene, si ritrovarono al
bordo
del letto.
Dominick
chiuse gli occhi ed espirò. Le domande che Hester gli aveva
posto erano tutte
molto sensate e legittime. Sapeva anche la risposta ad esse. Loro non sarebbero tornati e
probabilmente non sarebbero stati fieri di lui. Non avrebbe dimostrato
di
essere migliore di nessuno e per finire nulla sarebbe tornato a posto.
Ma
l’idea che la fuori ci fosse il bastardo che gli aveva
rovinato la vita,
rigorosamente impunito, lo faceva imbestialire e perdere ogni
qualsivoglia di
razionalità. Vendicarsi, aveva la priorità su
tutto. «Hester...mi
dispiace...ma...devo farlo. Scusa...»
La
ragazza lo fissò ammutolita per un breve attimo. Rimase in
silenzio, immobile,
pietrificata da quelle parole. Non poteva crederci. Il ragazzo che
amava aveva
appena scelto. Preferiva una inutile e suicida vendetta, a lei.
«Piccola...»
mormorò Dom vedendo come la ragazza rimanesse in silenzio.
Avvicinò
una mano a lei, ma questa si mosse all’improvviso.
Allontanò la mano del
ragazzo con uno schiaffo e urlò di nuovo:
«BENE!»
Detto
questo girò i tacchi e la sua chioma rossa ondeggio, poi si
precipitò alla porta.
Dominick la inseguì chiamandola, ma fu tutto vano. La
ragazza percorse il
corridoio bianco e spoglio che conduceva alla camera da letto e
raggiunse un
piccolo salotto, dove un uomo in mutande e canottiera, con i capelli
lunghi e
unti dormiva stravaccato sul divano. Hester puntò alla
porta, furiosa, ma poi
si bloccò di colpo. Andò dall’uomo e lo
svegliò urlando: «SVEGLIATI!»
L’uomo
sobbalzò e si guardò intorno spaesato, poi
incrociò lo sguardo della ragazza. «E
tu che ci fai qui? Ti stavi scopando quel...»
La
ragazza lo interruppe puntandoli contro l’indice. Dominick
capì quello che
voleva fare. Cercò di fermarla, ma non lo fece in tempo.
«TUO NIPOTE VUOLE
USCIRE LA NOTTE DELLO SFOGO!»
Dominick
si irrigidì come un chiodo. Lo zio guardò Hester
per un momento, sorpreso, poi
scrollò le spalle. Lui odiava il nipote. Era stata una palla
al piede dal primo
giorno in cui gliel’avevano affidato. «E allora?!
Meglio, così magari me lo
ammazzano e me lo tolgo dalle palle!»
Hester
ammutolì di nuovo. L’ultima possibilità
che gli era rimasta per impedire a Dom
di ammazzarsi era sfumata. Fissò incredula lo zio del suo EX
fidanzato mentre
si rigirava nel divano e mugugnava qualcosa di incomprensibile, poi
guardò Dom,
sorpreso tanto quanto lei. Non avrebbe mai pensato che lo zio lo
odiasse a tal
punto da lasciarlo andare in giro la notte dello Sfogo. Infatti stava
pensando
di uscire di nascosto. Ma a quanto pare, non era più
necessario. Si accorse
dello sguardo della ragazza.
«Hester...»
disse per l’ennesima volta, ma fu tutto vano.
«No,
Dominick...tra noi è finita.»
La
ragazza scoppiò a piangere e corse fuori
dall’appartamento, lasciando soli
Dominick e suo zio.
Il
ragazzo la fissò interdetto, poi,
realizzando cosa fosse appena successo, venne gettato nello sconforto
totale. Hester
lo aveva appena lasciato. Voleva correrle dietro, ma non ne
trovò le forze.
Abbassò la testa e strinse i pugni, mentre sentiva gli occhi
inumidirsi e
riaffioravano alla sua memoria tutti i bei momenti passati con lei.
Quando si
erano conosciuti e avevano cominciato a frequentarsi.
«Sei
strano...» gli
aveva
detto lei la prima volta, per poi sorridergli, appoggiare la testa
sulla sua
spalla e aggiungere, guardandolo con uno sguardo che aveva subito
tradito le
sue emozioni: «...mi
piace!»
I
picnic al parco, le serate intorno al fuoco e le passeggiate al chiaro
di Luna
mano nella mano lungo la riva del mare, i bagni dentro di esso e le
guerre di
schizzi d’acqua, le risate, le emozioni, i sorrisi, gli
abbracci...quando la
stava ricorrendo per scherzo lungo la spiaggia, poi lei era inciampata
e lui
anche, su di lei. Si erano ritrovati l’uno sdraiato sopra
l’altra e senza
nemmeno un attimo di esitazione si erano scambiati il loro primo bacio,
un
ricordo che tutt’ora lo faceva sorridere. Non poteva credere
che la loro storia
fosse appena giunta al capolinea.
«Hester...»