Note oscenamente lunghe dell'Autrice ma preferibilmente da leggere: Se siete arrivati qui cliccando su "ultimo capitolo", sappiate che oggi ne ho tecnicamente pubblicati due (uno e mezzo in realtà), quindi se andate indietro vi leggete la seconda parte di Ryohei.
Ma a questo punto, specie perché ce l'ho ben chiara, lasciatemi spiegare la struttura della raccolta.
In ogni storia, di base ci sarà un tema preciso in chiave mafia e vissuto dall'ottica di Tsuna e Guardiani, ma senza un ordine cronologico preciso.
O meglio le storie sono e saranno semmai le scriverò tutte:
Lambo - Omicidio - Tsuna 24 (per cui idem Hayato e Takeshi, 25 Ryohei e Mukuro, 23 Chrome, 26 Hibari e Lambo 15)
Ryohei - Fede/Famiglia - Tsuna 25
Takeshi - Amore - Tsuna 22
Mukuro & Chrome - Matrimonio - Tsuna 21
Hayato - Lealtà - Tsuna 23
Hibari - Speranza - Tsuna 26
L'idea è quella di mostrare tematiche non propriamente mafiose appunto in questa chiave (cercando di trascinarci dietro tutte le ipocrisie del caso e rompere un po' di luoghi comuni) e soprattutto riuscire a mostrare maturità diverse a seconda delle varie fasi di età.
Non prometto di riuscirci, ma quanto meno di provarci.
Ultima cosuccia che riguarda in senso stretto il capitolo. E' la shot più lunga che abbia scritto finora su Reborn, ma è molto più slice of life delle altre, inoltre visto la tematica mi serviva spazio per riuscire a farla credibile.
E sì, per confusionario che sia, è scritto prima l'epilogo, dopo il prologo ed infine la storia.
Vongola Decimo
~ Takeshi ~
[Qualche mese dopo, Italia.]
Curiosamente, non fu la lama intinta di
sangue, il rumore di carne lacerata
mentre la spada affonda nell’avversario, il campanello di allarme.
Non fu lo scorcio di terrore passato
attraverso la pupilla di un uomo, né il rantolo che era un gemito soffocato,
morto.
Non fu nell’istante in cui il sangue gli
schizzò sulla pelle in macchie che avrebbe poi lavato, macchie che sarebbero comunque rimaste, che il panico lo assalì
nella consapevolezza di essere diventato un assassino.
E anzi fu con calma gelida che osservò
l’avversario cadere a terra. Dietro di lui gemiti di stupore e paura, ma stavano
tutti bene, li aveva protetti, e questo era l’importante.
Il panico vero fu capire che si aspettava
altro, si aspettava il rimorso, il rimpianto, una coscienza cui dover far
fronte, un perdono che non si sarebbe concesso.
E, invece, l’unico sentimento che lo
smuoveva era la consapevolezza che sapeva da tempo sarebbe accaduto, e forse
non è neanche la prima volta. Le sue mani non erano vergini neanche prima di
iniziare quello scontro.
Reborn gli
batté una mano sulla spalla, poteva indovinare quale fosse il suo sguardo senza
neanche vederlo. Reborn capiva, sapeva anche prima di
lui. Si asciugò il sudore dalla fronte, la mano scivolò sulla cicatrice sul
mento, che era un monito a ricordargli chi fosse, cosa aveva fatto o avrebbe
continuato a fare.
Il modo in cui Reborn
si allontanò senza una parola di rimprovero o conforto, gli confermò che non
era affatto la prima volta, solo l’ultima lezione.
Non lo stupiva, non provava rimorso, per il
bene dei suoi amici, della sua famiglia,
era pronto a tutto. Non aveva perso i propri principi, perché il primo della
lista era proteggere chi amava. E lo aveva fatto.
Quando si voltò verso i suoi compagni,
però, si accorse che gli occhi del suo migliore amico, del suo Boss, di Don
Vongola Decimo, non erano altrettanto indulgenti.
[Sette anni prima,
Giappone]
L’aveva sentita in diverse
versioni quella storia, e aveva anche assistito in prima persona ai fatti, ma era
curioso lo stesso. In più, c’era da dire che gli piaceva parlare con Reborn, in qualche modo riusciva a sentirlo vicino.
“Ehi, Reborn,
perché non hai sposato Bianchi?” chiese divertito.
Il killer lo guardò
inclinando la testa in un angolo irregolare, il sorriso di Takeshi
crebbe solo a tentare di capire come diavolo ci fosse riuscito.
“Non ho idea di che tu
stia parlando” rispose l’Arcobaleno con un tono di voce che voleva sembrare
innocente.
Yamamoto rise. “L’hai
fatta sposare con un robot, non è carino, Reborn. Non
so neanche come abbia fatto Gokudera a non
arrabbiarsi.”
“Non sono stato io, non
c’ero nemmeno” continuò Reborn con lo stesso tono,
stando al gioco.
Takeshi
non poté fare a meno di ridere di nuovo, prima di riprendere i suoi esercizi
con la spada, sotto lo sguardo attento dell’hitman
più famoso al mondo.
Il Guardiano della Pioggia
era senza dubbio il membro della Famiglia che imparava più facilmente. Per
quanto suo padre fosse un ottimo spadaccino, Yamamoto aveva già appreso tutto ciò
che aveva da insegnargli.
Squalo da quel punto di
vista era il miglior tutor di cui Takeshi potesse
disporre. Il Varia era un uomo che aveva donato la sua intera vita all’onore e
all’arte della spada, un guerriero che non si fermava mai, troppo orgoglioso
per accettare una sconfitta, troppo superbo per non migliorare e superare ogni
ostacolo.
Lui e Yamamoto si
superavano costantemente, erano uno stimolo continuo l’uno per l’altro, se
avessero potuto lavorare ogni giorno fianco a fianco sarebbero diventati una coppia
imbattibile. Era un peccato, da quell’ottica, che Squalo avesse degli obblighi
nei confronti dei Varia e vivesse in Italia, per quanto fosse meglio così e non
con i Varia tra i piedi in continuazione, visti i rapporti tra Xanxus e il suo stupido allievo.
Tuttavia, era convinto che
la compagnia del Varia della Pioggia, facesse bene a Yamamoto. Squalo era un
assassino di professione, violento e spietato come solo la mafia sa essere, in
qualche modo, avere a che fare con i suoi modi rudi era una lezione di vita per
il più giovane, che invece la mafia non l’aveva ancora capita.
Ma proprio per questo, Reborn era sicuro che tra tutti proprio Yamamoto fosse il
più adatto a diventare l’hitman della decima Famiglia,
come lui lo era per la nona.
“Nella mafia non ci sono
mogli, ci sono solo amanti” gli spiegò, il cappello calato sugli occhi.
“Mh?
Hai detto qualcosa?” domandò Yamamoto, interrompendo un affondo.
“Ascoltami bene, Takeshi, perché un giorno varrà anche per te.”
Il ragazzo interruppe gli
allenamenti per avvicinarsi all’Arcobaleno. Sedette a terra di fronte a lui,
sul volto il solito sorriso.
“Andiamo, Reborn, mica ti sono venuti i sensi di colpa?”
“Takeshi
non tutti i tuoi nemici giocheranno pulito, quando vorranno farti del male.
Ricordi nel futuro quello che fecero a tuo padre? Ricordi Daemon
Spade?” chiese insistente.
Il Guardiano fremette a
quelle immagini, lo sguardo improvvisamente duro, la mascella contratta.
“I nemici della tua
Famiglia sono i tuoi nemici” continuò l’Arcobaleno, in quella lezione di vita
che aveva deciso di impartirgli nel modo più indolore che gli venisse in mente.
Ma era un palliativo, la mafia non è mai indolore, tuttavia questo Takeshi lo avrebbe scoperto da solo. “I tuoi amici sono
nemici dei tuoi nemici. Avere ufficialmente una moglie equivale ad offrire un
bersaglio facile a chi vorrà farti del male. Sapranno chi devono uccidere.”
Yamamoto era confuso,
forse un po’ arrabbiato, ma per lo più si chiedeva perché stessero avendo
quella conversazione in quell’istante.
“Beh, ma alla fine tutto
il mondo sa che Bianchi è la tua amante, non cambia poi tanto.”
“Nella mafia sì. Un uomo
ha un amante per tanti motivi: per divertirsi, per non destare sospetti, per
puntare le attenzioni su qualcun altro. A volte è una trappola” spiegò stringendosi
nelle spalle, come se quei concetti fossero del tutto naturali. “In più Bianchi
è una mercenaria ed è del tutto in grado di difendersi da sola, non
sottovalutarla mai, potresti pentirtene.”
“Non ho mai pensato di
farlo” rise il ragazzo, ricordando le volte che era finito avvelenato solo per
aver toccato la sua cucina.
“C’è anche un altro
motivo, Takeshi” riprese Reborn,
interrompendo tutto il divertimento dell’altro.
“Poi non avresti più scuse
per non mangiare quello che cucina?” chiese, nel tentativo di sdrammatizzare il
tono serio inadatto ad un bambino. Ma in fondo, Reborn
era tutto tranne che un infante, lui lo sapeva bene.
“Se non ti sposi, sarà più
facile per te se dovrai uccidere la tua donna.”
Yamamoto lo guardò come se
non avesse sentito bene, ma gli occhi sgranati smentivano i suoi sentimenti. “Reborn… Che stai dicendo?”
“Ciò che conta più di ogni
altra cosa nella Famiglia è la Famiglia stessa, ricordatelo sempre.”
“Stai dicendo che saresti
disposto ad uccidere Bianchi?”
“Bianchi fa parte dei
Vongola, non è una minaccia, ma se una donna dovesse tradirti dovrai fare una
scelta.”
Takeshi
lo guardò senza parlare per diversi minuti. In verità, non sapeva neanche che
dire, stavano parlando di concetti e realtà che non conosceva e in cui non era
convinto di voler essere coinvolto.
“Reborn,
io ho intenzione di restare al fianco di Tsuna, non
mi sono mai interessate davvero le regole della mafia. Forse dovresti parlarne
con Gokudera, a lui importerebbe di più di discorsi
del genere.”
Si alzò per riprendere i
propri esercizi, dichiarando definitivamente la sua posizione circa
l’argomento.
“Me lo auguro” rispose Reborn, da sotto la tesa del cappello. Yamamoto non chiese
mai a cosa si riferisse.
[Presente, Italia.]
Sawada Tsunayoshi era diventato decimo Boss della famiglia Vongola
già da quattro anni. Era ancora minorenne secondo il suo Stato, ma a quanto
pareva in Italia bastano diciotto anni per diventare adulti e lo avevano
costretto allora a prendere una scelta.
Non che ci fosse molto da scegliere in
realtà, ma in quel momento aveva capito seriamente quello che Reborn cercava di insegnargli da anni: bene e male non sono
due concetti indistinti. Bisogna sbagliare per fare la cosa giusta, talvolta.
La cosa giusta può uccidere, altre volte.
Per proteggere i suoi amici, la sua
famiglia, doveva diventare un boss mafioso. Da lì in poi, non aveva mai più
saputo cosa fosse giusto o errato, ogni decisione che aveva preso l’aveva fatto
pensando a quanto il gioco valesse la candela, quale opzione fosse meno drastica,
più sicura.
Non c’era pace senza uno scotto da pagare e
anche dietro la mossa più folle si nasconde il germoglio della speranza.
Analizzava i due lati della medaglia per
tutto ormai, probabilmente era frutto del cinismo che aveva maturato crescendo
con anni con Reborn, ma in quel momento non poteva
fare a meno di pensare che l’intuito dei Vongola, l’istinto che gli aveva
salvato la vita innumerevoli volte, potesse essere anche una maledizione.
Sabrina De Rosa era una donna bellissima,
solare, allegra e con il sorriso pronto sulle labbra. In più era una fan
accanita del baseball in un paese in cui il baseball contava meno che niente. Era
così, d’altronde, che lei e Takeshi si erano
conosciuti.
Lei non si era persa una sola partita del
suo ultimo torneo e tra un autografo e l’altro era scoccata la scintilla.
Quella scintilla che è più la complicità di due persone che si trovano sulla
stessa linea d’onda, che non una passione folle.
Quei due erano capaci di passare ore a
parlare su quale squadra fosse migliore tra i Red Sox
e gli Yankees, per somma disperazione di Hayato che
faticava sempre più a sopportarli tra i piedi. Il fatto che poi passassero la
gran parte del tempo a ridere come se non avessero un solo problema al mondo,
mandava in bestia il Guardiano della Tempesta. Prima faticava ad avere a che fare con uno scemo, ora se ne ritrovava
due.
A Tsuna il
rapporto che Takeshi e Sabrina stavano maturando
piaceva. Takeshi con lei era felice, spensierato,
anche più sicuro di sé. Era bello vedere l’entusiasmo con cui usciva al mattino
e il sorriso con cui rientrava e si ritrovava sempre più spesso a sperare un
lieto fine per loro.
Tuttavia, non poteva fare a meno di pensare
che il giorno in cui Takeshi gli aveva presentato per
la prima volta la sua ragazza, il suo istinto si era risvegliato con
prepotenza, neanche se la giovane donna che aveva di fronte fosse in realtà uno
dei travestimenti di Mukuro.
Si era voltato rapidamente verso
l’Illusionista che, appoggiato ad una parete del suo studio, abbracciava Chrome in modo fin troppo decente. Quello, e il fatto che
lo guardasse senza sorridere lo avevano ufficialmente convinto che lui non c’entrasse
nulla.
Eppure, c’era come un rumore graffiante
nella sua testa che non si zittiva.
La felicità non si rivela sempre con un
sorriso. Takeshi Yamamoto lo sapeva bene. Il sorriso
sulle sue labbra non era mai mancato, sin da quando era bambino. Persino il
giorno in cui aveva perso sua madre aveva trovato un istante per sorridere.
Lo aveva fatto per suo padre, che non
sapeva come consolare le sue lacrime. Quel giorno aveva imparato che sorridere
non significa essere felici, ma tentare di fare felice qualcun altro, nella
speranza di ricevere qualcosa in cambio che gli riempisse il vuoto che sentiva
dentro. Il vuoto che scopri di avere quando sei ancora un bambino e resti
orfano di un genitore, con un padre che lo ha sempre amato sinceramente ma non
è mai riuscito ad affrontare neanche il proprio di dolore.
All’inizio credeva di poter riempire quel
vuoto con il baseball, un’illusione alimentata dalla sua prestanza fisica e
l’innato talento ad eccellere in ogni sport. Finché non era diventata
un’ossessione il bisogno di migliore, il bisogno di essere indispensabile agli
occhi di qualcuno, dei suoi compagni di squadra che lo stimavano solo come
giocatore e sapevano a stento quale fosse il suo nome completo. Un’ossessione
tale da non rendersi conto di essere l’unica luce per l’uomo che l’aveva messo
al mondo.
Aveva dato quell’affetto quasi per
scontato, fino a quando nel futuro non si era ritrovato orfano di entrambi i
genitori. Il dolore che lo aveva colpito a quella rivelazione aveva rischiato
di mandarlo a pezzi. Ma aveva imparato la lezione.
L’aveva imparata il giorno in cui era stato
così egoista da tentare il suicidio. L’ossessione che nutriva verso il
baseball, verso se stesso, lo stava
consumando al punto tale che non riusciva più a guardarsi allo specchio senza
vedere il risultato di un fallimento totale.
Sorrideva sempre all’immagine che gli
veniva riflessa. Sorrideva e pochi minuti dopo saliva le scale della scuola
pensando che lasciarsi cadere dal tetto fosse la degna conclusione per tutti i
suoi insuccessi.
Poi era arrivato Tsuna
che con la sua goffaggine e la sua bontà innata gli aveva aperto gli occhi. Gli
aveva donato la sua amicizia senza pretendere nulla in cambio e lo guardava
come se, perdendolo, anche una parte di lui sarebbe morta senza possibilità di
soluzione.
Dopo nove anni trascorsi insieme, ancora
oggi Tsuna considerava la sua amicizia non un fatto
scontato o dovuto, ma un miracolo di cui era immensamente grato. Era diventato
indispensabile per lui e per la sua Famiglia, senza che dovesse alzare un dito
per guadagnarsi quel posto. Si era guadagnato il titolo di terza figura più
importante in una delle famiglie mafiose più potenti al mondo tra un pigiama
party e l’altro.
Quel vuoto che provava si era colmato con
una tale naturalezza che oggi non chiedeva come mai lo avesse provato in prima
istanza. Tsuna, Reborn e
tutti i suoi compagni di avventura
gli avevano fatto provare la voglia di sorridere per manifestare gioia,
sorridere solo per se stesso.
Aveva imparato ad amarsi lentamente, un
passo alla volta, senza fretta e senza aspettative. Poteva sembrare strano a
dirsi, ma solo adesso che aveva ventidue anni si sentiva pronto ad amare
un’altra persona.
Sabrina era giunta nella sua vita a portare
quell’amore che da bambino cercava disperatamente, ma era troppo cieco per
riuscire a riconoscere. Quell’amore che adesso non solo vedeva, ma tesoreggiava
con cura e attenzione.
Sabrina gli dava la voglia di correre e
ridere, ridere per il semplice motivo che la gioia trabocca da te come un
bicchiere troppo pieno e non riesci a contenerla. Era la sua migliore amica, la
sua confidente e la sua amante. Era l’anima gemella di cui potersi fidare, la
persona che lo avrebbe raccolto se si fosse lanciato nel vuoto. Quella che
l’aveva capito, l’aveva capito davvero.
Era la prima persona cui aveva parlato del
suo tentato suicidio. Con gli altri ragazzi non aveva mai ripreso l’argomento,
né loro avevano mai avuto il coraggio di accennarlo. E non aveva mai avuto il
coraggio di raccontare a suo padre di quella giornata in cui aveva perso la
testa, sapeva che razza di dolore e di delusione gli avrebbe inferto.
Invece, Sabrina era rimasta a sentirlo
tutto il tempo senza giudicarlo, il suo sguardo amorevole non era mai cambiato,
aveva ascoltato tutti i drammi e i dolori che covava da adolescente, le sue più
profonde debolezze, le paure.
E poi l’aveva semplicemente abbracciato,
come se volesse scacciare via ogni male da lui. Avevano fatto l’amore quella
sera. Non era la prima volta, no. Ma era la prima volta che Takeshi
Yamamoto aveva sentito la propria anima legata indissolubilmente a quella di
qualcun altro.
“Tsuna!” salutò
allegro il Guardiano della Pioggia, entrando nel suo studio. “Disturbo?” chiese
solo dopo essersi già accomodato.
A Tsuna piacevano
i modi spensierati di Yamamoto, gli mettevano allegria. Takeshi
Yamamoto era esattamente come la pioggia che rappresentava. Lavava via tutto con
la sua sola presenza. Con lui, più che con chiunque altro, tornava ad essere il
ragazzo spensierato che era anni e anni prima.
Non lo avrebbe cacciato dal suo studio
neanche se lo stesse disturbando davvero. In più, ogni distrazione dal suo
lavoro era più che ben accetta.
“No, affatto” gli sorrise. “Dimmi tutto.”
“Devo chiederti un favore.”
“Qualunque cosa. Specie se mi costringe a
mettere da parte tutte queste scartoffie per un paio d’ore. O magari per anni”
aggiunse con una smorfia che fece scoppiare a ridere il Guardiano.
“Reborn ti
ammazza se ci provi” gli fece notare.
“Lo so. Fidati, lo so.” Aggiunse con il tono desolato che aveva sempre quando
parlava di Reborn. Mise da parte penna e fogli e gli
rivolse la sua completa attenzione. “Allora, che favore devo farti?”
“Ho l’obbligo morale di avvertirti che ti
costerà un po’ di burocrazia in più” lo avvisò Takeshi,
con un sorriso un po’ colpevole e una grattata di testa.
Tsunayoshi
roteò giocosamente gli occhi al soffitto. “E io che pensavo fossimo amici.”
La risata del ragazzo più alto riempì la
stanza con una freschezza tale che il Decimo della Famiglia Vongola pensò che,
solo per quella, si sarebbe ammazzato volentieri di lavoro. Ne sarebbe valsa la
pena.
“Voglio che mi sposi.”
Tsuna
per poco non cadde da seduto. “Eh?”
“Dai, con Mukuro
e Chrome lo hai fatto!”
“Ma che c’entra! Solo perché Mukuro è fuori di testa. E poi non era un vero matrimonio,
quello!”
“Beh, ma è stato divertente!”
“Takeshi, tanto
per cominciare non era legale.” Almeno lo sperava per Chrome,
ma con Reborn non si poteva mai sapere. “E l’unico
motivo per cui ho celebrato le loro nozze è stato perché preferisco assecondare
le follie di Mukuro che non tentare di capirle” gli
spiegò assolutamente disperato, facendolo ridere di nuovo. “Io non posso
sposare nessuno, non davvero. E poi perché vuoi sposarti, in primo luogo?” il
tono della voce raggiunse un’ottava isterica che sembrava non fosse mai andato
incontro alla pubertà.
“E’ quello che fanno due persone quando si
amano, Tsuna” gli chiarì, come se fosse deficiente.
“E io e Sabrina ci amiamo.”
Tsuna
sentì all’improvviso la testa martellare poco sopra la noce del collo. Il primo
istinto fu quello di raddrizzare la schiena, nella posa tipica che assumeva
quando vestiva il ruolo di Boss. Ma riuscì a rilassarsi di nuovo quasi subito
nella poltrona.
“Takeshi, vi
conoscete solo da sei mesi e state insieme da quattro, non puoi essere sicuro
che la vostra storia durerà per sempre.”
Il Guardiano della Pioggia si stravaccò
sulla poltroncina, incrociando le mani dietro la testa. “Forse hai ragione. Ma
sento che è la scelta giusta da fare, sai è una questione di stomaco.”
Tsuna
scosse la testa con un mezzo sorriso, cercando di non lasciare trapelare la
preoccupazione. Yamamoto aveva sempre avuto un istinto fenomenale, quasi quanto
il suo, ma in quel momento non riusciva a fare a meno di pensare che stesse
commettendo un errore.
“Ma perché non ti prendi ancora un po’ di
tempo per pensarci? Tanto puoi sposarti sempre che vuoi, non è che c’è tutta
questa fretta.”
“So che ti preoccupi per me, Tsuna, ma so quello che voglio nella vita” gli spiegò con
calma, con un sorriso così affettuoso da essere disarmante.
Davanti quel sorriso, Tsunayoshi
non era semplicemente capace di dire di no e aveva anche finito tutte le scuse
possibili. Fu la porta che si spalancò come se dovesse saltare via dai cardini
a salvarlo dall’imbarazzo di rispondere.
Kyoya Hibari e il bussare ad una porta avevano litigato nella
culla. Anzi, probabilmente Kyoya aveva litigato con la cortesia in generale, pensò
Tsunayoshi quando vide entrare il Guardiano della
Nuvola nel suo studio con la magnifica arroganza che lo caratterizzava. Con Hibari non si sentiva mai Boss, Tsuna;
quel suo incedere deciso come se possedesse tutti e tutto era così convincente,
che spesso tornava al ragazzino che era stato e tendeva a rigare quanto più
dritto possibile.
“Kyoya” lo
salutò, ricevendo un’occhiataccia e una specie di ringhio in risposta.
Gli consegnò una cartella con dei documenti
sui cui troneggiava la scritta Fondazione.
Non capitava spesso che Hibari sentisse il dovere di
informarlo delle ricerche della Fondazione e in genere non erano mai buone
notizie.
Quando prese la cartella capì che era per
colpa dei documenti che vi si trovavano dentro che il suo istinto era schizzato
alle stelle all’improvviso e non per Yamamoto, probabilmente.
“Ehi, Hibari, ci
vieni al mio matrimonio?” lo accolse invece la Pioggia con un sorriso che
l’altro Guardiano gli avrebbe volentieri spaccato definitivamente.
Tuttavia, a quella domanda non riuscì a non
inarcare un sopracciglio e un ghigno sarcastico gli piegò le labbra.
“Perché, ti sposi?”
“Sì, ho fatto la proposta a Sabrina proprio
stamani e vogliamo sposarci quanto prima.”
“Spiacente, quel giorno avrò di meglio da
fare.”
Yamamoto lo guardò scettico. “Non sai
neanche che data è.”
“E’ del tutto ininfluente. Ma non
preoccuparti,” aggiunse con un sorriso che era una specie di minaccia
“riceverai comunque al più presto il mio regalo di nozze.”
Si congedò con quelle parole, ma prima di
uscire nuovamente e sbattere la porta con la stessa violenza con cui l’aveva
aperta, si voltò nuovamente verso il suo presunto
Boss.
“Sawada Tsunayoshi, sono certo che quei documenti vorrai leggerli
subito” poi si sentì solo l’anta che si richiudeva con forza.
Yamamoto scoppiò a ridere spontaneamente.
“Certo che non cambierà proprio mai, vero?”
“Non dirmelo. Metà delle volte che lo vedo
ho paura che voglia pestarmi, l’altra metà lo fa sul serio” biascicò
esasperato. Tra lui, Mukuro e Reborn
era un miracolo che fosse ancora vivo e vegeto.
Il Guardiano ridacchiò ancora al tono
assurdo e lamentevole di Tsuna, sapendo benissimo che
per quanto violenti e dolorosi quegli interludi potessero essere, per il Decimo
dei Vongola erano comunque una ventata di libertà dalla mafia. Tsuna adorava ogni singolo istante in cui potevano essere
loro stessi, senza maschere, senza responsabilità. Le conseguenze non gli
importavano.
Il Decimo dei Vongola aprì la cartella che
gli aveva portato Hibari e iniziò a sfogliarne i documenti
all’interno. Takeshi si guardò intorno nell’attesa di
dargli il tempo di leggere ciò che doveva, ma non gli sfuggì l’istante in cui
il suo migliore amico si irrigidì. Le spalle si tesero, la schiena era dritta e
il suo sguardo si tingeva di una luce arancione ormai famigliare.
“E’ successo qualcosa?”
“No” rispose troppo in fretta e con voce
troppo bassa. “No, niente.”
“Tsuna, non
mentirmi.”
Di fronte quello sguardo serio come rare
volte lo era, Tsunayoshi sospirò e si rilassò
nuovamente sulla seduta, ma i suoi occhi non tornarono castani.
“Devo verificare alcune cose prima di
prendere una decisione e parlarvene. Devo mettermi in contatto con i Varia.
Ascolta, devo chiederti un favore.”
“Tutto quello che vuoi.”
“Oggi c’è l’incontro dei genitori a scuola
di Lambo e I-Pin. Devo chiederti di saltare gli allenamenti di baseball e
sostituirmi, visto che devo andare da Xanxus.”
“Va bene, ma come mai non lo chiedi ad Hayato?” non era una scusa, era una pura curiosità. Gokudera, dopotutto, si era autonominato docente privato di
Lambo o qualcosa del genere.
Una bella mattina la Tempesta aveva deciso
che il Decimo non dovesse avere né un Guardiano pigro, né ignorante e che se a
cinque anni Lambo riusciva a parlare due lingue, allora poteva anche eccellere
in qualunque altra materia a costo di prenderlo a calci nel sedere finché non
vi fosse riuscito.
Da allora tra lui e Ryohei
era una guerra quotidiana: Gokudera pretendeva Lambo
studiasse dall’alba al tramonto, Ryohei che si
godesse l’infanzia e la gioventù e che pertanto dovesse correre come un matto
per la città e fare più attività fisica di un campione alle olimpiadi.
Lambo li avrebbe probabilmente odiati
entrambi, se solo non avesse adorato così tanto l’idea di essere al centro
delle attenzioni.
“Lo chiederò anche ad Hayato”
gli confermò Tsuna. “Ma ho sinceramente paura che se
Lambo non ha una media perfetta, Hayato possa
staccargli la testa. Per cui, più che badare ai bambini, devo chiederti di
badare ad Hayato.”
Yamamoto rise, immaginandosi già l’ex
compagno di classe minacciare di tappare ogni orifizio possibile del loro fratellino con un candelotto di
dinamite.
“Va bene, ne approfitterò per battere un
po’ la fiacca” rispose annuendo. Poi si fece di nuovo serio. “Ma tienimi aggiornato
su qualunque cosa stia accadendo.”
“Certo, appena torno dai Varia ti farò
sapere.”
“Ottimo, ti lascio lavorare” annunciò,
alzandosi dalla poltroncina. “Cerca di non farti sparare da Xanxus”
lo salutò.
Tsuna
annuì soltanto. Il fatto che non avesse commentato o non si fosse lagnato del
Boss della squadra assassina indipendente Varia, per poi arrivare puntualmente
a lamentarsi di Reborn, insospettì non poco il
Guardiano.
“Sta’ attento” aggiunse con tono più serio.
“Non preoccuparti, non ne ho bisogno.” Il
sorriso con cui Tsunayoshi accompagnò quella frase fu
abbastanza sincero da convincerlo.
“D’accordo allora, io vado. A proposito, mi
sposi, allora?”
Tsunayoshi
tacque solo per un istante, impegnato a rileggere un paio di frasi nei fogli
che aveva tra le mani. Poi alzò di nuovo lo sguardo verso il Guardiano. “Sì, se
è quello che vuoi.”
“Hayato, accendi
la televisione per favore.”
Se prima qualcuno potesse avere il sospetto
che qualcosa non andasse, quella ne era decisamente la conferma. Tsuna era tornato dall’incontro con i Varia appena qualche
ora prima e aveva trascorso tutto il tempo chiuso nel suo ufficio con Reborn. E adesso era entrato in sala da pranzo a passo di
carica, ancora in giacca e cravatta, nonostante avesse finito di lavorare per
quel giorno, e si era seduto capotavola senza neanche rivolgere una parola a
nessuno.
Come se questo non bastasse, voleva vedere
la televisione. Il che era una specie di tabù. Tsuna
aveva vietato la TV a tavola perché le lotte tra i Guardiani per il telecomando
potevano essere più distruttive di una guerra armata con una Famiglia nemica e
siccome era poi lui quello che doveva occuparsi di riparazione, bollette,
spese, e preoccuparsi della sanità medica dei domestici, la cosa lo seccava
enormemente.
In verità, lo seccava ancora di più quando,
per miracolo dal cielo, erano tutti d’accordo a vedere lo stesso canale.
Passavano già troppo tempo separati, pur abitando nella stessa villa, non
sopportava l’idea che ciascuno di loro si isolasse anche mentre erano allo
stesso tavolo.
Tsuna
aveva bisogno di trascorrere almeno i suoi pasti non con i suoi Guardiani, ma
con la sua famiglia. Loro erano le persone per cui andava avanti, quelle per
cui non poteva rinunciare alla sua carica, alla mafia, al proteggerli.
Alcuni erano onorati di come Tsuna non rinunciasse mai a dedicare loro almeno un paio di
ore al giorno, altri non potevano semplicemente fregarsene di meno, ma ormai
erano quattro anni che tutti rispettavano quella sorta di sacralità dei pasti.
“Certo, Decimo. Che canale?”
“Telegiornale. Haru,
Kyoko, perché non accompagnate I-Pin, Lambo e Fuuta a mangiare fuori se ne hanno voglia?”
Benché potesse sembrare un invito, il tono
che aveva usato sosteneva tutto il contrario.
Le ragazze non protestarono, avevano
imparato ormai che quando Tsuna decideva di tagliarle
fuori da qualcosa, lo faceva solo per il loro bene.
“Vado con loro” si offrì Bianchi.
Tsuna
annuì soltanto.
Lambo gli corse incontro sfuggendo alla
presa di Haru. “Tsuna non è
giusto, anche io sono un Guardiano e ho diritto a…”
“Vai” gli disse solamente il suo Boss con
un’occhiata di traverso.
Stava per protestare ancora quando Hayato lo sollevò per la collottola della camicia pezzata e
lo trascinò dalle ragazze di peso.
“Piantala di fare storie, SceMucca” lo riprese con una schicchera sulla testa. “Ti
racconto poi io, al massimo” concluse sottovoce, prima di mollare Lambo alle
altre.
Lambo non protestò. Gokudera
era un maestro e un fratello per lui. E soprattutto era il tipo che lo aveva
trascinato per un orecchio da scuola quando aveva scoperto che aveva marinato
più lezioni e lo aveva costretto a passare il pomeriggio a pulire i bagni della
magione.
Il nuovo metodo che aveva trovato per
umiliarlo e punirlo, da quando Tsuna gli aveva
severamente vietato di sculacciarlo.
Per quel giorno il piccolo Guardiano ne
aveva avute abbastanza, tante grazie.
Appena le ragazze e i bambini lasciarono la
sala da pranzo, Gokudera accese la televisione come
gli era stato ordinato e tornò a sedersi alla destra del Decimo.
La cena venne presto servita nel silenzio più
totale, rotto soltanto dalla voce della giornalista e degli inviati nei vari
servizi.
Erano tutti impegnati a capire cosa Tsuna stesse aspettando. Yamamoto in particolare, non
faceva che rivolgere lo sguardo dal plasma maxi-schermo al suo Boss. Tsuna non era così nervoso prima che Hibari
gli portasse quel rapporto. Doveva essere successa qualcosa di grave.
Strinse la mano a Sabrina che gli sorrise
dolcemente, poi si voltarono di nuovo entrambi verso lo schermo.
La conduttrice televisiva, una donna sui quarant’anni,
dai capelli raccolti e il trucco leggero, assunse una faccia quasi sbalordita
mentre leggeva la prossima notizia.
“Terribile
fatto di cronaca nera in Sicilia” annunciò prima che sullo schermo
l’immagine cambiasse per mostrare quello della loro città, con palazzi
completamente distrutti, come se fatti esplodere, ma ancora più
sorprendentemente come se fossero stati tagliati a metà.
Yamamoto si irrigidì all’istante. Che lui
sapesse, solo tre persone potevano tagliare
un intero palazzo: lui, Squalo e Genkishi. Visto che
lui non era il responsabile e Genkishi si era tenuto
lontano dalla mafia in quella realtà, quella doveva essere opera di Squalo e
delle truppe dei Varia.
“Una
faida tra Famiglie mafiose ha devastato le strade nelle ultime ore. Sono stati
rinvenuti undici vittime e trentaquattro feriti. Stando ai primi accertamenti
della polizia, tutti i coinvolti appartenevano alla Famiglia mafiosa Bonaldi. Secondo l’ispettore Michele Filice,
le vittime erano sicari incaricati di far fuori qualche esponente di una
Famiglia rivale, gli altri avevano il semplice ruolo di guardia. A quanto pare,
tuttavia – sostiene l’ispettore – i loro piani sono stati scoperti e
loro puniti duramente. Non si sa chi possa essere l’altra Famiglia coinvolta.
Nessuna traccia o prova che possa portare ad una accusa è stata rinvenuta sul
posto e nessun testimone è riuscito a vedere con esattezza cosa stesse
accadendo. Nessuno dei civili è stato tuttavia coinvolto, i palazzi distrutti
in quel momento erano disabitati. L’ispettore Filice,
sostiene, tra l’altro, che agli sfollati è stata consegnata in modo del tutto
anonima una busta contenente abbastanza denaro da risarcire i danni, senza
impronte digitali o altri segni riconoscibili. Questo non è da vedersi come un
buon gesto, aggiunge l’ispettore, in quanto non farà che aggravare l’omertà sul
caso e la…”
Tsunayoshi
spense la televisione.
“E’ opera di Squalo, vero?” chiese
immediatamente Yamamoto.
“Squalo e Belphegor,
in verità. E le truppe della Nebbia dei Varia, per cui nessuno ha visto niente”
rispose Vongola Decimo senza neanche cercare di negare quanto i Vongola fossero
coinvolti in quella storia.
I Varia erano sicari e molte volte
mercenari, non era una novità che mietessero vittime. Ma, in genere, erano
anche assolutamente discreti e Tsuna non era
coinvolto direttamente nelle loro azioni. In quel caso, sembrava invece palese
come fosse stato il ragazzo stesso a richiedere i servizi della squadra
indipendente di assassini della Famiglia Vongola.
“Cos’è successo Sawada?”
“I Bonaldi ci
hanno preso di mira. Hanno ricevuto una soffiata e ci stavano aspettando. Erano
pronti ad ammazzare diversi membri della Famiglia ed evidentemente credevano
glielo avrei lasciato fare.”
“Decimo, in che senso una soffiata?” chiese
Hayato, allontanando il piatto. Improvvisamente gli
era passato l’appetito.
“Abbiamo un traditore all’interno della
Famiglia” spiegò Tsuna, guardandoli tutti, uno dopo
l’altro negli occhi. “Qualcuno che ha venduto le informazioni su ciascuno di
voi, sulle vostre abitudini, sui vostri cari, su quelle degli altri membri
della Famiglia e sulle mie. E pensavano di mirarci in successione uno dopo
l’altro quando meno ce lo aspettavamo.”
“Sai chi è il traditore, Tsuna?” domandò Takeshi nervoso.
Era questo allora che aveva scoperto quel
pomeriggio. Aveva riconosciuto una delle zone che avevano mostrato in TV, era
la strada che prendeva per andare ad allenarsi con la squadra di baseball.
Tsuna
gli aveva fatto saltare gli allenamenti per proteggerlo e non lo aveva avvisato
per impedirgli di sporcarsi le mani.
“Ovviamente” rispose il ragazzo più giovane
guardandolo negli occhi.
“Spero che gli abbiate dato una bella
lezione, Decimo. O se volete ci penso io a mandare quel bastardo figlio di
cagna direttamente all’inferno” commentò il Guardiano della Tempesta senza
celare l’ira che provava.
Per i suoi canoni, un uomo che tradiva la
Famiglia che lo aveva accolto, meritava di morire. Non aveva nulla contro chi
decideva di ritirarsi dalla mafia, finché teneva la bocca chiusa, ma nessuno
poteva permettersi di tradire il Decimo, dopo tutto quello che il Decimo faceva
per ciascuno di loro.
“No.”
“Prego?”
“Ho deciso di perdonarlo.”
“Decimo, ma state scherzando?” per poco
saltò in piedi, Hayato.
Un tempo non avrebbe mai contraddetto il suo
Boss. Da quando era braccio destro però, sapeva che Tsuna
voleva il suo parere, non che lo assecondasse, che lo stimava esattamente per
quello.
“Non potete lasciare che quel bastardo lo
rifaccia. E se i Bonaldi ci riprovassero?”
“Dopo quello che hanno subito oggi non
credo abbiano ancora voglia di mettersi contro di noi.”
“Ma questo non vi assicura che il bastardo
che ci ha traditi non venda quelle informazioni a qualcun altro. Decimo, se non
volete che l’Italia intera e forse il mondo diventi un bagno di sangue, non
possiamo permetterci di avere delle spie.”
“Lo so perfettamente, Hayato.
Ma il traditore è una persona molto importante per altri membri della Famiglia.
Se lo punissi, punirei anche loro e non mi sembra giusto. Però, sa bene che
questa è l’ultima possibilità che gli do. Per cui, se ci tiene alla vita, non
ci proverà di nuovo.”
Reborn
dall’altro lato del tavolo, non commentò, ma la tesa del cappello gli coprì uno
sguardo preoccupato.
“Come dite voi, Decimo” cedette dopo
qualche istante Gokudera, seppur poco convinto.
“Grazie, Hayato.”
“In
verità, io vi dico che uno di voi, che
mangia con me, mi tradirà, disse il Cristo secondo un qualche Vangelo”
ironizzò Mukuro alzando platealmente il bicchiere
d’acqua.
Hayato
si trattenne dal tirargli il proprio piatto in testa, per aver osato scherzare
in un momento del genere e in modo così idiota.
“Ohi, Mukuro!” lo
riprese Ryohei, picchiando un pugno sul tavolo. “Non
nominare il nome di Dio invano!”
L’Illusionista ghignò come suo solito.
“Perdonami, errore mio.”
Quella notte Takeshi
era inquieto. Dormiva all’ultimo piano di una villa che ospitava all’incirca
duecentocinquanta uomini. La Famiglia comprendeva molti più membri, ma solo
alcuni risiedevano costantemente nella magione.
La Famiglia Vongola aveva due quartieri
generali, quello a Namimori, che Tsuna
aveva ricostruito fedelmente secondo la struttura dello stesso edificio che li
aveva ospitati anni prima nel futuro, e quello in Italia ereditato direttamente
da Vongola Nono, dove trascorrevano la maggior parte del loro tempo.
La villa si ergeva su più piani. I piani
sotterranei includevano prigioni abbandonate e le sale addette agli
interrogatori, le loro camere d’allenamento e i laboratori di ricerca. Il piano
terra era adibito all’incontro con altre Famiglia, con una sala riunioni, sala
da ballo e una cucina pazzesche. Dal primo piano in poi vi erano le stanze
riservate agli ospiti e ai membri della Famiglia.
L’ultimo piano era riservato solo ai
Guardiani e alla stretta cerchia di persone di cui Tsuna
si fidava ciecamente: Reborn, Fuuta,
le ragazze e Giannini. Tecnicamente anche Spanner e Shouichi avevano una stanza lì, ma i due ingegneri si
spostavano dai loro rispettivi laboratori solo se era Tsuna
a trascinarli fuori con la forza, altrimenti mangiavano e dormivano lì.
Tsuna
non era uscito per quel giorno per ciò che ne sapeva lui, pertanto era accaduto
tutto nella magione. In altre parole, dormiva sotto lo stesso tetto di un
traditore che non aveva esitato due minuti prima di tradirlo.
Era un bersaglio, se fosse andato ai suoi
soliti allenamenti lo avrebbero sparato di sicuro. Non era solo Tsuna ad esserne al corrente, anche Hibari
sapeva, ma non gli aveva detto nulla. E poi Tsuna lo
aveva allontanato per mandarlo a quella riunione.
Tutto ciò gli faceva semplicemente pensare
che lui fosse coinvolto in prima persona in quella storia. Era sempre più
convinto che il traditore fosse un membro della squadra della Pioggia, il
gruppo di uomini e donne che guidava e addestrava personalmente.
Una delle persone con cui lavorava a
contatto ogni giorno aveva venduto lui e i suoi amici. Se avesse saputo il nome
del traditore non avrebbe lasciato quel gesto impunito, pensò con stizza
all’improvviso. Doveva conoscerlo, era una sua precisa responsabilità.
Tsuna
invece aveva scelto di perdonare. Lo capiva, lo stimava proprio per questo, ma
non poteva fare altro che pensare quanto Hayato
avesse ragione. Se quella storia avesse avuto un seguito, rischiavano una faida
tra Famiglie di proporzioni epiche e il sangue versato avrebbe bagnato le
strade di tutta l’Italia, se non di tutto il mondo.
Un prezzo troppo alto da pagare, per una
sola persona. Già quello stesso giorno i Varia avevano sterminato undici
uomini. Per quanto fossero dei sicari, quelle vite erano risparmiabili se solo
loro tutti fossero stati più attenti, se lo fosse stato lui per primo.
“Sei agitato?” gli chiese Sabrina,
girandosi verso di lui ad abbracciarlo.
“Credo
che a volte Tsuna sia troppo buono. E ho paura che
questa storia sia tutta colpa mia” confessò Takeshi, con uno sbuffo.
“Come mai? Non hai venduto tu quelle
informazioni, vero?”
“Non potrei mai. Ma Tsuna
ha scelto di tagliarmi fuori anziché informarmi dei fatti, prima che
accadessero gli scontri. Ero con lui, quando Kyoya
gli ha consegnato non so che documenti a riguardo e non mi ha detto nulla. L’unica
cosa che posso pensare era che non volesse darmene la responsabilità.”
“Forse aveva solo paura per te” mormorò la
ragazza accarezzandogli debolmente il petto nudo, temprato da anni di battaglie
e di baseball. “Ho riconosciuto i luoghi dove sono accaduti gli scontri. Se
oggi fossi andato agli allenamenti oggi… Non voglio pensare a cosa sarebbe
potuto accadere.”
“Poteva avvertirmi, non mi sarei mai fatto
cogliere impreparato.”
“Erano sicari Takeshi,
non c’avrebbero pensato due volte a farti fuori, se ne avessero avuto
l’occasione. Un attimo di indulgenza avrebbe potuto costarti caro. Sono felice
che non abbia mandato te, non avrei sopportato l’idea di perderti.”
Takeshi
non poté negare quanto lei avesse ragione da quel punto di vista. Lui sarebbe
stato indulgente verso gli uomini che tentavano di ammazzarlo e quell’errore
poteva essergli fatale. Erano otto anni che Squalo non gli insegnava altro.
Si piegò a baciarla.
“Grazie.”
“Per cosa?” gli sorrise, lei.
“Per essere al mio fianco.”
Si risolse a rimandare il problema al
giorno seguente, tanto quella notte comunque non avrebbe trovato soluzione. Si
girò verso Sabrina, posizionandola languidamente sotto il suo corpo e cominciò
a baciarla teneramente.
Per quella notte aveva bisogno solo di
questo.
Come diavolo avesse fatto quel fottuto
bastardo di Don Vongola a scoprire i loro piani non le era chiaro. Si rivestì
in fretta, Takeshi dormiva della grossa. La
situazione era critica. Non solo Vongola era al corrente di tutto, ma anche i
suoi Guardiani ne erano al corrente.
Hibari,
Guardiano della Nuvola, era stato colui che li aveva scoperti, secondo Takeshi, e dal commento di Mukuro
Rokudo di quella sera a cena, anche lui sapeva tutto.
Non ci sarebbe voluto molto prima che la
verità uscisse fuori e quel giorno il Guardiano della Pioggia non l’avrebbe più
voluta come compagna. Non avrebbe più avuto la possibilità di stargli vicino e
distruggere i Vongola.
Doveva agire quella notte.
Se tutto andava per il meglio, quei
bastardi erano così arroganti da potersi credere al sicuro, dopo la dura
lezione che avevano inferto alla sua Famiglia. Avrebbero abbassato la guardia
per almeno quella notte e doveva approfittarne finché poteva. Non avrebbe avuto
una seconda possibilità.
Uscì furtivamente dalla stanza. La piccola
pistola era ben ferma nella mano destra, nella manica dell’altra celava un
coltello serramanico. Erano le 4.30 di notte passata, a quell’ora dormivano
tutti, se non le guardie atte a proteggere l’ingresso alla magione e a quel piano.
Don Vongola era così arrogante da credere non fosse necessario avere qualcuno
che controllasse la porta della propria stanza.
Si fidava così tanto dei suoi Guardiani, da
essere irrimediabilmente stupido.
La sua stanza era quella in fondo al
corridoio, l’ultima. La porta era magistrale, mancava solo un cartellone al
neon per far capire che era quella la stanza del Decimo dei Vongola.
Era l’ultima possibilità e non poteva
fallire. Non l’avrebbe fatto.
Prima ancora che potesse avvicinarsi alla
porta, però, la luce del corridoio si accese, sorprendendola. Si voltò di
scatto. Di fronte a lei Takeshi, con ancora addosso
solo i pantaloni del pigiama, la guardava con un’espressione che non gli aveva
mai visto in quei mesi trascorsi insieme.
“Dammi una spiegazione valida che mi convinca
che non è tutto come sembra” pretese con voce dura lui, in mano stringeva la
sua spada.
Né gli occhi, né la voce, né la posa
sembravano appartenere al ragazzo con cui aveva convissuto per mesi. Quello non
era Takeshi Yamamoto, uno dei suoi obiettivi da
eliminare, quello era il Guardiano della Pioggia della Decima generazione della
Famiglia Vongola e lo spadaccino più temuto al mondo.
“Takeshi”
cominciò dubbiosa, incerta su come affrontare la situazione.
“E sbrigati” ordinò sempre più nervoso.
“Prima che perda del tutto la pazienza.”
“Takeshi, amore,
avrei dovuto parlartene, ma…”
“Hai venduto tu le informazioni ai Bonaldi?” la squadrò da cima a fondo, soffermandosi
sull’arma nelle sue mani. Quella pistola era di importazione. “No, che non hai
venduto nulla. Semplicemente, sei una di loro vero?”
Sabrina trasalì, come aveva fatto a capirlo
così in fretta? Quel gesto fu sufficiente per Yamamoto come risposta.
“Ti sei infiltrata nella nostra Famiglia
per uccidere Tsuna. E per uccidere me” constatò con disprezzo.
Sabrina calcolò velocemente le sue opzioni,
che non erano granché in verità. Era di fronte uno dei più pericolosi mafiosi
con cui avesse a che fare, senza contare che se avessero fatto troppo trambusto
sarebbe stata circondata e messa velocemente con le spalle al muro.
L’unica possibilità era convincere Takeshi a passare dalla sua parte.
“Non è vero, Takeshi,
io ti amo!” esclamò, muovendo un passo verso di lui.
“Piantala.”
“E’ vero appartengo alla famiglia Bonaldi e volevo uccidere Vongola, ma posso spiegarti! E
soprattutto non avrei mai fatto nulla a te!”
“Ora capisco perché Tsuna
mi ha tenuto alla larga oggi. Non mi avresti fatto nulla, tranne vendermi ai
tuoi amici, vero?”
“Non è così, non dovevano essere lì per te.
Non l’avevo previsto. Ero sincera quando ti ho detto che ero contenta del fatto
che tu non fossi stato coinvolto, devi credermi.”
Yamamoto rimase qualche istante in
silenzio. “Perché vuoi uccidere Tsuna?”
Sabrina deglutì, lasciando cadere la
pistola a terra. Si strinse una mano al petto e lo guardò negli occhi, cercando
di fargli capire quanto fosse profondo il suo dolore in quel momento.
“Mio fratello ha perso la vita in un
regolamento di conti, per colpa dei Vongola. Era solo un ragazzino di diciotto
anni che aveva intrapreso le scelte sbagliate, e i suoi sicari, i vostri uomini,” specificò “non hanno
avuto alcuna pietà di lui. E’ vero, mi sono infiltrata qui, ho fatto finta di
essere la tua ragazza, per potermi vendicare, ma poi di te mi sono innamorata
davvero, Takeshi. Perché pensi altrimenti che avrei
fatto l’amore con te stasera, quando persone che conoscevo sono morte?”
“Sono morte solo per colpa tua” chiarì Takeshi duramente.
“E’ vero. Ma ciò non toglie che ho bisogno
di te e che ti amo. Ti amo davvero, Takeshi, sarei
pronta a rinunciare a qualunque cosa per te. A qualunque.”
Yamamoto non poteva non essere scettico.
Eppure, una piccolissima parte di lui, in quel momento le credé davvero.
Abbastanza, da allentare la presa sulla spada. Abbastanza, da non accorgersi
per tempo del coltello serramanico che scattava nella sua direzione.
Aveva un secondo di ritardo. Un secondo di
troppo.
Il frastuono fu assordante e il dolore
esplose come un fulmine sul mento e il sangue gli dipinse il volto e il busto.
Quando riaprì gli occhi, il corpo di Sabrina era a terra con un buco in fronte,
dietro di lui Reborn impugnava una pistola ancora
fumante.
Il mento bruciava da morire, ma non era una
ferita da taglio, si accorse quando lo sfiorò. Era stato Reborn
a colpirlo.
“L’hai uccisa” mormorò ancora incapace di
comprendere come tutto fosse accaduto in fretta.
“Ti sbagli, Takeshi.
L’hai uccisa tu. Il giorno che hai portato qui una donna di cui non potevi
fidarti, l’hai anche condannata a morte” chiarì l’hitman
duramente.
Aveva sparato anche a lui perché si
ricordasse del suo errore. E quel segno sarebbe rimasto sul suo volto per
sempre.
La porta della stanza di Vongola Decimo si
aprì in quell’istante. Gli occhi del Boss squadrarono prima la figura a terra,
poi i due uomini in piedi.
“Tsuna, sono
mortificato per…” cominciò Yamamoto, ma il Boss gli diede a malapena retta.
“Reborn,
rimandala ai Bonaldi con i miei più sentiti omaggi”
ordinò invece con disprezzo. Se ne era
fatta molto della seconda possibilità che le aveva dato.
“Ai tuoi ordini, Decimo” rispose l’hitman con un mezzo sorriso ambiguo.
Tsuna
si voltò verso Yamamoto, guardò la ferita sul mento e non aveva bisogno di
porre domande per sapere come se la fosse procurata. Preferì non commentare
però. Stranamente, il suo volto conservava un’espressione dolce che il
Guardiano non sapeva spiegarsi. “Non scusarti, Takeshi.
Non sei responsabile delle scelte altrui. Vai a farti curare quel graffio e poi
a dormire, potremo parlarne con calma domani” gli sorrise ancora dolcemente. “Reborn, vieni da me quando hai finito” aggiunse, poi con
una nota più dura.
L’hitman si
limitò ad annuire. Era chiaro cosa volesse da lui. Gli aveva detto di tenersi
lontano da quella storia e non l’aveva fatto, il che faceva sì avrebbero
passato il resto della notte a discutere, se andava bene, a distruggere la
stanza di allenamenti di Tsuna, se andava male.
Tsuna
voleva proteggere Takeshi da quell’omicidio, Reborn aveva protetto Tsuna. Ma
era certo che il Cielo non avrebbe gradito la lezione che aveva deciso di
impartire alla sua Pioggia. Lezione necessaria a suo avviso, visto che il
Guardiano per una puttana da due soldi aveva messo a rischio la propria vita,
quella di tutti i membri della Famiglia e quella del suo allievo.
Reborn
poteva essere iperprotettivo quando c’era di mezzo Tsuna,
ma non l’avrebbe mai ammesso. Per questo le prossime ore sarebbero state
massacranti per entrambi.
Come Tsuna si chiuse
la porta alle sue spalle, dopo aver congedato di nuovo Takeshi
con parole rassicuranti, Reborn si piegò a prendere
il corpo di Sabrina. “Vanessa” disse a questo proposito.
“Eh?” chiese Takeshi
preso in contropiede.
“Vanessa Bonaldi.
Non Sabrina De Rosa. Figlia unica, non aveva nessun fratello. E i Vongola non
hanno mai avuto nessun regolamento di conti con loro. Avevano il controllo del
mercato del grano, Gokudera ha fatto saltare in aria
i loro mulini, perché la smettessero di spacciare rifiuti per farina. Ma non
c’è stata nessuna vittima” gli spiegò sollevando la ragazza su una sola spalla,
mentre decideva se doveva fargliela recapitare per posta, o magari in una
torta.
Era dalla notte prima che Yamamoto si
allenava incessantemente nel suo dojo. Non si era
presentato neanche a colazione e a pranzo.
Quando Tsuna si
fidò delle proprie gambe, decise di andare da lui. Perdere la pazienza contro Reborn aveva sempre qualche effetto collaterale. Trattenne
un’imprecazione quando le costole ripresero a fargli male. Ma quanto meno aveva
sfogato la rabbia.
In alcuni momenti, Tsuna
credeva quasi di odiare Reborn. Quasi. Perché in
realtà non ci riusciva, non c’era mai riuscito, semplicemente non poteva. Ma il
modo in cui li trascinava tutti nei preconcetti della mafia non riusciva ancora
a digerirlo.
Per Reborn, Takeshi era un hitman, non perché
avesse il vizio di uccidere, o gli piacesse o non avesse coscienza. Ma perché
tra tutti loro era l’unico, secondo l’Arcobaleno, ad avere i riflessi, la calma
necessari. Così come la capacità di cadere, alzarsi in piedi e tornare a
sorridere.
Tsuna,
che aveva le mani sporche di sangue, sapeva che un omicidio ti perseguita. Ti
perseguita sempre, nella notte mentre dormi, di giorno quando ti guardi allo
specchio e ogni volta il tuo sorriso si spezza un pezzettino di più.
Portava sulla coscienza i propri omicidi e
tutti quelli fatti in suo nome, non avrebbe mai permesso che Takeshi dovesse portare lo stesso peso sulle spalle, che un
bel giorno si sarebbe svegliato senza più nessunissima voglia di sorridere.
La vitalità del Guardiano della Pioggia gli
dava pace e speranza, se l’avesse persa avrebbe perso per mano della mafia
un’altra piccola parte di se stesso. Iniziava a temere che fosse troppo.
Quando arrivò al dojo,
entrò e si chiuse alle spalle la porta scorrevole. Fece rumore di proposito,
non che Yamamoto si lasciasse cogliere facilmente alla sprovvista. Ma il
Guardiano continuò a fendere l’aria con la lama della spada ereditata da suo
padre, ripetendo tutte le posizioni di attacco di difesa.
Tsuna
non si arrese e rimase ad assistere contro la parete di legno al suo allenamento
per una buona mezzora. Poi decretò che il Guardiano si stesse sfiancando troppo
ed era giunta l’ora di disturbarlo.
“Takeshi” lo
chiamò senza molti risultati. Non che fosse intenzionato ad arrendersi
facilmente. “Takeshi”
chiamò di nuovo, prolungando le vocali con tono pedante.
“Da
quanto lo sapevi?” chiese duro il Guardiano della Pioggia.
“Solo ieri ne ho avuto la conferma”
rispose, censurando la parte in cui il suo intuito gliel’aveva suggerito sin
dal primo momento.
“Perché non me l’hai detto Tsuna?”
“Speravo non si dovesse arrivare fino a
tanto” rivelò il Boss, con lo sguardo a terra. Aveva fatto di tutto per
impedire al Guardiano il dolore che stava provando ora e aveva fallito.
Yamamoto fermò la spada, dopo l’ennesimo
fondente, ma non si voltò a guardarlo.
“L’hai perdonata nonostante quello che
aveva fatto.”
“Per te, lei era importante.”
“Hai messo in pericolo la tua vita.”
Non era una domanda e Tsunayoshi
non rispose, rimase solo a guardarlo con un sorriso così dolce che Takeshi se lo sentiva penetrare nella spina dorsale. Si
voltò più nervoso di quanto volesse ammettere.
“Dopo tutte le volte che tu hai messo la
tua vita in gioco per me, sono pronto a qualunque cosa pur di saperti felice.”
“Ci avresti sposato davvero.”
“Sì, se era ciò che desideravi.”
“E se avesse ritentato a mettersi contro la
famiglia?” chiese come se quella risposta fosse semplicemente assurda.
“Lo ha fatto e sai come è andata a finire.
Non sono uno stolto, Takeshi. So il rischio che ho
corso a darle una seconda possibilità, ma speravo rinunciasse ai suoi piani
dopo il fallimento cui era andata incontro.”
“Era pronta ad uccidermi.”
Tsuna
lo sapeva, lo sapeva benissimo. Era esattamente ciò di cui aveva discusso per
tutto il pomeriggio con Reborn. L’hitman
era da sempre la prima causa dei suoi mali, ma era anche la persona che più lo
capiva e su cui poteva riversare tutti i suoi dubbi.
La verità era che più viveva nella mafia,
più un lato della personalità di Tsuna si lasciava
lentamente corrompere dalla mentalità della malavita e il ragazzo ne era
spaventato.
Quando aveva letto che dal rapporto di Hibari che la Famiglia Bonaldi
avrebbe attaccato i suoi uomini, tra cui il Guardiano della Pioggia, la prima
cosa che aveva pensato era che avrebbe
dovuto uccidere quella troia a sangue freddo.
E Takeshi voleva
sposarla.
Aveva messo a confronto il suo istinto
violento, un istinto che fino a qualche anno prima aveva rivelato solo contro Byakuran e Daemon Spade, con il
sorriso spensierato sul volto di uno dei suoi migliori amici e aveva deciso che
non voleva che la mafia abbattesse quel sorriso, proprio come stava riuscendo
con la sua coscienza.
Lui
non era il tipo di persona che usava certi termini spregevoli o pianificava a
mente lucida un omicidio.
Per questo aveva deciso che avrebbe dato una
lezione severa alla Famiglia Bonaldi, tanto per far
capire a Sabrina De Rosa contro chi
si stava mettendo e quali sarebbero state le conseguenze se c’avesse riprovato.
Sperava rinunciasse e magari che si rendesse conto di quanto era fortunata a
godere della fiducia e dell’affetto di un ragazzo come Takeshi
e quell’amore che diceva di provare sarebbe diventato sincero.
Reborn
aveva ritenuto la sua decisione folle e pericolosa, ma Tsunayoshi
non aveva voluto sentire ragioni. Non voleva che il primo amore di Takeshi fosse corrotto dalla malavita, per cui avrebbe
continuato a sperare che per qualche sorta di miracolo tutto alla fine potesse
mettersi a posto.
Ma allo stesso tempo non
aveva esitato a decretare che Valeria Bonaldi avrebbe
pagato con la vita il prossimo errore.
Non gliene poteva
importare di meno che quella donna avesse attentato alla sua vita – lo facevano
in troppi e troppo spesso perché vi facesse anche solo caso, ormai – ma Valeria
era colpevole di aver strappato un pezzo prezioso di innocenza in uno dei suoi
Guardiani. Era questo, non il tradimento, ad averla condannata a morte.
Quando Valeria aveva
deciso di attaccarlo nella notte, nonostante l’avesse perdonata solo poco ore
prima, una calma gelida e una fredda determinatezza lo aveva avvolto. Se fosse
riuscita ad arrivare nelle sue stanze, non lo avrebbe trovato a letto come
credeva, ma pronto ad aspettarla.
Poi Reborn
aveva deciso di esprimere cosa ne pensasse delle spie e infiltrati e il suo
intervento si era rivelato non necessario.
Se doveva essere sincero,
era felice di non essere stato l’artefice di quell’omicidio, nonostante non
potesse di certo affermare che le sue mani fossero pulite, giacché era stato
lui a decidere la condanna della traditrice solo qualche ora prima.
Da ragazzo si sarebbe
odiato, probabilmente. Ma adesso aveva ventidue anni, era nella mafia da otto e
a capo della Famiglia Vongola da quattro. Conosceva la malavita, conosceva il
marcio che vi si nascondeva e avrebbe distrutto chiunque e chicchessia pur di
tenerne la sua famiglia quanto più lontano possibile.
Avrebbe distrutto la mafia
solo per garantire loro un futuro dove vivere felici.
“Avresti lasciato che mi
sposassi con una donna che voleva uccidermi” chiarì Takeshi
quando non ottenne risposta.
Tsuna
sbuffò. “Ho dato a Byakuran una seconda possibilità e
l’ha saputa sfruttare. Le persone sbagliano, non è che io non abbia mai fatto
errori. Speravo aprisse gli occhi.”
“E’ vero, le persone
sbagliano” rispose soltanto il Guardiano riprendendo a fendere l’aria.
Tsunayoshi
lo guardò per un istante. Non gli era piaciuta quella risposta. Proprio per
niente.
“Che vuoi dire?” chiese,
senza essere ascoltato “Takeshi!”
“Voglio dire che ho aperto
gli occhi.”
“Spiegati.”
Yamamoto ripeté alla
perfezione l’ottava istanza della Shigure Soen Ryuu prima di fermarsi di
nuovo e guardare il suo Boss.
“Anni fa, Reborn mi aveva avvertito.”
Tsuna
roteò gli occhi al cielo solo a sentire il nome del suo ex-tutor. Ti pareva che non c’entrasse lui.
“Che ha fatto, stavolta?”
“Mi disse che un hitman non può avere mogli, solo amanti. Nella mafia non
esistono mogli. E che è per questo che non hai mai sposato Bianchi.”
Tsuna
era abbastanza certo che quella che aveva appena sentito fosse una bella e
buona vaccata, Reborn era quello che lo scocciava
puntualmente quattro ore al giorno con la storia che doveva sposarsi con una
donna rispettabile e dare l’erede alla Famiglia.
Persino mentre si erano
scontrati la notte prima, dopo un po’ gli aveva rinfacciato che non aveva
ancora una moglie.
Inoltre, era stato lui ad
insistere affinché sposasse Mukuro e Chrome con quella specie di rito mafioso assurdo, ossia in
stile Vongola, che probabilmente si era inventato di sana pianta.
“Non è vero, non ci crede
neanche lui. Tu non hai idea di come mi stressi perché mi sposi.”
“Il tuo caso è diverso,
non c’entra, sei il Boss. Ma per uno come me, no.”
“Che significa uno come me?”
“Reborn
mi disse che sono io l’hitman della Decima
generazione, ed è vero. E un hitman non deve sposarsi
perché non si sa mai quando si ritroverà a dover uccidere la propria donna. Nel
mio caso, quel giorno era ieri. Ho sbagliato, ma è un errore che non si
ripeterà più.”
Tsuna
aveva già smesso di ascoltare da un po’. Si era fermato alla prima frase, prima
di sentire il sangue ribollirgli nelle vene. Perché Reborn
poteva avere tutte le idee strampalate che voleva, ma non era disposto ad
ascoltare quelle parole dalla bocca di Takeshi.
“Takeshi
tu non sei un hitman e non sei l’hitman
della mia Famiglia” precisò più
risoluto, che compassionevole.
“Tsuna,
sappiamo entrambi che sono l’unico che…”
“Ascolta” lo interruppe
duro. “Di assassini nella Famiglia Vongola ne ho a centinaia. Di gente disposta
ad uccidere senza battere ciglio pure. Sospetto seriamente che anche mio padre sia uno di loro. Non ho bisogno
di un altro serial killer. Non so che farmene. Tu non diventerai un assassino e
non ti macchierai le mani di sangue. Altrimenti puoi pure andartene.”
“Tsuna…”
“Non dovresti neanche
fraintendere le parole di Reborn, non ne sarebbe
felice. Per Reborn un hitman
è chi è in grado di prendersi cura della Famiglia, senza mai lasciarsi
abbattere dalla mafia. Non una macchina capace di uccidere e basta. Per cui non
farmi sentire mai più queste sciocchezze. Ti dimenticherai di questa storia e
un giorno ti innamorerai e ti sposerai con una brava ragazza e sarai felice.”
“E se dovesse tradirmi
pure lei?” chiese cinico.
“Cadrai, ti rialzerai, e
tornerai a sorridere” come un hitman. Ma col cavolo che lo aggiunse.
“Non so se ci riesco, Tsuna.”
“Non sono disposto a tollerare
altro Takeshi. Sei il mio migliore amico e non ti
permetterò mai di sacrificare la tua felicità per colpa mia.”
“E tu credi che io sia
disposto a mettere la tua vita in pericolo per una scelta sbagliata?”
Yamamoto non ebbe neanche
il tempo di aspettare risposta, trasalì quando un X-Burner
gli passò accanto a pochi centimetri, schiantandosi contro la parete del suo dojo. Abbastanza debole da non abbatterla, abbastanza forte
da far tremare tutta la stanza.
Quando il calore delle
fiamme si spense, il ragazzo si voltò a guardare il suo Boss che a gambe larghe
e braccia allargate, nella sua tipica posa d’attacco, lo fissava con occhi
d’oro e la Fiamma del Firmamento che brillava vivace sulla sua testa.
“Takeshi.
Reborn mi avrebbe ammazzato
con le sue stesse mani, se Vanessa fosse stata davvero per me una minaccia,
dopo tutti gli anni di addestramento a cui mi ha sottoposto.”
Takeshi
sbuffò, mentre l’altro rilassava le braccia. Tsuna, a
furia di affrontare un combattimento dietro l’altro, era inevitabilmente diventato
sicuro di sé, al punto tale da sottovalutare spesso la sua stessa vita. Era
irritante.
“Non puoi dare tutto per
scontato, Tsuna.”
“Takeshi,
se sono dove sono, se faccio quello che
faccio, è per proteggervi a costo
della vita. Non lascerò che tu diventi un assassino, a nessun prezzo. Per
cui, ecco le tue opzioni: o ti levi questa folle idea dalla testa e non mi fai
mai più sentire nulla di simile, o ti butto sul primo aereo e te ne torni con
un biglietto di sola andata a Namimori.”
“Tsuna?
Mi stai… minacciando?”
Il ragazzo non rispose, ma
il suo sguardo parlò per lui. Non avrebbe ceduto, non quando in gioco c’era il
futuro e la felicità di uno dei suoi migliori amici.
Yamamoto sospirò
pesantemente, sotto quegli occhi che lo guardavano fermi, e abbassò finalmente
la spada.
“Otto anni fa mi hai
impedito di buttare la mia vita da un palazzo. Lo stai facendo di nuovo.”
“Lo farò ogni volta che
sarà necessario” chiarì con tono fermo e determinato.
“Mi rialzerò e andrò
avanti, se è questo che vuoi da me, Boss” decise infine con tono molto più
rilassato, di quanto anche egli stesso potesse credere.
“Non chiamarmi Boss, ti
prego” piagnucolò Tsuna, estinguendo finalmente la
sua Fiamma. “Vieni, andiamo a prenderci una cioccolata calda, farà bene ad
entrambi.”
Yamamoto sospirò ancora,
mentre la sua lama riprendeva la forma di una banale spada di bambù. La ferita
era ancora profonda dentro di lui, così come i dubbi che gli attanagliavano la
mente. Non sapeva se si sarebbe concesso di amare ancora qualcuno, o anche solo
di fidarsi, ma se era quello ciò che Tsuna pretendeva
da lui, beh poteva provarci. Poi francamente era troppo faticoso essere arrabbiato
ventiquattro ore al giorno, come ci riuscisse Kyoya
non gli era ancora chiaro.
“Comunque, Reborn ti ha mentito” precisò Tsuna,
mentre si dirigevano verso la cucina della magione.
“Mh?”
“Non si è rifiutato di
sposare Bianchi perché è un hitman, non lo ha fatto
solo perché per lui Bianchi è come una figlia.”
“Ma se sono amanti?”
Tsuna
inarcò un sopracciglio in un modo che Takeshi non
capì e sospirò sconsolato. Non voleva neanche spiegare perché una donna adulta
e un bambino dell’età fisica di Reborn non potessero
essere amanti davvero.
“Diciamo che è quello che Reborn vuole fare credere a tutti” rispose allora.
“E perché mai?”
“Perché oltre a
considerarla una figlia, è anche un padre terribilmente geloso e possessivo.”
Lo disse per esperienza
personale. Perché Reborn non era il tipo di genitore
che ti curava la bua quando ti sbucciavi un ginocchio, ma era quello che ti
prendeva a calci fino a quando imparavi a non sbucciartele più le ginocchia.
Non esattamente il tipo di padre che nessuno vorrebbe, ma l’unico che lui
stesso considerava come tale.
Aveva sparato a Vanessa
per impedire a Tsuna di farlo, aveva ferito Takeshi solo per punirlo di aver messo la sua vita in pericolo e aveva passato la
notte a subire la sua rabbia, incrementandola colpo su colpo, fino a quando Tsuna non si era sentito esausto, ma vuoto, libero dal peso
di tutto l’accaduto con la famiglia Bonaldi. Magari stava sragionando per tutte le botte
che aveva preso, rifletté dopo un attimo.
Ma da quel punto di vista
lui e Bianchi erano davvero fratello e sorella, e non solo perché vivevano
sotto lo stesso tetto da otto anni. Come Reborn gli
aveva insegnato tutto quello che sapeva, aveva insegnato a Bianchi a cavarsela
da sola, nonostante suo padre la trascurasse per piangere la morte dell’unica
donna che aveva veramente amato, o il fatto che suo fratello non le avesse mai
perdonato del tutto colpe che non aveva, o che Romeo chissà che le avesse
fatto.
“In pratica non vuole che
qualcun altro la corteggi” concluse per riassumere.
Il Guardiano della Pioggia
scoppiò a ridere di cuore, rinquadrando completamente la conversazione che
aveva avuto con l’hitman sette anni prima.
Se
non ti sposi sarà più facile per te, se dovrai uccidere la tua donna.
Più facile andare avanti,
più facile rimettersi in piedi, più facile ritrovare il coraggio di fidarsi del
prossimo, non sarebbe di certo stato più facile uccidere. Probabilmente, non era mai facile uccidere. Il mento
tornò a bruciargli in quell’istante. Alla fine, in fondo, anche se non le aveva
sparato, l’aveva pur sempre uccisa lui.
In quell’istante, decise
che non aveva affatto voglia di diventare un assassino. Né aveva la voglia di
guardarsi le spalle ad ogni passo che faceva. Così come non gli andava affatto
di comprare dei tonfa, camminare con un canarino in testa e farsi venire fuori
un brutto carattere. Eppure, per Tsuna, per la sua
famiglia, non avrebbe esitato a farlo se fosse stato necessario.
Rispose
con un sorriso un po’ tirato allo sguardo sbieco che gli lanciò Tsuna, il suo intuito
era sempre troppo accentuato. Ma alla fine, non aveva senso preoccuparsi di
problemi che ancora non esistevano, decise quando finalmente la tazza di
cioccolata calda fu tra le sue mani.
“Chissà che razza di
cognato sarebbe Hayato” commentò piuttosto con un
mezzo ghigno.
Tsuna
quasi si strozzò dalle risate con la cioccolata. Quella era esattamente una
scena che non voleva vedere. Ma
accolse con piacere la ventata di calma e allegria che proveniva adesso dal
Guardiano, come se fosse una benedizione.
Eppure, l’idea che una
parte di lui si fosse irrimediabilmente corrotta lo tormentò per giorni. Poi
per mesi. Infine, per anni.
Note post lettura: ...Non odiatemi.
Questa storia è vagamente diversa dalle altre. Prima lo scopo era mostrare come Tsuna fosse beh "Tsuna" nonostante il suo ruolo di Boss mafioso, ma qui ho uno Tsuna più giovane in cui a mio avviso sta venendo ancora a patti con il suo compito e pertanto è molto più sensibile (isterico) alla sua posizione. Il senso amaro al finale, è inevitabile, visto che alla fine Yamamoto è veramente l'hitman della famiglia.
E siccome, vuoi o non vuoi, Tsuna è pur sempre un Boss... ecco me lo vedevo lì a decretare la morte dei sicari mandati contro Takeshi proprio per impedire a Takeshi di diventare anche lui un sicario.
Boss!Tsuna ha un fascino perverso.