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Autore: _Rainy_    17/03/2015    2 recensioni
Un pub poco affollato, un gioco pericoloso con la fortuna e con la morte, undici proiettili e una rivoltella ancora scarica appoggiati su un tavolo. Chi sarà il primo a morire? Chi sarà il primo a rivelare i suoi segreti?
Undici ragazzi dal passato oscuro e una vendetta, sottile come la lama di un pugnale, che si tesse nelle tenebre...
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale
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N QUEL DEMONE INTERIORE CHE LA DIVORAVA N

 

- Come siamo seri, ragazzi! – Rise improvvisamente Heather, tornata se stessa dopo lunghi attimi di riflessione. – Tira Trent, tira!

La biondina rimasta nell’ombra si drizzò a sedere e bevve un lungo sorso del suo drink per poi affermare:
- Manchiamo solo io e te, cosa succede dopo?
- Perché rovinare la sorpresa, mia cara! – Sghignazzò Heather. – Io voglio concludere la serata, quindi tocca a te raccontarci il tuo più grande peccato… So che il pubblico non è più così vivace, ma… - Rise sguaiatamente.

Bridgette inorridì:
- Come vuoi… Poi finalmente tutto finirà…

Il ghigno di Heather sembrò fendere l’aria come un coltello.



La mattinata era splendida e Bridgette aveva appena finito di fare colazione.

I residui della pancetta era finiti rapidamente nel cestino e per ora la sua seconda anima era sopita.

“Seconda anima”. Già.

La sentiva dentro di sé da quando aveva compiuto 15 anni.

Una seconda Bridgette oscura e malvagia, il suo lato ossessivo e folle contro il quale doveva lottare ogni giorno e che altrimenti l’avrebbe trasformata in una creatura fuori controllo.

Indelebile nella sua memoria era il giorno in cui aveva mandato all’ospedale una sua cara amica che si era dimenticata di invitarla alla sua festa di compleanno.
Aveva sentito crescere la furia dentro di sé e la follia era esplosa in tutta la sua potenza quando aveva “accidentalmente” spinto la compagna in mezzo alla strada, proprio davanti a una macchina che per fortuna andava a velocità non troppo elevata.

Da quel giorno era stata etichettata come “psicopatica”, ma la notizia non era stata diffusa più dello stretto necessario e aveva potuto continuare a condurre una vita tutto sommato normale, anche se le voci circolavano.
Aveva dovuto sottoporti a rigide visite psichiatriche tutt’altro che amichevoli, dove strizzacervelli fintamente simpatici le rivolgevano domande ambigue e contradditorie. Aveva subito infiniti esami e iniezioni, ma alla fine il suo caso aveva perso importanza ed era stata classificata come inguaribile, ma controllabile.

La sua vita era ripresa quasi normalmente, ma da quel giorno i suoi genitori non l’avevano più trattata allo stesso modo, proprio loro: le persone sulle quali avrebbe dovuto contare maggiormente…
A scuola, a parte qualche primo attimo di tentennamento, nessuno sapeva nulla ed era tornata ad essere la ragazza timida e carina che era prima.

Con un segreto.

La Follia, la sua seconda anima, non se n’era mai andata, solo lei aveva imparato a controllarla ed era contenta che ciò fosse avvenuto senza la sofferenza di qualcun altro.

Quel giorno però, tutto sarebbe cambiato.

A scuola era andata benino come al solito: classiche amicizie, classiche scocciature e classici momenti felici.

Prima di uscire, però, la preside era entrata felicissima nella loro classe, stretta nel suo tailleur scuro e li aveva scrutati da dietro i suoi lucidi occhiali rossi:
- Ragazzi, ho una notizia per voi! – Aveva tubato, felice come una pasqua.

Un mormorio di impazienza si era subito diffuso tra i ragazzi, eccitati.

- Finalmente la vostra cara compagna Melanie è tornata! – Aveva strillato la preside.

A Bridgette era crollato il mondo addosso: Melanie era la compagna che aveva “accidentalmente” fatto finire all’ospedale. Cosa sapeva? Cosa ricordava? Tutto ciò che aveva costruito in quei mesi, durante i quali Melanie era stata in terapia intensiva, poteva andare distrutto con qualche semplice parolina.

Melanie entrò in classe con passo incerto, il collo ancora ingessato e la postura rigida, ma inferma. Il referto medico aveva dichiarato che si era rotta due costole e una terza si era incrinata a causa del violento impatto con la macchina, non veloce a sufficienza per ucciderla.

Tutti si voltarono titubanti verso Bridgette.

- Ciao a tutti. – Sussurrò Melanie, sorridendo semplicemente.

Poi i suoi occhi incontrarono quelli della bionda e mentre i suoi compagni rispondevano al saluto, la ragazza poté perfettamente distinguere le emozioni che Melanie stava provando nel momento in cui l’aveva vista: stupore, perplessità, indignazione e inveterato e profondo odio.

Un odio radicato e morboso che continuò ad animare il suo sguardo anche mentre Melanie prendeva posto.

<< Sa. >> Pensò Bridgette, terrorizzata.

- Magari possiamo farla sedere vicino a Bridgette Johnson! E’ tanto che non si vedono, non crede? – Ammiccò subito la preside e Bridgette la maledì mentalmente.

Melanie si alzò e prese posto vicino alla bionda con estenuante lentezza, sussurrandole:
- Ciao, mia cara.
- Ciao, Melanie.
- Non hai altro da dirmi? – Sibilò lei, la postura rigida.
- Mi dispiace tanto. – Bridgette si voltò a guardarla, gli occhi lucidi.
- Anche a me. – Sorrise Melanie, poi si raggelò e gli occhi tornarono odiosi come poco prima. – Ma io so. Tutti devono sapere. Non pensare che sia così ingenua da non sapere che sotto quella macchina non ci sono finita casualmente. Tu sai a cosa mi riferisco.
- No, davvero… - Sussurrò Bridgette, sgranando gli occhi, ma già sentiva la Follia ribellarsi dentro di lei e fremere per esplodere.

Già si immaginava la scena: le sue mani strette intorno al collo di Melanie improvvisamente scoperto, quegli ossicini così fragili che non aspettavano altro che essere spezzate da un unico movimento deciso e poi…

La ragazza inorridì. Non era la prima volta che le capitava di avere chiare visioni di un omicidio, ma non era mai successo che fosse così reale e in prima persona. Le pareva di sentire ancora la sensazione della lattea pelle di Melanie sotto le sue dita…

- So cosa ti stai immaginando, ma sappi che la tua vita è finita in ogni caso. – Sibilò Melanie. – Tu sei un mostro e tutti meritano di sapere. Anche se la tua mente malata ti porta a farmi del male la mia storia verrà alla luce in ogni caso. La tua storia. La nostra storia. – Ghignò, trionfante.

Bridgette impallidì e abbassò lo sguardo quando la professoressa le richiamò intimando loro di fare silenzio.

Sapeva che Melanie aveva ragione, ma non meritava di essere trattata così… Non era stato un atto volontario… O si? Non lo sapeva, ma si ricordava perfettamente quel senso di appagamento e soddisfazione mentre guardava il sangue di Melanie schizzare l’asfalto scuro.

-

Bridgette non stava sognando né stava facendo un incubo.

Era semplicemente sospesa in una pozza di oscurità e aveva la consapevolezza che stava dormendo, sempre ammesso che ciò fosse possibile e non un semplice parto della sua mente.

Da quando la Follia era diventata parte di lei aveva smesso di sognare, senza alcuna eccezione.

Quella notte, però, si svegliò diverse volte, immaginando come sarebbe stata terribile la sua vita non appena Melanie avesse raccontato qualcosa su di lei.

La sua valvola di sfogo erano sempre stati i libri: leggeva un sacco sin da quando era bambina e non si era mai vergognata di questa sua passione.

Andava spesso in biblioteca e il gestore, un vecchio rugoso di nome Sam, faceva degli orari impossibili per qualsiasi essere umano tranne se stesso e Bridgette.

Sam aveva settant’anni suonati e questo si traduceva in minestrine a colazione, pranzo e cena e meno di cinque ore di sonno al giorno, il che gli permetteva di tenere aperta la biblioteca dalle sei del mattino alle undici di sera circa sette giorni su sette (cosa che non era propriamente legale, ma nessuno si lamentava).

Fu li che Bridgette si diresse non appena scoccarono le sei: non era la prima volta che Sam la vedeva a quegli orari particolari.

- Ciao, Sam, scusa l’ora. – Sussurrò lei, vergognandosi ogni volta come la prima.
- Non ti preoccupare: quando i libri chiamano… - Le sorrise lui mettendo in mostra la sua scintillante dentiera.

Lei sorrise di rimando e si inoltrò tra gli scaffali mentre i suoi passi rimbombavano nel vuoto.

Il profumo dei libri presto le avvolse le narici e il frusciare delle pagine dei libri che sfogliava riuscì a farle dimenticare le sue preoccupazioni.

Almeno fino al rintocco delle otto.

Si accorse improvvisamente di essere in ritardo e uscì al volo dalla biblioteca, correndo come una disperata verso la scuola.

Appena entrò, leggermente in ritardo, ottenne uno sguardo severo della preside, che la fermò afferrandola per un braccio:
- Non così in fretta, signorina. Farebbe meglio a fermarsi nel mio ufficio per qualche minuto. La raggiungerò immediatamente. – Bridgette fece per voltarsi e avviarsi senza farsi troppe domande, quando la preside proseguì: - E abbia cura di usare l’ascensore, la autorizzo io per questa volta: si fidi.

La bionda annuì e percorse le scale a perdifiato senza incrociare nessuno, infilandosi poi silenziosamente nell’ascensore.

Mentre quel parallelepipedo di lucido acciaio scuro saliva lentamente verso il terzo piano, la ragazza si chiedeva cosa avesse mai fatto per meritare una simile convocazione che – è risaputo – non porta mai buone novelle.

L’ufficio della preside era largo e spazioso, con i muri bianchi rivestiti di pannelli di legno color cioccolato al latte. Il pavimento era ricoperto di moquette verde sempre pulita e numerosissimi scaffali ingombri erano addossati alle pareti. Due ampie finestre stavano alle spalle della scrivania, anch’essa del legno dei pannelli posti sui muri e ingombra di carte, penne e di un grosso computer costoso. Tutto in quell’ufficio trasudava autorevolezza.

La preside non si fece aspettare molto e entrò silenziosamente nel suo studio, scrutando Bridgette, ancora in piedi vicino alla porta:
- Siediti. – Nessuna formalità, nessuna formula di cortesia.

Quando la ragazza prese posto, la donna le mise un foglietto davanti. Sul foglio era stampata la testata di una pagina di giornale che recitava: “Ragazza investita da un auto davanti alla St. Lennox School”.

Sotto seguiva un lungo testo scritto a mano in una calligrafia insicura…

“Miei cari ragazzi, forse vi starete chiedendo cos’è questo foglietto apparentemente insignificante che avete in mano, ma non vi chiedo altro che 10 minuti del vostro tempo. Oggi sono qui per parlarvi della vostra tenera e dolce compagna Bridgette, tutti sapete quale.” – Bridgette trasalì. – “Dietro quel bel visino gentile si cela ben di più e sono qui per dirvi cosa: forse avete sentito parlare dell’incidente che la sottoscritta ha avuto qualche mese fa. Sono stata investita da un auto davanti a scuola e apparentemente è stato tutto un incidente, ma la verità è un’altra: io mi ricordo benissimo che quella stronza mi ha spinto. Mi ha spinto per strada. Ricordo con precisione il suo ghigno malvagio mentre io le stavo per urlare cosa stesse facendo e la sua espressione soddisfatta fu l’ultima cosa che vidi prima di quella che pensavo sarebbe stata la mia morte. Davvero un bel modo di andarsene, eh?
Non sto a dilungarmi ulteriormente, ma vi dico solo più che dietro quei modi gentili si cela una mente folle, una psicopatica, una pazza e quasi ASSASSINA (si, uso proprio questo termine, perché le sue intenzioni erano chiare), quindi fate attenzione. I prossimi potreste essere voi. Grazie mille, Melanie.”

Bridgette posò lentamente il foglio quando ebbe finito di leggerlo attentamente per la seconda volta e fissò la preside in volto:
- Cosa significa?
- Mia cara… - Iniziò la preside, ma si interruppe immediatamente.

Ovviamente la donna sapeva del ricovero e degli esami psicologici di Bridgette, ma a quanto le avevano detto in ospedale Melanie non ricordava nulla e non serbava rancore per la ragazza. Quel foglietto, però, dimostrava il contrario.

- Lei non lo sapeva, vero? – Chiese Bridgette, a testa bassa.
- No. Le conseguenze sono… Be’… Stiamo cercando di rimediare, ma…

Bridgette alzò la testa di scatto, rossa in volto dalla rabbia.

La Follia si stava risvegliando, stavolta più forte che mai e la ragazza non era del tutto sicura di riuscire a contenerla, perché non era completamente sicura di volerlo fare.

In fondo cosa ci guadagnava lei? Ora la sua reputazione era rovinata, la sua immagine pubblica e le sue amicizie anche. Cosa avrebbe fatto? Era sola. Lei e la Follia. La Follia e lei.

Una cosa sola, ormai.

Non le rimaneva più nessuno se non quel demone interiore che la divorava ogni secondo di più.

La pazzia si fece lentamente strada in lei e affiorò in un ghigno malvagio, che distorse i tratti altrimenti gentili e aggraziati della giovane:
- Tra le conseguenze? – Sussurrò a voce bassa, suadente.

Era seduta con le mani in grembo e la testa bassa e la preside non riusciva a scorgerle gli occhi, ma quel ghigno la inquietò ugualmente. Premette un veloce numero sulla tastiera del telefono fisso e sussurrò:
- Bridgette, mia cara, so che questa situazione non è facile e mi rincresce di doverlo fare, ma penso che sia meglio per te e per tutti il tuo trasferimento ad un’altra scuola, magari dove sei del tutto sconosciuta.
- Ah si? – Ridacchiò Bridgette, malefica. Si rendeva conto di cosa stava facendo: non aveva ancora perso il controllo di sé stessa.
- Si. Mi dispiace. Ovviamente la tua famiglia riceverà tutti gli aiuti necessari e verrai supportata in questo difficile periodo. – Ad un suo cenno la porta dell’ufficio si spalancò e due uomini in camice bianco entrarono, dirigendosi vero Bridgette.

Erano entrambi smilzi e sui trent’anni e sorrisero alle due donne. Il primo, un tipetto dai capelli marroni come gli occhi e con un paio di occhialetti spessi come fondi di bottiglia, esclamò, gioviale:
- Allora, Bridgette. Noi siamo i dottori Martin e Stein e, se sei d’accordo, ora ti porteremo in ospedale per un brevissima visitina di routine che certamente comprenderai e poi a casa, così che tu possa passare del tempo con i tuoi genitori e magari decidere insieme a loro quale sarà la tua nuova scuola, eh? – Sorrise ampiamente.

Bridgette si alzò e la Follia fece un passo in più verso il suo cervello quando elaborò cosa significava quel discorsetto: reclusione in ospedale per almeno una settimana con saltuarie visite dei genitori, che comunque non sarebbero venuti.

Cacciò indietro il disperato bisogno di liberare il suo tormento e sfoderò il suo migliore sorriso amabile, annuendo:
- Mi pare un’ottima idea!
- Sono contenta per te. Di sicuro la scuola in cui andrai sarà migliore di questa. Mi dispiace tantissimo, Bridgette. – Sorrise a sua volta la preside, accarezzandole brevemente la spalla.

La ragazza si irrigidì a quel contatto e il sorriso si congelò. La donna, però, non parve accorgersene e chiese ai dottori:
- E’ tutto?

I due annuirono e fecero cenno a Bridgette di seguirli.

La ragazza fece quanto le era stato ordinato, ogni traccia del falso sorriso di prima svanita.

Percorsero gli stretti corridoi della scuola incrociando qualche professore e salutandolo brevemente. La ragazza odiava le occhiate pietose che le riservavano tutti quelli che sapevano cosa aveva subito o che credevano di conoscere il suo tormento, ma era una cosa con cui aveva imparato a convivere e in quel momento la lasciava indifferente. Camminava a testa bassa tra i due dottori e formavano una curiosa fila indiana che fece voltare diversi funzionari scolastici.

Arrivati nell’altro i due dottori improvvisamente si fermarono e Bridgette quasi andò addosso a quello davanti a lei.

Nella sala principale, vicino all’entrata, c’era Melanie con un gruppo di studenti della sua classe.

- Oh, guarda chi c’è: la pazza furiosa! – Rise sguaiatamente Melanie, seguita dalle sue amichette.
- Oh, avanti. Lo sappiamo che te lo sei inventato. – Sibilò un ragazzo più grande che aveva una cotta per Bridgette da sempre.
- Ah si? E perché avrei dovuto?
- Perché hai bisogno di notorietà, come tutte le ragazze. Be’, quasi tutte… - Sorrise sinceramente a Bridgette che sentì il cuore sciogliersi un poco e la pazzia arretrare.
- Bridgette! – Melanie si rivolse a lei, le mani sui fianchi e sguardo di sfiga. – Lo chiedo a te: hai il coraggio di ammettere le tue azioni o sei, come allora, una pazza psicopatica che si nasconde dietro a un “Non sono stata io”?

La bionda esitò, sentendo la mano di uno dei due dottori sulla spalla e la sua voce calma che le sussurrava:
- Lascia perdere. Ben presto tutto verrà dimenticato.

Annuì, convinta e sorridente, e fece per voltarsi, ma la voce di Melanie la inseguì e la colpì come un pugno:
- Sei solo una vigliacca. E anche mentalmente instabile. Sei un abominio della natura. – Sghignazzò.

La calma scese su Bridgette e il sorriso svanì insieme all’ultima traccia di Ragione dal suo cervello. La Follia dilagò in lei, ormai incontrollabile e scoppiata definitivamente dopo quell’insulto. Quel gravissimo affronto, così pesante e così immeritato.

- Cos’hai detto? – Ghignò Bridgette, sorridendo malefica, con una voce assolutamente atona. Una voce diabolica.
- Ho detto che… Che sei uno scherzo della natura. – Rispose Melanie, non più così convinta.

Bridgette era ferma nell’atrio e dava le spalle a Melanie; le braccia immobili lungo i fianchi e gli occhi chiusi

- Sai cosa rimpiango? – Chiese calmissima la bionda.
- Non mi interessa minimamente. – Rispose Melanie, arretrando impercettibilmente.
- Rimpiango… - Bridgette si voltò lentamente e fissò Melanie negli occhi con quel ghigno spietato stampato sul viso. - … Che quella macchina non ti abbia ucciso. – Poi scoppiò in una gutturale risata inumana.
- Visto?! Visto?! E’ pazza! – Strillò Melanie. – E’ matta da legare! Aiuto!
- Non ho alcun interessa per te. Tu sei morta, ormai. – Sibilò Bridgette.

Il più completo silenzio scese nell’atrio e i due dottori ne approfittarono per afferrare Bridgette a un cenno convenuto e trascinarla via, ma la ragazza non oppose alcuna resistenza.

Quando furono fuori da scuola, però, si divincolò e scappò più veloce che poté nella chiara luce del pomeriggio, dirigendosi verso l’unico luogo in cui poteva calmare i nervi.

Non era più se stessa, però.

Non era più se stessa quando afferrava la tanica di benzina e i fiammiferi da un ripostiglio segreto dietro la scuola che lei stessa aveva scavato in preda agli spasmi della pazzia, ma di cui non ricordava l’esistenza. Consapevolezza balzatale in mente non appena la Follia aveva preso possesso di lei.

Non era più se stessa quando entrò in biblioteca e senza rivolgere la parola a Sam aprì la tanica per poi spargere la benzina ovunque.

Non era più se stessa quando atterrò Sam con un calcio ben assestato e lo tramortiva, per poi cospargere anche il suo corpo di benzina.

Non era più se stessa quando, silenziosamente, continuava la sua opera ignorando le persone che si avvicinavano a lei per fermarla o urlarle insulti.

Non era più se stessa quando, finalmente, dopo pochi secondi di silenzio assoluto la sua bocca si aprì in un ghigno diabolico e il fiammifero lampeggiò, accedendosi.

Non era più se stessa quando il fiammifero cadde sulla benzina e in un attimo si ritrovò in un inferno caldo e mortale.

Scappò attraverso le fiamme da lei stessa appiccate, ferendosi alle mani e alle ginocchia, uscendo sul retro e inoltrandosi nei boschi dietro all’edificio per poi correre, correre e correre, augurandosi che Melanie rimanesse in vita abbastanza da poter essere uccisa da lei stessa.

 


- Come cazzo hai fatto ad entrare nella nostra organizzazione se sei così?! – Strillò subito Courtney.
- Courtney, ti prego… - Sussurrò Bridgette, a testa bassa. – Io… Non sono più così.
- Oh, avanti, non farti pregare. Anche io voglio sapere come hai fatto. Io stessa ho selezionato i miei agenti ed era chiaro che fossi pazza, ma non così… - Ghignò Heather.
- Be’… Io non sono più la piromane che ero un tempo e…
- Aspetta… Piromane?! Vuoi dire che tutti gli incendi avvenuti ad edifici pubblici in Alabama circa 5 anni fa sono… - Sussurrò Gwen con voce strozzata.

Bridgette non rispose e abbassò la testa.

- Dio… - Sussurrarono Courtney e Gwen all’unisono.
- Aspettate! – Strillò Bridgette, alzando la testa di scatto e mostrando gli occhi pieni di lucide lacrime. – Io non sono più quella spaventata ragazza in preda alla Follia. Io sono cambiata. Ho imparato a dominarla ed è per questo che non sono mai stata rinchiusa in un manicomio e ho potuto condurre una vita normale!
- Una vita normale? – Heather esprimeva tutta la sua perplessità in quelle tre semplici parole.
- Si… Sono stata assunta con voi e ho lavorato. Avevo un fidanzato e ho riallacciato i rapporti con la mia famiglia: la Follia è sempre stata parte di me, ma ho imparato a controllarla e a sfruttarla.
- Quindi stai ammettendo che in effetti il tuo cervello non è del tutto… Sano? – Sussurrò Alejandro, che era rimasto in silenzio fino ad allora.

Bridgette annuì amaramente:
- Se avete finito di giudicarmi… Direi che dopo stasera nessuno avrà più possibilità di ritenersi superiore a qualcun altro…
- Già. Nessuno. – Ghignò Heather. – Vuoi procedere? – Indicò la pistola immobile sul tavolo.

Bridgette deglutì, inserì il proiettile e fece ruotare rapidamente il tamburo, caricando la pistola.

Se la puntò alla testa con gli occhi ancora velati di lacrime, poi abbassò le palpebre..

Un colpo.
La vita o la morte.

Clack.

La pistola cadde a terra, ma Bridgette rimase seduta lì dov’era.

Quando aprì gli occhi vide i restanti che la guardavano, tutti sollevati.

- Evidentemente non era la tua ora. – Sospirò Gwen. – Un motivo ci sarà…

Bridgette annuì senza sorridere.

Avrebbe tanto voluto morire per non dover continuare a combattere ogni giorno la Follia che premeva dentro di lei, ma non era quello il giorno: forse non era morta perché si era redenta, forse perché semplicemente aveva avuto fortuna, forse perché la sua vendetta contro Melanie era giustificata o forse perché, in effetti, quel triste giorno era sì divampato un incendio, ma i soccorsi erano arrivati in tempo, anche se lei questo non lo sapeva…

Tutti i presenti si voltarono verso Heather, che teneva stretto in mano l’ultimo proiettile.

- Perché mi guardate? – Sghignazzò lei. – Come? Volete dirmi che manco solo io? Oh, allora questa divertente serata sembra si stia per concludere…

 


- CIAMBELLANGOLO -
Si, il prossimo chappy sarà l’ultimo. Finalmente ce l’abbiamo fatta, tutti insieme, e ve ne sarò eternamente grata <3
Non ho altro da dire per questa volta c:
Un bacione a tutti quelli che sono arrivati fin qui a leggere e, di nuovo, grazie di cuore,
_Rainy_
PS:
http://raggywords.blogspot.it
FICCY HARRY POTTER:  
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2625484
ORIGINALE:
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2822907&i=1
 

   
 
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