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Autore: scodika    22/03/2015    21 recensioni
Proprio due settimane fa, Lylia e suo padre Charles Fosc si sono trasferiti dalla lontana periferia al centro di Londra, per agevolare entrambi a un nuovo inizio. Lia ha cambiato scuola, lasciando le sue vecchie abitudini nella piccola succursale a due minuti da dove abitava e le piccole amicizie che, mano mano, erano diventate semplici conoscenze. Quindi dire addio non è stato tanto difficile, se non quanto dare il benvenuto alla sua nuova vita.
Dal secondo capitolo:
Lo sguardo di Lia balzò dal loro contatto ai suoi occhi, che scoprì essere di un dolce verde acqua. Il suo sguardo impaurito lo fece accigliare tornando alla realtà, e capì subito di aver appena oltrepassato un confine che Lia non voleva conoscere.
«Piacere Josh», disse dopo un momento di esitazione, porgendole la mano.
«Hum... mi sono sempre presentata come Lia. Ma tu chiamami Lylia», rispose la ragazza tornando a salire le scale ed evitando un altro contatto, forse più personale e voluto.
«Perché?»
Lia si voltò, trovandosi davanti un volto incuriosito. «Lia è riservato agli amici. E tu non sei mio amico»
«Allora sarei onorato se lo diventassi, Lia»
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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«Late»


Piangere sui propri errori non fa di noi dei sentimentalisti, ma solo persone troppo deboli per non provare ad aggiustare le cose.
Lia lo capì proprio quel giorno, guardando fuori dalla finestra della sua stanza la moltitudine di gente che scorrazzava a destra e a manca per non arrivare in ritardo da qualche parte. Erano solo le otto del mattino, ma del suo bus ancora nessuna traccia. Di conseguenza, una gita dalla preside sarebbe stata scontata. 
«Qualsiasi alunno che si permetta di arrivare in ritardo alle lezioni, o specialmente di saltarne una, verrà sanzionato», ripeteva spesso e volentieri indicando il regolamento scolastico rigorosamente incorniciato e appeso al muro del suo ufficio.
Ad ogni blocco di armadietti ce n'era uno, senza cornice però, e alcuni di essi erano scarabocchiati con disegnini sconci e interi punti di quell'assurdo elenco completamente cancellati. La preside non se ne preoccupava di sostituirli, si affidava al detto "uomo avvisato, mezzo salvato" e spettava solo agli alunni decidere se salvarsi o meno.
Sospirando, tornò a puntare gli occhi sulla quattordicesima pagina di quel libro di Nicholas Sparks appena iniziato. Odiava avere problemi con le persone, tantomeno doverle affrontare con la sua poca voglia quotidiana di vivere la giornata. Sapeva che, purtroppo, era la routine della vita, ma in quelle ultime settimane non voleva vedere e parlare con nessuno.
Proprio due settimane prima, Lia e suo padre Charles Fosc si erano trasferiti dalla lontana periferia al centro di Londra, per agevolare entrambi a un nuovo inizio. Lia aveva cambiato scuola, lasciando le sue vecchie abitudini nella piccola succursale a due minuti da dove abitava e le piccole amicizie che, mano mano, erano diventate semplici conoscenze. Quindi dire addio non era stato tanto difficile, se non quanto dare il benvenuto alla sua nuova vita.
Suo padre non aveva un posto fisso, si era laureato ventiquattro anni prima in economia ma le opportunità di lavoro non avevano intenzione di aprirgli le porte per accoglierlo con benevolenza. Aveva cambiato tre lavori nel giro di sette mesi. Aveva intenzione di dire basta alla sua precarietà e proprio quel giorno aveva fissato un colloquio di lavoro per un'azienda edile non poco famosa.
Lia sentì bussare alla porta, che venne aperta subito dopo senza il consenso della ragazza. «Tesoro, il bus é arrivato, sta bussando da un po'. Io fra poco esco per andare all'incontro, che te ne pare?», chiese Charles in preda all'agitazione sistemandosi la cravatta blu a righe viola. Lia sorrise alla sfacciataggine del padre e velocemente infilò il libro nello zaino semivuoto, prima di alzarsi dalla sedia e avvicinarsi alla porta.
«Stai benissimo, papá. Farai un figurone», gli assicurò con un bacio sulla guancia. «Ah, non prepararmi il pranzo, mi fermerò a scuola. Ho intenzione di iscrivermi a qualche club o cose del genere», aggiunse raggiungendo la porta d'ingresso.
Il sorriso orgoglioso sul viso di Charles non le passò inosservato e ne avrebbe tanto voluto chiedergli il motivo. «Ti voglio bene, bambina mia»
«Anch'io, papá», rispose un po' confusa. «Adesso vá a prepararti o farai tardi», lo spinse a fare, cercando di far svanire nell'aria quel silenzio imbarazzante venutosi a creare.
Lia percorse in fretta e furia i quattro piani che la dividevano dalla realtà, sfuggendo ancora da quella sensazione di essere troppo osservata e al centro dell'attenzione, anche se la cosa riguardava semplicemente suo padre. Arrivata al piano terra, quasi non si rese conto dello scontro con la porta dell'ascensore che per poco non le lussava una spalla.
«Ahi! Buongiorno anche a lei!», le urlò qualcuno alle spalle.
«Mi scusi!», rispose senza preoccuparsi di voltarsi.
Aprì il portoncino del palazzo, aspettandosi di trovare il bus giallo con i soliti ragazzi che, dai finestrini, facevano le linguacce e le alzavano il dito medio, ma non trovò nient'altro se non il via vai di gente che poté osservare dalla sua finestra.
O suo padre si era sbagliato, o aveva perso il bus.
A quel punto decise di avviarsi da sola a piedi, senza chiedere un passaggio a Charles che, poverino, aveva la sua ansia pre-colloquio da tener a bada. La prima ora di lezione l'avrebbe trascorsa tra le vie di Londra, tra il caos mattutino di quell'immensa città. Avrebbe potuto chiamare un taxi, ma si ricordò di aver dimenticato il portafoglio di sopra; e se fosse salita solo per recuperarlo, suo padre avrebbe insistito per accompagnarla, facendo tardi lui. Gli auricolari nelle orecchie la aiutarono a non pensare alle orribili conseguenze da dover subire in quell'ufficio troppo tappezzato di attestati, sotto lo sguardo corrugato e indagatore della preside.
Il chiacchierio della movida sovrastava la voce del cantante dei Green Day, e se quella di Billie Joe Armstrong poteva definirsi semplice voce, quelle della movida dovevano essere urla.
L'ultima volta che Lia sentì così tante voci mescolate fu... ehm... non saprei. Mai, forse. O forse sempre. Dentro di lei ce n'erano talmente tante che, a volte, la testa minacciava di scoppiarle. Ormai ci aveva fatto l'abitudine, anche ai brividi che le scorrevano sulla pelle di conseguenza.
In quel momento, sentì qualcosa di molto più forte di un urlo: un tuono. D'istinto, alzò lo sguardo, trovandosi davanti una massa di nuvole grigiastre che avvertiva una giornata per niente soleggiata. 
Lia sospirò per la seconda volta: la nuova vita al centro città non la stava aiutando a non pensare della vita stessa una continua noia. Quel trasferimento non avrebbe aiutato né lei né suo padre a dimenticare l'indimenticabile.
Si mise il cappuccio della felpa, nascondendo anche parte del suo viso, mentre piccole goccioline iniziarono a bagnare il suo capo d'abbigliamento. Goccioline che si fecero sempre piú fitte e pesanti ad ogni passo della povera ragazza.
Guardava i suoi piedi schivare pozzanghere e persone come se avessero degli occhi tutti loro, ma quando iniziarono a non deviare quasi più niente si convinse a guardare avanti. Era sola.
Sobbalzò ripensando a pochi minuti prima e, corrugando la fronte, guardò l'orologio. Otto e quarantanove. Le restava poco perché iniziasse la seconda ora. Si affrettò ad entrare dal cancello della scuola, a salire quegli inutili otto scalini che contava abitualmente dalla prima volta, ad aprire la porta che separava il confine ghiacciato da quello riscaldato dai condizionatori accesi a palla e a raggiungere il suo armadietto senza farsi vedere da nessuno.
Rilasciò un sospiro di sollievo quando chiuse la porticina di ferro dietro di sé, dopo aver preso il materiale utile. Si avviò verso il bagno, per aspettare il suono della campanella. Il fiatone stava iniziando a rallentarla.
«Signorina!», chiamò una voce femminile alle sue spalle. Lia aspiró velocemente per la sorpresa, ma quando pensò che avrebbe dovuto aspettarselo rilasciò il fiato. «Da questa parte»
Si girò, raggiungendo la preside e seguendola fino al suo ufficio. L'odore asfissiante del brucia aromi le invase le narici, appena mise piede lì dentro.
«Signorina Lylia Fosc, questa non é la prima volta che la scovo ad entrare in ritardo alle lezioni», disse sedendosi sulla sedia imbottita dall'altra parte della scrivania.
«Sono spiacente, signora Milley...»
«Signorina», la interruppe alzando la voce. Lia alzò un sopracciglio e iniziò a domandarsi quali problemi affliggessero la preside, tanto da considerarsi una giovane ragazza nonostante i suoi - evidenti - quarantacinque anni sorpassati.
«Come vuole lei, signorina Milley. Le stavo dicendo che non ho sentito arrivare il bus e l'ho perso», si giustificò la ragazza.
«Faccia poco la scorbutica con me, signorina, anche se ha qualche dubbio sulla mia giovinezza», si difese in modo ridicolo alla presa in giro di Lia. Quest'ultima sperava che non cogliesse la vena ironica, ma invece... «Dovrebbe già sapere che non ammetto ritardatari e altri punti scritti su quel regolamento», disse indicando la cornice appesa al muro. «Se non l'ha letto la invito a farlo, perché di persone che non rispettano le regole sono in netta diminuzione, e solo queste mura e i responsabili sanno cosa posso fare con il titolo che mi é stato assegnato. Veda di non diventare una di quei pochi immaturi dei suoi compagni che non rispettano le mie decisioni. Lei é arrivata da poco, signorina, non mi aspettavo tanta leggerezza nei riguardi della scuola. É così che la devo giudicare?»
«Signora Milley...», si sentí interrotta dallo schiarirsi della gola della donna di fronte a lei, ma decise di proseguire senza correggersi. «ho solo fatto ritardo un paio di volte, devo ancora adattarmi alle vostre abitudini», disse Lia, iniziando a sentir smuoversi una sensazione di formicolio alla bocca dello stomaco e alle mani.
«Mi faccia il piacere, signorina Fosc! Parla come se venisse da un altro pianeta»
Adesso basta, si disse. «Forse continuare a vivere su quel "pianeta" sarebbe risultato più affine alla mia leggerezza, signora Milley?»
«La smetta di darmi della signora! E faccia poco la scorbutica!», ripeté.
«Su questo pianeta invece sembra che ripetere le cose, alzare la voce e illudersi di essere qualcuno che non si é piú sia molto meglio che dare opportunità a chi davvero ne ha bisogno. E con questo non voglio giustificare il mio ritardo, non ce ne sarà bisogno, dato che é tanto ostinata a non capire, signora Milley»
«Ma come si permette di rivolgersi a me con quel tono di superiorità?»
«Forse non é abituata a questo tipo di personalità? Dovrebbe iniziare a farlo. Oppure ha intenzione di espellermi perché troppo diversa dal suo esercito di scolaretti che si sta illudendo di creare?»
Un bussare alla porta, interruppe il loro battibecco e, dopo che la preside ebbe dato il permesso, la porta si aprì. Si affacciò un ragazzo, come per chiedere un ulteriore permesso ad entrare, ma poi subito si fece avanti.
Era alto e snello, la sua massa di capelli scombinati incorniciavano un viso appena trasandato, apparentemente a causa di una lunga nottata insonne. Rimase in piedi, grattandosi la nuca, mentre i suoi occhi chiari scrutavano la reazione della preside nel vederlo lì. Cos'aveva quella donna di così minaccioso, da mettere tutti in guardia?
«Cosa succede?»
«La professoressa Hume mi ha mandato qui», annuì il ragazzo sorridendo sfacciatamente.
«Per quale motivo?», chiese la Milley spronandolo a continuare. La faccenda si stava facendo opprimente e la suspance stava mettendo Lia sulle spine.
«Mi ha trovato a fumare nel bagno»







SCODIKA.
Buon pomeriggio! Questa è la mia prima storia; fino a qualche mese fa non sapevo nemmeno dell'esistenza di questo sito, quindi ho avuto un po' di difficoltà nel pubblicare questo primo capitolo ed una ragazza davvero gentilissima mi ha consigliato di inserire un piccolo spazio autrice. Quando sarà pronto aggiungerò anche il banner!
Questo "libro" non era in programma, ho iniziato semplicemente a scrivere tra le note del mio telefono e mi sono detta: «Caspita, perchè non provare?», ho chiesto ad un'amica il suo parere e mi ha spinta a iscrivermi qui. In un certo senso devo tutto a lei.
Passando alla nostra protagonista, come è stato detto all'interno del capitolo, si chiama Lia, diminutivo di Lylia. Lei e suo padre hanno combattuto contro alcune difficoltà che in seguito vedremo quali essere, anche se una già è stata detta: la precarietà di Charles. Ho ritenuto il dialogo tra Lia e la preside Milley un po' spinto e per niente reale, ma non devo escludere il fatto che mi sia divertita molto a scriverlo e ho deciso di non modificarlo. Inoltre, chi sarà quel giovanotto uscito fuori così all'improvviso? Chissà, intanto è stato la prova di quello che constatava Lia: quelle della preside sono tutte illusioni.
Bhè, spero vi siate divertiti nel leggere questo primo passo di una storia tutta nuova e mi piacerebbe trascorrere con voi anche gli altri step, fino alla fine! Aggiornerò presto, promesso. Un bacio!
   
 
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