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Autore: Floffy_95    21/03/2015    1 recensioni
Un principe valoroso che cerca di proteggere la sua famiglia e un astuto Signore di Doni intenzionato a dominare l'intera Arda. Chi è Angmar? dov'è nato, qual'è la sua storia? ma soprattutto: cosa lo ha reso quello che è divenuto famoso per essere il grande Re Stregone temuto da tutti? Questa è la storia di un uomo chiamato Isilmo, fratello della regina di Númenor, che per spezzare il suo destino finì per decretarlo, per liberarsi dal peso della morte finì per diventare parte di essa, per salvare la sua famiglia finì per condannarla.
Salve a tutti! Questa è la mia prima fan fic.
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nazgul, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo V:

Andrast

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Prendo un respiro profondo

Butto fuori l'aria lentamente.

Mi inchino leggermente.

Fisso il capo tribù dritto negli occhi.

«Grande capo Ghân-rani-Ghân...»

Gli occhi neri del capo dei drúedain sfavillano appena sente il proprio nome.

«...Siamo venuti qui per trattare la pace fra i númenóreani e gli abitanti della foresta.» continuo.

Rianni mi scocca uno sguardo insicuro e traduce, indicando noi tre e poi loro.

Mi schiarisco la voce.

«Io sono il principe di Númenor, Isilmo della casa di Indilzar. 

Vorrei conferire con voi per la pace e il reciproco scambio che spero possa far felici ambo le parti.»

Rianni continua a tradurre.

I suoi occhi brillano speranzosi.

Ghân-rani-Ghân si schiarisce la voce a sua volta, un suono aspro e raschiante.

Nel suo tono cupo mostra amarezza e riesco a individuare anche una punta di ironia.

Mi fissa con sguardo truce.

Arriccia le labbra.

Rianni mi fissa.

I suoi occhi bruni sembrano spaventati e carichi di dubbio.

Forse è indecisa se tradurre o no.”

Rianni deglutisce e allarga le braccia.

«Dice: Benvenuti nella mia casa, stranieri. 

Cosa volete realmente dalla mia gente? Perché girate con il ferro di morte vicino alla mia dimora?»

Alzo lo sguardo, cercando di avere uno sguardo fiero.

Mi liscio la barba bionda.

«Sono qui per le navi, mio signore.

I númenóreani abbisognano del legname per fabbricare le navi e gli alberi adatti

si trovano solo nella vostra foresta che, a quanto mi dicono, voi ritenete sacra.»

Faccio cenno a Rianni di tradurre.

La ragazza viene percorsa da un fremito ma poi esegue.

Ghân-rani-Ghân storce la bocca.

Nel suo tono ora leggo rabbia.

Scuote debolmente la testa.

Rianni vacilla un attimo ma poi traduce.

«Dici il vero, straniero. Gli alberi sono sacri per noi drûgin. 

E questi in particolare esistono da ben prima che la vostra razza mettesse piede su queste sponde. 

Il... paese di Drughûn-dinû19 è costruito su questi alberi, alberi che parlano con noi... ma tu non puoi capire.»

Mi passo una mano sulla mascella.

Butto fuori l'aria sonoramente.

Mi volto verso Rianni.

«Digli... chiedigli cosa vuole che facciamo e cosa vogliono i Drûgin per trattare la pace.»

Rianni traduce frettolosamente.

La sua voce mi sembra stanca e preoccupata.

Ha paura di loro?”

Ghân-rani-Ghân ascolta pazientemente.

Chiude la punta delle dita in un gesto di domanda.

Rianni si passa nervosamente una mano fra i riccioli bruni.

«Dice: Dovresti averlo capito, straniero. 

Non ci può essere pace se entrambi abitiamo queste terre. 

La nostra ostilità finirà solo con la vostra partenza da questi

lidi per non farvi mai più ritorno se non in amicizia della foresta stessa.»

Mi torco le mani.

Non sta andando molto bene.”

I miei occhi incontrano brevemente quelli di Rianni e poi il suolo.

«Capisco. Digli che io rispetto la sua gente ma che non me ne andrò a mani vuote.

Digli che siamo disposti a donare molte scorte di tutto quello che desiderano,

gioielli meravigliosi creati dalle mani dei nostri artigiani più abili, cibi deliziosi, 

uccelli canori e fiori del colore dell'arcobaleno, specchi con cui riflettersi, 

amuleti benedetti dai nostri sacerdoti, armi per difendersi, stoffe soffici e morbide come nessun altra cosa...»

Rianni scuote debolmente la testa, come se non capisse.

Il suo sguardo è opaco e vi leggo confusione.

Stringe le labbra e si rivolge al capo tribù.

Ghân-rani-Ghân ascolta con interesse crescente.

Quando Rianni ha finito di tradurre il capo scoppia in una roca risata, simile al suono di sassi scivolati in un pozzo.

Rianni lo fissa per un istante con occhi sgranati.

Ha il fiato corto e tiene la bocca semi aperta.

Ascolta attentamente le sue parole, amare come il fiele e profonde come le radici delle montagne.

Fa cenno di aver capito e si rivolge a me.

I suoi occhi scuri tradiscono ansia e frustrazione.

«Lui... lui dice... io sono Saggio erede di Saggio, non cercare di ingannarmi.

Ai drûgin non interessano oro o ricchezze. 

Non desiderano gioielli se non per la frivolezza da fanciulla per il loro luccichio e non apprezzano le armi di metallo. 

Non sentono nulla di più comodo e soffice delle foglie e non desiderano niente che la foresta non possa procurargli.»

Fa una breve pausa, lanciando uno sguardo furtivo verso il capo tribù.

«La foresta è la loro casa. Dice di andarcene subito, non siamo più i benvenuti qui.»

Kadom fa uno strano verso gutturale.

«Fine delle trattative... forza, andiamo prima che questi piccoli selvaggi inizino a bersagliarci di dardi.

Non amo né essere pungolato né tantomeno il veleno.»

Scuoto la testa con convinzione.

Fisso dritto negli occhi il grande capo.

Lui ricambia con stoica ostilità.

Sospiro nervosamente.

Indico noi e poi loro, più volte.

Mi volto verso Rianni.

«Digli che torneremo domani e cercheremo di trovare nuove strade per trattare con loro.»

Rianni alza timidamente lo sguardo e apre la bocca.

Si rivolge al vecchio capo tribù, battendosi le mani sulle cosce e sospirando sonoramente.

Rivolge ai nativi qualche parola dai suoni quasi soffocati.

Scrolla le spalle, scuotendo la chioma bruna.

«Ho fatto, mio signore. Ma non credo che saremo benvoluti se e quando torneremo.»

Annuisco profondamente e mi volto.

«Lo terrò a mente.»

 

 

È quasi mezzodì quando infine giungiamo in prossimità di Lond Daer.

L'aria è rovente e la città appare circondata da una foschia accesa dal sole.

Kadom cammina con passi pesanti e cadenzati, quasi stesse tenendo un ritmo che lui solo può udire.

Mi passo una mano sugli occhi.

Digrigno i denti, sospirando sonoramente.

La trattativa è fallita, per ora... e adesso dovrò affrontare anche Adrahil.”

La mano mi scorre sui capelli, indugiando sulla nuca.

ma alla fine riuscirò a trovare un compromesso. Devo... per Telperiën.”

Dalla bocca mi scappa un lamento.

Non dormo dalla mattina precedente.

Sbadiglio sonoramente.

L'occhio mi cade su Rianni.

La ragazza tiene il capo chino,

trascina i piedi nella polvere stringendo la sua sacca che appare incredibilmente pesante.

Le sorrido con dolcezza.

«Ce la fai, ragazza? Vuoi che ti prenda in braccio?»

Rianni alza lentamente il capo.

Scrolla le spalle, intorpidita.

Mi fissa con sguardo vacuo.

«C-come, mio signore?»

Le prendo una mano fra le mie.

«Ti vedo stanca... vuoi che ti porti?»

Un guizzo passa sui suoi occhi scuri.

Le sue gote avvampano.

«N-no! Ce la faccio benissimo da sola! Non sono più una bambina!»

Annuisco con gravità e mi volto.

Ormai la colonia è vicina e le ombre delle sue mura possenti ci inghiottono.

Le guardie, vistici arrivare si precipitano verso di noi.

Quello che sembra il capo si tocca l'elmo in segno di rispetto ed esclama:

«Salve, principe Isilmo! Vado subito ad avvertire il Governatore, attendete qui.»

Le guardie spariscono dietro i cancelli della città, lasciandoci soli all'ombra delle mura.

Rianni si appoggia all'arco delle porte, accasciandosi con un sospiro.

Kadom si siede sopra un ceppo, tira fuori la sua scimitarra e con una pietra inizia ad affilarla con gesti bruschi.

Io trovo posto appoggiandomi alle fredde pietre dell'arco interno delle mura.

Mi giro verso Rianni.

Tiene gli occhi chiusi e la bocca semi aperta.

Il petto le si alza e abbassa lentamente.

La prendo in braccio.

Dopo un po' giunge Adrahil tutto sudato e con la faccia rossa, circondato dalle sue guardie scelte.

«Sire Isilmo! Scusatemi per l'attesa! Che vergogna farvi attendere così sulle porte come un branco di mendicanti!»

Adrahil lancia uno sguardo velenoso al capo delle guardie.

Questi fissa il suolo, le gote rosse, mentre tormenta l'elmo che tiene in mano.

Adrahil scuote la testa, sbuffando.

«Purtroppo sono circondato da idioti!

Prego, venite, dal vostro aspetto si direbbe che non abbiate passato una buona nottata.»

Esplodo in una fragorosa risata.

«Potete dirlo forte!»

 

 

Lo studio del Governatore è fresco e avvolto dalla penombra, lontano dalla canicola esterna.

Adrahil prende un sorso di vino speziato dalla coppa di vetro e oro che tiene in mano.

«E così le trattative non sono andate a buon fine.»

Prende un'altra sorsata.

«Come già vi ho detto, lo immaginavo. Non ci possono essere negoziati con quei selvaggi...»

Mi sistemo sullo scranno che il Governatore mi ha prestato, rigirandomi una coppa di vino fra le mani.

«Gradirei che si esprimesse in modo diverso quando parla dei nativi della Terra di Mezzo.»

Adrahil sbuffa, rigirandosi la coppa fra le mani.

«Già... voi li ammirate.

Ma lasciate che vi dica una cosa, mio principe:

Quegli indigeni sono poco meglio degli orchi. 

Bersagliano i nostri artieri e boscaioli con dardi avvelenati e usano tattiche barbariche

per incendiare i nostri depositi e le nostre case. 

Non ci si può fidare di loro. In nessun caso.»

Sospiro gravemente.

«Quegli indigeni... sono nostri fratelli. 

Hanno combattuto con valore nella guerra contro Morgoth, si sono dimostrati abili guaritori e fedeli alleati. 

Númenor dovrebbe farseli amici, non avversari.

Non possiamo ottenere niente dalla Terra di Mezzo senza che i suoi abitanti non ci siano favorevoli.»

Adrahil scuote la testa debolmente.

«Questo lo dite voi, mi signore. 

Ma quei selvaggi hanno sfidato una volta di troppo il nostro impero. 

Se non riuscirete voi a farli ragionare, mi toccherà usare la forza bruta che sembra l'unica cosa che capiscano.»

Mi alzo dallo scranno con uno scatto.

Contengo a stento l'ira che mi divampa nel petto.

Sento le gote bruciarmi e le mani tremare.

«Sire Adrahil! Sembra che proviate gusto nel governare come un tiranno!

Chissà cosa ne penserebbe mia sorella di tutto questo!»

Questa volta è il Governatore ad alzarsi, la bocca storta in un'espressione di disgusto, gli occhi che lampeggiano.

«Perdonatemi mio signore, ma non vi permetto!

Io sono un fedele suddito di sua maestà e non attento certo a nessun tipo di dispotismo!

Ma quei barbari abitanti della selva vanno fermati! E se non sarete voi, allora, in nome degli dèi, sarò io a farlo!»

Osservo Adrahil con apprensione.

La tensione si sta facendo un po' troppo forte. È meglio calmarsi.”

Sospiro profondamente, gettandomi sullo scranno.

Mi passo una mano sugli occhi.

«D'accordo allora.

Tenterò io di far ragionare i drûgin, ma provate a sfidare la mia autorità di messo reale prima che 

questa faccenda venga risolta e giuro che finirete a spalare sterco di maiale per il resto dei vostri giorni!»

Adrahil si siede rigidamente sul suo scranno foderato.

Avvicina le labbra alla coppa, affogando la frustrazione nel vino.

Dopo essersi inumidito le labbra schiocca la lingua ed esclama:

«Affare fatto, principe Isilmo!»

 

 

Sono passate tre settimane da quella discussione.

Per dieci volte sono stato a parlamentare con i drúedain e per altrettante volte sono stato mandato via

con esito negativo.

Sospiro con gravità, chiudendo gli occhi.

Fisso l'orizzonte con sguardo interrogativo.

Il mare grigio si stende infinito davanti a me, muovendosi sotto il cielo del mattino come un drappo agitato dal vento.

Appoggio il viso sulle mani, puntando i gomiti sulla balaustra.

Cosa starai facendo adesso Anariën? Dove ti troverai? E i nostri bambini? Che faranno di bello loro? Vi mancherò?”

Mi passo una mano sugli occhi, feriti dall'improvviso bagliore del sole che sfavilla fra le nuvole schierate.

Mi mancate molto, miei gioielli del mare.”

Stringo i pugni fino a far sbiancare le nocche.

No! Io tornerò presto, riuscirò a convincere Ghân-rani-Ghân della mia buona fede.

So che posso farcela e poi... tornerò da voi.”

 

 

La città di Drughûn-dinû ci circonda da ogni lato con le sue costruzioni innalzate intorno e sopra gli alberi.

Il gran capo Ghân-rani-Ghân siede di fronte a me per l'ennesima volta, vestito solo di una gonna di foglie secche.

Entrambi sospiriamo lentamente.

Il silenzio ci avvolge.

Centinaia di occhi sono puntati su di noi.

Kadom è al mio fianco.

Il bestione rimane taciturno, gli occhi scuri che lampeggiano silenti.

La mia guardia giurata è pronta a fare a pezzi chiunque voglia farmi del male.

Rianni è accovacciata alla mia sinistra.

Tiene il volto basso, i lunghi riccioli bruni a solleticarle il viso.

Accenno un inchino verso il capo tribù.

«Grande Ghân-rani-Ghân, sono qui davanti a te per l'ultima volta. 

Se non riuscirò a convincerti allora abbandonerò per sempre questa foresta, ma così non farà la mia gente. 

Altri verranno, strappandovi ciò che è vostro con la forza e allora rimpiangerete di non esservi messi d'accordo

con me quando ne avevate la possibilità.»

Mi schiarisco la voce.

«Rianni.»

La ragazza, che sembra riscuotersi da un sogno ad occhi aperti, si sistema meglio sul terreno soffice di foglie morte.

Dopo un po' che ha tradotto, Ghân-rani-Ghân si passa una mano fra i capelli grigi, grattandosi in modo svogliato.

Emette una lunga sequela di versi in inintelligibili.

Rianni si piega leggermente verso di me.

«Lui dice: Straniero, non cercare di minacciarmi. 

Già sapevo che se tu avessi fallito, altri ancora sarebbero giunti.

Perché l'uomo venuto del mare non si ferma mai, è ingordo, avido e ladro.»

Rianni fa una pausa.

«Comunque, dice, ascolterò cos'hai da dirmi e valuterò.»

Annuisco, sorridendo con gentilezza verso il capo tribù.

«Come puoi immaginare, non è possibile né la nostra dipartita né la vostra. 

Siamo costretti entrambi a convivere e se dobbiamo farlo, allora sarebbe meglio che lo facessimo da amici.»

Rianni comincia a tradurre, accompagnandosi con dei gesti.

Fisso lo sguardo dritto negli occhi di Ghân-rani-Ghân.

«Digli... digli che abbatteremo solo gli alberi che indicheranno loro,

digli che non toccheremo la città costruita nella foresta.»

Faccio una breve pausa.

«Ti do la mia parola, che come principe di Númenor non tradirò il patto siglato con voi e che lo rispetterò finché avrò vita. 

Tuttavia non sarei onesto se ti dicessi che lo rispetterà anche la mia gente. 

Finché avrò vita, giuro che farò in modo che il mio popolo rispetti il giuramento, ma dopo la mia morte non posso giurare.»

Rianni finisce di tradurre con un sospiro.

Ghân-rani-Ghân si passa una mano sulla corta barbetta ispida.

La sua voce è profonda e roca.

Rianni lo guarda con occhi pieni di apprensione.

Finalmente parla.

«Usi parole prudenti e sagge, straniero. 

Ma possiamo davvero fidarci di voi?

Possiamo davvero stringere alleanza con un popolo sleale e codardo che cava le ossa di sua madre per trovarvi tesori, 

che le strappa via i capelli per costruire mostri marini? 

Inoltre non ci sono alberi che possiate abbattere. 

Questa foresta è vecchia, straniero. Più vecchia di qualsiasi altra cosa. 

Più vecchia delle montagne, più vecchia dei fiumi. C'era già quando i miei antenati giunsero qui, c'era già quando gli...»

Rianni si interrompe un attimo.

Mi rivolge una timida occhiata.

«Credo che la parola sia... elfi. 

Questa foresta c'era già quando gli elfi arrivarono dal lontano oriente. 

È la nostra casa ed esisterà per sempre, ammenoché voi non la distruggiate. 

E non ti illudere, ho già sentito che l'uomo venuto dal mare necessita per le sue... 

Ehm, navi, credo, del legno degli alberi millenari più alti e robusti, che facciano loro solcare le acque con più sicurezza,

ma in quei tronchi sono intrappolati gli spiriti dei nostri antenati. Mio padre dorme in uno di essi.»

Lascio andare un sospiro di frustrazione.

Mi volto verso Rianni.

I suoi occhi scuri incontrano i miei.

Avvampa e distoglie lo sguardo.

Deglutisco, stringendo forte le mani fra loro.

"Evidentemente, l'unico modo per risolvere la questione in modo pacifico è 

spostare i nostri approvvigionamenti più a Sud, verso il corso del fiume Angren20.

Solo così otterremo la pace. Provvisoria immagino, ma pur sempre una pace."

«Taglieremo solo gli alberi sulla costa vicino a Lond Daer e poi lasceremo queste terre, spostandoci più a Sud.»

Lascio andare il fiato.

«D'accordo. Rianni, traduci.»

La ragazza annuisce, i riccioli bruni a coprirgli il viso.

Le sorrido incoraggiante.

A bassa voce, quasi borbottando, inizia a tradurre.

Ghân-rani-Ghân affila lo sguardo su di lei, serrando la mascella.

L'indigeno mi scruta con sguardo penetrante.

Aggrotta la fronte.

Per un lungo attimo carico di tensione non accade nulla.

Poi l'espressione corrucciata sul suo viso scompare lasciando il posto ad un sorriso ironico.

Quando apre bocca la voce ne esce altrettanto sarcastica e roca, quasi sghignazzante.

Rianni annuisce al nativo e si volta verso di me.

I suoi occhi scuri sono profondi come pozzi e le sue labbra carnose tremano leggermente.

«Lui dice: Chi ci assicura che le nostre foreste non verranno più toccate?

Come ci promettete che vivremo in pace, d'ora in avanti?»

La ragazza tace, chinando il viso.

Sorrido con orgoglio.

Alzo il braccio in alto, affinché tutti possano vedere l'anello che brilla sulla mia mano.

«Questo è il sigillo della Regina di Númenor. Io sono il messo della Regina e la mia parola è la sua parola. 

Se ordino che le foreste non siano più oggetto di discordia e che vi siano lasciate, ciò avverrà. Hai la mia parola.»

Faccio una pausa.

«Ma se questo non ti bastasse, te ne farò dono, così che chiunque te lo veda al dito capirà e obbedirà.»

Rianni traduce frettolosamente.

Una punta di nervosismo sfiora la sua voce.

Ghân-rani-Ghân si gratta la barbetta grigia, adocchiandomi con sguardo meditabondo.

Infine allunga il braccio, agitando la mano come per scacciare un insetto molesto.

La sua risposta non si fa attendere.

Rianni fissa il capo tribù come assorta ma poi scrolla le spalle si gira verso di me.

«Provalo! La tua parola vale come se detta al vento per un drûg. 

Il tuo sigillo vale solo perché luccica ai miei occhi e

inoltre un uomo del mare vedendomelo al dito penserebbe subito che io lo abbia rubato. 

Conosco fin troppo bene come trattate la mia gente. Non voglio il tuo anello.»

Mi alzo in piedi seguito subito dopo da Kadom.

«Rianni digli...»

Mi passo una mano sugli occhi.

Sospiro debolmente.

Mi avvicino lentamente al nativo.

Ormai sono tanto vicino da poterlo toccare.

Le sue guardie del corpo non muovono un passo ma si limitano a

stringere più forte le loro lance e a fissarmi con cipiglio torvo.

Punto il mio sguardo dritto negli occhi del gran capo.

I suoi, scuri come le profondità della foresta si rispecchiano nei miei, grigio cielo.

Lentamente, mi sfilo la fede nuziale dall'anulare destro e allungo l'altra mano verso il nativo.

Appena tocco il dorso della sua mano ruvida e callosa una torma di indigeni si gettano urlando su di noi.

Un urlo perentorio squassa l'aria, echeggiando sotto le navate degli alberi.

I drughûn restano immobili.

Ghân-rani-Ghân mi fissa accigliato, quasi con meraviglia.

Cerca di ritrarre la mano ma lo afferro per il polso.

Gli giro lentamente il palmo verso l'esterno e vi poso con l'altra mano l'anello.

Gli chiudo la mano e ritraggo le mie.

Ghân-rani-Ghân mi aggrotta la fronte.

Socchiude gli occhi e dischiude la bocca.

Nei suoi occhi noto smarrimento.

China la testa e osserva l'anello che ha nella mano.

Punto i miei occhi su di lui, fissandolo con convinzione.

«Questo anello vale per me più di qualunque altra cosa. 

È il simbolo del legame eterno e dell'amore che nutro per la mia sposa.

Forse non puoi capire, ma per me significa un patto di sangue. 

Facendoti questo dono io mi impegno affinché il popolo di Númenor

non tocchi mai più la foresta dei drughûn sinché avrò vita e il mio anello rimarrà in mano tua.

In cambio il popolo dei boschi non attaccherà mai più Lond Daer o

qualsiasi altra colonia del mio reame e tratterà da amici tutti i miei parenti.»

Rianni muove lenta le labbra e la voce che ne esce è chiara eppure dolce seppure

lenita dai suoni aspri e gutturali della lingua dei drughûn.

Ghân-rani-Ghân resta in silenzio ma stringe al petto l'anello, annuendo grave.

Emette un suono simile al raschiare della gola e pronuncia una parola dura

come le radici degli alberi millenari della foresta.

Rianni si volta verso di me, una luce brilla nei suoi occhi marroni.

«Ughu'sh ta, che così sia!»

Ghân-rani-Ghân si volta verso un suo suddito che dopo averne ascoltato le parole annuisce, svanendo nella boscaglia.

Il capo tribù fa un cenno con la mano a Rianni, parlandole nella sua strana lingua.

Rianni si porta ambo le mani alla bocca.

Le scappa un gridolino che presto soffoca.

La guardo meravigliato.

«Che succede?»

Rianni deglutisce.

Un brivido le percorre la schiena.

Sta tremando.”

Ghân-rani-Ghân sembra domandargli se ha capito.

Rianni annuisce.

Prende una profonda boccata d'aria ed espira lentamente.

I suoi occhi sono lucidi.

«Ghân-rani-Ghân dice: c'è un ultima cosa, straniero. Lascia che ti faccia un dono. Il Marchio degli Spiriti.»

Mi acciglio.

«Che significa?»

Rianni scuote la testa e china il capo.

«Io... io... credo che vogliano farvi un tatuaggio, mio signore. Come segno di appartenenza alla tribù dei drûgin.»

Due wose seguiti dal tipo di prima mi si accostano con fare furtivo.

Uno dei due mi prende un braccio, scoprendomi la casacca fino al gomito.

Estrae dalla cintura di pelle un aculeo d'istrice affilato e fa per colpirmi il polso.

«Ehi! FERMATI! FERMATI SUBITO!»

La voce di Kadom riecheggia nella foresta.

«Calmo! Calmo! Va tutto bene!» riesco a gridare prima che il bestione possa falciare con la sua scimitarra

la testa del piccolo uomo che mi stringe l'avambraccio.

Il drûgin scuote la testa, gridando.

Sgrana gli occhi, battendosi una mano sulla testa.

«È spaventato! Lascialo in pace! Non vuole farmi del male.»

Sento un dolore acuto risalirmi dal palmo fino al gomito.

Il nativo sta percuotendo la pelle del mio avambraccio con piccole,

precise stilettate che presto ricoprono il mio braccio di un rosso acceso.

Rianni si porta le mani a gli occhi, facendosi scappare un lamento.

Kadom guarda il sangue sgorgare con occhi cupi e straniti.

«Mio signore! Non credo che sia una buona idea assecondare questi piccoli uomini. Tramano qualcosa...»

Si passa una mano sui baffi neri, fissando le ferite con occhi meditabondi.

«Questi ratti hanno il morso velenoso!»

Due degli indigeni mi tengono il braccio fermo, tamponando il sangue che continua a sgorgare con dei lembi di pelle, 

l'altro inizia a spargere sulle ferite una polvere bluastra che si lega al sangue,

riempiendo i solchi che mi accorgo ora formano un complicato disegno a spirali.

Contraggo la mano in un pugno.

Il dolore è molto forte. Quasi stordente.

Gli wose iniziano a intonare una cantilena, sempre più forte, finché si trasforma in vere e proprie grida.

Il drûg che mi ha sparso addosso la polvere blu ci sputa sopra e comprime con le dita la povere sulle ferite, 

spalmandovi sopra un liquido viscido e trasparente che si asciuga presto, facendo smettere di sanguinare le ferite.

Dopo avermi tamponato ancora un po' il tatuaggio i tre mi lasciano andare.

Ghân-rani-Ghân stesso mi afferra per il polso ed eleva il mio braccio in alto,

così che tutti possano vedere il mio Marchio degli Spiriti.

I drûgin iniziano a battere le mani ritmicamente.

Gridano parole incomprensibili.

Mi volto verso Rianni.

«Cosa dicono?»

La ragazza sorride timidamente, le gote rosse.

«dicono che ora siete un mezzo drûg ora e fate parte della comunità, mio signore.»

Mi allargo in un sorriso cordiale che rivolgo al mio pubblico.

Ghân-rani-Ghân sembra soddisfatto e si accovaccia sulle foglie morte, stringendo un frutto con la mano inanellata.

Vedendo l'anello con le due mani incrociate ho una fitta al cuore, ma sospiro profondamente e chiudo gli occhi.

Meglio non pensarci. L'ho fatto per il regno... l'ho fatto per mia sorella, per te, Anariën, per rivederti.”

Ghân-rani-Ghân allarga la bocca sdentata in una smorfia che sembra un sorriso.

Dice qualcosa che Rianni prontamente traduce.

«Ghân-rani-Ghân dice: arrivederci straniero. Sei un mezzo drûg ora.

I tuoi nuovi fratelli e sorelle ti accompagneranno al limitare della foresta.

Dì agli uomini venuti dal mare che non daremo loro più alcun fastidio. 

Digli anche che ora la foresta è nostra e che non dovranno metterci piede mai più.»

Annuisco e lascio che gli wose ci conducano al limitare del bosco.

«Arrivederci!» grido.

 

 

I gabbiani strepitano nel cielo aranciato del tramonto, portando seco l'odore del mare.

Le onde si infrangono sul greto roccioso dei moli,

facendo ondeggiare la nave che mi porterà a casa, da Anariën, dalla mia famiglia.

Adrahil si frega le mani con gesto nervoso, mentre camminiamo sulla banchina del porto di Lond Daer, seguiti da Kadom.

«Mi state dicendo... mi state dicendo che voi avete promesso l'intera foresta a quei selvaggi?»

Scrollo le spalle con fare brusco.

«È così.»

«E che avete donato a uno di loro come pegno il vostro Anello della Promessa?»

Faccio qualche passo avanti.

«Esattamente, phazgân21

Adrahil si ferma davanti a me.

«Con tutto il rispetto, vostra grazia, siete forse impazzito?

Dove credete che prenderemo il legname per costruire le nostre navi d'ora in avanti?»

Fisso il governatore con sguardo distaccato.

«Dalle foreste a sud dell'Agathurush22 a quelle vicine alle sponde del fiume Angren.»

«Che però sono troppo lontane da Lond Daer.» ribatte seccamente Adrahil.

Mi volto verso il mare.

«Può darsi. Allora la città dovrà trovare nuovi impieghi di sussistenza.

La pesca non è il secondo mezzo dopo il legname?»

Adrahil mi lancia uno sguardo gelido.

«Così facendo Lond Daer si trasformerebbe in un misero villaggio di pescatori e

perderebbe il proprio primato di produttrice di legname per l'impero.»

Gli rivolgo un sorriso stanco.

«Così facendo non avrete più il cruccio dei drûg e potrete proseguire le vostre attività.»

Adrahil stringe i pugni.

«Evitando il problema? È così che vi hanno insegnato la diplomazia, Isilmo? Scappando?»

Adesso sono io che stringo i pugni ma sulle mie labbra si dipinge un sorriso sghembo.

«Ho evitato una guerra nell'unico modo possibile. 

Per tutti questi giorni sono stato a contatto con i nativi. 

Li conosco ormai e vi assicuro che sono degli avversari irriducibili. 

Non si arrenderanno mai.

Concedergli la foresta era l'unica cosa possibile da fare ad eccezione della guerra...

o forse voi volete questo?»

Adrahil mi lancia un sorriso di sfida.

«E se fosse? Noi dovremmo rinunciare a questo bene inestimabile per farli continuare a vivere

come gli pare nella loro maledetta foresta? 

E per cosa? Credete davvero che la Regina sarà felice di questo quando lo verrà a sapere?»

Deglutisco.

Non ho mai pensato a come reagirà mia sorella alla notizia

che ho ricevuto un battesimo drûgin e che sono in combutta con loro.

Sorrido debolmente all'idea.

«Mia sorella sa cosa è meglio per il reame, a differenza vostra, mi pare, viste le vostre ignobili idee guerrafondaie.»

Adrahil sbianca e subito dopo diventa paonazzo.

«Non ve lo permetto! Prima tiranno e ora guerrafondaio!

Sto solo cercando di fare gli interessi della Regina! A differenza vostra che mi ostacolate in tutto!»

Affilo su di lui lo sguardo.

«O forse state solo facendo i vostri di affari, “governatore”.

Sembra che vi piaccia un po' troppo fare il prepotente con i più deboli e 

indifesi come i nativi della Terra di Mezzo e privarvi di qualunque scrupolo pur di avere gloria, ricchezze e merito!»

Adrahil pesta i piedi come un bambino.

«Ora basta! Siete folle! I veleni dei selvaggi vi hanno offuscato la mente! 

Prepotente io, che faccio solo il mio dovere di governatore! E voi, messere? 

Vi che non avete fatto altro da quando siete giunto qui che screditarmi?

Oh, ma io l'ho capito il vostro piano, principe Isilmo!»

I suoi occhi sono iniettati di sangue.

«Vi ha inviato qui la Regina, vero? Ma con che scopo?

Siete davvero venuto qui per il problema dei barbari delle selve? 

Oppure siete giunto sin qui a guisa di ratto, scivolando fin nel tugurio del pescatore per sobillarlo alla rivolta?

Ecco il vostro piano di calunniatore! 

Sradicare il rispetto per me dai miei stessi concittadini e imbeccarli alla rivolta! 

E perché mai? Ho forse mai fatto qualcosa contro la Regina? O contro voi stesso? 

Ho mai forse cercato una qualsivoglia forma di dispotismo per regnare come re e dominare

Lond Daer come un oscuro signore? 

Sono forse Mulkhêr23 sul suo trono di tenebra?

La ragione vi ha dunque abbandonato? 

Ma fallireste credendo davvero ad una simile follia! 

È più forse evidente che la Regina Telperiën vuole scalzarmi, come un vecchio calzare,

gettarmi via a marcire in una capanna come uno fra i selvaggi

oppure peggio ancora in una fredda cella nelle segrete della città.»

Adrahil mette mano alla spada che tiene di fianco.

Kadom lo nota subito e si getta davanti a me, la scimitarra puntata avanti.

Vista la mole dell'uomo di Rhûn, Adrahil impallidisce, gettandosi a terra, prono.

«Mi arrendo! Mi arrendo!»

Poso i miei occhi su di lui.

«Sire Adrahil. Voi avete minacciato di morte un principe della casa di Indilzar. 

Basterebbe questo per farvi arrestare come traditore e lasciarvi marcire davvero in un cella per il resto dei vostri giorni. 

Ma non ho tempo per voi. Devo tornare dalla mia famiglia che mi aspetta ad Arminalêth. 

Se volete, fate come vi ho detto, altrimenti ve la vedrete con la giustizia di sua maestà

e con la fierezza del popolo drûgin.»

Adrahil si rialza, asciugandosi le lacrime con le maniche.

Lo fisso negli occhi.

Gli occhi rossi di chi ha perso tutto.

«Vi risparmio la vita, governatore. 

Ma se sentirò una sola parola su disordini dovuti al conflitto con gli abitanti della foresta

vi riterrò direttamente responsabile e con me la regina.»

Adrahil cade in ginocchio, mentre mi dirigo alla nave che mi porterà a casa.

Fra me e me sorrido.

Sto arrivando, Anariën.”

 

Il cielo è nero, solcato di volta in volta da lampi accecanti e tuoni che squarciano l'aria.

La mia nave, un grande mercantile a remi, lotta contro le onde e il vento forte che si alza da Occidente.

Il capitano, un tipo dalla pelle color bronzo antico si agita da una parte all'altra del ponte di coperta,

vociando all'equipaggio tutto fradicio dopo che è stato investito da un'onda.

I miei occhi faticano a vedere nella tempesta che ci sta colpendo.

Raffiche di vento e pioggia mi sferzano il viso cadendo oblique e accecandomi, 

i tuoni rimbombano nelle mie orecchie mentre un fulmine spezza il nostro albero maestro.

Il capitano, visibilmente disperato urla tutta la sua angoscia quando un'onda più alta delle altre

spazza via ogni cosa davanti a me.

L'acqua fredda mi invade i polmoni, li sento bruciare mentre un senso di oppressione schiaccia il mio petto.

Devo respirare!”

Sento che sto soffocando, che annegherò presto... non rivedrò mai più i miei figli. Non rivedrò mai più Anariën.

Al mio orecchio sento attutita la voce di Anarwen che mi chiama disperata.

«Attû! Attû! Torna da me! Torna da me! Lo hai promesso!»

Stringo i denti.

Non posso morire ora!

DEVO RESISTERE DEVO FARLO PER LORO!”

Le onde mi sovrastano, sbattendomi come un burattino verso le profondità dell'oceano.

Contraggo le braccia e mi sforzo di nuotare, agitando i piedi e facendomi strada fra i relitti dell'imbarcazione.

Vedo una macchia opaca brillare sopra di me.

La superficie!”

Con un ultimo sforzo mi tiro fuori dall'acqua, gemendo.

Tossisco violentemente, mentre cerco di restare a galla con movimenti sempre più deboli.

Nel buoi individuo qualcosa che galleggia vicino a me.

Mi avvicino a grandi bracciate, sforzandomi di non svenire.

È un mezzo barile, ma galleggia ancora e non vedo nient'altro intorno a me.

La nave è sparita nella cieca notte e i cavalloni che mi ruggiscono intorno mi impediscono qualunque altra azione.

Esausto, mi accascio sopra il mezzo barile, lasciando che l'oblio cada sui miei occhi.

 

 

La prima cosa che avverto è un forte dolore alla schiena.

Avverto la sabbia fra le mie mani, la sento ruvida contro il mio viso.

L'acqua fredda mi carezza le gambe, solleticandomi i piedi.

Avverto il calore cocente del sole sulle mie gambe e sul mio collo.

Nonostante il calore rabbrividisco al contatto con i mie vestiti pregni di acqua salmastra.

Apro lentamente gli occhi.

Quello che vedo è una macchia marrone su cui scintilla qualcosa di metallico.

A un secondo sguardo mi accorgo che si tratta di un mucchio di assi di legno tenute insieme da fasce di ferro.

Ora ricordo, il barile! È quel mezzo barile che ho usato come scialuppa improvvisata.

Mi ha salvato la vita.

La testa mi gira come se avessi preso una gran botta e le orecchie mi pulsano in modo fastidioso.

Sento il richiamo dei gabbiani.

Il loro stridore lacera le mie orecchie.

Me le tappo con ambedue le mani sporche di sabbia umida.

Il movimento brusco mi provoca un altro spasmo alla schiena.

Mi volto su un fianco. Posso vedere le onde che si infrangono sulla sabbia e oltre, 

un faraglione dalle rupi scoscese, coperto di macchia di mirto e lauro.

Sospiro, richiudendo gli occhi.

Sono sopravvissuto alla tempesta.”

Avverto un intenso bruciore alla bocca dello stomaco seguito da un brontolio sommesso.

Mi tocco la pancia, la carezzo con movimenti concentrici.

Un altro brivido mi corre giù per la schiena.

Devo liberarmi di questi vestiti”.

Lentamente mi alzo a sedere.

Gemendo, mi massaggio la schiena e il collo.

Questo brucia intensamente.

Devo essere rimasto in questa posizione al sole per ore.”

Istintivamente mi stropiccio gli occhi per il sonno.

Per gli dèi!”

I granelli di sabbia scavano nei miei occhi come se vi fossero dei coltelli.

Lacrimo copiosamente e mi sciacquo più che posso con l'acqua marina.

Al sollievo immediato segue repentino un bruciore fortissimo che mi acceca momentaneamente.

Sento come se i miei occhi andassero a fuoco.

Mi copro gli occhi con i palmi, mugugnando.

Dopo un po' mi stiracchio e mi tolgo la casacca ricamata, pesante e viscida.

Levo anche i calzoni e le calze mezze.

Ho perso gli stivali.

Rimango solo in camicia e brache ma anche queste sono umide e mi costringo a spogliarmi del tutto.

Nudo sto più comodo ma il sole cocente mi stordisce.

Ho la gola e le labbra secche.

Cosa non darei per un goccio d'acqua.”

Devo trovare cibo e un riparo.

Mi guardo attorno, schermandomi gli occhi con le mani.

Una spiaggia ampia almeno trenta piedi e lunga finché occhio può vedere.

Aldilà di questa, rocciosi altipiani coperti da una fitta e bassa macchia di mirto, alloro, 

rosmarino e ginestra spinosa e oltre ancora una vasta foresta dal tetto verde, selvaggia e remota.

Qualcosa mi dice che sono molto lontano da Lond Daer. Vediamo...

l'ultima volta la nave era in alto mare, più o meno all'altezza del fiume Isen.”

Inizio a disegnare sulla sabbia, aiutandomi con uno stecco.

Sì, dev'essere così. Sono quindi nell'Enedwaith? O forse sono capitato nelle rocciose coste dell'Andrast?

Potrebbe essere così.”

Osservo il mare.

Sembra tranquillo ora.

Kadom, Rianni... dove saranno finiti? L'ultima volta che li ho visti erano con me sul ponte della nave...

oh, spero che stiano bene!”

Getto a terra lo stecco, cadendo in ginocchio.

I miei occhi lacrimano senza che io possa far nulla per fermarli.

Un forte gemito mi sale alla gola.

«Dove sono finito? Tornerò mai casa?»

Con questi quesiti mi accascio a terra, nudo e in lacrime.

«Anariën! Anariën! Anariën!» gemo.

Dopo un po' mi asciugo le lacrime e dopo aver rivolto una maledizione verso il mare mi alzo in piedi,

tentando di dirigermi verso la scogliera.

Traballo e poco dopo cado in terra.

Dopo un po' ritento.

Lo stesso risultato.

Stringo i denti e con un ultimo sforzo mi tiro su, contraendo le scapole che mi dolgono come mai prima d'ora.

Se soltanto avessi fatto la vita da marinaio come sognavo da ragazzo!”

Respiro a fondo e poi tento di muovere un passo: Uno, due, tre...

Passo dopo passo mi dirigo verso la scogliera.

C'è un basso cespuglio di ginestra spinosa che potrei usare per issarmi su.

Proprio sopra, infatti, c'è un pino marittimo dai rami torti che si abbarbica a

metà della salita e le sue fronde salgono fin sopra la cornice rocciosa.

Raccolgo i miei abiti ancora fradici e tenendoli sotto braccio mi muovo verso la scogliera.

Quando infine la raggiungo mi accorgo sgomento che i rami più alti del pino non sono abbastanza

robusti per sostenermi fino in cima.

Mi arrampico subito sulla ginestra, trattenendo un lamento.

Le spine del cespuglio odoroso si infilzano profondamente nelle mie mani.

Con un ultimo colpo di reni mi isso sul tronco contorto e sbilanciato in avanti del pino e mi ci accascio sopra.

Il caldo si fa via via più soffocante.

Boccheggio, mal riparato dalle fronde radi e spinose del pino.

Ma l'immediato frescore che mi dona non appena mi siedo alla sua ombra è tale che nonostante il caldo mi sento leggero.

Nonostante la ruvida corteccia prema fastidiosamente sulla mia schiena e sulle mie natiche nude,

sento le palpebre pesanti.

Sospiro profondamente e chiudo gli occhi.

Prima che me ne possa accorgere sono sprofondato in un lungo sonno ristoratore.

 



19Drúedainic, abitato da drughûn

20Sindarin, fiume Isen

21Adûnaic, governatore

22Adûnaic, Gwathló

23Adûnaic, Morgoth

 

Angolo dell'Autore:

Eccoci qui al quinto appuntamento! Isilmo è sopravvissuto a una tempesta e ora non ha idea di dove si trovi.

Riuscirà a tornare dalla sua famiglia? Continuate a seguirmi se vi va e lo scoprirete!

   
 
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