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Autore: danonleggere    17/03/2015    4 recensioni
“Questa è la famosa toga? Sembra una pezza da piedi.”
Vero, come la libertà e la dignità degli italiani che quel tessuto significava. Sporco, lacero e ormai in balia di altri.
La stoffa candida era macchiata di sangue una volta caldo, e striata dall’erba non più rigogliosa.
“Germania io…”
“Non parlare.” gli intimò il tedesco.
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non riesco a sistemare il formato, se qualcuno può illuminarmi il mio problema è che ho tutto il testo con lo stesso carattere/dimensione ma poi me lo fa vedere come vuole lui. Ma andando ala storia: non ci sono ship di genere alcuno, NEANCHE ITACEST, no, lo dico così. Per sicurezza.
E il fatto che determinate cose succedano a Romano o Feliciano dipende più che altro dalla mia bellissima vena sadica e dal fatto che penso che Veneziano possa vendicarsi. E... non riesco a non far capitare chissà cosa a Roma, chissà perché. Buona lettura.
 
 
 






 


Feliciano aprì lentamente gli occhi dal leggero sonno nella quale era caduto. Guardandosi intorno riconobbe la stanza della villa romana che ormai pareva più un ospedale.
Si stiracchiò debolmente, quando un colpo di tosse alla sua sinistra lo riscosse immediatamente.
Romano ebbe un altro spasmo che lo portò a piegarsi in due nel sonno.
Il minore preoccupato si precipitò ad aiutare il fratello detergendogli la bocca.
Erano ormai un paio di giorni che il meridionale sputava sangue e non riusciva ad alzarsi dal letto.
Tutto era iniziato dall'avanzata tedesca in Sicilia. Da quando gli invasori si erano fatti largo a suon di bombe tra i civili non pronti ad una guerra, Lovino aveva cominciato a stare male.
Tempo un paio di giorni e l'isola era stata completamente assediata. L'avevano trasformata in una base tedesca sul mediterraneo.
Romano non voleva far altro che correre dalla sua amata terra a far sloggiare i crucchi, ma si era dovuto placare quando si era reso conto della forza avversaria.
Un esercito vasto e attrezzato. Soprattutto addestrato per quel momento. Come un incubo diventato improvvisamente reale.
I fratelli Italia si erano allora ritrovati a Roma per il contrattacco, o perlomeno per chiedere aiuto all'Europa, ma Germania era stato più veloce.

Dalla sua base militare rinominata Krautland aveva lanciato in cielo delle mine piene di polvere al rame che aveva reso inutilezzabile ogni via di comunicazione.
I Vargas erano letteralmente tagliati fuori dal mondo.
Veneziano aveva tentennato.
Magari se si fossero arresi Ludwig li avrebbe risparmiati. Avrebbe smesso di far male a Romano inutilmente.
Ma lo sguardo del
fratello lo aveva fatto desistere.
Cosa avrebbe fatto se fossero state le sue città ad essere messe sotto attacco?
Come avrebbe reagito al pensiero della torre di San Marco minacciata dalle bombe?
No. Avrebbero combattuto, avrebbero difeso casa loro.
Anche se sembravano degli sprovveduti sapevano cos'era la guerra e come si combatteva.
Spostarono il loro quartiere generale a Napoli, ma lì sembrava che la situazione potesse solo peggiorare.
Germania aveva lanciato delle bombe sulle città più famose del meridione, come se stesse mirando a qualcosa di più grande visibile solo a lui.

E ancora Romano tossì. A Veneziano tornò in mente la discussione a proposito di cosa avrebbero potuto fare di qualche giorno prima.

"Non possiamo mandare qualcuno, quel bastardo ha preso degli ostaggi, e non esiterebbe a servirsene." sussurrò Lovino.
"Ma se non contrattacchiamo continuerà a danneggiarti." rispose preoccupato Feliciano.
Perché Germania stava colpendo la penisola solo da Roma in giù?
Perché stava attaccando solo Romano?
Insomma, se ne erano accorti tutti, non si poteva negare. Il tedesco aveva scelto accuratamente i posti da bombardare. Una precisione chirurgica che si dimostrava dal fatto che Veneziano non aveva subito danni. Solo per empatia capiva cosa stava passando il fratello.
Ma ne era distante.
E a sua volta nella parte meridionale dello stivale venivano colpite solo determinate zone, alcune persone.
Da tempo le nazioni si erano accorte che alcune parti del loro territorio reagivano in modo diverso. Ad esempio se Roma veniva colpita entrambi i Vargas ne erano consapevoli per il dolore che si propagava dentro di loro. Similmente se a subire danni erano Napoli o Venezia solo uno dei due fratelli aveva ripercussioni fisiche reali.
A loro volta determinati luoghi erano come centri di potere e dolore. Sotto la terra passavano nervi, vene e recettori.
E Germania stava colpendo Romano in modo da renderlo inoffensivo, ma completamente cosciete.
Il dolore, la consapevolezza di non poter fare nulla per la sua gente lo straziavano più degli attacchi in se.
Ludwig aveva studiato tutto.

Mentre i maggiori esponenti delle difese erano riuniti intorno a Italia per elaborare il piano di un assalto notturno alla base in Sicilia per tenere occupati gli invasori, qualcosa picchiettò alla finestra.
Uno degli ufficiali si apprestò a controllare ritrovandosi un pulcino giallo con attaccato alla gamba un messaggio.
Romano emise un ringhio basso mentre Veneziano quasi tra se parlò "Dovevo saperlo, una strategia così maniacale non poteva essere tutta opera di Ludwig."
Il pensiero che anche Prussia facesse parte di quel piano malato scosse i fratelli che non si diedero per vinti. Afferrarono tutti i piani che i sottotenenti avevano preparato scartando quelli che prevedevano un offensiva diretta alla nazione tedesca. Se anche l'albino si era messo a giocare le difese che avrebbero trovato erano fuori dalla loro portata.

Altri attacchi e le condizioni di Romano peggioravano a vista d'occhio. Non riusciva a lavorare per più di un paio d'ore consecutive, caricando sempre di più i suoi collaboratori.
Veneziano per alleggerirlo un po' si era preso la responsabilità di radunare un esercito e addestrarlo. Non sapendo a cosa sarebbero andati incontro i posti erano aperti a tutti, uomini e donne, sopra i diciotto e sotto i sesanta. Ma nessuno sarebbe stato obbligato.
Dato che la parte settentrionale pareva sicura i bambini e i malati furono fatti evaquare dal meridione, dove invece si andò a stabilire il centro di comando.
Le vecchie strategie, o la preparazione sarebbero state vane. Con le nuove tecnologie che avevano individuato sul campo nemico avrebbero dovuto inventarsi altro.

Romano nel suo letto lottava, ad ogni nuova fitta rispondeva con un insulto sempre peggiore e in qualche dialetto. Gli era scappato qualcosa anche in greco, ma era l'unico modo per non tenere tutta la testa concentrata nell'agonia. Ogni tanto aveva qualche ora di lucidità, ma la occupava con i preparativi e le lettere di aiuto alle altre nazioni.
I messaggi, ma soprattutto il modo per farli arrivare.

Non era mai stato troppo bravo nella diplomazia, preferiva contatti diretti e senza giri di parole, ma ora non aveva scelta.
Come Veneziano che avrebbe di gran lunga scelto di rimanere attorno ad un tavolo piuttosto che correre per allenarsi.

In un momento del genere non potevano fare gli schizzinosi.
Italia in primo luogo, ma gli italiani alla fine dovevano fare tutto ciò di cui c'era bisogno. Non ciò che volevano.
Gli abitanti del settentrione si esercitavano, combattevano e difendevano. Quelli del meridione mettevano in salvo chi o cosa riuscivano. Una volta finita l'evaquazione avevano assicurato tutti gli edifici più importanti, per poi dedicarsi alla cura dei feriti.

Ognuno stava dando il massimo. Ogni ora di ogni giorno era spesa per la protezione. Anche chi non aveva mai fatto nulla capiva la gravità della situazione e dava una mano.
Alcuni gruppi di uomini erano riusciti da poco a localizzare le zone di lancio missili. Si trovavano in piccole piattaforme nel mare, che erano lì da anni.
Ma da quanto questo scempio veniva progettato?

Veneziano corse verso la camera del fratello per riferirgli le ultime novità. Nonostante ci fossero già persone che si apprestavano a tenere il maggiore informato, ci teneva ad andarlo a trovare.
"Ve, Romano." lo chiamò per essere sicuro che lo stesse a sentire "Adesso è tutto pronto per il tuo trasferimento." gli disse piano.
E quasi Lovino non trovò la forza di protestare "T'ho detto che nun me movo daccà."
"Ma te sei visto?" cercò di convincerlo il minore. A seguito di altri attacchi le condizioni del meridionale erano peggiorate, ora riusciva a stare lucido solo per qualche ora al giorno.
"Non andrai lontano, solo che la laguna sarà più sicura." non sapevano ancora per quanto Roma sarebbe stata fuori dalla portata degli attacchi, quindi era meglio se si fosse riparato il più possibile.
Il settentrionale lo guardò preoccupato cedere, doveva esserci sotto qualcosa se era così arrendevole.
"Qualcuno ti ha risposto?" chiese ancora con un filo di voce, Lovino sarebbe dovuto stare in estremo riposo, ma nonostante questo voleva lavorare.
"Te l'ho detto che non sono bravo a chiedere aiuto..." si interrompè per un colpo di tosse.
"Nessuno." capì Veneziano.
"Quei bastardi hanno detto che hanno le loro gatte da pelare, ma penso che il mangiapatate abbia provveduto anche per loro."
La domanda che entrambi i fratelli si facevano da quando il tutto era cominciato aleggiava nell'aria.
Perché?
Lovino riprese a parlare più lentamente "Feliciano, me la devi promettere una cosa prima del mio trasferimento." e cercò di alzarsi "Ti prego, non ti arrendere."
Veneziano strinse le mano del fratello e promise.
Non l'avrebbe tradito, avrebbero lottato, avrebbero vinto o perso.
Ma sicuramente insieme.

Così si ritrovarono la settimana seguente a dover comunicare tramite staffette perchè le radiocomunicazioni potevano essere intercettate. Entrambi i fratelli trovavano la nota comica in quelle traversate.
Le tecnologie erano progredite, ma ancora avevano pochi caposaldi durante le emergenze.
Veneziano controllò i piani che gli erano arrivati dal fratello, era riuscito a trovare un valico tra le alpi sotto consiglio del minore. Ma cosa più importante, era riuscito a trovare il modo per usarlo per infiltrarsi in Germania.
Anche le altre nazioni erano preoccupate e temevano il comportamento dei fratelli teutonici, ma in un modo o nell'altro avevano le mani legate. Specialmente in Europa.
Nonostante questo non si sarebbero arresi, Francia poteva non essere così assiduo nel controllare il confine.
E Svizzera poteva chiudere un occhio e risparmiare munizioni.
Ora quello che mancava era una squadra che agisse.
Italia avevano discusso e controllato ogni minimo punto del loro piano, avrebbe dovuto funzionare per forza. O si sarebbero ritrovati da capo.
Avevano trovato il plotone scelto di cui necessitavano e l’avevano addestrato in vista solo e unicamente di quella tattica.
Ora i fratelli si ritrovarono a Venezia per dare il via alla controffensiva.
Romano lottava per prestare attenzione al piano che assieme a Veneziano aveva costruito. Mattone per mattone.
 
Attaccare la base siciliana sarebbe stato inutile e uno spreco di forze.
Cercare di disarmare ogni piattaforma di lancio missili dispersivo.
Ma allora che fare?
Come sorprendere i nemici nel loro stesso campo?
Semplicemente facendo ciò che non si aspetterebbero mai.
Attaccarli direttamente.
I fratelli teutonici avevano fatto arrivare tutte le richieste di accondiscendere alle loro proposte tramite Gilbird proprio per mettere in chiaro che oltre la potentissima forza distruttiva in attacco, caratteristica di Germania, potevano contare su una difesa pressoché perfetta, a opera di Prussia.
Era una mossa calcolata, valutata per escludere attacchi diretti alla nazione tedesca.
E avrebbe perfettamente funzionato se non si contava la disperazione che aveva assalito gli italiani.
Ormai era palese che avrebbero perso.
E allora bisognava stravolgere le cose.
I tedeschi pattugliavano i confini, ma leggere qualcosa su una cartina lo mette in un’ottica diversa dal viverci.
Quindi il plotone scelto e rinominato Impetum riuscì a eludere facilmente le truppe nemiche affidandosi a Maria, guida alpina da ormai trent’anni. Ci era cresciuta tra quei valichi, e nessuno li conosceva meglio di lei.
Il gruppo contava dieci membri, i migliori.
Il loro piano era infiltrarsi in Germania e cercare di capire il motivo di quell’attacco sotto copertura.
Avrebbero fatto una cosa difficile, se fossero stati scoperti la morte sarebbe stata pietà nei loro confronti.
Dovevano fingersi spie.
Non sarebbe stato facile. Per nulla.
Ma da contatti Romano aveva ritrovato un vecchio amico nei confini tedeschi che li avrebbe aiutati a rendersi credibili.
Se fossero arrivati al punto di incontro.
 
Avrebbero dovuto accerchiare il territorio nemico, e valicare le Alpi per la Svizzera era solo il primo step.
In un treno merci erano passati in Francia, casualmente proprio mentre Francis faceva personalmente un controllo alle nuove dogane.
Un grande possesso di un vecchio nobile permise il superamento del confine belga, ma non andarono oltre.
Germania aveva invaso la nazione per evidentemente cercare di sfociare in Francia senza lasciare vie di riparo sicure. E questo aveva bloccato il plotone.
 
Non si seppe più nulla di loro dalla nota in un piccolo bigliettino sempre portato dal piccolo pulcino prussiano che recitava solo:
Ve l’abbiamo già intimato. Arrenditi.
Sotto campeggiava la data del 26 febbraio.
Quella piccola squadra di speranza era durata meno di una settimana.
 
Non si sarebbero arresi comunque!
Travolto da uragani interiori Veneziano si diresse immediatamente nella camera del fratello.
Sapevano che sarebbe potuto succedere. Avevano un’altra strada.
Altri piani con nuove sorprese.
Ma non ce l’avrebbe mai fatta da solo.
Romano ancora dormiva, sembrava così beato ormai.
Era un giorno intero che non si risvegliava, ma la sua espressione pacifica faceva intendere che andava tutto bene dove si trovava in quel momento.
“Sai fratellone” il minore si sedette vicino all’altro carezzandogli una mano “ho paura.”
Ma non di questa guerra, anche se è meglio definirlo massacro.
Non delle conseguenze o dei numerosi attacchi.
Le difese possono cedere e i piani fallire.
Ma ciò che Italia temeva veramente era che suo fratello non si sarebbe risvegliato per continuare la sua frase.
Erano pensieri inutili in quel momento, anche se si fossero avverati i loro cittadini erano più importanti.
La sua sopravvivenza lo era.
Gli attacchi a sfiancare il maggiore continuavano e solo dopo un paio di giorni riuscì ad alzarsi dal suo letto.
Cuore pesante e mente nera “Come sta andando il piano?” furono le sue prime parole dopo aver trovato il fratello con lo sguardo.
Trovati, forse torturati. Ormai sicuramente morti.
“Non si hanno ancora notizie.”
 
E invece le aveva avute, eccome. Ma non soltanto quelle.
In una settimana una lettera consegnata a mano da un giovane tedesco suggeriva la pace.
Se così si poteva chiamare la resa incondizionata dell’Italia a vantaggio della Germania.
Ma come poteva Veneziano dire a Romano che ci aveva pensato.
Che pur di non vederlo soffrire si sarebbe umiliato nel peggiore dei modi?
Perché con evidente sadismo non bastava piegare il capo. I tedeschi volevano la prova tangibile della sottomissione completa di quel popolo ormai calpestato.
Veneziano avrebbe dovuto portare la toga che era stata di Impero Romano nella nazione del nord, e offrirla per la sua salvezza.
Quella richiesta non aveva scopi pratici.
Mera soddisfazione personale.
Se le bandiere erano qualcosa di sacro per le nazioni, quello era il vessillo dell’infanzia di Italia.
Entrambi i fratelli cresciuti dal nonno sentendo le sue storie, assaporando la sua vita, vedendo la fierezza con la quale indossava quei vestiti.
 
Ma ormai la decisione era stata presa.
 
Senza dire nulla al fratello, Veneziano rispose a Germania che era pronto per la resa, in cambio il tedesco gli lasciava le frontiere aperte per accoglierlo a Berlino.
Durante la prima settimana di marzo partì.
Sembrava quasi una presa in giro la primavera che si svegliava mentre lui si andava a consegnare.
No, portava solo della libertà non sua.
 
Da accordi partiva solo, a piedi e senza armi.
Come una passeggiata da un amico.
Tanto per una nazione non era troppo complicato o particolarmente difficile.
Mentre usciva dalla sua terra vedeva distruzione e sangue. Quello che doveva essere simbolo di vita macchiava inesorabile strade e muri.
I feriti venivano aiutati il più possibile, ma se qualcuno rimaneva da solo poteva essere dimenticato.
Feliciano passò vicino a quello che un tempo era un albergo, dove ora venivano portati i bambini a cui non rimaneva nessuno.
Gruppi di volontari aiutavano il più possibile, ma non abbastanza.
Una bambina corse incontro al ragazzo aggrappandosi alla tunica che aveva legato in vita, con sguardo terrorizzato.
“Di qua veloce!” urlava mentre cercava di trascinare il castano con sé.
Un altro bambino se ne stava seduto su un muretto vicino con una gamba coperta di sangue.
“Il dottore gli aveva detto di non muoversi!” lo sgridò la bambina.
Italia strinse il cuore e sollevando il bambino per riportarlo dai medici non si lasciò sfuggire un commento.
Una parola soltanto lo avrebbe fatto scoppiare.
Si ripeté che lo faceva per loro, così non se ne sarebbero feriti altri.
Perso nei suoi pensieri se ne andò per la sua strada senza accorgersi di essersi macchiato.
Molta gente vedendolo con una macchia scarlatta che pareva fasciata malamente cercavano di fermarlo per aiutarlo, ma non si sa come dalla sua espressione intuivano che dovevano farsi da parte.
 
Il primo confine era superato.
 
L’Austria lo attendeva cupa e minacciando un temporale.
Ma la cosa che fece rabbrividire la nazione erano le bandiere tedesche a tappezzare le vie.
Quindi è così che anche loro sarebbero finiti?
Il carminio sarebbe stato accompagnato da un’alba grama al posto che alte vette e fertili pianure?
 
Continuò la sua marcia fino a quando non fu sicuro di essere arrivato in Repubblica Ceca, doveva essere attorno al quattordici.
Solo due giorni e sarebbe dovuto essere a destinazione.
Mentre si riposava immerso nei suoi pensieri un bambino gli si avvicinò, restando però a una debita distanza, assicuratosi che fosse straniero colpì.
Lanciò un sasso a Feliciano urlandogli di andarsene con tutto il fiato e il coraggio che possedeva. Per poi scappare.
Italia d’istinto si alzò per inseguirlo, ma un piede in fallo lo fece cadere in un prato.
Aveva paura ma a sua volta la incuteva.
Però a differenza di quel bambino lui abbassava il capo.
Cosa avrebbe detto suo fratello a vederlo coperto di erba e terriccio, prossimo alla resa in terra nemica. Con la tunica del grande impero che li aveva cresciuti sporca tra le mani?
Si faceva schifo da solo.
E ormai camminare non bastava più a tenerlo lontano dai pensieri.
Lo tormentavano, insultavano e denigravano per quella decisione presa.
Senza suo fratello sapeva fare solo questo?
No, ci aveva riflettuto.
Avrebbero potuto riprendersi la loro libertà quando Romano sarebbe stato meglio.
Se i teutonici l’avrebbero permesso.
 
Pena e biasimo.
Questo gli bloccava le gambe davanti al luogo dell’incontro. Centro di potere della Germania rinata.
Quasi come una fenice, pronta a incendiare il mondo con il suo passaggio.
Ludwig lo poteva vedere dalle finestre che davano sulla piazza, ma non lo avrebbe forzato.
L’umiliazione doveva venire tutta dall’Italia.
Erano ore che questa situazione non mutava.
Veneziano non si muoveva e Germania osservava.
Il castano iniziò a tremare, freddo, paura, rabbia, erano mischiate nel suo corpo.
Non avrebbe saputo dire quale stava prevalendo quando si incamminò verso l’edificio.
Doveva essere davvero tardi, nessuno nei saloni lo attendeva.
Solo un paio di figure pregustavano quel momento.
“Inginocchiati.” gli intimò il biondo con voce fredda.
Veneziano ubbidì poggiandosi al suolo e tenendo il capo basso.
“Facci vedere la tunica.” disse l’albino facendo schioccare i suoi stivali mentre si avvicinava.
Un singhiozzo scosse le spalle del castano mentre scioglieva il nodo che lo separava dalla fine delle sofferenze.
Non era necessario continuare a essere uno stato sovrano, finché poteva essere indivisibile.
Ma Romano.
No, per lui era lì.
Ma gli aveva fatto una promessa.
Cosa avrebbe fatto suo fratello una volta tornato indietro? Si sarebbe arrabbiato?
No, l’avrebbe guardato anche lui con spregio.
Mentre stendeva la stoffa vide nei loro occhi disprezzo. Prevedibile.
“Questa è la famosa toga? Sembra una pezza da piedi.”
Vero, come la libertà e la dignità degli italiani che quel tessuto significava. Sporco, lacero e ormai in balia di altri.
La stoffa candida era macchiata di sangue una volta caldo, e striata dall’erba una volta rigogliosa.
“Germania io…”
“Non parlare.” gli intimò il tedesco.
Ma come poteva lui, rappresentante di uno dei più bei paesi, solare e allegro ridursi così. Lontano da chi amava e costretto per l’ennesima volta a tacere.
 
“No.”
Una sola sillaba fece scattare il piede di Prussia sulla sua faccia.
“Hai detto qualcosa?” rise.
 
Lovino era con lui.
 
L’Italia era con lui.
 
“Ho detto no.” con uno scatto fulmineo si diresse verso Germania.
Gilbert non esisteva a livello geografico, e la sua forza fisica rispecchiava ciò, rendendolo quasi insignificante.
Al totale opposto del biondo.
Lui era il solo e unico nemico.
Puntando sulla sua agilità si lanciò all’attacco, e riuscì a rubare un pugnale a un Germania impreparato. Questo non era nei suoi piani.
Italia era riuscito solo a portargli via un’arma decorativa, non gli sarebbe servita a molto, ma anche la spada al fianco del tedesco era solo da parata.
Si guardarono negli occhi per un istante soppesando ciò che avevano a disposizione.
Feliciano si buttò verso destra, ma con un rapido gioco di piedi schivò sulla sinistra un fendente e riuscendo a colpire Ludwig alle spalle.
Affondò con entrambe le mani il pugnale nella spalla destra dell’avversario procurandogli un taglio. Si scansò e corse a ripararsi dietro il corrimano.
Prussia cercò di avvicinarsi per aiutare il fratello, ma gli venne intimato con un cenno di non intromettersi.
Questo era un affronto in primo luogo a Germania.
E lui avrebbe rimediato e tale errore.
Fendette l’aria un paio di volte con la sua arma mentre si avvicinava alla figura tremante del moro. Pensava davvero quello scricciolo di opporsi a lui?
“Vieni fuori a combattere.”
Perché l’aveva fatto, davvero che gli era saltato in mente?
Avrebbe dovuto fare il bravo per suo fratello, non cacciarsi in situazioni peggiori!
Italia aveva il fiato corto mentre la sua mente lavorava al massimo, era in netto svantaggio e in territorio nemico. Da solo e provato dai giorni passati.
Un individuo razionale si sarebbe arreso ad un pronostico tanto negativo.
Ma una persona sola non ha nelle sue mani così tanti destini.
Da lui dipendeva troppo, e ormai il grande passo lo aveva fatto.
Non mancava che il salto.
 
Scattò in piedi a fronteggiare nuovamente il biondo.
Strinse i denti e si buttò in avanti.
Germania fece saettare la spada veloce, riuscì a ferire al braccio sinistro il meridionale. Che, però, riuscì a guadagnare abbastanza tempo per un altro colpo. Preciso infilò la lama sotto al braccio che reggeva l’arma, e si allontanò.
Il taglio sul braccio bruciava terribilmente, ma l’adrenalina lo rendeva cieco a queste sensazioni.
L’esaltazione lo stava portando a credere di potercela fare davvero.
Forse anche lui aveva una piccola speranza.
Riattaccò sempre puntando sulla stazza dell’altro, che si era già fatto fregare troppe volte, infatti Germania fingendo un affondo si tirò indietro colpendo col braccio sinistro l’italiano sulla schiena.
Italia cadde al suolo battendo il mento.
 
La risata sguaiata di Prussia echeggiò tra le pareti come un urlo di sconfitta.
Le lacrime iniziarono a rigare il volto di Feliciano in silenzio. Non avrebbe dovuto piangere così davanti a quelle nazioni che non meritavano le sue lacrime.
Avrebbe dovuto essere forte e resistere per suo fratello.
 
Per la sua gente.
 
Cercando di alzarsi la sua mano incontrò una stoffa.
Nonno Roma gli aveva detto che insieme a suo fratello sarebbero stati grandi. Per i loro cittadini sarebbero stati in grado di alzare il guardo atterrato ed incerto e stagliarsi contro gli oppressori.
Ma stava raggiungendo il limite.
 
Afferrò la stola romana per darsi coraggio mentre decideva per l’ennesima volta di aprire gli occhi. Guardare ciò che lo circondava e vederne la realtà.
 
Quel vessillo che credeva simboleggiare i suoi fortunati natali, ormai rispecchiava altro.
Suo fratello, il suo popolo. Lui.
Quello straccio gli diede certezza.
 
Sollevandolo lo lanciò fulmineo contro Germania che si stava avvicinando a lui per oscurargli la vista, mentre puntando sul braccio ferito gli rubava l’arma e gliela puntava al collo.
“Non muoverti.” disse in un soffio.
 
“Questo è un trucco da quattro soldi, e ora che farai, mi ucciderai?”
Pensava di conoscere la risposta.
Ne era certo.
“Se reagirai ancora non ne avrò remore.”
 
Si scansò leggermente per lasciare il tedesco libero, che cercò a sua volta di riportarsi in vantaggio.
Prevedibile.”
Italia rinforzò la presa.
 
“Cos’è che vuoi ad ogni costo Germania?”
Gli chiese triste.
L’altro non rispose.
“Come hai fatto. Io ti avevo schiacciato. Non dovevi avere la forza.”
 
Certo, la sua energia se ne era andata passo passo. Aveva cercato di farcela per Romano e stava per arrendersi.
Voleva lottare per le sue genti e la sicurezza l’aveva accecato.
Sorrise.
 
L’aveva fatto per sé.
Tutto ciò a cui teneva era li davanti a lui.
La lacera toga di Roma era così simile a ciò che avrebbe protetto fino alla fine.
 
L’erba smeraldina ne copriva una parte, l’altra era occupata dal sangue scarlatto, ma ancora su quel pezzo di stoffa brillava il bianco puro.
 
Ciò che lo rappresentava era davanti a sé.
 
Doveva vincere.
 
Ma ancora una risata stridula squarciò la calma creatasi.
Prussia con andatura sicura si riprese la scena che gli era stata tolta.
“Credi di aver vinto?” chiese ridendo in modo insano “Davvero pensi che non avremmo pensato a ogni evenienza?”
E fece roteare tra le mani un piccolo telecomandino nero.
“Questo.” si prese una pausa “Serve a fare una cosa molto bella, anzi magnifica.”
 
Feliciano deglutì rimanendo concentrato sulla situazione che lo circondava.
 
“Fa accadere in una volta sola ciò che il tuo fratellone non ha avuto in tanti mesi di agonia,” ghignò “la morte.”
Prussia iniziò a spiegare la mappatura del territorio europeo che avevano fatto, dicendo che quella riuscita meglio e più completa fosse quella Italiana, ma non bastavano pochi colpi mirati, ovviamente.
A meno che il bersaglio non fosse già provato.
“No!” urlò Veneziano.
“Sì” sibilò Germania.
“Arrenditi.” propose Prussia.
“No!” ribadì Italia.
 
Era arrivato fino a quel punto non si sarebbe rimangiato quelle emozioni e sentimenti che…
 
Gilbert premette il pulsante.
 
Italia cadde a terra come se gli avessero sparato al cuore.
Che aveva fatto?
Come aveva potuto sacrificare suo fratello così?
Ora sarebbe stato da solo a combattere.
 I tedeschi si voltarono verso l’ingresso, dove tra le luci della nascita di un nuovo giorno un soldato in uniforme comparve, probabilmente per dare la notizia della presa totale della penisola italiana. E passaggio alla prossima fase del piano.
 
Ma quando il soldato varcò l’uscio cadde, mentre una rosa cremisi stillava dalla sua giacca.
 
Un altro soldato sopraggiunse nelle stesse condizioni.
 
Che stava succedendo?
 
Le domande vennero presto placate quando un plotone sfociò nell’atrio del palazzo con i fucili puntati sulle nazioni presenti.
Un medico corse verso la scena andando a sostenere il moro che si stava lentamente riprendendo.
“Signor Italia, faccia piano.”
L’interpellato rispose alzando la testa e perdendosi nello spettacolo che aveva davanti.
L’esercito che con tanta fatica e dedizione aveva tirato in piedi ora era lì.
Tutti con una fascia azzurra a segnare l’appartenenza a qualcosa che li accomunava tutti.
Un desiderio di libertà a fratellanza.
Amore.
 
Con le lacrime agli occhi non si beò la scena.
“Romano….” trattenne un singhiozzo “lui….”
“Si trova a Roma ad aspettarci, da quando ha iniziato a riprendersi dopo che i tedeschi hanno smesso di fare danni dopo la vostra partenza.” disse pronto un tenente facendogli strada fuori dall’edificio.
Ancora le spalle ebbero uno spasmo.
“Si è dato da fare, ed è grazie a lui se siamo riusciti a raggiungervi, le difese si sono anche fatte più basse.”
Aveva fatto tutto ciò che poteva anche nei suoi ultimi giorni, e lui non era stato neanche in grado di proteggerlo.
Scoppiò in un pianto ancora più sfrenato senza emettere un suono.
“E anche quando abbiamo scoperto che c’erano altri missili mirati sulle città li abbiamo resi subito inoffensivi sotto al suo comando.”
Le altre parole vennero completamente cancellate dalla memoria del moro.
 
Missili inoffensivi.
 
“Fatemi parlare con lui immediatamente!” ordinò ancora prima di essersi riuscito a mettere in piedi da solo.
Un soldato portò velocemente una radio con la quale Italia sbraitava ordini dalla sede principale.
“Romano stai bene!”
La sua voce e la certezza che il piano tedesco era fallito fu un balsamo per Feliciano che non ebbe bisogno di altri aiuti.
“Certo che sto bene!” si sentì una voce quasi dolce ribadire.
Che cambiò immediatamente tono “E chi ti ha detto che potevi arrenderti bastardo?! Mi avevi fatto una promessa, me lo avevi giurato!”
“Non l’ho fatto, ho combattuto!”
Romano stava per dire altro ma si fermò.
Gli avevano detto cosa era successo non appena era stato possibile, e sapeva cosa il suo fratellino aveva fatto.
“Lo so… e sono fiero di te. Ora torna a casa.”
E chiuse la chiamata prima che la sua voce potesse tremare dall’emozione.
 
 
 
 
 
Giornali e resoconti furono molto chiari a riguardo di cosa successe dopo.
Tutte le nazioni europee si diedero appuntamento per festeggiare la grande liberazione come se fosse stata opera loro. Sontuosi banchetti e altisonanti trattati furono scritti e descritti in grande quantità.
 
Il rientro in patria tra tutti gli onori di Veneziano e dell’esercito italiano fu festeggiato in tutte le case, e le ultime scorte vennero finite per enormi pranzi nelle piazze di tutta la nazione.
I due fratelli si ritrovarono a Roma, dove assieme appesero la stola romana con i segni di una battaglia sopra.
Fiocchi verdi, bianchi e rossi ornavano le strade e i cuori erano colmi di gioia.
Allegria e felicità straripavano dalle case anche durante i lavori di recupero e ritrasloco per ritornare alla normalità.
Molti danni erano stati fatti, ma sarebbero stati ripagati col tempo.
Ora erano tutti pronti a ricominciare.
 
Come popolo e come Italia.
 
 
 
 
 
Ma nessuno fu informato di cosa successe quella sera dopo i festeggiamenti in una stanza di una casa della capitale.
Dove i fratelli si ritrovarono soli, assieme, dopo tanto tempo.
Quando si strinsero in un abbraccio che aveva colmato in poco la distanza tra loro, pronto a rendersi più utile e esaustivo di mille parole.
Le emozioni che avevano provato in quei giorni.
La paura, l’angoscia.
Ciò che gli aveva spinti a continuare.
Sentimenti che non andavano spiegati, direttamente compresi.
 
Piansero molto quella sera.
Lacrime di felicità e gioia. Dolore e amarezza. Terrore e disgrazia.
Tra loro che sempre si sarebbero capiti.
 
Ma un attimo prima che le lancette dell’orologio di quella grande sala segnassero la mezzanotte e l’inizio di un altro giorno, i due fratelli dovevano ancora dirsi una cosa.
 
Qualcosa che poteva significare l’essersi ritrovati e la rabbia della lontananza. Sentimenti che avevano già provato e che il futuro non gli sconterà di certo.
Ma ancora un anno era passato e loro potevano ancora definirsi fratelli.
 
Quindi si guardarono negli occhi e lo dissero.
 
“Auguri Italia.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ta ta ta taaaaa.
 
NOTE DELL’AUTRICE
 
Non voglio mancare di rispetto a nessuno per i personaggi scelti (Germania e Prussia “cattivi”), ma è la nazione europea più verosimile per questo ruolo, e se volete un motivo ve ne do uno più che lecito. Gli stati esteri provano forte fascino per il nostro paese, unito alle manie di grandezza e dal fatto che da qualche parte si deve pur cominciare non mi sembra di scrivere cose fuori dal mondo.
 
Se Felì dice “ve” non è per ritornare agli albori della mia fanglirlaggine, ma in molti dialetti è una parola che può voler dire “guarda” o “attento” o un semplice intercalare. E bhe… io non so neanche parlare il mio dialetto e sono polentona, quindi le frasi che dice Roma sono bellamente inventate a caso.
 
I tedeschi all’”arrenditi” si rivolgono principalmente a Feliciano perché pensano di averlo reso succube al loro volere tramite Romano. Ma secondo me sarebbe stato più efficace il contrario.
 
Il motivo per cui ci sono bambini che intervengono, e non adulti, è perché sono loro il popolo, i suoi pensieri più puri e istintivi. E poi adoro la storia di Balilla, bambino che si dice che tirando un sasso ad un austriaco ha fatto scoppiare una lotta per l’indipendenza italiana nel ’800.
 
Il carminio sarebbe stato accompagnato da un’alba grama al posto che alte vette e fertili pianure?
Detto perché si pensa che la bandiera tedesca simboleggi un’alba, mentre quella italiana pianure-montagne per il verde e bianco (perché siamo un paese che ha tutto) e il rosso per il sangue (sempre simbolo di vita e figaggine, che sembra una parola usata impropriamente qui, mentre è probabilmente ciò che volevano comunicare. Siamo grandi e possiamo permetterci il potere e la forza nella nostra bandiera). Ovviamente ci sono altre spiegazioni come i vestiti di Beatrice (altra cosa che significa figaggine).
 
Citazioni a buffo di Marzo 1821 di Manzoni perché ADORO quella poesia.
Stupenda.
Leggetela.
Ora.
Non avete scelta.
No, davvero.
Verrò da voi ad alitarvi nell’orecchio mentre dormite se non lo fate.
Vi piacerà!
 
I nomi Italia-Veneziano-Romano-Lovino-Feliciano li ho messi come secondo me hanno ragionato. Pensavano al popolo e agivano come tale li ho chiamati Italia, pensavano al fratello e quindi regredivano su un’ipotetica linea dei principi li chiamavo con gli altri nomi.
 
Spero di non aver rotto con queste note finali e spero vivamente che vi sia piaciuta, è un anno che ce l’ho in ballo e volevo aspettare oggi a pubblicarla.
 
AUGURI PER OGGI!
  
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