portami a bere dalle pozzanghere
Portami
a bere dalle pozzanghere
In a little while
I’ll be gone…
Non ne ho bisogno più, ma vivo di conseguenza.
Ti ho sempre nascosto dentro un barattolo di marmellata
di ciliegie, terzo scaffale, primo ripiano, dietro le patatine al formaggio e i
biscotti al burro. Non ho mai voluto che avessi un nome, definirti sarebbe
stata l’ultima ulteriore sconfitta.
Perché è questo quello che sei: la più grande sconfitta
della mia vita, fino ad ora.
Ti ho permesso di strisciare sotto ogni singola superficie
del mio appartamento. Ti ho appeso al muro insieme alla locandina di un
concerto degli Editors; ti ho ricoperto di stucco quando ho capito che non
sopportavo la vista della tua scapola contro la porta; ho divorato a cucchiaiate
il gelato al pistacchio scaduto e ho buttato il cucchiaio dalla finestra perché
aveva ancora il sapore del tuo palato.
Ho costruito un cassetto a parte, di fianco a quello dei
sogni, proprio sopra a quello dei calzini sporchi e in direzione di tutto
quello che prima o poi appenderò al chiodo, ci ho nascosto tutte le grandi
aspettative che mi ero fatta su di te e le ho ricoperte di disillusioni.
È duro il modo in
cui mi osserva, quel cassetto, mi fa
sentire sola e sai benissimo che non posso permettermelo.
Da quando ho smesso te ho cominciato me stessa e mi sono
resa conto che è questo quello che facevi: mi facevi sentire me stessa anche
quando non volevo esserlo, quando sapevo che non era la cosa giusta, quando mi
allontanava da tutto ciò che mi avrebbe resa finalmente quello che esattamente
cercavo di essere. È stato quando ho smesso di avere tabacco nelle tasche e
filtri sparsi nel letto che ho capito di non voler essere nient’altro che
quella testa spettinata d’idee disorganizzate che rotola accumulando altro caos
e altra polvere.
Da quando ho smesso te ho davvero cominciato me stessa, senza voler cambiare lo schifo di
cose che mi appartengono.
Hai lasciato le ginocchia sul divano, quando ti ho detto
che pungevano contro la schiena. Fanculo
adesso sono anche troppo magro, come se ci fosse realmente qualcosa di te
che non mi andasse bene. Siamo un’amicizia fraintesa e la conseguenza di una
presa per il culo, solo che tu non sei tipo da presa per il culo. No, tu sei il
tipo che sorride in mille modi e poi non
ride mai, sei la copia permalosa di un uomo consapevole di ciò che vuole.
La prima volta che mi hai sorriso è stato quando hai
visto quella nuvola grigia sulla mia testa, così simile alla tua. Ci pioveva
addosso e noi ce ne andavamo in giro con le ossa arrugginite e i capelli color
rame.
Mi sono innamorata dell’odore della tua pioggia ancora
prima di sentirmi le gocce addosso.
E le ho sentite, le gocce, le ho sentite sul cappuccio
rosso quando mi hai respirato sul collo, ubriaco di birra. Ti sei aggrappato al
primo bottone e mi hai spinta contro il vetro umido, proprio sotto l’insegna
del locale, e mi hai chiesto scusa. Le tue premesse fanno giri incredibili,
passano per spazi indefiniti, raccolgono parole mai dette e fanno cigolare le
scapole contro il vetro; le tue premesse raccontano una storia diversa da
quella che conoscevo e mi pongono su un piano opposto rispetto a quello della
ragione.
Ho capito che eravamo sbagliati quando mi sono sentita
sbagliata per la prima volta davanti ai tuoi occhi. Io, piccola, che non ti
capivo, e tu aggrappato ad un bottone che mi chiedevi scusa perché mancavi da
un po’ e non te n’eri reso conto, non fino a quando non mi hai vista lontana,
chiusa nel cappuccio rosso.
Mi piovevi addosso con quello sguardo perso e mai più
ritrovato.
E chiedo perdono ai
punti cardinali dello stare al mondo per non averli riconosciuti, perché da
quando mi hai guardata la prima volta non ho chiesto nessun altro sguardo e ho
pensato che mi bastassero una canzone beat e una guida su come perdersi ogni notte
di più nei discorsi di qualcuno che indossa la tua stessa nuvola grigia.
Con te ho capito di poter essere e non solo di poterlo desiderare. Quel viaggio sulla costa,
il sacco a pelo e le noccioline tostate; la barca sul molo e il tramonto con i
piedi nell’acqua; la canzone dei Red Hot via dal finestrino e un fiume di parole
sconnesse su una rivoluzione. Con te ho scoperto la curiosità incontenibile di
sapere la direzione della tua pioggia, quante volte ci sei scivolato su, quanto
spesso ti sei costretto a piantarti al centro della strada senza il coraggio di
continuare sempre dritto, quante volte ti sei detto arrivato senza arrivare
mai.
Con te - io - all’inizio - senza sapere chi fossi - ero
già meno sola.
Ero già meno sola dal fotogramma ventisei, quello in cui just break the silence in controluce e
con gli occhi semichiusi. Dal secchiello sulla sabbia e tu che ti immagini fotografo.
Come quella volta in cui ti ho chiesto un bianco e nero e non solo mi hai dato
i colori ma mi hai fatto anche credere di essere bella con il rosa sui capelli
e un mare di rosso sulle guance. Tu, l’unica persona capace di riprendermi di
schiena, senza testa, con le bretelle appese e Elvis nello zaino. Tu, che ti
confondi tra i miei capelli mentre balliamo al centro del nulla, ai piedi di un
palco vuoto.
Io prima del cioccolato alla ciliegia, delle riprese
storte dei tuoi viaggi di ritorno, prima dei piedi contro il muro e
dell’euforica sensazione di essere felice, felice per davvero…prima di tutto
questo, non mi sentivo sola. Sei stato tu, con la pioggia e l’inglese
masticato, con un biglietto in mano e le patatine fritte spalmate sulla maglia
grigia, tu con tutto quello che mi dava fastidio ma andava bene così.
Non ne ho bisogno
più, ma vivo di conseguenza e continuo a bere dalle pozzanghere il sapore
di noi due che ci siam piovuti addosso.
…the moment’s already passed
Yeah, it’s gone.