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Autore: musa07    21/03/2015    2 recensioni
" Giotto, fedele custodia in spalla, saliva i gradini della Scuola di Musica, dove aveva iniziato a prendere lezioni di Violino solo un mese prima, saltellando, con il gioioso impegno che solo un bambino di sei anni può avere ...
Amava, adorava il suono del suo Violino. Venerava il suo strumento, la melodia che scaturiva dallo sfiorare dell’archetto sulle corde, ma quelle note prodotte dalla voluttuosità di un Pianoforte lo attrassero e lo fecero bloccare di colpo ..."
Piccola os sul mio headcanon di come questi due pucciosi del Cuore si siano incontrati la prima volta
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: G, Giotto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola OS sul mio headcanon, come ho avuto modo di dirvi, di come sia avvenuto il primo incontro tra questi due pucciosi del Cuore.
Mah, mi piacerebbe scrivere una raccolta di flash slice of di come il rapporto tra i due si sia evoluto. Staremo a  vedere …
 

A Maki <3
 
 
 
“La musica è semplicemente là per parlare di ciò di cui la parola non può parlare”
 
 
 
Giotto, fedele custodia in spalla, saliva i gradini della Scuola di Musica, dove aveva iniziato a prendere lezioni di Violino solo un mese prima, saltellando, con il gioioso impegno che solo un bambino di sei anni può avere.
Stava canticchiando a labbra socchiuse la piccola melodia di sedici battute che la sua insegnante gli aveva fatto preparare dopo che finalmente aveva iniziato ad appoggiare il primo dito sulle corde.
Dire che era felice, sarebbe stato usare un eufemismo. Eppure, nonostante il suo entusiasmo lo facesse essere su di una nuvola, quello che comunque era il suo orecchio attento per la musica, e per il bello nello squisito senso estetico del termine, lo fece bloccare di colpo.
La primavera era alle porte, e in quel tiepido pomeriggio soleggiato e ventoso come solo Marzo sa essere, le finestre delle aule erano socchiuse. E Giotto si fermò di colpo. Attratto. Calamitato …
Amava, adorava il suono del suo Violino. Venerava il suo strumento, la melodia che scaturiva dallo sfiorare dell’archetto sulle corde, ma quelle note prodotte dalla voluttuosità di un Pianoforte lo attrassero e lo fecero bloccare di colpo.
Ripercorrendo in senso inverso i pochi gradini fatti, come se si fosse trovato sospeso su di una nuvola – ma stavolta a causa del Pianoforte e del suo suonatore – si diresse verso quella melodia. Come se fosse stregato. Come se lo stesse chiamando …
Pensando che era semplicemente perfetta. Pensando che, semplicemente, si sarebbe completata alla perfezione con la melodia prodotta dal suo Violino.
E sorrise con quel suo meraviglioso sorriso soave quando, mettendosi davanti alla finestra, vide colui il quale stava suonando.
 
G. neanche si accorse del bambino biondo che si era incantato davanti alla finestra socchiusa.
Nemmeno quando le sue dita, che sembravano nate per il Pianoforte, finirono di accarezzare i tasti, mentre ancora la melodia si perdeva nell’aria.
Fu solo quando si sentì chiamare, che si voltò di scatto.
L’aveva sentito, pensò, quel bambino l’aveva di sicuro sentito suonare!
E a lui non piaceva che gli altri lo ascoltassero. Suonava solo per lui, perché gli piaceva. E a nulla valevano le preghiere e le moine di sua madre – che suonava il pianoforte a sua volta e insegnava in quella Scuola di Musica e lui molte volte l’accompagnava, aspettandola – che cercava di convincerlo a studiare seriamente, così da poter entrar al Conservatorio come lei e suo padre, quando avrebbe raggiunto l’età richiesta.
- Sei bravo! – esclamò il bambino biondo.
- Tch! – proferì lui d’istinto, richiudendo il piano. Aveva risposto seccato d’istinto, più per la vergogna e l’imbarazzo che altro, perché il sorriso dell’altro era maledettamente sincero. E terribilmente disarmante. Nonché maledettamente ammaliante.
Giotto, a sei anni, aveva già propria l’arte di saper conquistare gli altri. Anche i più ostici.
Fu per questo che G. invece di chiudergli lapidariamente la finestra in faccia – com’era originariamente nei suoi piani – si avvicinò a lui incuriosito.
 
Il futuro Boss Vongola sorrise ancora di più. Quel bambino lo incuriosiva parecchio. E non solo per i suoi capelli rossi infuocati, verso i quali si sentì terribilmente attratto, tanto che dovette dar fondo a tutta la sua educazione per impedirsi di sfiorarli. C’era qualcosa, nell’espressione comicamente seria per un bambino di sei anni, nella profondità del suo sguardo, che lo attraeva profondamente.
 
- Come ti chiami? – andò diretto al punto G., che stava rapidamente calcolando e decidendo se quel bambino biondo potesse andargli a genio o meno.
- Giotto. –
Di nuovo quel sorriso che era come una coperta calda gettata sulle spalle nelle giornate più gelide.
- Come il pittore? –
Quasi gli scappò da ridere. Essendo la sua una famiglia di artisti, anche se così in tenera età conosceva i maggior pittori italiani e tutto ciò che era Arte. Fosse Musica, piuttosto che Pittura ...
- Hum-hum – fu la replica del biondo, sorpreso ma al contempo felice. Non ci poteva credere! Non aveva mai trovato nessun altro bambino che sapesse con quale grande artista condivideva il suo nome.
- Sei bravo a disegnare? – si divertì a punzecchiarlo, ma senza cattiveria alcuna.
- Per niente. – rispose Giotto, senza alcun imbarazzo, anzi: scoppiando a ridere.
Era una vera frana. E per quanto riguardava il disegnare un cerchio perfetto senza l’ausilio di nessun strumento, come il suo omonimo, beh: lui si era anche impegnato, ma i suoi cerchi – ad esser gentili – ricordavano dei copertoni di ruote di bicicletta. Senza raggi.
G. lo fissò per un attimo interdetto, per poi scoppiare a ridere a sua volta.
Era raro che qualcuno suscitasse la sua curiosità, e quel bambino l’aveva attivata in pieno.
Giotto fu rassicurato dalla risata dell’altro.
- Potremmo suonare insieme qualche volta … - gli propose, timidamente, spiando la reazione dell’altro da sotto i ciuffi biondi.
- Hum … - fu la replica titubante del rosso – Sì, qualche volta … sì … -
 
E quel qualche volta sarebbe divenuto per sempre.


FINE^^



E niente, io 'sti due li amo troppo. Non ho scusanti, io ... no ... È tutta colpa loro. Ovviamente …
   
 
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