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Autore: Artemide12    16/03/2015    1 recensioni
Sono passati venticinque anni da quando alieni e MewMew combattevano sulla Terra.
Ora su Arret – il pianeta alieno riportato alla vita grazie all'acqua-cristallo – dominano forze oscure che hanno interrotto qualsiasi contatto con il resto dell'Universo e costringono l'intera popolazione a vivere nell'ombra, schiava dei suoi padroni.
Nel disperato tentativo di ribaltare le sorti del pianeta, i cugini Ikisatashi e gli altri Connect fuggono e atterrano sulla lontana e ormai dimenticata Terra.
Ma quanto può essere sicuro un pianeta lontano anni luce se nasconde il proprio passato?
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mai




Fu come essere trapassato per la seconda volta. O peggio.
La prima, il dolore fisico aveva oscurato tutto il resto, finché, per qualche istante, non era sparito, lasciandogli modo di vivere coscientemente i suoi ultimi secondi.
Vedere la scena dall'esterno, fu distruttivo.
Lo stupore dilagò negli occhi di Strawberry mentre si fissavano, prima che si facessero vacui e distanti. Ciechi anche se spalancati.
E poi Profondo Blu dietro di lei, come un fantasma funesto, come l'immagine della morte stessa, fattasi persona. La pazzia nei suoi occhi.
Ghish ebbe l'impressione che la sua vecchia cicatrice si stesse lacerando, riaprendosi non solo sul fianco, ma anche al centro del petto, nella gola e negli occhi.
Per qualche istante, dopo l'onda di energia che aveva lasciato privi di sensi tutti i loro nemici, nessuno si mosse. Gli sguardi si spostarono a mala pena per la stanza.
A rompere la scena fu Profondo Blu. Allontanò la testa dall'orecchio di Strawberry e fece un passo indietro sfilando la spada dal fianco della ragazza.
Dopo, fu il caos.
Ghish non prestò la minima attenzione a Profondo Blu che si teletrasportò via. Ebbe occhi solo per il corpo che si accasciava a terra privo di forze. Corse quasi senza respirare, spostando con violenza chiunque gli si parasse davanti. La afferrò prima che le sue spalla toccassero il pavimento.
«Strawberry!» urlò fuori di sé «Strawberry!» strinse le sue spalle, le sollevò la testa con una mano «No! Strawberry.»
Le palpebre della ragazza sbatterono due volte, ma era chiaro che non vedevano niente. Non si fermarono sul volto pieno di terrore di Ghish.
«Strawberry!» continuò a chiamarla «Strawberry, mi senti?»
«..hi...sh..» mugolò, le costò uno sforzo immenso, il dolore si fece immediatamente più forte.
Un rivolo di sangue le uscì dal lato della bocca.
«No! Strawberry, ti prego no. Non andartene.» la sollevò leggermente, in modo che la testa stesse più in alto possibile, appoggiandosela contro il petto.
La mano della ragazza si sollevò debolmente e lui l'afferrò subito.
«Strawberry...» la voce gli si strozzò in gola «no...» con la mano con cui le teneva contro di sé poteva sentire il battito del suo cuore. Sempre più debole, sempre più distante.
Sollevò la testa. Si guardò disperatamente intorno.
In mezzo al via vai di gente, immobili sul fondo della stanza, c'erano ben quattro persone. Aprilynne e Catron li fissavano scioccati, ma Ghish non aveva tempo per loro.
«Pai!» chiamò con tutto il fiato che aveva. Con rabbia e disperazione. «Aiutami!»
Il fratello adottivo si riscosse. Usò il teletrasporto per arrivare immediatamente lì.
Ghish non lo guardò nemmeno, sembrò dimenticarsi della sua presenza. Continuò a chiamare Strawberry per nome a stringerle forte la mano e tenendola contro di sé.
Pai lo lasciò fare. Si sporse per poter vedere la ferita. La tenne aperta per poterla studiare meglio. Strawberry non reagì nemmeno a quella che probabilmente era una nuova ondata di dolore.
Pai sentì le proprie mani fermarsi automaticamente. Era un medico, il suo occhio era abituato a capire certe cose, a sapere che quando il sangue era così tanto, la ferita così profonda, la coscienza così distante, era troppo tardi.
Guardò Ghish, che non gli aveva prestato la minima attenzione. Poté vedere chiaramente come la parte di lui abituata a lottare fino all'ultimo combattere violentemente con la razionalità, così poco influente in lui, che invece sapeva bene che non si poteva fare nulla.
Non ci sarebbe stata nessuna acqua-cristallo abbastanza potente da riportarla indietro.
Pai lo ricordava. Ricordava il buio, il niente assoluto. O forse sarebbe stato meglio dire che non ricordava. Ed era peggio. Quando aveva riaperto gli occhi, era stato che atterrare dopo una caduta libera durata anni interminabili di cui non si era reso conto. Ecco cos'era la morte, ciò che faceva così tanta paura. Non un mostro, non un luogo pieno di trappole, non un rompicapo senza soluzioni. Ma il Nulla.
L'unica sensazione lontanamente simile, era la separazione tra forza vitale e corpo. La coscienza che sparisce, il corpo che si fa inerme, incapace di reagire e di essere danneggiato.
Solo che in quel caso, la maggior parte delle volte, poi ci si risveglia. Dalla morte no.
Ghish era fuori di sé, guardò impotente i suoi ultimi istanti di vita. La carnagione del suo corpo si fece bianchissima, quasi grigia e si afflosciò definitivamente tra le sue braccia.
Lui smise immediatamente di chiamarla. La mano che la teneva stretta aveva sentito il suo cuore battere sempre più piano, ma si era fermato troppo all'improvviso, la presa della sua mano si era allentata ad una velocità innaturale.
Sollevò lo sguardo su Pai, con espressione assassina.
«Che cosa hai fatto?» urlò.
«Ghish...» Pai scattò in piedi «Ghish, aspetta.»
Ghish si alzò in piedi, teneva ancora il corpo di Strawberry tra le braccia. «Ti ho chiesto di aiutarmi a salvarla, non a farla morire più in fretta!» Prima che potesse fare anche solo un passo avanti, Aprilynne a Catron si materializzarono dietro di lui e lo afferrarono per le spalle urlando «papà!» Si fermò. Il cuore che gli batteva all'impazzata nel petto, proprio dove la testa di Strawberry era appoggiata, come se lo stesse ascoltando. Solo che era tutt'altro che viva. Il suo corpo era persino più leggero, vuoto. La trasformazione si era dissolta insieme al colorito della sua pelle.

Avevano trovato Abigal sul ciglio delle strada, proprio come aveva detto il soldato che li aveva contattati.
Il padre di Domnio fermò il veicolo proprio davanti alla ragazza dai capelli azzurri.
Lei e i componenti della squadra si fissarono per qualche momento, senza dire una parola. Lei sfiorò appena con lo sguardo Mew Lory, Mew Paddy e Tart Ikisatashi. Incrociò quello di Aisha che annuì leggermente, una volta sola, per dirle che stava bene e, infine, si soffermò sul Cavaliere Blu.
I suoi occhi azzurri erano gli stessi di Profondo Blu, eppure erano fin troppo diversi. Si sentì inquieta e avvertì il suo ciondolo farsi più caldo, anche se non cominciò a brillare. Percepì anche qualcos'altro, come una presenza, la fece rabbrividire ed ebbe l'istinto di ritrarsi.
«Sì, fa un po' questo effetto.» disse il Cavaliere Blu battendo leggermente la mano sugli scatoloni che stavano tra le loro gambe. Il ribrezzo si trasformò in curiosità.
Senza dire nulla salì sul veicolo e si andò a sedere nell'unico posto vuoto, quello vicino al Cavaliere Blu, di fronte ad Aisha. La ragazza umana non distolse lo sguardo da lei neanche per un secondo. Aveva la faretra sulla schiena e teneva stretto il suo arco, nonostante i suoi guanti glielo assicurassero alle mani.
«Cosa c'è?» le chiese infine.
«Sei viva.» fu l'unico commento che ebbe in risposta.
La base militare si trovava poco distante dalla città, ma sembrava essere lontanissima. Procedevano ad una velocità moderata, probabilmente per far agitare il meno possibile il loro pericoloso carico.
«Una volta arrivati dovremo dividerci.» disse il Cavaliere Blu.
Gli altri non ne furono molto felici.
Lory si rivolse al loro autista. «Craig, qual'è la situazione nella base militare?»
L'uomo diede un rapido sguardo ad uno schermo olografico. «Abbiamo guadagnato terreno, ma ancora c'è parecchia resistenza. Quello è un intero quartiere popolato solo da soldati scelti e sempre ben armati, prenderne il controllo è essenziale quanto difficile.»
«Combattono tutti nelle strade principali,» intervenne il figlio, Domnio «io ne conosco alcune secondarie che farebbero al caso nostro, ma posso guidare solo un piccolo gruppo.»
«Perché non potremmo usare il teletrasporto?» osservò Tart.
«Perché hanno dei rilevatori nel quartier generale, ci individuerebbero subito.»
«Ma è lì che dobbiamo andare comunque, no?» osservò Lory.
Il Cavaliere Blu scosse la testa. «Profondo Blu non andrà mai lì.» si rivolse direttamente a Domnio «La nostra meta è l'ufficio del comandante Triao, i sotterranei per essere precisi.»
«Ma dobbiamo aiutare i ribelli a conquistare la base.» protestò Lory.
Il Cavaliere Blu annuì. «Per questo dobbiamo dividerci. Voi MewMew e tu Tart, andrete in loro soccorso, le ragazze verranno come me, Domnio ci farà strada.»
«Sono delle squadre squilibrate!» protestò Paddy.
«Sono adeguate.» ribatté il Cavaliere «I vostri poteri serviranno a far vincere i ribelli, io ho bisogno di qualcuno meno vistoso, che sappia muoversi nell'ombra e che conosca il pianeta. O almeno il genere.» aggiunse accennando ad Aisha.
Nessuno rispose. Per quanto non si fidassero ciecamente di lui, aveva ragione. Le MewMew avevano sempre lottato allo scoperto, sebbene il più lontano possibile dalle folle, e avevano sempre avuto problemi a nascondere la loro vera identità. In più, Profondo Blu avrebbe potuto avvertire la loro presenza. Era il motivo per cui avevano dovuto rifugiarsi nello spazio e separarsi dai loro figli. Per proteggerli da lui.
Il silenzio fu il consenso di tutti.
«Come fai ad essere sicuro che verrà proprio dove dici?» chiese ad un certo punto Aisha, fissandolo dritto negli occhi.
Il Cavaliere esitò leggermente.
«Verrà.» sentenziò al suo posto Abigal.
E nessuno replicò.

Raylene seppe farsi valere. Al punto che gli altri cominciarono a credere che fosse valsa la pena recuperarla, sebbene il prezzo rimanesse troppo alto.
Decisero di non dividersi più. Erano abbastanza, otto, da poter contare sul numero.
Le guardie, sparpagliate per tutto l'ospedale in modo da controllarne ogni parte, erano relativamente facili da mettere fuori combattimento – si impegnarono a non uccidere nessuno. Era come un videogioco, ad ogni stanza un paio di avversari, tutti dello stesso livello, tutti abbattibili in pochi colpi, se precisi.
Il lavoro di gruppo li rallentò considerevolmente, ma avanzando in modo compatto furono sicuri di aver fatto piazza pulita di ogni possibile ostacolo prima di dichiarare libero l'ospedale. I dottori sembrarono notare appena il proprio cambio di fronte, continuarono a prendersi cura di chiunque venisse presentato loro davanti.
Riley fu ricoverato in neurologia, ma, essendo considerato stabile, fu praticamente dimenticato. Ethan rimase tutto il tempo con lui.
Faith, invece, o ciò che restava di lei, fu invece portata all'obitorio.
Oro si posizionò all'ingresso del pronto soccorso, di guardia, gli scudi costantemente alzati.
Silver, Raylene e Psiche pattugliavano i corridoi senza però dividersi e fungendo la infermieri ogni volta che fu necessario. Essere di nuovo insieme era bellissimo. La guerra non era ancora finita, lo dimostravano le centinaia di feriti che arrivavano da tutta la città, ma avevano vinto la loro piccola, grande battaglia.
New stette nelle due sale in cui avevano radunato tutte le guardie svenute. Controllava che le loro menti rimanessero addormentate, e nel frattempo estendeva i suoi poteri il più possibile conquistando un metro dopo l'altro, divenendo consapevole di ciò che accadeva in una parte sempre più ampia della città.
Mina salì sul tetto deserto dell'edificio e camminò fino alla balaustra che lo circondava. Guardò in basso. L'altezza non era un problema per una MewMew che poteva volare.
La notizia che l'ospedale era stato conquistato si era sparsa in fretta, era una benedizione per molti.
Spostò lo sguardo in alto, verso il cielo, cercando di spingerlo oltre le nuvole e la luce del giorno morente, fino allo spazio. Ce la stavano facendo, ma non avevano ancora vinto.
Poi qualcosa in lontananza catturò la sua attenzione.
Una spessa colonna di luce si stava alzando in lontananza, da chissà dove. Persino da lì, a distanza di pochi istanti, poté avvertire l'energia che emanava. Il suo istinto la riconobbe prima ancora che i suoi occhi mettessero bene a fuoco il suo colore viola.
Pam. Anche la battaglia nel mercato nero era stata vinta.
Strinse le dita intorno al proprio arco e si concentrò.
Lasciò che tutta l'energia che le rimaneva fuoriuscisse da lei, che si intensificasse così tanto da divenire concreta e visibile. Si sentì sollevare da terra mentre una colonna di luce blu la avvolgeva e saliva fino al cielo. Sperò che potesse arrivare fin oltre l'atmosfera, nello spazio, che potesse far sapere agli altri che lei stava bene. Come Pam.
Un pensiero terrificante le si fece strada nella mente.
Perché Pam? Perché lei aveva segnalato la vittoria nel mercato nero? Perché non Strawberry?

Caliane inclinò la testa di lato.
L'idea che i suoi guardiani non fossero altro che due bambini, la irritava da morire. Una, certo, era la figlia di Profondo Blu, ma ciò non la rendeva meno odiosa. Anzi. Era così vicina. Le sarebbe bastato toccarla e lasciar fuoriuscire tutto il suo potere distruttivo. Ci avrebbe messo pochissimo.
Azzurra si voltò verso di lei lanciandole un'occhiataccia tra il risentito e il comprensivo.
Caliane ebbe ancora più voglia di strangolarla.
Azzurra dovette ignorare questo suo ultimo pensiero perché tornò a prestare attenzione all'altro bambino, Always. Lui aveva qualcosa incollato al palmo della mano, una specie di piccolo schermo.
«Sta entrando qualcuno!» esclamò Always «Guarda, non è il Cavaliere?»
La curiosità di Caliane fu così forte da rompere il controllo di Azzurra per qualche istante, sollevò il busto puntandosi sui gomiti per poter vedere oltre le loro spalle.
Era vero. Era lui. Stava trascinando le scatole che Mark gli aveva consegnato nell'ufficio del comandante Triao, lo avrebbe riconosciuto tra mille. E con lui c'erano un'umana e la mezza alliena con i capelli azzurri. Dunque era proprio vero. Il Cavaliere voleva uccidere profondo Blu.
La curiosità e il trasporto furono sostituiti dalla repulsione e dall'odio.
Era solo un traditore.
Uno schifosissimo voltafaccia.
In tutta risposta, sentì un movimento all'interno di sé. Un calcio ben assestato dal dentro della pancia. Vi portò immediatamente una mano sopra. E si sentì ancora peggio. Portava in grembo il figlio di un traditore. I loro nemici avrebbero vinto la guerra e lei sarebbe stata con loro, come se fosse anche lei una traditrice. Mai!
Meglio essere una prigioniera.
Meglio essere morta.
Quel pensiero si fece strada dentro di lei e le impregnò la mente. La lasciò calma.
Sorrise addirittura. Forse stava impazzendo. Poco importava. Si odiava per aver amato un traditore del genere, per essere stata con lui, per aver concepito un figlio con lui. E per amarlo ancora nonostante lo volesse uccidere.
Si stese si nuovo.
Voltò la testa.
I bambini le davano le spalle, ma tanto lei non poteva muoversi. Azzurra le bloccava quasi ogni singolo muscolo. La bambina era cresciuta ancora, anche se ora stava rallentando. Fisicamente dimostrava quasi sei anni. Mentalmente era più matura e più infantile allo stesso tempo.
Avrebbe capito.
Questa volta si concentrò sui propri pensieri.
So che puoi sentirmi.
«E so cosa stai per chiedermi.»
confermò la sua voce nella sua testa.
Uccidimi. Disse comunque.
«Perché dovrei?»
Perché è ciò che voglio, ciò che ritengo più opportuno.

Nessuna risposta.
Non posso più combattere questa guerra e in ogni caso è troppo tardi, stiamo perdendo, no?
«Già. Perderete.»
Sarò una prigioniera a vita. Se mi lascerete libera continuerò a fare ciò per cui sono stata addestrata: combattere per il Governo arrettiano anti-Fratellanza, distruggere la Terra, dare la caccia agli ibridi. In prigione impazzirò e troverò comunque un modo per togliermi la vita.

«Non ha senso.»
Non per te. È ciò che voglio.
«Non puoi decidere anche per il bambino.»
Al diavolo è solo un ammasso di cellule ancora dipendente da me!
«È vivo.»

Ringhiò a denti stretti. Si sforzò di rimanere calma e concentrata mentre si sentiva piena di acido.
Dannazione. Dannazione perché infondo ne era felice. Strinse a pugno la mano che teneva sul ventre. No, doveva uccidere anche lui. O forse no. Forse bastava che morisse lei. Sarebbe nato in una guerra già finita, nella fazione sbagliata, ma almeno non sarebbe stato un traditore. Non importa. Uccidici.
«No! Non voglio!»

Questa dovrebbe essere la figlia di Profondo Blu? Una bambina che, malgrado non appaia proprio gentile, non vuote uccidere.
Per favore. A che vita mi vuoi condannare? E vuoi fare crescere mio figlio senza una madre? Con un traditore per padre! E poi sarà come me, i suoi poteri saranno oscuri e distruttivi, come quelli di tutta la nostra famiglia. Noi siamo diversi, non la nostra forza vitale non è acqua-cristallo, ma pietra-fumo.
Azzurra si irrigidì e voltò la testa verso di lei, fissandola negli occhi.
«Sai della pietra-fumo?»
Certo. È ciò che mi dà vita, ciò che alimenterà il bambino. Siamo l'antidoto a quelli come te, non potremo mai convivere. Puoi vederlo questo?

Azzurra annuì, ora, finalmente, sembrava preoccupata. Caliane non poté fare a meno di sentirsi orgogliosa.
«Tu non sei abbastanza potente da contrastarmi.»
Lo sono abbastanza da spaventare tuo padre, neghi forse che il mio potere potrebbe uccidere anche te se riuscissi a prenderti di sorpresa? E di cosa sarà in grado lui, il figlio del Cavaliere Blu, sarà persino più dotato di me.
«No! Lui nascerà, io l'ho visto. Blu nascerà.»

Caliane rimase di sasso. Blu? Ripeté. È così che si chiamerà?
«Sì.»
Diavolo.
Come poteva decidere di ucciderlo? Il suo cuore si fece improvvisamente pesante e sapeva che Azzurra non c'entrava niente. Una parte di lei, nel momento in cui la creatura che aveva dentro cessò di essere un'identità astratta e prese la forma di bellissimo bambino, andò in frantumi. Potresti accelerare la gravidanza. Disse. Così come è stato fatto per te. Tenere in vita solo il mio corpo quel tanto che basta per farlo sopravvivere.
«Non vuoi vederlo?»
Se lo vedrò non riuscirò più a decidere di morire. E poi mi odierò in eterno per questo.

Azzurra continuò a fissarla senza dire niente. Always era troppo preso dal suo piccolo schermo per prestare attenzione a quel loro scambio silenzioso. Alla fine la bambina dagli occhi azzurri abbassò lo sguardo e i capelli biondi le ricadono davanti al viso.
Caliane avvertì finalmente le palpebre appesantirsi e il bambino le diete un calcio più forte degli altri mentre si muoveva dentro di lei. Sorrise, sollevata.
Solo un'ultima cosa. Riuscì a decidere.
«Cosa?»
Dimmi se Profondo Blu e il Cavaliere moriranno.

«Cos'è quella?» chiese Ryan guardando direttamente verso il pianeta. Una luce viola bucava le nuvole e continuava a salire, dissolvendosi lentamente.
Kyle accanto a lui gli rispose con lo stesso sguardo interrogativo.
«Ce n'è un'altra!» esclamò Kathleen, alla loro sinistra indicando un punto che ai loro occhi appariva vicinissimo, ma che probabilmente era distante chilometri. «Questa è blu.»
«Riceviamo un segnale.» gracchiò la voce di Fosfor dal trasmettitore. «È di Mew Pam.»
«E di Mew Mina.» aggiunse Electra. Le loro astronavi monoposto stavano rientrando nello spazio proprio in quel momento. «Hanno preso il controllo dell'ospedale.»
«E del mercato nero, lo scontro è finito.» annunciò Fosfor.
Kyle non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo.
«E le altre?» chiese Kathleen «Come sta la mamma? E papà? E Mew Lory?» aggiunse guardando Ryan.
«Sono nella base militare fuori dalla città.» spiegò Electra «Non abbiamo notizie al momento, hanno interrotto le comunicazioni.»
«Aspettate.» Fosfor sembrava preoccupato. La comunicazione trasmise delle specie di imprecazioni a metà.
«Fosfor, che succede?» chiese Ryan
«Brutte notizie.» la voce di Fosfor era cupa.
«Quanto brutte?» lo incitò Kathleen torcendosi le mani.
«Orribili.»
«Fosfor...»
«Mew Berry.» per un po' non vi fu altro che silenzio «Abbiamo perso Mew Berry.»

«State indietro.» ordinò Aisha mentre incoccava una freccia e tendeva l'arco davanti a sé.
Erano il più lontano possibile dall'entrata dell'ufficio e il cumulo di pietra-fumo si trovava al centro della stanza.
Aisha si concentrò. Aveva sempre avuto un'ottima mira, ma la situazione richiedeva un'attenzione particolare. La sua energia fluiva nell'arco e alimentava la freccia ed entrambi sembravano vivi quanto lei. Erano una parte di lei.
Aprì le dita e la freccia volò via, passando attraverso la fessura millimetrica della porta socchiusa e colpendo il bersaglio con una precisione chirurgica. L'esplosione, come avevano, sperato, chiuse la porta e nulla uscì dall'ufficio.
Aspettarono qualche minuto, poi tutti e tre si avvicinarono con cautela.
Il cavaliere Blu dovette forzare un po' la porta, ma non vi furono altri problemi.  L'interno della stanza era irriconoscibile.
Una sostanza nera e semitrasparente ricopriva ogni cosa come una sottile e lucida pellicola adesiva.
«Non toccatela.» ordinò il Cavaliere Blu.
«Sei sicuro che funzionerà?» chiese Aisha, ancora scettica.
«Non io. Lo era Mark, perciò lamentati con lui. Magari a sua figlia spiegherà meglio il piano.»
Mentre Abigal spalancò gli occhi nel sentire quella frase, Aisha si limitò ad abbassare lo sguardo.
Lo sapeva. Lo aveva sempre saputo.
Così come sapeva che era lui l'uomo che li aveva sorvegliati e protetti in tutto questo tempo passato sulla Terra.
Il fatto che la notizia non avesse avuto l'effetto desiderato deluse un po' il Cavaliere. «Funzionerà.» disse cambiando discorso «Però bisognerà attivarlo.»
«Che cosa intendi?» domandò Abigal.
«Reagisce al contatto diretto con l'acqua-cristallo. Profondo Blu ne è impregnato, forse basterà.»
«No, non basterà.» sentenziò Abigal.
Il Cavaliere tacque.
«Tranquillo.» aggiunse la ragazza «Funzionerà.»
Lui alzò un sopracciglio, Aisha invece esclamò un sorpreso «No!» poi, in risposta allo sguardo del Cavaliere aggiunse «Vuole sacrificarsi, aspettarlo qui per attivare la pietra-fumo.»
«Ma devo farlo io, insomma, solo io posso attiralo qui.» era evidente che l'idea non gli piaceva.
«Falliresti.» decretò ancora Abigal «Tu vuoi salvarti e se ci riuscirai tu lo farà anche lui. Ci penserò io.» i suoi occhi imposero ad entrambi di non fare altre domande.
Lo sguardo di Aisha dal battagliero si fece rassegnato, sapeva di non poterla dissuaderla, e poi all'improvviso dolce. Si protese in avanti e la abbracciò. «Ce l'avevi quasi fatta,» sussurrò «ne eri quasi uscita viva.»
«Non ne sono mai uscita viva, in nessuna delle mie vite.»
Aisha non capì, ma non disse niente. Alla fine, dopo un attimo eterno e allo stesso tempo brevissimo, si separò da lei. «Addio, allora?»
Abigal annuì. «Ho promesso ad un amico che lo avrei raggiunto.» disse, a mo' di spiegazione «E di non fare troppo tardi.» i suoi occhi si fecero lucidi «Beh, lui era più di un amico.»
Aisha annuì. «Chiudi gli occhi.» le sussurrò.
Abigal ubbidì. Tese le orecchie il più possibile, sfrutto il suo udito fino di volpe artica, ma non sentì niente. Nessuno le disse di riaprire gli occhi, ma, alla fine, lo fece.
La porta era chiusa e l'ufficio era vuoto.
Era sola.
Non doveva esitare. Non doveva sbagliare.
Con mano tremante tirò fuori il suo ciondolo da sotto la maglietta e se lo rigirò tra le dita.
Sono qui. Pensò intensamente, mentre quello si illuminava.

New spalancò gli occhi di getto.
Scattò in piedi. I soldati intorno a lei si stavano lentamente riprendendo.
Si concentrò e annullò nuovamente i loro sensi. L'agitazione rafforzò il suo potere. Sarebbero rimasti così per un po'.
Uscì chiudendosi la porta alle spalle.
«Silver!» chiamò ad alta voce, cominciando a correre in direzione delle scale. Sapeva che era al piano si sopra, ma non di preciso dove.
Doveva raggiungerlo e avvertirlo in tempo. Dovevano almeno provare a salvarla.

Ci mise anche meno del previsto.
Dovette aspettare solo pochi minuti prima che l'aria davanti a sé tremolasse con intensità e che Profondo Blu si materializzasse davanti a lei.
«Victoria!» esclamò subito, illuminandosi e coprendo i passi che li separavano quasi di corsa. Tentò subito di baciarla, ma lei si ritrasse. Lui la trattenne, ma aggrottò le sopracciglia cercando il suo sguardo.
«Ciao Aaron.» disse lei dolcemente, prolungando il suono del suo vero nome il più a lungo possibile.
I suoi occhi brillarono. Mentre le teneva ancora una mano dietro la schiena, con l'altra le accarezzò il viso. Abigal resistette all'istinto di dimenarsi.
«Ricordi il mio nome.»
«In realtà, l'ho scoperto piuttosto di recente.» disse. La sua voce non era né suadente né ostile, solo sincera, come se non avesse davanti l'uomo che aveva amato la sua lei originale, né l'assassino di Dalton. «Tu, invece, proprio non ricordi il mio.»
Profondo Blu raddrizzò il busto e continuò a guardarla stranito.
Lei sospirò. «Io sono Abigal.» gli ricordò infine.
Un lampo di rabbia gli attraversò gli occhi e la strinse più forte. «Tu sei Victoria! So che sei tu, non so cosa ti hanno fatto, ma sei tu.»
«No. E sì allo stesso tempo.» gli concesse «Questo è il corpo che conosci, ma non lo stesso.» abbassò lo sguardo «Sono un'altra persona. Victoria Ikisatashi è stata la mia matrice, ma io non sono lei. Si può ricreare un corpo, non l'anima. Per quanto le possa assomigliare...»
«no»
«...io sono solo un clone.»
Era ciò che aveva detto anche quella specie di argentata bambina mutaforma. Non poteva essere. Si era rifiutato con tutte le sue forze di crederlo e sentirlo pronunciare dalle sue labbra era come una serie di coltellate.
«Non esistono i cloni.» disse, cercando di convincere sia se stesso che la ragazza che aveva di fronte. Anche clonate, due persone non potevano essere così uguali. Quella che aveva tra le braccia era Victoria e non avrebbe potuto essere nessun altro. Voleva farsi chiamare Abigal? Poco importava. Era lei.
Abbassò lo sguardo e i suoi occhi trovarono il ciondolo che portava al collo.
Abigal dovette trattenere un sorriso trionfante quando allungò una mano per prenderlo tra le dita.
«E sostieni di non essere Victoria.» abbozzò una risata «Ricordo il giorno che te l'ho dato. In modo che fossi sempre riuscita a trovarmi. O a farti trovare.»
Il cuore di Abigal batteva a mille. Era paura, e gioia. Ce la stava facendo, sarebbe riuscita ad ucciderlo, la guerra sarebbe finita, il pianeta sarebbe stato libero. La loro casa sarebbe stata finalmente loro. Ma morire la terrorizzava.
Dalton. Pensò.
Le mani le tremavano visibilmente mentre scioglieva il nodo della collana dietro al collo. Profondo Blu stringeva ancora il ciondolo.
«Sei l'unica che abbia mai amato.» le stava sussurrando.
Si ritrasse all'istante, disgustata, e la sua espressione non riuscì a nasconderlo. Questo, finalmente, sembrò scuotere l'alieno.
«L'unica persona che invece io abbia mai amato, è Dalton.» affermò lasciando che finalmente la sua rabbia si riversasse fuori da sé «Il primo dei Connect, il ragazzo cervo. E tu, mostro senza cuore, lo hai ucciso davanti a me!»
Le sue parole ebbero l'effetto sperato.
Gli occhi di Profondo Blu brillarono di rabbia e le sue mani si chiusero a pugno con una specie di spasmo. Sapeva che lo avrebbe fatto. In qualche modo Abigal lo sapeva. Il ciondolo che l'alieno teneva ancora in mano si frantumò all'istante l'acqua-cristallo filtrò tra le sue dita.
Abigal sapeva di avere pochi secondi e di doverli sfruttare al meglio per impedirgli di capire cosa stava succedendo e non dargli modo di scappare.
«Victoria mi ha scritto una lettera.» disse e catturò immediatamente la sua attenzione mentre la pietra-fumo che ricopriva tutto iniziava a brillare in modo sinistro «Voleva che tu sapessi che non ha mai smesso di amarti,» non poté resistere all'istinto di cominciare ad indietreggiare verso la porta «ma che il suo tempo era passato ed era felice.» l'aria si stava facendo pesante e opaca poteva sentire l'energia che stava per inghiottirli «Lo è stata con te e lo sarà per sempre.»
Fu come se l'intera stanza si fosse ripiegata su di loro, avvolgendoli, stringendoli, soffocandoli, schiacciandoli. Era fredda come il ghiaccio e bruciava da morire. Riempiva i polmoni e li imbottiva fino a farli scoppiare, veniva assorbita dalla pelle, trapassava i muscoli, impregnava le ossa. Non c'era scampo. Non risucchiava la vita, la polverizzava.
Abigal lottò con tutte le proprie forze, perché l'istinto di sopravvivenza le imponeva di farlo.
Come fosse lontano chilometri e chilometri e immerso sott'acqua, sentì Profondo Blu urlare. La sua piccola vendetta. Una grande vittoria. Era appena riuscita dove le MewMew stesse avevano fallito.
Quando i nervi del suo corpo, dopo un cortocircuito, smisero di obbedirle, fu solo la sua mente a dimenarsi, a tentare di respingere quella morte nera e pesante. I polmoni le scoppiavano.
Altri suoni in lontananza. Avvertì una sconosciuta fonte di energia, anche se non era abbastanza vicina da aiutarla.
In qualche modo seppe la base militare era stata definitivamente conquistata.
Volle urlare, ma non ci riuscì, i suoi polmoni stavano scoppiando, poteva sentire ogni singola cellula del suo corpo impazzire.
Poi una specie di esplosione le gettò aria nei polmoni per qualche secondo. Avvertì di nuovo il pavimento sotto di sé.
Non vedeva nulla tranne ombre.
«Abigal!» la chiamò qualcuno. Aveva il corpo così intorpidito da non sentire niente. Seppe solo che la propria angolazione stava cambiando.
Riuscì a mettere a fuoco per qualche secondo. Tutta la stanza era come bruciata. Di Profondo Blu non era rimasto niente se non un'indistinta sagoma carbonizzata e sfibrata di ogni brandello di vita.
E vide se stessa. Tutto il suo corpo era completamente nero e inerme.
Per un attimo si era illusa.
Non aveva mai avuto scampo. La pietra-fumo si era ormai fusa con il suo organismo, la stava ancora uccidendo.
La vista le si appannò di nuovo e questa volta sapeva che non sarebbe tornata.
«Abigal!» gridò il ragazzo inginocchiato accanto a lei e che la stava tenendo tra le braccia. Questa volta riconobbe la voce.
Quelle ultime gocce di energia le usò per parlare.
«Si...ve...» sibilò.
«Abigal!» questa volta il suo nome non era un richiamo, solo un gemito disperato. Stava piangendo?
«la... 'am'ina»
«C-cosa?»
Non riuscì a ripeterlo, stava già scivolando via. Silver riuscì però a capire.
«La bambina? Hope! Lei... nascerà in un mondo migliore. Grazie a te. Abigal... Abigal...» non sapeva cosa dire «Mi prenderò cura io di lei. E sarete tu e Dalton insieme.»
Riuscì a sorridere, o almeno credette di farlo. Era un'immagine bellissima. Una bambina che era parte di entrambi. Avrebbe voluto portarla in grembo. Sentirla crescere dentro di sé. E sapere che lei poteva ascoltare il suo battito.
Lei era stata creata in laboratorio, non aveva mai sentito il battito materno mentre si formava.
Sentiva un cuore ora. Silver doveva averla stretta al petto.
Non poté che pensare all'ironia della sorte. Lei non aveva sentito il battito materno e ora stava sentendo quello del nipote della sua matrice.
Dalton. Pensò infine, prima di scivolare via.

Un miscuglio improbabile di impulsi sensoriali le si rigettò addosso all'improvviso. Dopo quello che avrebbe potuto essere stato un secondo o l'eternità.
Voci, silenzio, bep-bep, un dolore forte altri più piccoli ovunque, aria pompata dentro la sua gola, mani ovunque, odore di ferro, plastica, disinfettante, una macchia opaca di luce negli occhi ciechi.
Poi niente di nuovo, ma un niente diverso.
Tornò in superficie per un'altra manciata di secondi, il clima che la circondava era più caldo e più tranquillo. I bep-bep più regolari e meno fastidiosi. Tutto più ovattato, ma anche più vicino. Le voci erano sollevate, anche se ancora incomprensibili.
Scivolò via di nuovo, questa volta più dolcemente.
Quando riprese i sensi lo fece diverso tempo dopo. Forse anche qualche giorno. Lo poteva sentire.
Riacquistò lentamente il controllo del proprio corpo, anche se rimase immobile. Aveva qualcosa nel braccio sinistro, probabilmente una flebo. Diversi punti del corpo le prudevano, come se fossero rimasti i segni tante piccole punture. Era stesa su un letto abbastanza comodo. I capelli erano sciolti intorno al viso, probabilmente anche tragicamente spettinati.
Si sentiva anche dimagrita, o almeno svuotata. Le energie che la stavano svegliando, però, significavano che aveva avuto già diverso tempo per riprendersi dalla fatica immane della battaglia.
Fece un respiro più profondo degli altri, come primo controllo. L'aria era fresca e piacevole, nonostante il leggero odore di disinfettante. Le tirò la pelle del fianco. Vi portò la mano. Non trovò la pelle, ma una fasciatura che copriva un grosso cerotto. Lo tastò comunque. Individuò una grossa cicatrice. Non sentiva altri dolori, però, qualunque cosa l'avesse ferita, doveva essere ormai in via di guarigione.
E poi, all'improvviso, i suoi ultimi istanti di vita le si rigettarono addosso come una valanga di neve gelida e lei spalancò gli occhi. Incontrò il soffitto bianco.
Per qualche istante si limitò a fissare i granelli di polvere che volteggiavano sopra di lei.
Poi, lentamente, girò la testa. Ghish aveva portato la sua sedia a metà del letto. Teneva un braccio steso accanto al suo corpo e la testa appoggiata sulla spalla. Dormiva beatamente. Le teneva la mano che non aveva mosso, quella del braccio con la flebo. Ovviamente, era bel lontana dal complicato macchinario terrestre. La sacca con la sostanza nutritiva era avvolta intorno al braccio come una specie di bracciolo da piscina e protetta da una fascia elastica e rigida. Era pesante, ma decisamente più comoda della variante terrestre.
Rimase per diversi minuti a guardare Ghish dormire. Aveva l'aria terribilmente stanca. Probabilmente non si era mai mosso da lì.
Le venne da ridere. Sicuramente era rimasto con lei per tutto il tempo, quasi lo vedere fare su e giù per la stanza e girarsi ad ogni minimo respiro per non perdersi nessun possibile sviluppo. E lei si era svegliata mentre dormiva.
Allungò la mano libera e gli scostò dalla fronte la ciocca verde che gli nascondeva parte del volto. Poi seguì con il dito il contorno del suo volto.
Lui spalancò gli occhi immediatamente. L'oro delle sue iridi si riversò all'esterno in un tripudio di luce riflessa e sfaccettature d'ambra.
Non avrebbe potuto desiderare un risveglio migliore.
«Strawberry!» forse doveva essere un urlo di gioia, ma la versione impastata dal sonno fu decisamente meno stridula e molto più piacevole.
«Buongiorno.» mormorò lei.
Ghish sorrise come un'ebete, poi, per un attimo, parve offeso. «Avrei dovuto essere io a svegliarti così.»
Strawberry sorrise. Poi rise proprio. «Ma va benissimo anche questa versione.» dichiarò.
«Va bene, allora mi limiterei a tagliare solo queste ultime battute.»
«Scordatelo, è tutto ripreso e sarà tutto confermato nella mia memoria in versione integrale.»
«Ohh, scommetto che non lo passeranno comunque mai in TV.»
«No, è un canale privato.»
Questa volta risero entrambi. Ghish si svegliò per bene e si stiracchiò un po' senza lasciarle la mano.
Poi si alzò e si sedette sul bordo del letto e si chinò su di lei. La baciò senza nessun riguardo, senza nemmeno tentare ad essere delicato, dopo la paura che aveva provato, era il minimo. Si ritrovarono senza fiato e non si fermarono a riprenderlo. Si fermarono solo quando il leggero bep-bep che monitorava il battito cardiaco di Strawberry non sembrò impazzire.
Ghish si allontanò quanto bastava per farle spalancare la bocca e inspirare. Rise sulla sua guancia, poi le baciò la tempia e infine appoggiò la fronte alla sua. Tennero entrambi gli occhi socchiusi, le ciglia che si sfioravano.
«Non... non morirmi mai più tra le braccia.»
Lei non disse nulla, si limitò a portare la mano libera al suo viso, accarezzandogli la guancia con il pollice e accarezzandogli poi i capelli verdi. Sapeva bene di cosa stava parlando. Anche lui le era morto tra le braccia, quasi nello stesso modo.
«Che cosa...» aveva la gola secca «che cosa è successo? Io... sono morta, lo ricordo. Cioè, non lo ricordo,» inspirò convulsamente.
«Shh.» fece Ghish chiudendo completamente gli occhi «Ti ha salvata Pai.» spiegò «Un attimo prima che morissi davvero ha preso la tua forza vitale. Ti ho tenuta in mano, ho visto la tua anima.» sussurrò con voce tra l'orgoglioso, il malizioso e il commosso «Aveva ancora un colore acceso, brillava tantissimo.» le diede un rapido bacio «Sei bellissima Strawberry, in ogni tua parte.»
«Ghish!»
La baciò di nuovo, questa volta in modo puramente giocoso.
Lei gli morse la lingua, anche se non forte, e lui si ritrasse.
Strawberry fissò le loro mani ancora intrecciate.
«I medici hanno detto che l'idea di Pai è stata geniale.» riprese tranquillamente «Abbiamo potuto portarti all'ospedale senza che le tue condizioni cambiassero, ti hanno ridato la tua forza vitale solo all'ultimo quando era tutto pronto. Ti hanno fatto immediatamente delle trasfusioni e operata. Sei salva per miracolo. E lo sono tantissime altre persone.»
«Oh, sono sicura che ora sapranno sfruttare al meglio l'idea di Pai.»
Ghish annuì vagamente, l'idea di parlare di Pai e delle sue idee la prima volta che la rivedeva, non gli andava a genio. Non gli sarebbe mai stato abbastanza grato, ma gli aveva anche fatto prendere un infarto.
«Aspetta. Da chi hanno preso il sangue per le trasfusioni?» osservò Strawberry «Io sono umana e quello delle altre ragazze non si può usare perché hanno un DNA animale diverso.»
«Beh una parte da Ryan, anche Kyle avrebbe voluto ma non aveva il gruppo sanguigno adatto. L'altra parte da Arlene, sai, la moglie di Mark.»
«Il sangue è arrivato dalla Terra?»
«Già.»
«Arlene ora è la moglie di Mark?»
«Già.»
«Mi sono persa un sacco di cose.»
«Già»
«Quanto tempo è passato di preciso? Sai, non vorrei dovermi ritrovare con dei figli più grandi di me o roba simile.»
«Solo cinque giorni. Ma i cinque giorni più caotici che si siano mai visti. Non hai idea di quante cose sono cambiate. Almeno così dicono Aprilynne e Catron.»
«Così dicono?»
«Ehi, io non mi sono mosso da lì, non ho nessuna fretta di vivere in un nuovo mondo da solo.»
Strawberry sorrise. E fu un sorriso bellissimo.
Si tirò su fin quasi a mettersi seduta. La cicatrice tirava un po'. Portò di nuovo la mano libera sopra le bende. «Non se ne andrà mai, vero?» chiese anche se già sapeva la risposta. Già conosceva la cicatrice. Ora ne avrebbe avuta una uguale. Ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma ormai era marchiata sulla sua pelle, tanto valeva vedere il lato positivo. Avrevvero avuto qualcos'altro in comune.
Ghish scosse la testa.
«Mai.»



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o mio dio o mio dio
ancora non riesco a credere di essere arrvata a questo punto
Manca solo l'epilogo! (piango)
Come mia abitudine, non scriverò niente lla fine dell'ultimo capitolo perciò ci tengo  fare tuti i ringraziamenti ora.
Grazie a voi nove (perché sì, siete solo nove) che avte seguito fino all'ultimo questa storia e grazie a tuti coloro che passeran qui anche solo per caso, non vi sarò ai abbastanza grata.
Un abbraccio forte forte quindi a:

Ria , Yoake e Akly
e
Salice_ , Ginchan , Chocolae90 ,  tazzilla , Kurosaki_chan e Mizuiro_Chan

Questa è stata la mia prima fan fiction, su Tokyo Mew Mew - la mia serie di cartoni preferita, quella in cuiè rimasta una parte consistente della mia me bambina - e in assoluto, la prima storia che ho puublicato qui su efp (e con la quale eo arrivataa temere di dover concludere per quano a lungo si stava protraendo).
Non è la prima storia che ho portato a termine in vita mia, ma l terza, il che le fa comunque guardagnare un posto sul podio e una stra-meritata medaglia di bronzo.
Non pretendo che vi sia piaciuta quanto a me, sarebbe impossibile a prescindere, mi auguro solo che vi sia piaciuta, che si sia guadagnata il tempo che le avete dedicato.
Per adesso e per tutto il tempo avenire, il solo e più grande augurio che voglio farvi
è bonne lecture.

Artemide12

  
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