Ciao ciao, scusatemi per il ritardo ma in
questo periodo ho avuto un sacco da fare.
Grazie mille a tutti quelli che hanno recensito
la mia prima Fic. Ne sono stata veramente contentissima!!!!
Così ho deciso di postare anche il seguito
anche se ad essere sincera credo sia scritto peggio dalla prima…
Ho cercato di seguire passo passo l’evolversi
della storia descritta nel fumetto, rischiando di rendere forse un po’
ripetitiva la storia. Comunque giudicate voi.
Ciao ciao.
UN’ALTRA VETRINA…
Salve a tutti, vi ricordate di me?
Oliver Hutton, il capitano della nazionale
giovanile giapponese, campione del San Paolo e astro nascente del Barcellona?
Già, proprio quel Oliver Hutton…
Sono ancora davanti ad una vetrina come tanto
tempo fa, e la mia immagine riflessa mi ha fatto tornare in mente che non vi ho
mai raccontato come andò a finire l’altra volta.
Avete capito di cosa sto parlando, non è vero?
E’ passato parecchio da allora ma mi sembra
giusto concludere quello che ho iniziato.
Dunque, da dove posso cominciare?
Da dove avevo interrotto, naturalmente…
Lasciate Patty e le altre alle prese con il
loro giro per il centro corsi di filato in albergo, a furia di seghe mentali
avevo perso fin troppo tempo e non mi sembrava il caso di iniziare la mia corsa
verso il titolo mondiale con una ramanzina del mister; in più, a dir la verità,
non avrei proprio saputo gestire un pomeriggio con quelle tre…
Eve che mi squadrava da capo a piedi come se
sapesse che stavo nascondendo qualcosa e volesse leggermelo attraverso.
Susy che, esuberante come e più del solito, non
smetteva per un secondo di parlare del suo amato Paul (a proposito, lo sapevate
che quei due stavano insieme?).
E infine lei che mi camminava accanto come se
neanche toccasse terra, con quella meravigliosa luce negli occhi e i capelli
che ondeggiavano al ritmo dei suoi passi; non credo che se le fossi rimasto
accanto ancora per un secondo sarei riuscito ad aspettare la fine del
campionato senza chiederle di sposarmi o …per lo meno senza fare qualche altra
cavolata…
Quindi decisi che era meglio dileguarmi al più
presto.
Giunto in albergo nascosi il pacchetto in fondo
alla valigia. Non volevo che lo vedesse nessuno, non mi andava di dare
spiegazioni a tutto il resto della squadra e poi ora dovevo concentrarmi
solamente sul mio obiettivo, ovvero vincere la coppa del mondo giovanile, tutto
il resto sarebbe venuto dopo.
Quando arrivai sul campo d’allenamento era
oramai sera e trovai i miei compagni a terra distrutti e stremati dal durissimo
allenamento. Il nuovo mister li guardava da bordo campo con l’espressione
delusa di chi è oramai rassegnato a un’inevitabile sconfitta. Una rabbia
improvvisa mi montò dentro: “FORZA, IN PIEDI!!! NON VORRETE RINUNCIARE AL NOSTRO SOGNO COSI’ IN FRETTA!?!?!”
Tutti si voltarono verso di me e increduli mi
squadrarono come se avessero visto un fantasma. Al che una nuova luce sembrò
brillargli negli occhi e una nuova energia attraversargli le membra; così, come
fenici che risorgevano dalle proprie ceneri, scattarono in piedi e mi corsero
incontro per salutarmi sotto lo sguardo sbigottito del mister.
Perfetto, finalmente riconoscevo i miei amici,
sapevo che non mi avrebbero abbandonato e che mi avrebbero aiutato a vincere il
tanto agognato titolo.
Qualche giorno dopo iniziarono le eliminatorie
asiatiche.
All’ingresso dello stadio la luce abbagliante,
lasciò spazio ben presto alla vista dell’immensa folla che acclamava i nostri
nomi.E’ sempre stata una sensazione indescrivibile, a cui non ci si abitua mai.
Tuttavia, sebbene in Brasile il calore del pubblico sia leggendario, il tifo
“di casa” è tutta un’altra cosa…saranno gli striscioni e i cori nella propria lingua, il fervore patriottico che
accompagna sempre le partite della nazionale o forse sarà più probabilmente
quella ragazza conciata come una matta (non diteglielo o chi la sente poi!!!)
che, in piedi sulla ringhiera, agita una bandiera urlando il mio nome…
Chissà perché ma giocare è diverso se c’è
qualcuno di speciale a guardarti…
La prima partita fu molto dura, ma alla fine la
spuntammo anche grazie all’insperato arrivo di Rob.. Quel ragazzo è
completamente fuori di testa, un uragano, un pagliaccio, ma anche una ventata
di novità che fece un gran bene a tutti quanti.
Il giorno seguente ritornai in Brasile.
Lasciai gli altri appena scesi dal pullman e
corsi di filato in aeroporto dove sapevo c’era la mia dolce Patty ad
aspettarmi. Sentire gli altri prendermi in giro per quell’atteggiamento così
insolito da parte mia mi fece arrossire come un bambino… (in fondo, nonostante
tutto, credo di non essere mai cresciuto…)
Tuttavia il fatto di ammettere candidamente che
li lasciavo perché dovevo correre all’aeroporto per vederla e il non aver
negato categoricamente quando hanno presentato Patty a Rob come la “mia
ragazza”, furono dei notevoli passi avanti nell’abbattere il muro di timidezza
che mi circondava. Inoltre, sebbene questo atteggiamento li abbia un po’
spiazzati, fu meglio così, probabilmente gli sarebbe venuto un colpo se fossero
venuti a conoscenza del mio progetto tutto d’un botto. Sapete com’è, dovevo
prepararli…
In Brasile mi allenai molto, non potevo certo
rischiare di perdere. La lontananza questa volta però non mi fece così male…
questa volta avevo un obiettivo chiaro nella mente, e niente poteva distarmi da
quello.
Tornato per l’ennesima volta in Asia mi sentivo
carico e pronto come non mai. La squadra era rinata e tutti erano di nuovo in
gioco, nessuno poteva più sconfiggerci.
E fu così che battemmo senza alcun problema
l’Uzbekistan.
Mark era ritornato la tigre di una volta (voci
narravano già d’allora che il merito fu di una misteriosa giocatrice di
softball, ma bisognava stare attenti a fare battute a Lenders, soprattutto
sull’argomento…).
Tom sembrava aver riscoperto la voglia di
giocare per se stesso e questo non poteva farmi che piacere, inoltre mi
raccontò di aver finalmente conosciuto sua madre e la sua sorellina, molto
carina dovetti ammettere. Infatti quando la piccola Yoshiko accompagnò Tom in
hotel riscosse un notevole successo da tutta la squadra, ed in particolare da
quello scatenato di Rob, che non parlò d’altro per l’intera settimana. Per di
più giurò al mondo di voler fare una splendida figura nella successiva partita
e di dedicare il primo gol alla “sua giovane fan” …
Alla vigilia della partita contro l’Arabia la
squadra era caricata al massimo …avremmo vinto, me lo sentivo.
E così fu.
Tuttavia da qual giorno iniziarono ad
abbattersi su di noi una serie interminabile di sciagure, piccole e grandi: un
nuovo infortunio di Benji con Ed fuori dalla nazionale, un grave malore alla
madre di Mark, un “disastro diplomatico” annesso di “infortunio” per Rob.
Con il risultato che il morale della squadra la
sera prima della partita con la Cina era a pezzi, tuttavia non potevamo certo
arrenderci. Benji volle resistere e continuare a difendere la nostra porta
aspettando il ritorno di Ed, Julian chiese a Amy di tornare in Giappone per
badare alla famiglia di Mark, permettendogli di continuare a giocare, e Mark
decise di fidarsi dei suoi “amici” e di fare ciò che sua madre avrebbe
voluto…vincere quella stramaledetta partita!!!
L’incontro con la Cina fu veramente difficile.
D’altronde era ovvio che la strada sarebbe stata in salita. Fatto sta che alla
fine del primo tempo eravamo tutti quanti, io compreso, convinti di perdere. La
nostra salvezza, non ci crederete fu quell’impiccione di Pepe, che venne a
trovarci negli spogliatoi e mi fece una di quelle paternali che non si
dimenticano…(secondo me comunque era ancora arrabbiato per quella notte in
Brasile…).
Mi disse che non mi aveva mai (quasi mai…ogni
riferimento è puramente voluto…) visto giocare così male e mi sbattè in faccia
il mio più grosso errore: non ero io a dovermi adeguare al livello di gioco dei
miei compagni, ma dovevo fidarmi di loro e dare il meglio lasciando che mi
seguissero.
Era vero, e io non me ne ero accorto, mi
comportavo come un padre che insegna ai suoi bambini a calciare il pallone,
erano grandi ed erano dei professionisti, dovevo guidarli, non accompagnarli!!!
Grazie a lui avevo trovato lo spirito giusto,
la chiave che ci portò alla vittoria.
La finale del girone asiatico fu contro l’Iraq,
una grande partita e una splendida vittoria, indimenticabile…
Indimenticabile come la sua espressione quando
al culmine della festa corremmo sotto la curva a ringraziare i nostri tifosi.
Non scorderò mai quel suo sguardo felice, velato dalle lacrime, era orgogliosa di me, e io a quel punto mi
convinsi definitivamente di essere arrivato fino a lì solamente grazie a lei e
solamente per lei. Presto gliel’avrei detto, quel giorno però dovetti limitarmi
a riservarle il mio primo e più sincero “grazie per il sostegno”.
Neanche si rese conto di quanto quel giorno fu
difficile per me tornare a casa, passeggiando con lei per le vie del nostro
vecchio quartiere senza poterle dire tutto quanto avevo dentro. Tuttavia quando
passammo davanti alla fermata dell’autobus che ci divise tanti anni prima ebbi
un colpo al cuore e anche lei, mi parve. Tutti gli altri a quel punto si
dileguarono lasciandoci soli e rendendomi più arduo il mantenere i miei
propositi. Comunque, in fondo, sono testardo e quando dico una cosa la faccio,
lo sapete, no?!?
Caspita però come fu dura continuare a fingere…
Una volta, però, quasi ci cascai, lo ricordo
bene: parlavamo di calcio, l’unico argomento su cui credevo non sarei
scivolato, e uscii involontariamente con un “sai poi qual è stata la cosa che
più mi ha fatto piacere?” Lei si voltò verso di me e mi guardò sorridente con
quei suoi meravigliosi occhioni nocciola e il mio cuore perse almeno un
battito. Dio solo sa quanto avrei voluto dirle che l’unica cosa che mi aveva
reso felice da quando ero tornato in Giappone era solo il poterla vedere e
parlare, ma mi trattenni e dissi la prima cosa che lì per lì mi venne in mente,
e anche la più stupida: “Pepe”…
Lei scoppiò a ridere e io, anche se lo nascosi
brillantemente, sentii l’improvvisa urgenza di sotterrarmi.
Fortunatamente presto arrivammo a casa e con
mia madre e mio fratello divenne tutto più facile, anche se quando salimmo a
vedere lo stato della mia vecchia camera, beh…ecco…fu meglio che si sia messo a
suonare il bollitore del the che mi madre ci abbia chiamato per fare merenda
tutti insieme…
Passarono due mesi prima del vero e proprio
inizio del campionato. Rimasi in Giappone, ero felice di poter rimanere un po’
con la mia famiglia, i miei vecchi amici, con lei…purtroppo però non potevo
permettermi di distrarmi, di adagiarmi sugli allori, di perdere di vista il mio
obiettivo, soprattutto quando c’era così tanto in ballo!!! Lo sapevate che i
mondiali li avremmo ospitati noi in Giappone, vero?!? Per questo motivo decisi
di partire un’altra volta e ritornare ad allenarmi al mare, mi fa bene il
mare…mi permette di svuotare la mente e di vedere il mio futuro chiaro e
limpido davanti a me.
Tornai a casa giusto alcuni giorni prima del
ritiro, appena seppi dell’incidente che aveva coinvolto Tom mi sentii mancare,
non poteva essere successo davvero, non a lui, chissà quanta rabbia doveva
provare per non poter essere con noi, proprio ora che il nostro sogno era così
vicino…e se non avesse più potuto giocare…
NO, NON TOM!!!
Tom avrebbe superato anche quella, e ci avrebbe raggiunto per la finale, noi
dovevamo solo dare il meglio per essere là ad attenderlo, e se non avesse fatto
in tempo avremmo vinto anche per lui!!!
La sera prima dell’inaugurazione ci fu la festa
di benvenuto. Erano ammessi solo “vip”…, mi sembrava così strano sentirmi
chiamare “vip”…
Tuttavia, chissà come…, tre inviti furono
dirottati verso le case delle ex manager della New Team.
Basta allenamenti oramai quello che potevo fare
l’avevo fatto (e forse anche di più visto il dolore al fianco che non accennava
a passare…), quella sera avevo programmato di dedicarla completamente alla “mia
Patty”. A quanto pare anche Julian e Philip avevano avuto la stessa idea,
infatti, arrivati al braccio di Amy e Jenny, non le avevano abbandonate un solo
secondo, riservando a noi un solo misero e frettoloso saluto di circostanza.
Del resto poi, come biasimarli, erano splendide e noi non avremmo certo potuto
reggere il confronto…d’accordo lo spirito di squadra, ma a tutto c’è un
limite…(Non avreste mai pensato che queste parole potessero uscire dalla mia
bocca, vero?!?!).
A quel punto mi voltai, sperando di poter
presto avere anch’io accanto il mio buon motivo per trascurare i miei compagni,
quando la vidi varcare il cancello con indosso quello splendido vestito rosso
come il fuoco che le fasciava il corpo fino poco sopra le ginocchia, e rimasi
completamente senza parole. Mi sembrava che il mondo si fosse fermato e che
tutti la stessero guardando, e forse era vero…(accidenti a loro…). Del resto
era comprensibile, non c’era nessuna ragazza alla festa paragonabile a lei. Ciò
nonostante, seppur camminasse sicura su quei tacchi a spillo come un angelo che
sfiora a mala pena il suolo, le si leggeva in viso l’imbarazzo che provava. Del
resto, non era una situazione a cui era abituata e nemmeno io, se devo essere
sincero. Comunque non appena i nostri sguardi si incrociarono tutti gli altri
invitati sparirono in un colpo ed eravamo soli io e lei, insieme, felici e al
sicuro, come al solito, come sempre.
Purtroppo però i miei progetti romantici
andarono presto in fumo, infatti, dovevo aspettarmi che radunare una mandria di
teste calde in un giardino con viveri, ragazze e alcool non sarebbe stata una
grande idea. Fortunatamente però non fui l’unico a dover fare la parte del
“paciere”, anche Schnaider mi diede una grossa mano. Tuttavia però tenerli a
bada fu un impresa tanto ardua quanto lunga, un “lavoro a tempo pieno”, che mi
permise solo di lanciarle ogni tanto qualche occhiata da lontano, sufficiente a
farmi rimpiangere il mio ruolo di capitano e a farmi notare come quel moscone
di Napoleon non le si scollasse di dosso.
Possibile che a nessuno venisse in mente di andarle
in aiuto?!?!?
Bruce era impegnato a divorare un intero
vassoio di tartine con accanto Eve che gli pronosticava un’imminente
esplosione. Paul cercava di divincolarsi da quella piovra di Susy, Julian e
Philip non erano neanche da contare, Mark e Tom non c’erano e il resto della
squadra stava facendo il cascamorto con qualche modella di turno. E che dire
del mio “grande amico” Benji?!? In un angolo appoggiato ad un albero che
guardava la scena e rideva senza fare troppi complimenti!!! E quel damerino di Pier
dove diavolo era finito? Non avrebbe dovuto tener a bada i sui compagni?!?! Col
senno di poi probabilmente l’aiuto di Tom mi mancò più in quel momento che in
campo…
Tuttavia alla fine qualcuno arrivò sul serio…
Pepe, accompagnato niente popò di meno che dal
grande Santana…
Napoleon fu liquidato in meno di un secondo e
io tirai un sospiro di sollievo. Quando però notai come gli occhi smeraldo del
mio più temibile rivale si posarono su di lei ebbi la certezza di essere
passato dalla padella nella brace…
Mi disimpegnai in un attimo, tutto il mondo a
quel punto poteva anche andare al diavolo, e mi diressi spedito vero di loro,
quando…
-Coraggio ragazzi, la festa è finita, tutti a
nanna!!!!-
“Come tutti a nan…”
-Domani dovete giocare quindi ora tutti in albergo,
forza!!!-
La voce del mister fu per me come un secchio di
acqua gelida: “…ma come era possibile!?! Perché tutto era contro di me?!?”
Fui trascinato via ancora incredulo da un Benji
con ancora le lacrime agli occhi per il gran ridere.
“Vabbè, almeno era andato via anche Santana…”
Le partite che seguirono non furono affatto
facili: la mancanza di Tom, il dolore al fianco, le squadre che diventavano
sempre più forti.
Durante il primo incontro che disputammo,
quella contro il Messico, il mio infortunio smise presto di essere un segreto
solo mio e le difficoltà sembrarono da subito insormontabili.
La situazione migliorò solamente quando capii
il mio errore: volevo fare tutto da solo, senza Tom non credevo ci fosse
qualcun altro in grado di farmi da spalla. Tutti, invece, si stavano impegnando
fino in fondo e tutti avrebbero dato una mano per sostituite il nostro amico
nel migliore dei modi e così fecero.
La stessa sera arrivò nel nostro albergo una
sorpresa per Mark: la “ragazza di Okinawa” era infatti giunta fino a lì per
regalargli un porta fortuna e per fargli i suoi migliori auguri. Quella volta
la Tigre quasi si squagliò ed è inutile che neghi eravamo tutti alla finestra a
goderci la scena (se lo sa ci ammazza uno per uno…). Fatto sta comunque che quella
visitina lo esaltò parecchio…
L’indomani durante la partita contro l’Uruguay
era inarrestabile.
A parte il fatto che tirò uno schiaffone a Rob,
che per poco non gli staccò la testa dal collo, pretendendone uno in cambio.
Per caricarsi dissero…
Comunque, furono a dir poco grandi, dandomi
modo di “riposare”.
Alla fine però pretesi anche io il mio momento
di gloria e feci uno dei miei splendidi e indimenticabili gol. In fondo ero o
non ero il capitano della nazionale ?!?
Cavoli però che botta che ho preso quella
volta…
L’incontro con l’Italia fu una passeggiata, in
fondo tutti i suoi campioni erano infortunati e, seppur il non potermi
confrontare con loro mi dispiacque non poco, mi sentii sollevato.
In albergo purtroppo però ci attendeva un’altra
orribile sorpresa: Jenny aveva avuto un grave incidente era entrata in coma.
Possibile che il destino si accanisse così contro di noi?!?
Philip non perse un secondo si fiondò in
ospedale e noi rimanemmo in hotel senza parole e senza più entusiasmo.
Certo che la vita fu difficile anche per quei
due, prima l’America e quando poi tutto sembrava andare per il meglio questo…
L’indomani ci sarebbe comunque stata la
semifinale contro la Svezia, una squadra che non si poteva affatto
sottovalutare, e senza Philip in difesa …
La mattina andai a trovarli in ospedale, per
vedere come stava Jenny e per sentire che intenzioni avesse Philip.
Lo vidi nella penombra seduto su una scomoda
seggiola accanto al letto della “sua dolce Jenny” mentre le teneva una mano.
Non osai neanche chiedergli che intenzioni avesse, era ovvio che non si sarebbe
schiodato di lì fino a che non glielo avesse ordinato lei. Del resto anche io
avrei fatto la stessa cosa. Mi chiese scusa e mi disse di portare le sue scuse
anche a tutti gli altri, ma quel giorno avremmo dovuto fare a meno di lui,
Jenny era molto più importante di qualsiasi partita di calcio.
Già, più importante del calcio…come lei lo eri
per me, d’altro canto, anche se ancora non lo sapeva.
-Non c’è alcun problema Philip vinceremo
ugualmente, per te e per lei- Gli risposi appoggiandogli una mano sulla spalla
per fargli sentire che io e tutta la squadra gli eravamo accanto.
Quando portai la notizia agli altri ne rimasero
delusi, ma bastò una mia occhiata di rimprovero per far cessare le lamentele.
Philip non avrebbe giocato ed era giusto così. Avremmo vinto comunque.
La partita fu veramente dura, al posto di
Callaghan entrò un nuovo ragazzo di nome Akai, non era un fenomeno ma non se la
cavò affatto male, ci mise tutto se stesso e questo fu l’importante.
Ad un certo punto dell’incontro però successe
una cosa che per me rimane ancora inspiegabile: Levin, il campione svedese, il
cyborg dagli occhi di ghiaccio (peggio ancora di Santana tempi d’oro) smise di
accanirsi sulla nostra difesa e con un fair play sorprendente buttò la palla
fuori dal campo per permetterci di soccorrere Akai infortunato. A quanto pare
questo repentino cambiamento fu causato da un insieme di coincidenze che
diedero una bella scossa alla sua coscienza cristallizzata dal momento in cui
la sua ragazza morì in un incidente d’auto l’anno prima.
Dio mio chissà cosa avrei fatto se fossi stato
al suo posto!?!? Se l’avessi persa per sempre?!?!
In quel preciso momento poi accadde anche un
secondo miracolo: Philip a bordo campo pronto per entrare.
Allora l’ordine di Jenny era arrivato…
Vincemmo anche questa.
Ed ora la finale.
Tutti parlavano di un favoloso Re del Calcio,
di un ragazzo imbattibile che militava nella nazionale brasiliana.
Imbattibile,… si, fino a che non avesse giocato
contro di me…
Entrando in campo la prima cosa che vidi fu una
vecchia bandiera, sembra impossibile che tra i migliaia di striscioni che
coloravano gli spalti notassi proprio quella, ma sapete com’è…
“Il nostro vessillo alla memoria”, il mio amore
la chiama così. Già, sto parlando proprio di quella bandiera, quella che una
piccola pazza scatenata vestita come un maschio agitava urlando sugli spalti
durante la mia prima partita con la Niuppi. Quella con scritto “Forza Holly”,
il primo striscione dedicato a me soltanto dalla mia prima e più grande tifosa,
la prima volta che sono corso esultando sotto gli spalti a salutare il mio
pubblico, la prima volta che sono arrossito.
Ma non solo: la prima volta che ho avuto dei
veri amici, la prima volta che ho segnato a Benji, la prima volta che ho
giocato con Tom.
Tutto come la prima volta: un primo tempo da
incubo e come un salvatore all’intervallo ecco che arriva l’altra metà
dell’inarrestabile coppia d’Oro, e la partita diventa un’altra.
E alla fine abbiamo vinto…
Non credevo di poter essere più felice di così,
ovviamente mi sbagliavo, ma allora non lo sapevo ed ero completamente in
estasi, avrei potuto fare qualunque cosa in quella memorabile giornata e così
feci…
Quella sera avremmo dovuto trovarci tutti
quanti in albergo per festeggiare la vittoria con un grande cenone, niente di
formale, niente “vip”, solo qualcosa che doveva assomigliare a una rimpatriata
tra vecchia amici.
Eravamo tutti nelle nostre camere dove secondo
il mister avremmo dovuto riposarci per alcune ore dopo l’estenuante giornata,
ma come si può pretendere che dei ragazzi di vent’anni facciano il consueto
“pisolino” dopo essere stati dichiarati campioni del mondo!?! Tutte le camere
erano in fermento: Philip seduto su un gradino della scala continuava a ridere
parlando al cellulare. Julian insisteva davanti al televisore con un frenetico
zapping. Mark vagava per corridoi e camere imprecando come fosse una tigre in
gabbia seguito a ruota da Denny ed Ed che tentavano di calmarlo. Paul faceva e
disfaceva la valigia sotto lo sguardo
attonito e divertito di Johnny, Bob e Ted. Bruce inseguiva i Derrik che
scappavano passandosi quella che presumibilmente era una foto sua e di Eve.
Huma, Sandy, Sam, Alan e Patrik giocavano a poker seduti in cerchio su un lettone
king size. Akai continuava ad entrare e uscire dalla doccia, e lavarsi e
asciugarsi i capelli. Rob saltellando tra un letto e l’altro cantava a
squarciagola tentando di coinvolgere gli altri in una sorta di gara canora,
mentre Benji gli russava beato accanto. Dal canto mio non vedevo l’ora che
arrivasse il momento di cenare. Marciavo per il corridoio con passo spedito,
pensando e ripensando a quello che avrei dovuto dire quella sera, guardandomi
intorno per trovare l’ispirazione, dribblando prima un Derrik, poi Bruce, poi
Rob, poi l’altro Derrik, (o era ancora lo stesso?!?), poi Ed, Danny ed infine
un Lenders sempre più frustrato, e poi indietro, un’altra vasca e un altro giro
di giostra.
Finchè, ad un certo punto, corsi verso Philip e
gli strappai il telefonino di mano:
-Ciao Jenny, sono Holly, scusami un secondo, ma
è un’emergenza, Philip ti richiama subito.-
Appesi e composi il nuovo numero davanti allo
sguardo allibito di tutti i miei compagni.
-Pronto Gastby? Ciao Patty, sono
Holly,…grazie,…si è per sta sera, …no, non ci sono problemi, …volevo dirti di
aspettarmi a casa, vengo io a prenderti, … no, è che devo farti vedere una cosa
prima. … No, tranquilla, è tutto ok, Ciao ciao, a dopo.- Chiusi la
comunicazione.
-Grazie Phil.- Ridiedi il telefono al legittimo
proprietario e senza ulteriori spiegazioni mi diressi con passo spedito verso
la mia camera.
A dir il vero ci rimasero parecchio male i
ragazzi, soprattutto quando Bruce tentò di inseguirmi nella mia stanza
reclamando delucidazioni per il pubblico e io gli sbattei la porta in faccia.
Sinceramente, non avevo molta voglia di dare spiegazioni in quel momento.
La cena era per le otto, ma io alle sei ero già
nella mia auto e mi dirigevo verso casa Gastby. Ero, bhè, piuttosto teso, in
fondo, il passo che stavo per compiere non era cosa da tutti i giorni, ero
giovane e potevo affrontare una responsabilità così grande?!? Potevo
mantenermi…ci??? E se mi avesse detto di no?!?! “Oh mio Dio, ancora con tutti
quel dubbi!!!!”.
Arrivai e scesi dall’auto. Non appena la vidi
uscire dalla porta e correre verso di me, come sempre, tutti i miei dubbi
furono spazzati via in meno di un secondo.
Corsi ad aprirle la portiera come un vero
cavaliere e la feci accomodare in macchina, volevo fare una buona impressione
e, a giudicare dal suo sguardo piacevolmente sorpreso, ci stavo riuscendo.
Guidai, chiacchierando del più e del meno,
dritto verso lo stadio e quando parcheggiai l’auto la condussi verso un’entrata
secondaria che avevo chiesto al custode di lasciare aperta. Nello stadio vuoto
si respira un’atmosfera magica, sapete?!? Non migliore o peggiore di quando è
gremito da migliaia di persone…, diversa, anche romantica da un certo punto di
vista,…dal mio di sicuro…
Volevo che vedesse quello che vedevo io, volevo
che capisse che nonostante solo poche ore prima avessi in quello stesso punto
ringraziato per il sostegno migliaia di persone, ora volevo riservare a lei il
mio ringraziamento più sincero.
Parlai senza rendermene conto, le parole mi
uscirono direttamente dal cuore. Le dissi che le ero grato perché aveva sempre
creduto in me, e che se ero arrivato fino a lì era solo per merito suo. Le
dissi che se anche eravamo stati separati per tutto quel tempo e se anche era
stato un periodo difficile per entrambi io non avevo mai smesso di amarla. Le
dissi che appena conosciuti mi aveva detto che amava sostenere le persone che
davano il meglio di sé e che io per questo avevo cercato di farlo per tutta la
vita. Le dissi anche che avrei voluto che lei continuasse a sostenermi e a starmi
accanto anche in futuro. Le dissi, infine, spostando il pallone che tenevo tra
le mani e mostrando l’anello che custodivo ormai da mesi nella tasca della
giacca, che avrei voluto che mi sposasse e che non mi lasciasse mai.
A quel punto scoppio a piangere e mi svelò che
finalmente anche il suo sogno si era avverato. Così le presi la mano e tremante
le infilai all’anulare il fatidico anello, poi mi avvicinai e senza più dover
attingere a chissà quale fonte di coraggio le diedi il primo di una serie interminabile
di baci.
Confesso che ci volle almeno un’oretta prima
che riuscissi a staccarmi da lei e anche allora non fu affatto facile…
Ma si stava facendo tardi e tutti ci stavano
aspettando. In fondo capitano della squadra campione del mondo e il capo dei
tifosi non potevano certo mancare alla festa per la vittoria !!!! In più
avevamo anche un importante annuncio da fare…
Così la presi per mano e ridendo come due
bambini corremmo verso il ristorante.
Il nostro ingresso trionfale mano nella mano
nella hall invasa dai giornalisti come è naturale non passò certo inosservato,
come del resto l’anello al dito di Patty. Ma non mi importava, anzi, che il
mondo intero sapesse pure che quella splendida ragazza al mio fianco d’allora
in poi sarebbe stata solo mia!!!
L’entrata nel ristorante del resto non fu meno
grandiosa; infatti, dopo il gelo generale scoppiò un lungo applauso.
Eve abbracciò Bruce dandogli un sonoro bacio
sulla guancia; Amy con le lacrime agli occhi si strinse ancora di più tra le
braccia del suo principe; Philip applaudiva in piedi accanto a Jenny che con
ancora alcune bende sulla fronte, seduta su una poltrona, si asciugava gli
occhi per la commozione; Benji continuava a ridere mentre dava pesanti pacche
sulla schiena di Lenders che stranamente rideva senza avere intenzione di
reagire. Persino il mister come tutti gli altri non smetteva di fischiare e
battere rumorosamente le mani. Gli unici a non aver ancora capito cosa fosse
successo erano Rob che guardava stranito Tom sorridere soddisfatto appoggiato
tra sua sorella e ad Azumi, e Maki che al braccio di Mark cercava, tirandogli
la camicia, di avere una qualche spiegazione.
Quella fu davvero una grande serata…
E anche la nottata non fu niente male, visto
che Tom l’avrebbe passata in clinica e io mi ero, che coincidenza, ritrovato da
solo in una camera matrimoniale…
Preso ci sposammo, infatti, anche se eravamo
giovani nessuno osò contraddirci; in seguito, poi, come sapete, ci trasferimmo
in Spagna.
E questo è tutto, a grandi linee,…
Così ora sono qui, un’altra volta davanti ad
una vetrina ad aspettare.
-Hei, papà perché non entri?!?!-
Eccolo,
il mio piccolo dolce angelo, oramai ha quasi 5 anni ed è tutta la mia vita.
-Ma come, tesoro, io avevo capito che dovevo
aspettarvi qui!-
La prendo in braccio e mi infila le mani nei
capelli, vuole salirmi in spalla, ma così mi fa male.
-Ahio…non così, aspetta…ecco…Ahi…-
Finché eccola arrivare.
-Su, tesoro, stai tranquilla, lascia stare
papà, non vedi che…uhi…-
-Oh, scusa mamma!!!!-
Un calcio anche a lei…
-Ti sei fatta male, tesoro?- chiedo al mio
amore che si massaggia il naso con la mano, soffocando una risata e riuscendo a
sistemarmi in spalla la piccola alla belle e meglio.
-No…- mugugna Patty imbronciata, uno splendido
broncio, comunque, non c’è che dire.
Mi abbasso per darle un bacio sulla parte lesa
stando bene attento che i piedini del nostro piccolo terremoto (Non vi ricorda
nessuno?!?!) non creino altri danni e le accarezzo dolcemente il ventre che da
qualche mese custodisce un altro piccolo Hutton (questa volta è un maschio e me
lo sento che sarà un campione!!!). Lei allora ne approfitta e, distraendomi con
una bacio sulle labbra, mi rifila in mano un’altra serie di buste contenenti
altri risultati delle ore di shopping che ci siamo concessi in questa giornata
di fine estate.
Cavoli, con questo trucchetto mi frega sempre…
Vabbè, non importa…
Vi ricordate quando vi dissi che il giorno in
cui vincemmo la coppa del mondo non credevo di poter essere più felice, ma che
col senno di poi ci sono stati di momenti che mi hanno fatto ricredere ?!?
Beh… che dire… questo è uno di quei momenti…