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Autore: SkepticDame    19/03/2015    0 recensioni
Breve estratto dall'infanzia di una Donna Noble sempre stata parecchio sognante.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donna Noble, Wilfred Mott
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ricordo limpidamente le serate trascorse su quella collina, l'alta collina da cui vedevo le stelle del cielo scurissimo e le stelle della Terra, quelle della città, che si spegnevano ad intermittenza, permettendo al buio di impossessarsi della notte. Pensavo a cosa sarebbe successo se si fossero spenti anche i luccichii sopra la mia testa, gli unici coraggiosi abbastanza da splendere quando tutto perdeva ormai ogni luminescenza, gli unici che nella mia mente splendevano anche quando i miei occhi si chiudevano sull'oscurità della mia stanza. Il nonno non era un esperto di stelle ma le guardava e con occhi pieni di loro, le amava. A volte si sedeva e mi sussurrava che quelle lucine lassù cantavano, in silenzio, portando bei sogni a chiunque le ascoltasse. Come un gesto spontaneo, lo affiancavo e imitavo, e al ritorno a casa correvo a dormire fantasticando sui sogni che avrei avuto la notte. Era un po' come se ogni notte fosse quella di Natale, con l'entusiasmo impaziente di ricevere tanti "regali". Quella sera mi nascosi nell'incavo di una roccia, col fiatone, mentre Lui mi chiamava per tornare a casa. "Donna ti conviene saltare fuori in fretta! Senti? Sto mettendo a posto l'attrezzatura, se non ti sbrighi ti lascio qui". Disse, come sempre. "Con l'uomo nero". Aggiunse con titubanza, come sempre. Sorrisi. E col sorriso sulle labbra mi feci avanti. "Sono grande per queste cose, nonno!". Esclamai con finto tono da intellettuale onnisciente, facendo un saltino verso di lui. "Oh.. ma l'uomo nero non fa mica distinzione fra grandi e piccini. Solo fra bravi e cattivi!". Continuava spudoratamente a mentire, sebbene sapesse che entrambi stavamo reggendo un gioco fasullo ma divertente. "D'accordo farò la brava. Volevo solo rimanere ancora un po' qui a giocare... È così bello!". Riniziai a saltellare qua e là, attorno alla roccia che fino a pochi minuti fa mi ospitava per favorirmi una visione più bella del cielo, avendo un notevole numero di fori sulla parete. Tutto lì sembrava ideato all'unico scopo di rendere ancora più meravigliosa la permanenza. L'erba era soffice come le nuvole di zucchero filato, il vento gentile come una ninna nanna... "Lo so ma se non ti riporto a casa entro un certo orario tua madre le canterà ad entrambi. E farà la cattiva non mandandoti più con me...". "Per i cattivi c'è l'uomo nero, no?". Ridacchiai all'unisono con lui perché eravamo estremamente simili, quanto a voglia di scherzare. "Non fa un piega, eheheh!". Si limitò a rispondere, raccogliendo le ultime cose rimaste. Nel frattempo, la mia attenzione si stava spostando su altro di bellissimo che mi stava circondando. "Una stella, due stelle, tre stelle...". Mi misi a contare le luci verdoline che volteggiavano davanti al mio naso come se si stessero esibendo in una danza improvvisata. "Non sperare di riuscire a contarle tutte per davvero". Replicò lui senza sollevare il volto, ascoltandomi soltanto. "Alla mia età non sono ancora riuscito a capire quante siano effettivamente. Avrò perso il conto migliaia di...". Finalmente mi guardò e capì cosa stessi facendo. "Ne posso prendere una, nonno? Posso?!". Chiesi in preda all'eccitazione e la paura di vedere quei scintilii svanire prima del previsto, godendomi ogni loro movimento. "Hanno bisogno di libertà, mia piccola Donna. Non vorrai privarle di questo diritto...". Stavo per rispondere che loro erano cadute, cadute per me forse, da lassù, e che non le potevo lasciare fuggire così, ma custodirle con delicatezza, guardarle con stupore sempre nuovo... Libertà. Sì, loro erano libere. E se qualcuno le avesse tenute tutte per sé come avevo pensato di fare io per un momento... nessuno, me compresa, avrebbe potuto più guardarle, amarle, desiderarle. Così rimasi ad ammirarne la magia, con il pensiero indelebile che loro fossero davvero venute lì per me. Mi sentii speciale, e speciale fu quella prima esperienza.
   
 
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