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Autore: Yuki Kushinada    19/03/2015    3 recensioni
[Lambo]: Lambo non aveva mai considerato Tsuna come un Boss, tanto meno come il proprio Boss, quanto più come un fratello maggiore.
Ma c’erano alcune giornate, alcuni momenti, in cui Tsunayoshi Sawada era veramente un Boss, al di là di ciò che a tutti loro piaceva credere.

[Ryohei]: Non serviva sapere quale fosse il peccato che si sentiva sulla coscienza, semplicemente, non stava bene con se stesso. La mafia non faceva stare nessuno bene.
[Takeshi]: Non fu nell’istante in cui il sangue gli schizzò sulla pelle in macchie che avrebbe poi lavato, macchie che sarebbero comunque rimaste, che il panico lo assalì nella consapevolezza di essere diventato un assassino.
[Mukuro & Chrome]: Non era una sceneggiata a beneficio della malavita, era un giuramento che riguardava esclusivamente loro tre.
[Hayato]: Gokudera Hayato, ex Guardiano della Tempesta della Decima generazione della Famiglia Vongola, deglutì a vuoto, ma non rispose. Sollevò la pistola e se la porse alla tempia.
Un Boss e un Guardiano. E una Famiglia che sa essere maledizione e conforto insieme.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lambo, Mukuro Rokudo, Ryohei Sasagawa, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note oscenamente lunghe dell'Autrice ma preferibilmente da leggere: Se siete arrivati qui cliccando su "ultimo capitolo", sappiate che oggi ne ho tecnicamente pubblicati due (uno e mezzo in realtà), quindi se andate indietro vi leggete la seconda parte di Ryohei.
Ma a questo punto, specie perché ce l'ho ben chiara, lasciatemi spiegare la struttura della raccolta.
In ogni storia, di base ci sarà un tema preciso in chiave mafia e vissuto dall'ottica di Tsuna e Guardiani, ma senza un ordine cronologico preciso.
O meglio le storie sono e saranno semmai le scriverò tutte:

Lambo - Omicidio - Tsuna 24 (per cui idem Hayato e Takeshi, 25 Ryohei e Mukuro, 23 Chrome, 26 Hibari e Lambo 15)
Ryohei - Fede/Famiglia - Tsuna 25
Takeshi - Amore - Tsuna 22
Mukuro & Chrome - Matrimonio - Tsuna 21
Hayato - Lealtà - Tsuna 23
Hibari - Speranza - Tsuna 26

L'idea è quella di mostrare tematiche non propriamente mafiose appunto in questa chiave (cercando di trascinarci dietro tutte le ipocrisie del caso e rompere un po' di luoghi comuni) e soprattutto riuscire a mostrare maturità diverse a seconda delle varie fasi di età.
Non prometto di riuscirci, ma quanto meno di provarci.
Ultima cosuccia che riguarda in senso stretto il capitolo. E' la shot più lunga che abbia scritto finora su Reborn, ma è molto più slice of life delle altre, inoltre visto la tematica mi serviva spazio per riuscire a farla credibile.
E sì, per confusionario che sia, è scritto prima l'epilogo, dopo il prologo ed infine la storia.




 

 

 

 

 

 

 

 

Vongola Decimo

~ Takeshi ~

 

 

 

 

 

 

 

[Qualche mese dopo, Italia.]

Curiosamente, non fu la lama intinta di sangue, il rumore di carne lacerata mentre la spada affonda nell’avversario, il campanello di allarme.

Non fu lo scorcio di terrore passato attraverso la pupilla di un uomo, né il rantolo che era un gemito soffocato, morto.

Non fu nell’istante in cui il sangue gli schizzò sulla pelle in macchie che avrebbe poi lavato, macchie che sarebbero comunque rimaste, che il panico lo assalì nella consapevolezza di essere diventato un assassino.

E anzi fu con calma gelida che osservò l’avversario cadere a terra. Dietro di lui gemiti di stupore e paura, ma stavano tutti bene, li aveva protetti, e questo era l’importante.

Il panico vero fu capire che si aspettava altro, si aspettava il rimorso, il rimpianto, una coscienza cui dover far fronte, un perdono che non si sarebbe concesso.

E, invece, l’unico sentimento che lo smuoveva era la consapevolezza che sapeva da tempo sarebbe accaduto, e forse non è neanche la prima volta. Le sue mani non erano vergini neanche prima di iniziare quello scontro.

Reborn gli batté una mano sulla spalla, poteva indovinare quale fosse il suo sguardo senza neanche vederlo. Reborn capiva, sapeva anche prima di lui. Si asciugò il sudore dalla fronte, la mano scivolò sulla cicatrice sul mento, che era un monito a ricordargli chi fosse, cosa aveva fatto o avrebbe continuato a fare.

Il modo in cui Reborn si allontanò senza una parola di rimprovero o conforto, gli confermò che non era affatto la prima volta, solo l’ultima lezione.

Non lo stupiva, non provava rimorso, per il bene dei suoi amici, della sua famiglia, era pronto a tutto. Non aveva perso i propri principi, perché il primo della lista era proteggere chi amava. E lo aveva fatto.

Quando si voltò verso i suoi compagni, però, si accorse che gli occhi del suo migliore amico, del suo Boss, di Don Vongola Decimo, non erano altrettanto indulgenti.

 

 

[Sette anni prima, Giappone]

L’aveva sentita in diverse versioni quella storia, e aveva anche assistito in prima persona ai fatti, ma era curioso lo stesso. In più, c’era da dire che gli piaceva parlare con Reborn, in qualche modo riusciva a sentirlo vicino.

“Ehi, Reborn, perché non hai sposato Bianchi?” chiese divertito.

Il killer lo guardò inclinando la testa in un angolo irregolare, il sorriso di Takeshi crebbe solo a tentare di capire come diavolo ci fosse riuscito.

“Non ho idea di che tu stia parlando” rispose l’Arcobaleno con un tono di voce che voleva sembrare innocente.

Yamamoto rise. “L’hai fatta sposare con un robot, non è carino, Reborn. Non so neanche come abbia fatto Gokudera a non arrabbiarsi.”                                                        

“Non sono stato io, non c’ero nemmeno” continuò Reborn con lo stesso tono, stando al gioco.

Takeshi non poté fare a meno di ridere di nuovo, prima di riprendere i suoi esercizi con la spada, sotto lo sguardo attento dell’hitman più famoso al mondo.

Il Guardiano della Pioggia era senza dubbio il membro della Famiglia che imparava più facilmente. Per quanto suo padre fosse un ottimo spadaccino, Yamamoto aveva già appreso tutto ciò che aveva da insegnargli.

Squalo da quel punto di vista era il miglior tutor di cui Takeshi potesse disporre. Il Varia era un uomo che aveva donato la sua intera vita all’onore e all’arte della spada, un guerriero che non si fermava mai, troppo orgoglioso per accettare una sconfitta, troppo superbo per non migliorare e superare ogni ostacolo.

Lui e Yamamoto si superavano costantemente, erano uno stimolo continuo l’uno per l’altro, se avessero potuto lavorare ogni giorno fianco a fianco sarebbero diventati una coppia imbattibile. Era un peccato, da quell’ottica, che Squalo avesse degli obblighi nei confronti dei Varia e vivesse in Italia, per quanto fosse meglio così e non con i Varia tra i piedi in continuazione, visti i rapporti tra Xanxus e il suo stupido allievo.

Tuttavia, era convinto che la compagnia del Varia della Pioggia, facesse bene a Yamamoto. Squalo era un assassino di professione, violento e spietato come solo la mafia sa essere, in qualche modo, avere a che fare con i suoi modi rudi era una lezione di vita per il più giovane, che invece la mafia non l’aveva ancora capita.

Ma proprio per questo, Reborn era sicuro che tra tutti proprio Yamamoto fosse il più adatto a diventare l’hitman della decima Famiglia, come lui lo era per la nona.

“Nella mafia non ci sono mogli, ci sono solo amanti” gli spiegò, il cappello calato sugli occhi.

Mh? Hai detto qualcosa?” domandò Yamamoto, interrompendo un affondo.

“Ascoltami bene, Takeshi, perché un giorno varrà anche per te.”

Il ragazzo interruppe gli allenamenti per avvicinarsi all’Arcobaleno. Sedette a terra di fronte a lui, sul volto il solito sorriso.

“Andiamo, Reborn, mica ti sono venuti i sensi di colpa?”

Takeshi non tutti i tuoi nemici giocheranno pulito, quando vorranno farti del male. Ricordi nel futuro quello che fecero a tuo padre? Ricordi Daemon Spade?” chiese insistente.

Il Guardiano fremette a quelle immagini, lo sguardo improvvisamente duro, la mascella contratta.

“I nemici della tua Famiglia sono i tuoi nemici” continuò l’Arcobaleno, in quella lezione di vita che aveva deciso di impartirgli nel modo più indolore che gli venisse in mente. Ma era un palliativo, la mafia non è mai indolore, tuttavia questo Takeshi lo avrebbe scoperto da solo. “I tuoi amici sono nemici dei tuoi nemici. Avere ufficialmente una moglie equivale ad offrire un bersaglio facile a chi vorrà farti del male. Sapranno chi devono uccidere.”

Yamamoto era confuso, forse un po’ arrabbiato, ma per lo più si chiedeva perché stessero avendo quella conversazione in quell’istante.

“Beh, ma alla fine tutto il mondo sa che Bianchi è la tua amante, non cambia poi tanto.”

“Nella mafia sì. Un uomo ha un amante per tanti motivi: per divertirsi, per non destare sospetti, per puntare le attenzioni su qualcun altro. A volte è una trappola” spiegò stringendosi nelle spalle, come se quei concetti fossero del tutto naturali. “In più Bianchi è una mercenaria ed è del tutto in grado di difendersi da sola, non sottovalutarla mai, potresti pentirtene.”

“Non ho mai pensato di farlo” rise il ragazzo, ricordando le volte che era finito avvelenato solo per aver toccato la sua cucina.

“C’è anche un altro motivo, Takeshi” riprese Reborn, interrompendo tutto il divertimento dell’altro.

“Poi non avresti più scuse per non mangiare quello che cucina?” chiese, nel tentativo di sdrammatizzare il tono serio inadatto ad un bambino. Ma in fondo, Reborn era tutto tranne che un infante, lui lo sapeva bene.

“Se non ti sposi, sarà più facile per te se dovrai uccidere la tua donna.”

Yamamoto lo guardò come se non avesse sentito bene, ma gli occhi sgranati smentivano i suoi sentimenti. “Reborn… Che stai dicendo?”

“Ciò che conta più di ogni altra cosa nella Famiglia è la Famiglia stessa, ricordatelo sempre.”

“Stai dicendo che saresti disposto ad uccidere Bianchi?”

“Bianchi fa parte dei Vongola, non è una minaccia, ma se una donna dovesse tradirti dovrai fare una scelta.”

Takeshi lo guardò senza parlare per diversi minuti. In verità, non sapeva neanche che dire, stavano parlando di concetti e realtà che non conosceva e in cui non era convinto di voler essere coinvolto.

Reborn, io ho intenzione di restare al fianco di Tsuna, non mi sono mai interessate davvero le regole della mafia. Forse dovresti parlarne con Gokudera, a lui importerebbe di più di discorsi del genere.”

Si alzò per riprendere i propri esercizi, dichiarando definitivamente la sua posizione circa l’argomento.

“Me lo auguro” rispose Reborn, da sotto la tesa del cappello. Yamamoto non chiese mai a cosa si riferisse.

 

 

[Presente, Italia.]

Sawada Tsunayoshi era diventato decimo Boss della famiglia Vongola già da quattro anni. Era ancora minorenne secondo il suo Stato, ma a quanto pareva in Italia bastano diciotto anni per diventare adulti e lo avevano costretto allora a prendere una scelta.

Non che ci fosse molto da scegliere in realtà, ma in quel momento aveva capito seriamente quello che Reborn cercava di insegnargli da anni: bene e male non sono due concetti indistinti. Bisogna sbagliare per fare la cosa giusta, talvolta. La cosa giusta può uccidere, altre volte.

Per proteggere i suoi amici, la sua famiglia, doveva diventare un boss mafioso. Da lì in poi, non aveva mai più saputo cosa fosse giusto o errato, ogni decisione che aveva preso l’aveva fatto pensando a quanto il gioco valesse la candela, quale opzione fosse meno drastica, più sicura.

Non c’era pace senza uno scotto da pagare e anche dietro la mossa più folle si nasconde il germoglio della speranza.

Analizzava i due lati della medaglia per tutto ormai, probabilmente era frutto del cinismo che aveva maturato crescendo con anni con Reborn, ma in quel momento non poteva fare a meno di pensare che l’intuito dei Vongola, l’istinto che gli aveva salvato la vita innumerevoli volte, potesse essere anche una maledizione.

Sabrina De Rosa era una donna bellissima, solare, allegra e con il sorriso pronto sulle labbra. In più era una fan accanita del baseball in un paese in cui il baseball contava meno che niente. Era così, d’altronde, che lei e Takeshi si erano conosciuti.

Lei non si era persa una sola partita del suo ultimo torneo e tra un autografo e l’altro era scoccata la scintilla. Quella scintilla che è più la complicità di due persone che si trovano sulla stessa linea d’onda, che non una passione folle.

Quei due erano capaci di passare ore a parlare su quale squadra fosse migliore tra i Red Sox e gli Yankees, per somma disperazione di Hayato che faticava sempre più a sopportarli tra i piedi. Il fatto che poi passassero la gran parte del tempo a ridere come se non avessero un solo problema al mondo, mandava in bestia il Guardiano della Tempesta. Prima faticava ad avere a che fare con uno scemo, ora se ne ritrovava due.

A Tsuna il rapporto che Takeshi e Sabrina stavano maturando piaceva. Takeshi con lei era felice, spensierato, anche più sicuro di sé. Era bello vedere l’entusiasmo con cui usciva al mattino e il sorriso con cui rientrava e si ritrovava sempre più spesso a sperare un lieto fine per loro.

Tuttavia, non poteva fare a meno di pensare che il giorno in cui Takeshi gli aveva presentato per la prima volta la sua ragazza, il suo istinto si era risvegliato con prepotenza, neanche se la giovane donna che aveva di fronte fosse in realtà uno dei travestimenti di Mukuro.

Si era voltato rapidamente verso l’Illusionista che, appoggiato ad una parete del suo studio, abbracciava Chrome in modo fin troppo decente. Quello, e il fatto che lo guardasse senza sorridere lo avevano ufficialmente convinto che lui non c’entrasse nulla.

Eppure, c’era come un rumore graffiante nella sua testa che non si zittiva.

 

 

La felicità non si rivela sempre con un sorriso. Takeshi Yamamoto lo sapeva bene. Il sorriso sulle sue labbra non era mai mancato, sin da quando era bambino. Persino il giorno in cui aveva perso sua madre aveva trovato un istante per sorridere.

Lo aveva fatto per suo padre, che non sapeva come consolare le sue lacrime. Quel giorno aveva imparato che sorridere non significa essere felici, ma tentare di fare felice qualcun altro, nella speranza di ricevere qualcosa in cambio che gli riempisse il vuoto che sentiva dentro. Il vuoto che scopri di avere quando sei ancora un bambino e resti orfano di un genitore, con un padre che lo ha sempre amato sinceramente ma non è mai riuscito ad affrontare neanche il proprio di dolore.

All’inizio credeva di poter riempire quel vuoto con il baseball, un’illusione alimentata dalla sua prestanza fisica e l’innato talento ad eccellere in ogni sport. Finché non era diventata un’ossessione il bisogno di migliore, il bisogno di essere indispensabile agli occhi di qualcuno, dei suoi compagni di squadra che lo stimavano solo come giocatore e sapevano a stento quale fosse il suo nome completo. Un’ossessione tale da non rendersi conto di essere l’unica luce per l’uomo che l’aveva messo al mondo.

Aveva dato quell’affetto quasi per scontato, fino a quando nel futuro non si era ritrovato orfano di entrambi i genitori. Il dolore che lo aveva colpito a quella rivelazione aveva rischiato di mandarlo a pezzi. Ma aveva imparato la lezione.

L’aveva imparata il giorno in cui era stato così egoista da tentare il suicidio. L’ossessione che nutriva verso il baseball, verso se stesso, lo stava consumando al punto tale che non riusciva più a guardarsi allo specchio senza vedere il risultato di un fallimento totale.

Sorrideva sempre all’immagine che gli veniva riflessa. Sorrideva e pochi minuti dopo saliva le scale della scuola pensando che lasciarsi cadere dal tetto fosse la degna conclusione per tutti i suoi insuccessi.

Poi era arrivato Tsuna che con la sua goffaggine e la sua bontà innata gli aveva aperto gli occhi. Gli aveva donato la sua amicizia senza pretendere nulla in cambio e lo guardava come se, perdendolo, anche una parte di lui sarebbe morta senza possibilità di soluzione.

Dopo nove anni trascorsi insieme, ancora oggi Tsuna considerava la sua amicizia non un fatto scontato o dovuto, ma un miracolo di cui era immensamente grato. Era diventato indispensabile per lui e per la sua Famiglia, senza che dovesse alzare un dito per guadagnarsi quel posto. Si era guadagnato il titolo di terza figura più importante in una delle famiglie mafiose più potenti al mondo tra un pigiama party e l’altro.

Quel vuoto che provava si era colmato con una tale naturalezza che oggi non chiedeva come mai lo avesse provato in prima istanza. Tsuna, Reborn e tutti i suoi compagni di avventura gli avevano fatto provare la voglia di sorridere per manifestare gioia, sorridere solo per se stesso.

Aveva imparato ad amarsi lentamente, un passo alla volta, senza fretta e senza aspettative. Poteva sembrare strano a dirsi, ma solo adesso che aveva ventidue anni si sentiva pronto ad amare un’altra persona.

Sabrina era giunta nella sua vita a portare quell’amore che da bambino cercava disperatamente, ma era troppo cieco per riuscire a riconoscere. Quell’amore che adesso non solo vedeva, ma tesoreggiava con cura e attenzione.

Sabrina gli dava la voglia di correre e ridere, ridere per il semplice motivo che la gioia trabocca da te come un bicchiere troppo pieno e non riesci a contenerla. Era la sua migliore amica, la sua confidente e la sua amante. Era l’anima gemella di cui potersi fidare, la persona che lo avrebbe raccolto se si fosse lanciato nel vuoto. Quella che l’aveva capito, l’aveva capito davvero.

Era la prima persona cui aveva parlato del suo tentato suicidio. Con gli altri ragazzi non aveva mai ripreso l’argomento, né loro avevano mai avuto il coraggio di accennarlo. E non aveva mai avuto il coraggio di raccontare a suo padre di quella giornata in cui aveva perso la testa, sapeva che razza di dolore e di delusione gli avrebbe inferto.

Invece, Sabrina era rimasta a sentirlo tutto il tempo senza giudicarlo, il suo sguardo amorevole non era mai cambiato, aveva ascoltato tutti i drammi e i dolori che covava da adolescente, le sue più profonde debolezze, le paure.

E poi l’aveva semplicemente abbracciato, come se volesse scacciare via ogni male da lui. Avevano fatto l’amore quella sera. Non era la prima volta, no. Ma era la prima volta che Takeshi Yamamoto aveva sentito la propria anima legata indissolubilmente a quella di qualcun altro.

 

 

Tsuna!” salutò allegro il Guardiano della Pioggia, entrando nel suo studio. “Disturbo?” chiese solo dopo essersi già accomodato.

A Tsuna piacevano i modi spensierati di Yamamoto, gli mettevano allegria. Takeshi Yamamoto era esattamente come la pioggia che rappresentava. Lavava via tutto con la sua sola presenza. Con lui, più che con chiunque altro, tornava ad essere il ragazzo spensierato che era anni e anni prima.

Non lo avrebbe cacciato dal suo studio neanche se lo stesse disturbando davvero. In più, ogni distrazione dal suo lavoro era più che ben accetta.

“No, affatto” gli sorrise. “Dimmi tutto.”

“Devo chiederti un favore.”

“Qualunque cosa. Specie se mi costringe a mettere da parte tutte queste scartoffie per un paio d’ore. O magari per anni” aggiunse con una smorfia che fece scoppiare a ridere il Guardiano.

Reborn ti ammazza se ci provi” gli fece notare.

“Lo so. Fidati, lo so.” Aggiunse con il tono desolato che aveva sempre quando parlava di Reborn. Mise da parte penna e fogli e gli rivolse la sua completa attenzione. “Allora, che favore devo farti?”

“Ho l’obbligo morale di avvertirti che ti costerà un po’ di burocrazia in più” lo avvisò Takeshi, con un sorriso un po’ colpevole e una grattata di testa.

Tsunayoshi roteò giocosamente gli occhi al soffitto. “E io che pensavo fossimo amici.”

La risata del ragazzo più alto riempì la stanza con una freschezza tale che il Decimo della Famiglia Vongola pensò che, solo per quella, si sarebbe ammazzato volentieri di lavoro. Ne sarebbe valsa la pena.

“Voglio che mi sposi.”

Tsuna per poco non cadde da seduto. “Eh?”

“Dai, con Mukuro e Chrome lo hai fatto!”

“Ma che c’entra! Solo perché Mukuro è fuori di testa. E poi non era un vero matrimonio, quello!”

“Beh, ma è stato divertente!”         

Takeshi, tanto per cominciare non era legale.” Almeno lo sperava per Chrome, ma con Reborn non si poteva mai sapere. “E l’unico motivo per cui ho celebrato le loro nozze è stato perché preferisco assecondare le follie di Mukuro che non tentare di capirle” gli spiegò assolutamente disperato, facendolo ridere di nuovo. “Io non posso sposare nessuno, non davvero. E poi perché vuoi sposarti, in primo luogo?” il tono della voce raggiunse un’ottava isterica che sembrava non fosse mai andato incontro alla pubertà.

“E’ quello che fanno due persone quando si amano, Tsuna” gli chiarì, come se fosse deficiente. “E io e Sabrina ci amiamo.”

Tsuna sentì all’improvviso la testa martellare poco sopra la noce del collo. Il primo istinto fu quello di raddrizzare la schiena, nella posa tipica che assumeva quando vestiva il ruolo di Boss. Ma riuscì a rilassarsi di nuovo quasi subito nella poltrona.

Takeshi, vi conoscete solo da sei mesi e state insieme da quattro, non puoi essere sicuro che la vostra storia durerà per sempre.”

Il Guardiano della Pioggia si stravaccò sulla poltroncina, incrociando le mani dietro la testa. “Forse hai ragione. Ma sento che è la scelta giusta da fare, sai è una questione di stomaco.”

Tsuna scosse la testa con un mezzo sorriso, cercando di non lasciare trapelare la preoccupazione. Yamamoto aveva sempre avuto un istinto fenomenale, quasi quanto il suo, ma in quel momento non riusciva a fare a meno di pensare che stesse commettendo un errore.

“Ma perché non ti prendi ancora un po’ di tempo per pensarci? Tanto puoi sposarti sempre che vuoi, non è che c’è tutta questa fretta.”

“So che ti preoccupi per me, Tsuna, ma so quello che voglio nella vita” gli spiegò con calma, con un sorriso così affettuoso da essere disarmante.

Davanti quel sorriso, Tsunayoshi non era semplicemente capace di dire di no e aveva anche finito tutte le scuse possibili. Fu la porta che si spalancò come se dovesse saltare via dai cardini a salvarlo dall’imbarazzo di rispondere.

Kyoya Hibari e il bussare ad una porta avevano litigato nella culla. Anzi, probabilmente Kyoya aveva litigato con la cortesia in generale, pensò Tsunayoshi quando vide entrare il Guardiano della Nuvola nel suo studio con la magnifica arroganza che lo caratterizzava. Con Hibari non si sentiva mai Boss, Tsuna; quel suo incedere deciso come se possedesse tutti e tutto era così convincente, che spesso tornava al ragazzino che era stato e tendeva a rigare quanto più dritto possibile.

Kyoya” lo salutò, ricevendo un’occhiataccia e una specie di ringhio in risposta.

Gli consegnò una cartella con dei documenti sui cui troneggiava la scritta Fondazione. Non capitava spesso che Hibari sentisse il dovere di informarlo delle ricerche della Fondazione e in genere non erano mai buone notizie.

Quando prese la cartella capì che era per colpa dei documenti che vi si trovavano dentro che il suo istinto era schizzato alle stelle all’improvviso e non per Yamamoto, probabilmente.

“Ehi, Hibari, ci vieni al mio matrimonio?” lo accolse invece la Pioggia con un sorriso che l’altro Guardiano gli avrebbe volentieri spaccato definitivamente.

Tuttavia, a quella domanda non riuscì a non inarcare un sopracciglio e un ghigno sarcastico gli piegò le labbra.

“Perché, ti sposi?”

“Sì, ho fatto la proposta a Sabrina proprio stamani e vogliamo sposarci quanto prima.”

“Spiacente, quel giorno avrò di meglio da fare.”

Yamamoto lo guardò scettico. “Non sai neanche che data è.”

“E’ del tutto ininfluente. Ma non preoccuparti,” aggiunse con un sorriso che era una specie di minaccia “riceverai comunque al più presto il mio regalo di nozze.”

Si congedò con quelle parole, ma prima di uscire nuovamente e sbattere la porta con la stessa violenza con cui l’aveva aperta, si voltò nuovamente verso il suo presunto Boss.

Sawada Tsunayoshi, sono certo che quei documenti vorrai leggerli subito” poi si sentì solo l’anta che si richiudeva con forza.

Yamamoto scoppiò a ridere spontaneamente. “Certo che non cambierà proprio mai, vero?”

“Non dirmelo. Metà delle volte che lo vedo ho paura che voglia pestarmi, l’altra metà lo fa sul serio” biascicò esasperato. Tra lui, Mukuro e Reborn era un miracolo che fosse ancora vivo e vegeto.

Il Guardiano ridacchiò ancora al tono assurdo e lamentevole di Tsuna, sapendo benissimo che per quanto violenti e dolorosi quegli interludi potessero essere, per il Decimo dei Vongola erano comunque una ventata di libertà dalla mafia. Tsuna adorava ogni singolo istante in cui potevano essere loro stessi, senza maschere, senza responsabilità. Le conseguenze non gli importavano.

Il Decimo dei Vongola aprì la cartella che gli aveva portato Hibari e iniziò a sfogliarne i documenti all’interno. Takeshi si guardò intorno nell’attesa di dargli il tempo di leggere ciò che doveva, ma non gli sfuggì l’istante in cui il suo migliore amico si irrigidì. Le spalle si tesero, la schiena era dritta e il suo sguardo si tingeva di una luce arancione ormai famigliare.

“E’ successo qualcosa?”

“No” rispose troppo in fretta e con voce troppo bassa. “No, niente.”

Tsuna, non mentirmi.”

Di fronte quello sguardo serio come rare volte lo era, Tsunayoshi sospirò e si rilassò nuovamente sulla seduta, ma i suoi occhi non tornarono castani.

“Devo verificare alcune cose prima di prendere una decisione e parlarvene. Devo mettermi in contatto con i Varia. Ascolta, devo chiederti un favore.”

“Tutto quello che vuoi.”

“Oggi c’è l’incontro dei genitori a scuola di Lambo e I-Pin. Devo chiederti di saltare gli allenamenti di baseball e sostituirmi, visto che devo andare da Xanxus.”

“Va bene, ma come mai non lo chiedi ad Hayato?” non era una scusa, era una pura curiosità. Gokudera, dopotutto, si era autonominato docente privato di Lambo o qualcosa del genere.

Una bella mattina la Tempesta aveva deciso che il Decimo non dovesse avere né un Guardiano pigro, né ignorante e che se a cinque anni Lambo riusciva a parlare due lingue, allora poteva anche eccellere in qualunque altra materia a costo di prenderlo a calci nel sedere finché non vi fosse riuscito.

Da allora tra lui e Ryohei era una guerra quotidiana: Gokudera pretendeva Lambo studiasse dall’alba al tramonto, Ryohei che si godesse l’infanzia e la gioventù e che pertanto dovesse correre come un matto per la città e fare più attività fisica di un campione alle olimpiadi.

Lambo li avrebbe probabilmente odiati entrambi, se solo non avesse adorato così tanto l’idea di essere al centro delle attenzioni.

“Lo chiederò anche ad Hayato” gli confermò Tsuna. “Ma ho sinceramente paura che se Lambo non ha una media perfetta, Hayato possa staccargli la testa. Per cui, più che badare ai bambini, devo chiederti di badare ad Hayato.”

Yamamoto rise, immaginandosi già l’ex compagno di classe minacciare di tappare ogni orifizio possibile del loro fratellino con un candelotto di dinamite.

“Va bene, ne approfitterò per battere un po’ la fiacca” rispose annuendo. Poi si fece di nuovo serio. “Ma tienimi aggiornato su qualunque cosa stia accadendo.”

“Certo, appena torno dai Varia ti farò sapere.”

“Ottimo, ti lascio lavorare” annunciò, alzandosi dalla poltroncina. “Cerca di non farti sparare da Xanxus” lo salutò.

Tsuna annuì soltanto. Il fatto che non avesse commentato o non si fosse lagnato del Boss della squadra assassina indipendente Varia, per poi arrivare puntualmente a lamentarsi di Reborn, insospettì non poco il Guardiano.

“Sta’ attento” aggiunse con tono più serio.

“Non preoccuparti, non ne ho bisogno.” Il sorriso con cui Tsunayoshi accompagnò quella frase fu abbastanza sincero da convincerlo.

“D’accordo allora, io vado. A proposito, mi sposi, allora?”

Tsunayoshi tacque solo per un istante, impegnato a rileggere un paio di frasi nei fogli che aveva tra le mani. Poi alzò di nuovo lo sguardo verso il Guardiano. “Sì, se è quello che vuoi.”

                                          

 

Hayato, accendi la televisione per favore.”

Se prima qualcuno potesse avere il sospetto che qualcosa non andasse, quella ne era decisamente la conferma. Tsuna era tornato dall’incontro con i Varia appena qualche ora prima e aveva trascorso tutto il tempo chiuso nel suo ufficio con Reborn. E adesso era entrato in sala da pranzo a passo di carica, ancora in giacca e cravatta, nonostante avesse finito di lavorare per quel giorno, e si era seduto capotavola senza neanche rivolgere una parola a nessuno.

Come se questo non bastasse, voleva vedere la televisione. Il che era una specie di tabù. Tsuna aveva vietato la TV a tavola perché le lotte tra i Guardiani per il telecomando potevano essere più distruttive di una guerra armata con una Famiglia nemica e siccome era poi lui quello che doveva occuparsi di riparazione, bollette, spese, e preoccuparsi della sanità medica dei domestici, la cosa lo seccava enormemente.

In verità, lo seccava ancora di più quando, per miracolo dal cielo, erano tutti d’accordo a vedere lo stesso canale. Passavano già troppo tempo separati, pur abitando nella stessa villa, non sopportava l’idea che ciascuno di loro si isolasse anche mentre erano allo stesso tavolo.

Tsuna aveva bisogno di trascorrere almeno i suoi pasti non con i suoi Guardiani, ma con la sua famiglia. Loro erano le persone per cui andava avanti, quelle per cui non poteva rinunciare alla sua carica, alla mafia, al proteggerli.

Alcuni erano onorati di come Tsuna non rinunciasse mai a dedicare loro almeno un paio di ore al giorno, altri non potevano semplicemente fregarsene di meno, ma ormai erano quattro anni che tutti rispettavano quella sorta di sacralità dei pasti.

“Certo, Decimo. Che canale?”

“Telegiornale. Haru, Kyoko, perché non accompagnate I-Pin, Lambo e Fuuta a mangiare fuori se ne hanno voglia?”

Benché potesse sembrare un invito, il tono che aveva usato sosteneva tutto il contrario.

Le ragazze non protestarono, avevano imparato ormai che quando Tsuna decideva di tagliarle fuori da qualcosa, lo faceva solo per il loro bene.

“Vado con loro” si offrì Bianchi.

Tsuna annuì soltanto.

Lambo gli corse incontro sfuggendo alla presa di Haru. “Tsuna non è giusto, anche io sono un Guardiano e ho diritto a…”

“Vai” gli disse solamente il suo Boss con un’occhiata di traverso.

Stava per protestare ancora quando Hayato lo sollevò per la collottola della camicia pezzata e lo trascinò dalle ragazze di peso.

“Piantala di fare storie, SceMucca” lo riprese con una schicchera sulla testa. “Ti racconto poi io, al massimo” concluse sottovoce, prima di mollare Lambo alle altre.

Lambo non protestò. Gokudera era un maestro e un fratello per lui. E soprattutto era il tipo che lo aveva trascinato per un orecchio da scuola quando aveva scoperto che aveva marinato più lezioni e lo aveva costretto a passare il pomeriggio a pulire i bagni della magione.

Il nuovo metodo che aveva trovato per umiliarlo e punirlo, da quando Tsuna gli aveva severamente vietato di sculacciarlo.

Per quel giorno il piccolo Guardiano ne aveva avute abbastanza, tante grazie.

Appena le ragazze e i bambini lasciarono la sala da pranzo, Gokudera accese la televisione come gli era stato ordinato e tornò a sedersi alla destra del Decimo.

La cena venne presto servita nel silenzio più totale, rotto soltanto dalla voce della giornalista e degli inviati nei vari servizi.

Erano tutti impegnati a capire cosa Tsuna stesse aspettando. Yamamoto in particolare, non faceva che rivolgere lo sguardo dal plasma maxi-schermo al suo Boss. Tsuna non era così nervoso prima che Hibari gli portasse quel rapporto. Doveva essere successa qualcosa di grave.

Strinse la mano a Sabrina che gli sorrise dolcemente, poi si voltarono di nuovo entrambi verso lo schermo.

La conduttrice televisiva, una donna sui quarant’anni, dai capelli raccolti e il trucco leggero, assunse una faccia quasi sbalordita mentre leggeva la prossima notizia.

Terribile fatto di cronaca nera in Sicilia” annunciò prima che sullo schermo l’immagine cambiasse per mostrare quello della loro città, con palazzi completamente distrutti, come se fatti esplodere, ma ancora più sorprendentemente come se fossero stati tagliati a metà.

Yamamoto si irrigidì all’istante. Che lui sapesse, solo tre persone potevano tagliare un intero palazzo: lui, Squalo e Genkishi. Visto che lui non era il responsabile e Genkishi si era tenuto lontano dalla mafia in quella realtà, quella doveva essere opera di Squalo e delle truppe dei Varia.

Una faida tra Famiglie mafiose ha devastato le strade nelle ultime ore. Sono stati rinvenuti undici vittime e trentaquattro feriti. Stando ai primi accertamenti della polizia, tutti i coinvolti appartenevano alla Famiglia mafiosa Bonaldi. Secondo l’ispettore Michele Filice, le vittime erano sicari incaricati di far fuori qualche esponente di una Famiglia rivale, gli altri avevano il semplice ruolo di guardia. A quanto pare, tuttavia – sostiene l’ispettore   i loro piani sono stati scoperti e loro puniti duramente. Non si sa chi possa essere l’altra Famiglia coinvolta. Nessuna traccia o prova che possa portare ad una accusa è stata rinvenuta sul posto e nessun testimone è riuscito a vedere con esattezza cosa stesse accadendo. Nessuno dei civili è stato tuttavia coinvolto, i palazzi distrutti in quel momento erano disabitati. L’ispettore Filice, sostiene, tra l’altro, che agli sfollati è stata consegnata in modo del tutto anonima una busta contenente abbastanza denaro da risarcire i danni, senza impronte digitali o altri segni riconoscibili. Questo non è da vedersi come un buon gesto, aggiunge l’ispettore, in quanto non farà che aggravare l’omertà sul caso e la…

Tsunayoshi spense la televisione.

“E’ opera di Squalo, vero?” chiese immediatamente Yamamoto.

“Squalo e Belphegor, in verità. E le truppe della Nebbia dei Varia, per cui nessuno ha visto niente” rispose Vongola Decimo senza neanche cercare di negare quanto i Vongola fossero coinvolti in quella storia.

I Varia erano sicari e molte volte mercenari, non era una novità che mietessero vittime. Ma, in genere, erano anche assolutamente discreti e Tsuna non era coinvolto direttamente nelle loro azioni. In quel caso, sembrava invece palese come fosse stato il ragazzo stesso a richiedere i servizi della squadra indipendente di assassini della Famiglia Vongola.

“Cos’è successo Sawada?”

“I Bonaldi ci hanno preso di mira. Hanno ricevuto una soffiata e ci stavano aspettando. Erano pronti ad ammazzare diversi membri della Famiglia ed evidentemente credevano glielo avrei lasciato fare.”

“Decimo, in che senso una soffiata?” chiese Hayato, allontanando il piatto. Improvvisamente gli era passato l’appetito.

“Abbiamo un traditore all’interno della Famiglia” spiegò Tsuna, guardandoli tutti, uno dopo l’altro negli occhi. “Qualcuno che ha venduto le informazioni su ciascuno di voi, sulle vostre abitudini, sui vostri cari, su quelle degli altri membri della Famiglia e sulle mie. E pensavano di mirarci in successione uno dopo l’altro quando meno ce lo aspettavamo.”

“Sai chi è il traditore, Tsuna?” domandò Takeshi nervoso.

Era questo allora che aveva scoperto quel pomeriggio. Aveva riconosciuto una delle zone che avevano mostrato in TV, era la strada che prendeva per andare ad allenarsi con la squadra di baseball.

Tsuna gli aveva fatto saltare gli allenamenti per proteggerlo e non lo aveva avvisato per impedirgli di sporcarsi le mani.

“Ovviamente” rispose il ragazzo più giovane guardandolo negli occhi.

“Spero che gli abbiate dato una bella lezione, Decimo. O se volete ci penso io a mandare quel bastardo figlio di cagna direttamente all’inferno” commentò il Guardiano della Tempesta senza celare l’ira che provava.

Per i suoi canoni, un uomo che tradiva la Famiglia che lo aveva accolto, meritava di morire. Non aveva nulla contro chi decideva di ritirarsi dalla mafia, finché teneva la bocca chiusa, ma nessuno poteva permettersi di tradire il Decimo, dopo tutto quello che il Decimo faceva per ciascuno di loro.

“No.”

“Prego?”

“Ho deciso di perdonarlo.”

“Decimo, ma state scherzando?” per poco saltò in piedi, Hayato.

Un tempo non avrebbe mai contraddetto il suo Boss. Da quando era braccio destro però, sapeva che Tsuna voleva il suo parere, non che lo assecondasse, che lo stimava esattamente per quello.

“Non potete lasciare che quel bastardo lo rifaccia. E se i Bonaldi ci riprovassero?”

“Dopo quello che hanno subito oggi non credo abbiano ancora voglia di mettersi contro di noi.”

“Ma questo non vi assicura che il bastardo che ci ha traditi non venda quelle informazioni a qualcun altro. Decimo, se non volete che l’Italia intera e forse il mondo diventi un bagno di sangue, non possiamo permetterci di avere delle spie.”

“Lo so perfettamente, Hayato. Ma il traditore è una persona molto importante per altri membri della Famiglia. Se lo punissi, punirei anche loro e non mi sembra giusto. Però, sa bene che questa è l’ultima possibilità che gli do. Per cui, se ci tiene alla vita, non ci proverà di nuovo.”

Reborn dall’altro lato del tavolo, non commentò, ma la tesa del cappello gli coprì uno sguardo preoccupato.

“Come dite voi, Decimo” cedette dopo qualche istante Gokudera, seppur poco convinto.

“Grazie, Hayato.”

In verità, io vi dico che uno di voi, che mangia con me, mi tradirà, disse il Cristo secondo un qualche Vangelo” ironizzò Mukuro alzando platealmente il bicchiere d’acqua.

Hayato si trattenne dal tirargli il proprio piatto in testa, per aver osato scherzare in un momento del genere e in modo così idiota.

“Ohi, Mukuro!” lo riprese Ryohei, picchiando un pugno sul tavolo. “Non nominare il nome di Dio invano!”

L’Illusionista ghignò come suo solito. “Perdonami, errore mio.”

 

 

Quella notte Takeshi era inquieto. Dormiva all’ultimo piano di una villa che ospitava all’incirca duecentocinquanta uomini. La Famiglia comprendeva molti più membri, ma solo alcuni risiedevano costantemente nella magione.

La Famiglia Vongola aveva due quartieri generali, quello a Namimori, che Tsuna aveva ricostruito fedelmente secondo la struttura dello stesso edificio che li aveva ospitati anni prima nel futuro, e quello in Italia ereditato direttamente da Vongola Nono, dove trascorrevano la maggior parte del loro tempo.

La villa si ergeva su più piani. I piani sotterranei includevano prigioni abbandonate e le sale addette agli interrogatori, le loro camere d’allenamento e i laboratori di ricerca. Il piano terra era adibito all’incontro con altre Famiglia, con una sala riunioni, sala da ballo e una cucina pazzesche. Dal primo piano in poi vi erano le stanze riservate agli ospiti e ai membri della Famiglia.

L’ultimo piano era riservato solo ai Guardiani e alla stretta cerchia di persone di cui Tsuna si fidava ciecamente: Reborn, Fuuta, le ragazze e Giannini. Tecnicamente anche Spanner e Shouichi avevano una stanza lì, ma i due ingegneri si spostavano dai loro rispettivi laboratori solo se era Tsuna a trascinarli fuori con la forza, altrimenti mangiavano e dormivano lì.

Tsuna non era uscito per quel giorno per ciò che ne sapeva lui, pertanto era accaduto tutto nella magione. In altre parole, dormiva sotto lo stesso tetto di un traditore che non aveva esitato due minuti prima di tradirlo.

Era un bersaglio, se fosse andato ai suoi soliti allenamenti lo avrebbero sparato di sicuro. Non era solo Tsuna ad esserne al corrente, anche Hibari sapeva, ma non gli aveva detto nulla. E poi Tsuna lo aveva allontanato per mandarlo a quella riunione.

Tutto ciò gli faceva semplicemente pensare che lui fosse coinvolto in prima persona in quella storia. Era sempre più convinto che il traditore fosse un membro della squadra della Pioggia, il gruppo di uomini e donne che guidava e addestrava personalmente.

Una delle persone con cui lavorava a contatto ogni giorno aveva venduto lui e i suoi amici. Se avesse saputo il nome del traditore non avrebbe lasciato quel gesto impunito, pensò con stizza all’improvviso. Doveva conoscerlo, era una sua precisa responsabilità.

Tsuna invece aveva scelto di perdonare. Lo capiva, lo stimava proprio per questo, ma non poteva fare altro che pensare quanto Hayato avesse ragione. Se quella storia avesse avuto un seguito, rischiavano una faida tra Famiglie di proporzioni epiche e il sangue versato avrebbe bagnato le strade di tutta l’Italia, se non di tutto il mondo.

Un prezzo troppo alto da pagare, per una sola persona. Già quello stesso giorno i Varia avevano sterminato undici uomini. Per quanto fossero dei sicari, quelle vite erano risparmiabili se solo loro tutti fossero stati più attenti, se lo fosse stato lui per primo.

“Sei agitato?” gli chiese Sabrina, girandosi verso di lui ad abbracciarlo.

“Credo che a volte Tsuna sia troppo buono. E ho paura che questa storia sia tutta colpa mia” confessò Takeshi, con uno sbuffo.

“Come mai? Non hai venduto tu quelle informazioni, vero?”

“Non potrei mai. Ma Tsuna ha scelto di tagliarmi fuori anziché informarmi dei fatti, prima che accadessero gli scontri. Ero con lui, quando Kyoya gli ha consegnato non so che documenti a riguardo e non mi ha detto nulla. L’unica cosa che posso pensare era che non volesse darmene la responsabilità.”

“Forse aveva solo paura per te” mormorò la ragazza accarezzandogli debolmente il petto nudo, temprato da anni di battaglie e di baseball. “Ho riconosciuto i luoghi dove sono accaduti gli scontri. Se oggi fossi andato agli allenamenti oggi… Non voglio pensare a cosa sarebbe potuto accadere.”

“Poteva avvertirmi, non mi sarei mai fatto cogliere impreparato.”

“Erano sicari Takeshi, non c’avrebbero pensato due volte a farti fuori, se ne avessero avuto l’occasione. Un attimo di indulgenza avrebbe potuto costarti caro. Sono felice che non abbia mandato te, non avrei sopportato l’idea di perderti.”

Takeshi non poté negare quanto lei avesse ragione da quel punto di vista. Lui sarebbe stato indulgente verso gli uomini che tentavano di ammazzarlo e quell’errore poteva essergli fatale. Erano otto anni che Squalo non gli insegnava altro.

Si piegò a baciarla.

“Grazie.”

“Per cosa?” gli sorrise, lei.

“Per essere al mio fianco.”

Si risolse a rimandare il problema al giorno seguente, tanto quella notte comunque non avrebbe trovato soluzione. Si girò verso Sabrina, posizionandola languidamente sotto il suo corpo e cominciò a baciarla teneramente.

Per quella notte aveva bisogno solo di questo.

 

 

Come diavolo avesse fatto quel fottuto bastardo di Don Vongola a scoprire i loro piani non le era chiaro. Si rivestì in fretta, Takeshi dormiva della grossa. La situazione era critica. Non solo Vongola era al corrente di tutto, ma anche i suoi Guardiani ne erano al corrente.

Hibari, Guardiano della Nuvola, era stato colui che li aveva scoperti, secondo Takeshi, e dal commento di Mukuro Rokudo di quella sera a cena, anche lui sapeva tutto.

Non ci sarebbe voluto molto prima che la verità uscisse fuori e quel giorno il Guardiano della Pioggia non l’avrebbe più voluta come compagna. Non avrebbe più avuto la possibilità di stargli vicino e distruggere i Vongola.

Doveva agire quella notte.

Se tutto andava per il meglio, quei bastardi erano così arroganti da potersi credere al sicuro, dopo la dura lezione che avevano inferto alla sua Famiglia. Avrebbero abbassato la guardia per almeno quella notte e doveva approfittarne finché poteva. Non avrebbe avuto una seconda possibilità.

Uscì furtivamente dalla stanza. La piccola pistola era ben ferma nella mano destra, nella manica dell’altra celava un coltello serramanico. Erano le 4.30 di notte passata, a quell’ora dormivano tutti, se non le guardie atte a proteggere l’ingresso alla magione e a quel piano. Don Vongola era così arrogante da credere non fosse necessario avere qualcuno che controllasse la porta della propria stanza.

Si fidava così tanto dei suoi Guardiani, da essere irrimediabilmente stupido.

La sua stanza era quella in fondo al corridoio, l’ultima. La porta era magistrale, mancava solo un cartellone al neon per far capire che era quella la stanza del Decimo dei Vongola.

Era l’ultima possibilità e non poteva fallire. Non l’avrebbe fatto.

Prima ancora che potesse avvicinarsi alla porta, però, la luce del corridoio si accese, sorprendendola. Si voltò di scatto. Di fronte a lei Takeshi, con ancora addosso solo i pantaloni del pigiama, la guardava con un’espressione che non gli aveva mai visto in quei mesi trascorsi insieme.

“Dammi una spiegazione valida che mi convinca che non è tutto come sembra” pretese con voce dura lui, in mano stringeva la sua spada.

Né gli occhi, né la voce, né la posa sembravano appartenere al ragazzo con cui aveva convissuto per mesi. Quello non era Takeshi Yamamoto, uno dei suoi obiettivi da eliminare, quello era il Guardiano della Pioggia della Decima generazione della Famiglia Vongola e lo spadaccino più temuto al mondo.

Takeshi” cominciò dubbiosa, incerta su come affrontare la situazione.

“E sbrigati” ordinò sempre più nervoso. “Prima che perda del tutto la pazienza.”

Takeshi, amore, avrei dovuto parlartene, ma…”

“Hai venduto tu le informazioni ai Bonaldi?” la squadrò da cima a fondo, soffermandosi sull’arma nelle sue mani. Quella pistola era di importazione. “No, che non hai venduto nulla. Semplicemente, sei una di loro vero?”

Sabrina trasalì, come aveva fatto a capirlo così in fretta? Quel gesto fu sufficiente per Yamamoto come risposta.

“Ti sei infiltrata nella nostra Famiglia per uccidere Tsuna. E per uccidere me” constatò con disprezzo.

Sabrina calcolò velocemente le sue opzioni, che non erano granché in verità. Era di fronte uno dei più pericolosi mafiosi con cui avesse a che fare, senza contare che se avessero fatto troppo trambusto sarebbe stata circondata e messa velocemente con le spalle al muro.

L’unica possibilità era convincere Takeshi a passare dalla sua parte.

“Non è vero, Takeshi, io ti amo!” esclamò, muovendo un passo verso di lui.

“Piantala.”

“E’ vero appartengo alla famiglia Bonaldi e volevo uccidere Vongola, ma posso spiegarti! E soprattutto non avrei mai fatto nulla a te!”

“Ora capisco perché Tsuna mi ha tenuto alla larga oggi. Non mi avresti fatto nulla, tranne vendermi ai tuoi amici, vero?”

“Non è così, non dovevano essere lì per te. Non l’avevo previsto. Ero sincera quando ti ho detto che ero contenta del fatto che tu non fossi stato coinvolto, devi credermi.”

Yamamoto rimase qualche istante in silenzio. “Perché vuoi uccidere Tsuna?”

Sabrina deglutì, lasciando cadere la pistola a terra. Si strinse una mano al petto e lo guardò negli occhi, cercando di fargli capire quanto fosse profondo il suo dolore in quel momento.

“Mio fratello ha perso la vita in un regolamento di conti, per colpa dei Vongola. Era solo un ragazzino di diciotto anni che aveva intrapreso le scelte sbagliate, e i suoi sicari, i vostri uomini,” specificò “non hanno avuto alcuna pietà di lui. E’ vero, mi sono infiltrata qui, ho fatto finta di essere la tua ragazza, per potermi vendicare, ma poi di te mi sono innamorata davvero, Takeshi. Perché pensi altrimenti che avrei fatto l’amore con te stasera, quando persone che conoscevo sono morte?”

“Sono morte solo per colpa tua” chiarì Takeshi duramente.

“E’ vero. Ma ciò non toglie che ho bisogno di te e che ti amo. Ti amo davvero, Takeshi, sarei pronta a rinunciare a qualunque cosa per te. A qualunque.”

Yamamoto non poteva non essere scettico. Eppure, una piccolissima parte di lui, in quel momento le credé davvero. Abbastanza, da allentare la presa sulla spada. Abbastanza, da non accorgersi per tempo del coltello serramanico che scattava nella sua direzione.

Aveva un secondo di ritardo. Un secondo di troppo.

Il frastuono fu assordante e il dolore esplose come un fulmine sul mento e il sangue gli dipinse il volto e il busto. Quando riaprì gli occhi, il corpo di Sabrina era a terra con un buco in fronte, dietro di lui Reborn impugnava una pistola ancora fumante.

Il mento bruciava da morire, ma non era una ferita da taglio, si accorse quando lo sfiorò. Era stato Reborn a colpirlo.

“L’hai uccisa” mormorò ancora incapace di comprendere come tutto fosse accaduto in fretta.

“Ti sbagli, Takeshi. L’hai uccisa tu. Il giorno che hai portato qui una donna di cui non potevi fidarti, l’hai anche condannata a morte” chiarì l’hitman duramente.

Aveva sparato anche a lui perché si ricordasse del suo errore. E quel segno sarebbe rimasto sul suo volto per sempre.

La porta della stanza di Vongola Decimo si aprì in quell’istante. Gli occhi del Boss squadrarono prima la figura a terra, poi i due uomini in piedi.

Tsuna, sono mortificato per…” cominciò Yamamoto, ma il Boss gli diede a malapena retta.

Reborn, rimandala ai Bonaldi con i miei più sentiti omaggi” ordinò invece con disprezzo. Se ne era fatta molto della seconda possibilità che le aveva dato.

“Ai tuoi ordini, Decimo” rispose l’hitman con un mezzo sorriso ambiguo.

Tsuna si voltò verso Yamamoto, guardò la ferita sul mento e non aveva bisogno di porre domande per sapere come se la fosse procurata. Preferì non commentare però. Stranamente, il suo volto conservava un’espressione dolce che il Guardiano non sapeva spiegarsi. “Non scusarti, Takeshi. Non sei responsabile delle scelte altrui. Vai a farti curare quel graffio e poi a dormire, potremo parlarne con calma domani” gli sorrise ancora dolcemente. “Reborn, vieni da me quando hai finito” aggiunse, poi con una nota più dura.

L’hitman si limitò ad annuire. Era chiaro cosa volesse da lui. Gli aveva detto di tenersi lontano da quella storia e non l’aveva fatto, il che faceva sì avrebbero passato il resto della notte a discutere, se andava bene, a distruggere la stanza di allenamenti di Tsuna, se andava male.

Tsuna voleva proteggere Takeshi da quell’omicidio, Reborn aveva protetto Tsuna. Ma era certo che il Cielo non avrebbe gradito la lezione che aveva deciso di impartire alla sua Pioggia. Lezione necessaria a suo avviso, visto che il Guardiano per una puttana da due soldi aveva messo a rischio la propria vita, quella di tutti i membri della Famiglia e quella del suo allievo.

Reborn poteva essere iperprotettivo quando c’era di mezzo Tsuna, ma non l’avrebbe mai ammesso. Per questo le prossime ore sarebbero state massacranti per entrambi.

Come Tsuna si chiuse la porta alle sue spalle, dopo aver congedato di nuovo Takeshi con parole rassicuranti, Reborn si piegò a prendere il corpo di Sabrina. “Vanessa” disse a questo proposito.

“Eh?” chiese Takeshi preso in contropiede.

“Vanessa Bonaldi. Non Sabrina De Rosa. Figlia unica, non aveva nessun fratello. E i Vongola non hanno mai avuto nessun regolamento di conti con loro. Avevano il controllo del mercato del grano, Gokudera ha fatto saltare in aria i loro mulini, perché la smettessero di spacciare rifiuti per farina. Ma non c’è stata nessuna vittima” gli spiegò sollevando la ragazza su una sola spalla, mentre decideva se doveva fargliela recapitare per posta, o magari in una torta.

 

 

Era dalla notte prima che Yamamoto si allenava incessantemente nel suo dojo. Non si era presentato neanche a colazione e a pranzo.

Quando Tsuna si fidò delle proprie gambe, decise di andare da lui. Perdere la pazienza contro Reborn aveva sempre qualche effetto collaterale. Trattenne un’imprecazione quando le costole ripresero a fargli male. Ma quanto meno aveva sfogato la rabbia.

In alcuni momenti, Tsuna credeva quasi di odiare Reborn. Quasi. Perché in realtà non ci riusciva, non c’era mai riuscito, semplicemente non poteva. Ma il modo in cui li trascinava tutti nei preconcetti della mafia non riusciva ancora a digerirlo.

Per Reborn, Takeshi era un hitman, non perché avesse il vizio di uccidere, o gli piacesse o non avesse coscienza. Ma perché tra tutti loro era l’unico, secondo l’Arcobaleno, ad avere i riflessi, la calma necessari. Così come la capacità di cadere, alzarsi in piedi e tornare a sorridere.

Tsuna, che aveva le mani sporche di sangue, sapeva che un omicidio ti perseguita. Ti perseguita sempre, nella notte mentre dormi, di giorno quando ti guardi allo specchio e ogni volta il tuo sorriso si spezza un pezzettino di più.

Portava sulla coscienza i propri omicidi e tutti quelli fatti in suo nome, non avrebbe mai permesso che Takeshi dovesse portare lo stesso peso sulle spalle, che un bel giorno si sarebbe svegliato senza più nessunissima voglia di sorridere.

La vitalità del Guardiano della Pioggia gli dava pace e speranza, se l’avesse persa avrebbe perso per mano della mafia un’altra piccola parte di se stesso. Iniziava a temere che fosse troppo.

Quando arrivò al dojo, entrò e si chiuse alle spalle la porta scorrevole. Fece rumore di proposito, non che Yamamoto si lasciasse cogliere facilmente alla sprovvista. Ma il Guardiano continuò a fendere l’aria con la lama della spada ereditata da suo padre, ripetendo tutte le posizioni di attacco di difesa.

Tsuna non si arrese e rimase ad assistere contro la parete di legno al suo allenamento per una buona mezzora. Poi decretò che il Guardiano si stesse sfiancando troppo ed era giunta l’ora di disturbarlo.

Takeshi” lo chiamò senza molti risultati. Non che fosse intenzionato ad arrendersi facilmente. “Takeshi” chiamò di nuovo, prolungando le vocali con tono pedante.

 “Da quanto lo sapevi?” chiese duro il Guardiano della Pioggia.

“Solo ieri ne ho avuto la conferma” rispose, censurando la parte in cui il suo intuito gliel’aveva suggerito sin dal primo momento.

“Perché non me l’hai detto Tsuna?”

“Speravo non si dovesse arrivare fino a tanto” rivelò il Boss, con lo sguardo a terra. Aveva fatto di tutto per impedire al Guardiano il dolore che stava provando ora e aveva fallito.

Yamamoto fermò la spada, dopo l’ennesimo fondente, ma non si voltò a guardarlo.

“L’hai perdonata nonostante quello che aveva fatto.”

“Per te, lei era importante.”

“Hai messo in pericolo la tua vita.”

Non era una domanda e Tsunayoshi non rispose, rimase solo a guardarlo con un sorriso così dolce che Takeshi se lo sentiva penetrare nella spina dorsale. Si voltò più nervoso di quanto volesse ammettere.

“Dopo tutte le volte che tu hai messo la tua vita in gioco per me, sono pronto a qualunque cosa pur di saperti felice.”

“Ci avresti sposato davvero.”

“Sì, se era ciò che desideravi.”

“E se avesse ritentato a mettersi contro la famiglia?” chiese come se quella risposta fosse semplicemente assurda.

“Lo ha fatto e sai come è andata a finire. Non sono uno stolto, Takeshi. So il rischio che ho corso a darle una seconda possibilità, ma speravo rinunciasse ai suoi piani dopo il fallimento cui era andata incontro.”

“Era pronta ad uccidermi.”

Tsuna lo sapeva, lo sapeva benissimo. Era esattamente ciò di cui aveva discusso per tutto il pomeriggio con Reborn. L’hitman era da sempre la prima causa dei suoi mali, ma era anche la persona che più lo capiva e su cui poteva riversare tutti i suoi dubbi.

La verità era che più viveva nella mafia, più un lato della personalità di Tsuna si lasciava lentamente corrompere dalla mentalità della malavita e il ragazzo ne era spaventato.

Quando aveva letto che dal rapporto di Hibari che la Famiglia Bonaldi avrebbe attaccato i suoi uomini, tra cui il Guardiano della Pioggia, la prima cosa che aveva pensato era che avrebbe dovuto uccidere quella troia a sangue freddo.

E Takeshi voleva sposarla.

Aveva messo a confronto il suo istinto violento, un istinto che fino a qualche anno prima aveva rivelato solo contro Byakuran e Daemon Spade, con il sorriso spensierato sul volto di uno dei suoi migliori amici e aveva deciso che non voleva che la mafia abbattesse quel sorriso, proprio come stava riuscendo con la sua coscienza.

Lui non era il tipo di persona che usava certi termini spregevoli o pianificava a mente lucida un omicidio.

Per questo aveva deciso che avrebbe dato una lezione severa alla Famiglia Bonaldi, tanto per far capire a Sabrina De Rosa contro chi si stava mettendo e quali sarebbero state le conseguenze se c’avesse riprovato. Sperava rinunciasse e magari che si rendesse conto di quanto era fortunata a godere della fiducia e dell’affetto di un ragazzo come Takeshi e quell’amore che diceva di provare sarebbe diventato sincero.

Reborn aveva ritenuto la sua decisione folle e pericolosa, ma Tsunayoshi non aveva voluto sentire ragioni. Non voleva che il primo amore di Takeshi fosse corrotto dalla malavita, per cui avrebbe continuato a sperare che per qualche sorta di miracolo tutto alla fine potesse mettersi a posto.

Ma allo stesso tempo non aveva esitato a decretare che Valeria Bonaldi avrebbe pagato con la vita il prossimo errore.

Non gliene poteva importare di meno che quella donna avesse attentato alla sua vita – lo facevano in troppi e troppo spesso perché vi facesse anche solo caso, ormai – ma Valeria era colpevole di aver strappato un pezzo prezioso di innocenza in uno dei suoi Guardiani. Era questo, non il tradimento, ad averla condannata a morte.

Quando Valeria aveva deciso di attaccarlo nella notte, nonostante l’avesse perdonata solo poco ore prima, una calma gelida e una fredda determinatezza lo aveva avvolto. Se fosse riuscita ad arrivare nelle sue stanze, non lo avrebbe trovato a letto come credeva, ma pronto ad aspettarla.

Poi Reborn aveva deciso di esprimere cosa ne pensasse delle spie e infiltrati e il suo intervento si era rivelato non necessario.

Se doveva essere sincero, era felice di non essere stato l’artefice di quell’omicidio, nonostante non potesse di certo affermare che le sue mani fossero pulite, giacché era stato lui a decidere la condanna della traditrice solo qualche ora prima.

Da ragazzo si sarebbe odiato, probabilmente. Ma adesso aveva ventidue anni, era nella mafia da otto e a capo della Famiglia Vongola da quattro. Conosceva la malavita, conosceva il marcio che vi si nascondeva e avrebbe distrutto chiunque e chicchessia pur di tenerne la sua famiglia quanto più lontano possibile.

Avrebbe distrutto la mafia solo per garantire loro un futuro dove vivere felici.     

“Avresti lasciato che mi sposassi con una donna che voleva uccidermi” chiarì Takeshi quando non ottenne risposta.

Tsuna sbuffò. “Ho dato a Byakuran una seconda possibilità e l’ha saputa sfruttare. Le persone sbagliano, non è che io non abbia mai fatto errori. Speravo aprisse gli occhi.”

“E’ vero, le persone sbagliano” rispose soltanto il Guardiano riprendendo a fendere l’aria.

Tsunayoshi lo guardò per un istante. Non gli era piaciuta quella risposta. Proprio per niente.

“Che vuoi dire?” chiese, senza essere ascoltato “Takeshi!”

“Voglio dire che ho aperto gli occhi.”

“Spiegati.”

Yamamoto ripeté alla perfezione l’ottava istanza della Shigure Soen Ryuu prima di fermarsi di nuovo e guardare il suo Boss.

“Anni fa, Reborn mi aveva avvertito.”

Tsuna roteò gli occhi al cielo solo a sentire il nome del suo ex-tutor. Ti pareva che non c’entrasse lui.

“Che ha fatto, stavolta?”

“Mi disse che un hitman non può avere mogli, solo amanti. Nella mafia non esistono mogli. E che è per questo che non hai mai sposato Bianchi.”

Tsuna era abbastanza certo che quella che aveva appena sentito fosse una bella e buona vaccata, Reborn era quello che lo scocciava puntualmente quattro ore al giorno con la storia che doveva sposarsi con una donna rispettabile e dare l’erede alla Famiglia.

Persino mentre si erano scontrati la notte prima, dopo un po’ gli aveva rinfacciato che non aveva ancora una moglie.

Inoltre, era stato lui ad insistere affinché sposasse Mukuro e Chrome con quella specie di rito mafioso assurdo, ossia in stile Vongola, che probabilmente si era inventato di sana pianta.

“Non è vero, non ci crede neanche lui. Tu non hai idea di come mi stressi perché mi sposi.”

“Il tuo caso è diverso, non c’entra, sei il Boss. Ma per uno come me, no.”

“Che significa uno come me?”

Reborn mi disse che sono io l’hitman della Decima generazione, ed è vero. E un hitman non deve sposarsi perché non si sa mai quando si ritroverà a dover uccidere la propria donna. Nel mio caso, quel giorno era ieri. Ho sbagliato, ma è un errore che non si ripeterà più.”

Tsuna aveva già smesso di ascoltare da un po’. Si era fermato alla prima frase, prima di sentire il sangue ribollirgli nelle vene. Perché Reborn poteva avere tutte le idee strampalate che voleva, ma non era disposto ad ascoltare quelle parole dalla bocca di Takeshi.

Takeshi tu non sei un hitman e non sei l’hitman della mia Famiglia” precisò più risoluto, che compassionevole.

Tsuna, sappiamo entrambi che sono l’unico che…”

“Ascolta” lo interruppe duro. “Di assassini nella Famiglia Vongola ne ho a centinaia. Di gente disposta ad uccidere senza battere ciglio pure. Sospetto seriamente che anche mio padre sia uno di loro. Non ho bisogno di un altro serial killer. Non so che farmene. Tu non diventerai un assassino e non ti macchierai le mani di sangue. Altrimenti puoi pure andartene.”

Tsuna…”

“Non dovresti neanche fraintendere le parole di Reborn, non ne sarebbe felice. Per Reborn un hitman è chi è in grado di prendersi cura della Famiglia, senza mai lasciarsi abbattere dalla mafia. Non una macchina capace di uccidere e basta. Per cui non farmi sentire mai più queste sciocchezze. Ti dimenticherai di questa storia e un giorno ti innamorerai e ti sposerai con una brava ragazza e sarai felice.”

“E se dovesse tradirmi pure lei?” chiese cinico.                                 

“Cadrai, ti rialzerai, e tornerai a sorridere” come un hitman. Ma col cavolo che lo aggiunse.

“Non so se ci riesco, Tsuna.”

“Non sono disposto a tollerare altro Takeshi. Sei il mio migliore amico e non ti permetterò mai di sacrificare la tua felicità per colpa mia.”

“E tu credi che io sia disposto a mettere la tua vita in pericolo per una scelta sbagliata?”

Yamamoto non ebbe neanche il tempo di aspettare risposta, trasalì quando un X-Burner gli passò accanto a pochi centimetri, schiantandosi contro la parete del suo dojo. Abbastanza debole da non abbatterla, abbastanza forte da far tremare tutta la stanza.

Quando il calore delle fiamme si spense, il ragazzo si voltò a guardare il suo Boss che a gambe larghe e braccia allargate, nella sua tipica posa d’attacco, lo fissava con occhi d’oro e la Fiamma del Firmamento che brillava vivace sulla sua testa.

Takeshi. Reborn mi avrebbe ammazzato con le sue stesse mani, se Vanessa fosse stata davvero per me una minaccia, dopo tutti gli anni di addestramento a cui mi ha sottoposto.”

Takeshi sbuffò, mentre l’altro rilassava le braccia. Tsuna, a furia di affrontare un combattimento dietro l’altro, era inevitabilmente diventato sicuro di sé, al punto tale da sottovalutare spesso la sua stessa vita. Era irritante.

“Non puoi dare tutto per scontato, Tsuna.”

Takeshi, se sono dove sono, se faccio quello che faccio, è per proteggervi a costo della vita. Non lascerò che tu diventi un assassino, a nessun prezzo. Per cui, ecco le tue opzioni: o ti levi questa folle idea dalla testa e non mi fai mai più sentire nulla di simile, o ti butto sul primo aereo e te ne torni con un biglietto di sola andata a Namimori.”

Tsuna? Mi stai… minacciando?”

Il ragazzo non rispose, ma il suo sguardo parlò per lui. Non avrebbe ceduto, non quando in gioco c’era il futuro e la felicità di uno dei suoi migliori amici.

Yamamoto sospirò pesantemente, sotto quegli occhi che lo guardavano fermi, e abbassò finalmente la spada.

“Otto anni fa mi hai impedito di buttare la mia vita da un palazzo. Lo stai facendo di nuovo.”

“Lo farò ogni volta che sarà necessario” chiarì con tono fermo e determinato.

“Mi rialzerò e andrò avanti, se è questo che vuoi da me, Boss” decise infine con tono molto più rilassato, di quanto anche egli stesso potesse credere.

“Non chiamarmi Boss, ti prego” piagnucolò Tsuna, estinguendo finalmente la sua Fiamma. “Vieni, andiamo a prenderci una cioccolata calda, farà bene ad entrambi.”

Yamamoto sospirò ancora, mentre la sua lama riprendeva la forma di una banale spada di bambù. La ferita era ancora profonda dentro di lui, così come i dubbi che gli attanagliavano la mente. Non sapeva se si sarebbe concesso di amare ancora qualcuno, o anche solo di fidarsi, ma se era quello ciò che Tsuna pretendeva da lui, beh poteva provarci. Poi francamente era troppo faticoso essere arrabbiato ventiquattro ore al giorno, come ci riuscisse Kyoya non gli era ancora chiaro.

“Comunque, Reborn ti ha mentito” precisò Tsuna, mentre si dirigevano verso la cucina della magione.

Mh?”

“Non si è rifiutato di sposare Bianchi perché è un hitman, non lo ha fatto solo perché per lui Bianchi è come una figlia.”

“Ma se sono amanti?”

Tsuna inarcò un sopracciglio in un modo che Takeshi non capì e sospirò sconsolato. Non voleva neanche spiegare perché una donna adulta e un bambino dell’età fisica di Reborn non potessero essere amanti davvero.

“Diciamo che è quello che Reborn vuole fare credere a tutti” rispose allora.

“E perché mai?”

“Perché oltre a considerarla una figlia, è anche un padre terribilmente geloso e possessivo.”

Lo disse per esperienza personale. Perché Reborn non era il tipo di genitore che ti curava la bua quando ti sbucciavi un ginocchio, ma era quello che ti prendeva a calci fino a quando imparavi a non sbucciartele più le ginocchia. Non esattamente il tipo di padre che nessuno vorrebbe, ma l’unico che lui stesso considerava come tale.

Aveva sparato a Vanessa per impedire a Tsuna di farlo, aveva ferito Takeshi solo per punirlo di aver messo la sua vita in pericolo e aveva passato la notte a subire la sua rabbia, incrementandola colpo su colpo, fino a quando Tsuna non si era sentito esausto, ma vuoto, libero dal peso di tutto l’accaduto con la famiglia Bonaldi. Magari stava sragionando per tutte le botte che aveva preso, rifletté dopo un attimo.

Ma da quel punto di vista lui e Bianchi erano davvero fratello e sorella, e non solo perché vivevano sotto lo stesso tetto da otto anni. Come Reborn gli aveva insegnato tutto quello che sapeva, aveva insegnato a Bianchi a cavarsela da sola, nonostante suo padre la trascurasse per piangere la morte dell’unica donna che aveva veramente amato, o il fatto che suo fratello non le avesse mai perdonato del tutto colpe che non aveva, o che Romeo chissà che le avesse fatto.

“In pratica non vuole che qualcun altro la corteggi” concluse per riassumere.

Il Guardiano della Pioggia scoppiò a ridere di cuore, rinquadrando completamente la conversazione che aveva avuto con l’hitman sette anni prima.

Se non ti sposi sarà più facile per te, se dovrai uccidere la tua donna.

Più facile andare avanti, più facile rimettersi in piedi, più facile ritrovare il coraggio di fidarsi del prossimo, non sarebbe di certo stato più facile uccidere. Probabilmente, non era mai facile uccidere. Il mento tornò a bruciargli in quell’istante. Alla fine, in fondo, anche se non le aveva sparato, l’aveva pur sempre uccisa lui.

In quell’istante, decise che non aveva affatto voglia di diventare un assassino. Né aveva la voglia di guardarsi le spalle ad ogni passo che faceva. Così come non gli andava affatto di comprare dei tonfa, camminare con un canarino in testa e farsi venire fuori un brutto carattere. Eppure, per Tsuna, per la sua famiglia, non avrebbe esitato a farlo se fosse stato necessario.

Rispose con un sorriso un po’ tirato allo sguardo sbieco che gli lanciò Tsuna, il suo intuito era sempre troppo accentuato. Ma alla fine, non aveva senso preoccuparsi di problemi che ancora non esistevano, decise quando finalmente la tazza di cioccolata calda fu tra le sue mani.

“Chissà che razza di cognato sarebbe Hayato” commentò piuttosto con un mezzo ghigno.

Tsuna quasi si strozzò dalle risate con la cioccolata. Quella era esattamente una scena che non voleva vedere. Ma accolse con piacere la ventata di calma e allegria che proveniva adesso dal Guardiano, come se fosse una benedizione.

Eppure, l’idea che una parte di lui si fosse irrimediabilmente corrotta lo tormentò per giorni. Poi per mesi. Infine, per anni.






Note post lettura: ...Non odiatemi. Questa storia è vagamente diversa dalle altre. Prima lo scopo era mostrare come Tsuna fosse beh "Tsuna" nonostante il suo ruolo di Boss mafioso, ma qui ho uno Tsuna più giovane in cui a mio avviso sta venendo ancora a patti con il suo compito e pertanto è molto più sensibile (isterico) alla sua posizione. Il senso amaro al finale, è inevitabile, visto che alla fine Yamamoto è veramente l'hitman della famiglia.
E siccome, vuoi o non vuoi, Tsuna è pur sempre un Boss... ecco me lo vedevo lì a decretare la morte dei sicari mandati contro Takeshi proprio per impedire a Takeshi di diventare anche lui un sicario.
Boss!Tsuna ha un fascino perverso.

  
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