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Autore: Alyce_Maya    17/03/2015    1 recensioni
- Post Captain America: the Winter Soldier -
« Cos'è successo al tuo fantasma? ».
[ ... ]
« Se n'è andato », rispose non pensandolo veramente.
Si, molti fantasmi sbiadiscono nel tempo e finiscono con l'essere rimpiazzati da altri o dimenticati, ma non sarebbe mai stato così per questo: lui non sarebbe mai scomparso.
Né lui né i suoi insegnamenti.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Winter Ghost

 

 

 

 

 

 

L'aria era più fredda di quanto ricordasse.

Erano passati anni dalla sua ultima visita in Russia, o almeno anni da quando non aveva dovuto svolgere nessuna missione mentre si trovava là. Si sentiva stranamente fuori luogo a guardare quelle strade e quei palazzi che avrebbero dovuto essere casa sua, ma di cui aveva un ricordo estremamente vago e che identificava solo grazie alle missioni svolte. Le sue prime missioni.

Dalla finestra della sua camera d'albergo la vista era ampia, la stanza era stata scelta da chi preferiva le grandi altezze che gli permettevano di tenere sotto controllo la situazione nel miglior modo possibile e grazie a questo, riusciva a vedere gran parte della città: era piuttosto sicura che quella casa con il tetto crollato fosse l'ex dimora di quel suo bersaglio che le aveva offerto un posto al suo fianco nell'impresa di famiglia se lo avesse risparmiato.

Gli aveva spezzato il collo ancora prima che potesse terminare la frase.

Anche alcune strade le sembravano familiari e piegando il collo così da avere una visuale leggermente differente, aveva realizzato che probabilmente anche lo stesso vicolo che si trovava davanti al suo albergo aveva avuto lo spiacevole inconveniente di essere teatro di una delle sue numerose uccisioni. Forse il collezionista d'arte. O magari quella guardia giurata.

Non ricordava.

Sospirando, Natasha si ritrovò a pensare che probabilmente non era stata una buona idea tornare in Russia e ancora meno tornarci dopo la caduta dello S.H.I.E.L.D. dopo la quale tutti i loro segreti erano stati rivelati pubblicamente. In quello stesso momento, c'era la possibilità che qualcuno stesse leggendo tutto ciò che la riguardava seduto comodamente su una poltrona e che, a lettura conclusa, si sarebbe limitato a scuotere la testa pensando che si trattasse esclusivamente di uno scherzo: insomma non potevano esistere davvero persone come lei.

Quanto avrebbe voluto che fosse effettivamente così.

 

« Non è mai un buon segno quando fumi », quell'affermazione precedette di pochi secondi l'arrivo di Clint alle sue spalle e mentre le sue mani si chiudevano intorno alla sua vita, si ritrovò a pensare che la ricerca di una nuova copertura si era rivelata piuttosto piacevole fino a quel momento: dopo l'iniziale fuga di notizie che l'aveva portata davanti alle telecamere, era svanita come solo lei era in grado di fare, senza lasciarsi la minima traccia alle spalle e non portando niente con sé se non l'uomo che in quel momento le stava baciando leggermente il collo.

Quando si erano trovati l'uno di fronte all'altra, il sollievo di avere finalmente qualcuno di cui potersi fidare ciecamente le aveva quasi fatto perdere l'equilibrio ed era stato spontaneo ed inevitabile rifugiarsi tra le sue braccia. Lui non aveva detto niente, si era limitato a stringerla e successivamente a chiederle dove sarebbero andati.

Non aveva dubbi sul fatto che lei avesse già una meta prefissata e non aveva nessuna intenzione di lasciarla andare da sola.

Due giorni dopo, erano in Russia.

 

« Ti ho vista fumare in sole due occasioni da quando ti conosco: dopo New York e per la successiva settimana al tuo lavoro sotto copertura con Stark ».

Natasha rise divertita.

Aveva sempre trovato orribili le sigarette: poco eleganti e, soprattutto, poco piacevoli visto l'odore che lasciavano sui vestiti e sulla pelle. Per una spia come lei che come arma usava il proprio corpo, un vizio simile non poteva in alcun modo essere giustificato.

Tuttavia, in rari casi si lasciava andare limitandosi poi a passare una buona parte dell'ora successiva in una doccia.

Con le mani di Clint adesso direttamente sulla sua pelle, si ritrovò a pensare che anche la doccia sarebbe stata divertente quel giorno.

 

« Cosa ti preoccupa? ».

Il sospiro che accompagnò quella domanda, aveva traccia dell'ultima boccata di fumo che quella sigaretta le aveva concesso. Spegnendola sul bordo del davanzale, si era limitata a gettarla fuori dalla finestra per poi rigirarsi tra le braccia dell'uomo così da trovarsi con il volto premuto contro la sua spalla.

Non era sicura di volerglielo dire.

Faceva parte di quella categoria di cose che aveva tenuto sempre per sé, neanche lo S.H.I.E.L.D. ne era a conoscenza. Si era sempre assicurata di non rivelare tutti i suoi segreti, soprattutto per evitare che venissero usati contro di lei ma anche per il semplice fatto che alcuni erano troppo personali da poter essere rivelati.

Come, per esempio, chi l'aveva addestrata.

Certo, lo S.H.I.E.L.D. sapeva tutto sulla Red Room e sugli esperimenti che avevano fatto su di lei, quello che non avevano mai saputo tuttavia erano le informazioni più dettagliate, in particolare quelle che riguardavano un ragazzo che era stato sia maestro che cavia.

Il Soldato d'Inverno.

Aveva mentito a Steve quando aveva raccontato di come le voci di corridoio parlassero di questo fantasma, non c'era nessuno con informazioni su di lui tali da dare inizio a qualcosa del genere.

Così come un tempo, non c'erano voci neppure su di lei, la Vedova Nera.

 

« Ha a che fare con il perché siamo qui? ».

Clint non era stupido, motivo per cui le era sempre piaciuto. Si limitava a nascondere la sua intelligenza e perspicacia dietro a battute sarcastiche e atteggiamenti da bambino; in questo modo chiunque, soprattutto i nemici, finivano con il sottovalutarlo e questo solitamente causava la loro rovina.

E lei, che da sempre mascherava la sua forza e le sue intenzioni sotto il suo bell'aspetto, non poteva che apprezzare questo suo modo di essere.

Grazie a questo molto probabilmente, magari senza neanche rendersene conto, si era salvato la vita anni fa: quando per la prima volta l'aveva visto da vicino lui era pronto ad ucciderla, ma lei non era da meno. E in un momento cruciale che avrebbe deciso chi dei due ne sarebbe uscito vincitore, lui si era messo a scherzare e questo l'aveva talmente confusa da farla esitare, indecisione che poi aveva portato lui a risparmiarle la vita e ad offrirle un'alternativa alla morte.

Clint quel giorno, aveva salvato entrambi.

 

« Seguo un vecchio fantasma », decise di rispondere.

Forse non era pronta a rivelargli la verità, ma non voleva neppure tenerlo all'oscuro di tutto.

E non aveva dubbi sul fatto che lui l'avrebbe capita: quelli come loro costruiscono vite intere seguendo i propri fantasmi. Alcune volte per onorarli, altre per sbeffeggiarli.

In un'esistenza dove la conta dei bersagli eliminati è più altra del numero di quelli salvati, c'è molto spazio per gli spettri e non è inusuale che qualche volta tornino a far loro visita.

Quello che tuttavia l'aveva effettivamente turbata, era il fatto che questa volta non fosse fatto di memorie o reminescenze questo fantasma, ma di carne e ossa.

Era vivo.

Ed era tornato.

 

La prima volta che lo aveva visto, l'inverno si era abbattuto sulla Russia da un paio di settimane. Non avrebbe saputo dire che mese o che giorno fosse, per il semplice fatto che non era suo compito saperlo. Era in grado di tenere il passo delle stagioni solo grazie ai cambi di temperatura e, nel caso dell'inverno, a causa dei problemi che la neve portava con sé e che a volte costringevano lei e chiunque risiedesse in quella struttura a docce fredde o a ore intere senza corrente.

Non ci fu nessuna presentazione.

Era in quella zona della base dove passava le sue giornate ad allenarsi, sotto lo sguardo vigile di più di una persona; ognuno aveva il proprio compito: c'era chi valutava la sua forza, chi la sua resistenza e, a volte, chi le iniettava qualcosa alla base del collo poco sotto l'attaccatura dei capelli in modo che nessun segno fosse visibile e che il suo aspetto non venisse rovinato.

Il suo arrivo fu qualcosa di inaspettato, un avvenimento che non era mai successo prima.

La prese così alla sprovvista che quando il primo pugno le arrivò sullo stomaco, non fu neanche in grado di prevederlo e si ritrovò sulle ginocchia a terra senza fiato. 

I suoi capi non furono contenti quella sera, quando seppero che una semplice variazione della sua routine era risultata essere più che sufficiente per spiazzarla e metterla fuori gioco.

La punirono duramente quella settimana.

E dalla successiva, introdussero ogni sorta di possibile minaccia imprevista nel corso delle sue giornate.

Imparò a dormire solo quando necessario.

 

« Come mai è tornato proprio adesso? ». La domanda la riportò alla realtà così bruscamente che dovette quasi fare uno sforzo per ricordare dove si trovasse.

Fece quasi per allontanarsi, improvvisamente senza fiato, ma una carezza alla base della schiena la rilassò abbastanza da riuscire a trattenersi. Con un respiro profondo, alzò lo sguardo così da incontrare i suoi occhi.

A volte si sentiva in colpa a non parlare con lui del suo passato, ma era convinta che tenerlo all’oscuro di alcune cose non potesse che essere un bene sia per lui che per lei.

« L'amico di Steve, il soldato, mi ha riportato alla mente vecchi ricordi... ».

Una mezza verità a volte è più che sufficiente.

 

Capì già dal loro secondo incontro che, come lei, l'uomo non era altro che un esperimento in fase di elaborazione: il suo braccio di metallo, spesso nel corso di quel loro allenamento, aveva avuto bisogno di manutenzione. Natalia imparava in fretta e una volta capito che quello era sia il suo punto di forza che di debolezza, aveva cercato di sfruttare quella conoscenza a suo favore.

Tuttavia il più delle volte non era sufficiente: il suo addestramento era più che buono, ma aveva ancora molte cose da imparare. Cose che quel rude soldato le stava insegnando nel modo più violento possibile.

Per quanto assecondasse gli ordini dei loro superiori di non colpirla sul volto e di non romperle le ossa, non era raro che dopo una sessione di allenamento con lui si ritrovasse sanguinante o con più di qualche livido sparso per il corpo.

A volte era così dolorante che la mattina successiva faceva fatica ad alzarsi.

Tuttavia non erano concesse pause né alcun tipo di riposo: ogni giorno incontrava il Soldato che per ore le insegnava a combattere come lui, correggeva movimenti sbagliati e la costringeva ad usare ogni mezzo a sua disposizione per bloccare i suoi attacchi.

Fu in quel periodo che imparò che le sue gambe erano abbastanza forti da poter mandare a terra un uomo alto molto più di lei e che il suo essere più minuta e quindi più silenziosa sarebbe sempre stato uno dei suoi vantaggi più grandi.

Ma ben presto realizzò che la sua vera forza era un'altra: lei era una donna.

 

« E questi ricordi ti hanno riportata in Russia », concluse Clint.

Lei annuì e dopo essersi sciolta dal suo abbraccio, andò a sedersi sul bordo del letto. L'aria fresca entrava dalla finestra ancora aperta e una strana sensazione prese forma e si accovacciò alla base del suo stomaco. Un misto di nostalgia e paura, come se tutte le cose belle e brutte mai successe nella sua vita, si fossero improvvisamente trasformate in quella fredda brezza che profumava vagamente di pane appena fatto.

Cercò di attenuare la sensazione facendo un respiro profondo, ma si rese presto conto che quel gesto non le dava il sollievo desiderato: era come se i suoi polmoni non riuscissero ad immagazzinare abbastanza aria e per un attimo pensò sconcertata che potesse essere sul punto di avere un attacco di panico.

Ma così com'era cominciata, finì.     

Un altro respiro profondo e si ritrovò Clint davanti a lei, inginocchiato in modo da avere il suo volto all'altezza del suo. Con una mano le accarezzò gentilmente la guancia mentre l'altra faceva leva sulla sua gamba così da poter mantenere l'equilibrio mentre si chinava lentamente per baciarle le labbra.

Un piccolo gesto di conforto che scacciò via lo strascico di quella strana sensazione che l'aveva colta solo qualche istante prima.

Chinandosi a sua volta cercò di approfondire il bacio, ma una leggera risata la fermò. La mano di Clint era scesa verso il suo collo e adesso stringeva tra le dita la piccola collana a forma di freccia che portava ormai da svariate settimane.

« L'hai messa davvero? », nella sua voce c'era un pizzico d'orgoglio oltre lo scherno. Fu l'unico motivo per cui non gli diede uno spintone tale da farlo cadere a terra.

« E' un regalo, perché non avrei dovuto? », non voleva dargli alcuna soddisfazione dopo quella domanda così sfacciata.

« L'ultima volta che ti ho fatto un regalo, mi sono ritrovato con un occhio nero », le fece presente.

Natasha rise divertita mentre i ricordi di quella giornata si facevano largo nella sua mente: era stato uno dei loro primi incarichi assieme che gli aveva portati a Londra per svolgere un piccolo lavoro sotto copertura. Nell'attesa di un segnale che desse loro il via libera per tornare a casa, lui aveva insistito per vagare tra le bancarelle dell'enorme fiera natalizia presente a Hyde Park.

Elettrizzato come un bambino, Clint aveva deciso poi di destreggiarsi in uno di quei giochi in cui lo scopo principale è colpire con una pallina una serie di barattoli in modo tale da farli cadere tutti: aveva vinto un pupazzo.

Pupazzo che, con un sorriso sarcastico a piegargli le labbra, aveva allungato alla donna: quando aveva realizzato che quella mezza palla di pelo morbido e nero era un ragno, gli aveva rifilato un gancio destro dritto in faccia che gli aveva fatto vedere le stelle per il resto del loro viaggio di ritorno in America.

« Ringrazia che non ti abbia pugnalato quella volta ».

Scherzando solo in parte, si chinò nuovamente per baciarlo e quando lui la prese per i fianchi e la trascinò al centro del materasso, insinuò una mano sotto la sua maglia e gliela sfilò. Gettandola di lato, fece scorrere le mani sulle sue braccia muscolose, dove leggere cicatrici e marchi segnavano le zone in cui solitamente si trovava il suo equipaggiamento. Un bacio poco sotto la gola e si ritrovò sdraiata sulla schiena mentre le rapide dita di Clint finivano di spogliarla.

Una risata divertita le uscì dalle labbra al suono di una leggera imprecazione da parte dell'uomo che, sconcertato, si era alzato a mostrarle il piccolo pugnale che aveva appena liberato dalla stretta giarrettiera che portava legata alla coscia.

« Davvero? », chiese incredulo.

Lei per tutta risposta, ribaltò le posizioni trovandosi così a cavalcioni all'altezza della sua vita. Un sorriso malizioso le incurvò le labbra mentre riprendeva possesso della sua arma e la infilava nuovamente al suo posto.

Piegandosi per avvicinarsi al suo viso, i capelli le scivolarono in avanti e andarono a poggiarsi sulla spalla di lui che sospirò dolcemente: aveva sempre adorato i suoi rossissimi capelli.

Il bacio che seguì aveva un'urgenza che fino a qualche secondo prima non c'era: con l'esigenza di avvicinarla a sé, fece scorrere una mano tra le scapole e poi giù lungo la colonna vertebrale così da poter raggiungere la parte bassa della schiena e schiacciarla contro il suo corpo. La frizione che seguì fece trattenere il fiato ad entrambi.

Quando entrò in lei, il gemito che seguì lo portò a cercare con ancora più foga le sue labbra così da poter sentire direttamente sulla sua bocca quel suono. Con uno colpo di reni, si alzò e tenendo la donna per i fianchi prese ad assecondare ogni sua mossa.  

Intanto Natasha con gli occhi semi chiusi, continuava a muoversi: passava le mani sul suo petto, inarcava la schiena e piegava il collo così da lasciare scoperta la morbida pelle bianca dove la piccola collana oscillava ad ogni suo movimento.

Clint aveva presto imparato che, nonostante le apparenze, la donna non fosse sempre gelida nei suoi comportamenti: a letto sussurrava, si lasciava andare e rivelava una sensualità che nella vita di tutti i giorni era visibile solo a metà. E considerato che chiunque la vedesse, fosse concorde sul fatto che lei fosse innegabilmente affascinante, si sentiva l'uomo più fortunato del mondo a poter vedere la donna al pieno della sua reale bellezza.

Il ritmò cominciò ad essere incalzante e le gambe di Natasha si strinsero con forza intorno ai suoi fianchi mentre i sospiri si facevano più rapidi e rumorosi.

Quando finì, entrambi si ritrovarono senza fiato: le braccia di lei erano attorno al suo collo e la sua bocca vicino all'orecchio destro di lui che intanto continuava a far scorrere le mani lungo la schiena della donna in una dolce carezza.

Mentre i respiri tornavano ad essere regolari, la domanda che uscì dalle labbra di Clint la fece leggermente irrigidire: « Cos'è successo al tuo fantasma? ».

 

Un altro inverno era arrivato e passato e presto il Soldato se ne sarebbe andato: sapeva che presto l'avrebbero chiuso di nuovo in una di quelle strane capsule che tenevano nascoste nella zona dell'impianto dedicata agli esperimenti e che per almeno un paio di mesi non l'avrebbe più rivisto. Succedeva sempre così quando cominciava a comportarsi in maniera leggermente diversa.

La prima volta che era successo, si era messo a gridare durante un loro allenamento alla vista del suo braccio di metallo che le stringeva il collo. Non era insolito che le afferrasse la gola durante un combattimento più acceso del normale, tuttavia non era mai capitato che la guardasse con le pupille dilatate a dismisura, la lasciasse andare così facilmente e tantomeno che cominciasse a scusarsi senza sosta.

Era quasi arrivata a pensare che fosse un trucco e che volesse ingannarla per poterla atterrare di sorpresa, ma poi aveva visto i loro osservatori agitarsi e nel giro di qualche minuto, l'uomo era stato drogato e adagiato su un lettino che poi era stato portato via in tutta fretta.

Riapparve qualche mese dopo, come se niente fosse successo e con la pelle fredda come l'inverno.

Sapeva che presto sarebbe successo di nuovo, perché in quel momento la sua voce era esitante e molto più bassa del solito mentre le impartiva una delle ultime lezioni necessarie a poter lavorare finalmente sul campo.

Continuava a fissarla con quello strano sguardo negli occhi. All'epoca non aveva riconosciuto quell'emozione che anni dopo avrebbe catalogato come senso di colpa.

« ...sfiorali con le mani mentre ti baciano », continuava ad impartirle brevi consigli mentre la spogliava. « Se non sei sicura di poterli uccidere a mani nude, tieni un coltello o una pistola nascosta sotto i vestiti: quando se ne accorgeranno sarà troppo tardi », e così dicendo le sfiorava le zone adatte come l'interno coscia o le caviglie.

« Renditi vulnerabile: parla, mostra il collo o chiudi gli occhi... », le istruzioni erano semplici da seguire e non riusciva a capire perché ci fosse tutta quell'indecisione nella sua voce mentre prendeva possesso del suo corpo.

Fece come le era stato detto e lo ascoltò scusarsi mentre le afferrava i capelli e spingeva il suo corpo contro il suo ancora e ancora, sempre più velocemente e con sempre più foga.

Natalia lo rassicurava con frasi vuote che le erano state insegnate da bambina, frasi che per lei non avevano significato ma che sembravano funzionare con lui. Sussurrava perché glielo aveva ordinato e perché sembravano piacergli e intanto mostrava il collo e stringeva le sue gambe intorno a lui.

Quella fu l'ultima volta che vide il Soldato d'Inverno.

 

« Se n'è andato », rispose non pensandolo veramente.

Si, molti fantasmi sbiadiscono nel tempo e finiscono con l'essere rimpiazzati da altri o dimenticati, ma non sarebbe mai stato così per questo: lui non sarebbe mai scomparso.

Né lui né i suoi insegnamenti.

      

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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