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Autore: dreamer_M    22/03/2015    3 recensioni
La storia prende spunto dalla storyline di Ian di Shameless, ma non è necessario aver visto il telefilm per capirla.
[...] Il bianco, i letti (che non sono solo due), il fastidioso odore di disinfettante. È in ospedale. È in ospedale e non sa perché. Echi confusi si ricorrono nella sua mente troppo disorientata. [...]
Sam Winchester, vent'anni, è in una stanza d'ospedale, ma non ricorda perché. Sa che è successo qualcosa, ché ricorda la voce di suo fratello dirgli "Sammy, fallo per me.", ma non ricorda- o forse, la sua mente semplicemente rifiuta di realizzare ciò che è successo.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Prima di lasciarmi alla lettura, voglio ringraziare la mia bro che ha letto prima di tutti questa storia e mi ha minacciato affinché la continuassi. 
Poi Noiz e Fantasiiana che, ehi, sono loro che mi sostengono sempre.


 
You’re Sam. And Sam is not his disease.
 
 
 
“Sammy, fallo per me”. Era iniziato tutto così, Sam lo ricorda bene- continua a sentire la voce di suo fratello ripetere la stessa frase, da un po', a dire il vero. Cosa doveva fare per Dean? Era stato l'inizio, ma l'inizio di cosa?
Ha la testa pesante e la voglia di non alzarsi più dal letto. Nessuna voglia di pensarci su. E allora perché continui a rimuginarci? Se non ne hai voglia, non ci pensi.
Giusto.
Ma le palpebre pesano così tanto! Non ha neanche bevuto niente di alcolico, insomma è certo di non aver fatto nulla di che la sera precedente.
Stropicciandosi gli occhi, solleva la testa dal cuscino, girandosi fino a guardare il soffitto. Dean dice sempre che quando lo fa gli sembra un bambino, o Samantha. Per questo motivo si è beccato due o tre cuscini in testa.
Si solleva soffermandosi a guardare intorno a sé, le pareti bianche, le lenzuola bianche del letto di Dean... Aspetta. Dean non ha lenzuola bianche. Non capisce, Sam. Quella non è casa sua. Non ha nemmeno il suo pigiama, ma uno stupido completo... da ospedale.
La consapevolezza colpisce Sam tutta in un colpo. Il bianco, i letti (che non sono solo due), il fastidioso odore di disinfettante. È in ospedale. È in ospedale e non sa perché. Echi confusi si ricorrono nella sua mente troppo disorientata.
Cosa è successo? Perché sono qui? Vorrebbe urlare, chiedere spiegazioni, ma è stanco. Così, neanche sobbalza quando un uomo corpulento dal camice bianco entra nella stanza. “Signor Winchester, vedo che si è svegliato.” Ti sorride, ti guarda come se fossi pazzo. “Adesso, le somministreremo le medicine, signor Winchester, dopo pranzo dovrebbe arrivare suo fratello. Vuole vedere suo fratello?”
Sam lo guarda sollevando un sopracciglio, la bocca in una linea sottile. È ovvio, no? “Sì, certo.”
“Ne sono contento.” Dice, gli sembra tanto una di quelle frasi stereotipate.
“Perché sono qui?”
“Non lo ricorda?” Gli chiede, lo sguardo che continua a spostarsi ovunque tranne che sul suo viso. Quasi sente Bobby borbottare "che palle". Scuote la testa. “È qui da ieri sera, signor Winchester, è arrivato qua con suo fratello.” Sam aggrotta le sopracciglia. “Se è quello che sta pensando, suo fratello non è qui, c'è solo lei.”
“Ho capito, ma perché?”
L'uomo annuisce prima di dire: “Va bene, chiamerò la dottoressa che la segue.”
Sam apre la bocca per ribattere, ma l'uomo esce in tutta fretta dalla stanza. Così, poggia di nuovo la testa sul cuscino e aspetta. Poco dopo la porta della stanza si apre di nuovo, è abbastanza certo di aver sentito la serratura scattare. L'idea è abbastanza chiara nella sua mente, solo, fa davvero paura ammetterlo. Passano interi minuti di silenzio prima che la dottoressa arrivi, minuti in cui l’unico rumore che Sam sente è il battere veloce del suo cuore.
Alla fine la dottoressa arriva, ma non le da importanza, rimane con il viso rivolto al soffitto, così la donna si schiarisce la voce. “Samuel?”
È strano sentire il suo nome pronunciato per intero, non lo fa mai nessuno, per cui è automatico borbottare: “Solo Sam.”
“Va bene, Sam. Adesso, vorrei parlare un po' con te, va bene?”
“L'altro ha parlato di medicine.”
“È vero, però prima vorrei fare una chiacchierata.” Finalmente, Sam si siede, vedendo per la prima volta la sua dottoressa. Ha i capelli rossicci, raccolti in una coda alta, è giovane, non sembra dimostrare neanche quarant'anni, porta gli occhiali e ha in mano una carpetta rosa.
Si siede nel letto accanto al suo.
“Sam, ciao.” Lo saluta con un sorriso cortese. “Io sono la dottoressa Fisher.” Sam annuisce. “Adesso, parliamo un po' di te. Sam, ricordi perché sei qui?”
Esita prima di parlare, tiene lo sguardo basso. “Dean... mio fratello. La sua voce è l'ultima cosa che ricordo.”
“Bene, e cosa ti dice Dean?”
“Dice di fare qualcosa per lui.”
“Okay, adesso, ricordi cosa hai fatto prima di qui?” Sam alza un sopracciglio, la guarda inclinando la testa, mai incontrando i suoi occhi.
“Ero a Stanford, con Jessica, la mia ragazza. Noi... noi abbiamo studiato per l'ultimo esame del semestre.”
La dottoressa Fisher lo guarda seriamente prima di dire lentamente, scandendo ogni lettera: “No, Sam, questo è successo circa una settimana fa. Adesso, sei sotto sedativi e capisco che hai le idee confuse, pian piano ricorderai. Ma devi capire che in due giorni hai avuto una vera e propria crisi psicotica, Sam, Dean non riusciva a gestirti affatto. È per questo che sei qui.”
Sam sente crollarsi il mondo addosso, letteralmente.
Non riesce a prendere aria decentemente, il respiro è bloccato. Lì, in gola, non entra e non esce. Apnea.
Istintivamente, stringe i pugni e i denti.
Le femminucce mostrano la paura, Sam. Sì, papà.
Non- non può. Il suo cervello continua a ricordarglielo, ché non avrà vissuto con suo padre a lungo, non avrà fatto sempre quello che gli veniva detto, ma la voce è la sua. Sam ha paura, insomma, non ricorda quello che è successo, ma sa che Dean non è riuscito a gestirlo.
E Dean sa sempre gestire Sam. Fin da quando Sam portava il pannolino, lo aveva cresciuto, no?
Alza la testa, le spalle dritte. “Si spieghi.”
Lei continua a scrutarlo e, Dio, quegl’occhi lo fanno sentire minuscolo, sebbene sia molto più alto di lei.
“Hai lasciato Jessica, a inizio settimana-”
“Cosa?” la interrompe bruscamente.
“Sì, hai lasciato la tua ragazza e sei tornato a casa, Dean è venuto a prenderti.”
“Io l’ho chiamato.”
“Sì, è vero.”
 
Sammy, che succede? Sono le due passate!
Hai lasciato Jess, perché?
Sì, certo, però poi fa piano perché c’è Adam. Sai, il nostro fratellastro.
 
“Ho dormito nella stanza di Dean, perché Adam dormiva nella mia e non c’era bisogno di svegliare il bambino.”
“Quanti anni ha Adam?”
“Sette, credo.” Cercava di ignorare la penna che continuava a scrivere righe su righe, non faceva che metterlo in ansia- soggezione, lui non era che oggetto di studio.
“Okay, poi?”
“La mattina dopo Dean ha cucinato la colazione, io l’ho aiutato, poi abbiamo svegliato Adam e mio padre. A metà mattina Adam si annoiava, così- Oh Dio.”
Sam si tira indietro i capelli, affondando la faccia nelle mani. Chiude gli occhi, le spalle gli tremano in maniera incontrollata. Due giorni. Due giorni ed era successo… questo.
“Ho preso Adam.”
“Esatto.”
“Si annoiava.”
“Lo hai portato in un altro Stato.”
“Non gli ho fatto male, vero?”
“No.”
La dottoressa si alza, lo guarda con gli occhi pieni di compassione e Sam lo odia. Perché lui non è malato. È successo, una volta. Gli indica una ciotola sul comodino, dentro ci sono tre pillole. “Prendile, fra poco arriva tuo fratello.”
“Era dopo pranzo…”
“Si sono sbagliati.”
 
Dean non sa che aspettarsi.
È seduto su una sedia, solo. Adam è ancora con John, sono rimasti a casa.
Una volta ogni tanto fa il padre e non il sergente, pensa che se devono essere queste le circostanze non gli piace molto come cosa.
Il mondo fa schifo, Dean lo ha imparato quando era un bambino.
Il mondo non è quello che raccontano nelle favole, dove i buoni vivono felici e contenti. Il mondo è quel posto che ti strappa via la madre, bruciata dopo un incidente d’auto –in modo atroce-, è quel posto dove i padri crescono i figli come soldati, i figli obbediscono e basta. Ne ha la conferma, Dean, quando è costretto a portare il suo fratellino di appena vent’anni in un ospedale psichiatrico.
Il mondo continua a cercare di spezzarlo, sempre- ché il mondo non è una favola.
Eppure, non può non ringraziare che esista.
Ci sono cose che, nonostante tutto, non gli fanno perdere la speranza.
Un ricordo: la mamma che gli taglia i bordi dei sandwich, Sam e lui che fanno le gare in bicicletta, il sorriso di Sam quando ha visto Dean salire sul palco a prendere il diploma e l’abbraccio di John che è seguito.
Una persona. Sam.
Il bambino che ha cresciuto, quello a cui ha cambiato i pannolini, quando lui praticamente li portava ancora, quello a cui ha insegnato a difendersi da chi lo chiamava “strano”, quello che prendeva e prende in giro perché è così nerd, ma gli vuole bene anche per questo.
Il mondo fa schifo e Dean ne ha la conferma quando vede Sam comparire dalla porta, si guarda intorno con aria sperduta. Sembra un bambino.
Dean vorrebbe alzarsi, andargli incontro e stringere il suo fratellino in un abbraccio. Dirgli che è tutto okay, che non è successo nulla. Tutto passa.
È paralizzato, non riesce a muovere un solo arto. Guarda Sam e ripensa a quei due giorni folli.
Sam se n’è andato con Adam, papà.
Non lo so che è successo, sembrava stare bene, dice che è una gita.
Sì, certo, Adam sta bene.
No… è che sono preoccupato. Se fosse stata una gita, mi avrebbe chiesto di andare con lui.
Sì be’, ha vent’anni. E allora?
No, Sammy non ha mai avuto attacchi psicotici. No, non lo so se soffre di depressione.
Sam lo guarda, ha gli occhi cerchiati.
Tuo fratello è impazzito, Dean!  
Questa frase continua a rimbombargli in testa, è la voce di suo padre.
Sam è di fronte a Dean. Dean lo guarda, sente gli occhi pizzicare, così li chiude.
Quando li riapre, Sam ha abbassato la testa e fatto un passo indietro. Non pensa due volte a tirarlo verso di se e stringerlo in un abbraccio. E Sam è così piccolo fra le sue braccia, col viso nascosto e le mani sulle sue spalle- non importa quanto cresca, Sam è e rimarrà il suo fratellino, comunque vada.
Stanno così, in silenzio.
Dean vorrebbe urlare, in realtà. Che non è giusto che proprio Sam deve stare male, che la vita deve smettere di cercare di spezzarlo, che tanto Sam è forte, si piega ma non si spezza. Lo sa. Dean lo sa, ne è certo.
Sam solleva il viso, abbassando lo sguardo per incontrare i suoi occhi. È incredibile come quel ragazzo piccolo piccolo fra le sue braccia è in realtà alto un metro e novanta e forse di più.
“Sammy.”
Suo fratello lo guarda, gli occhi velati cerchiati dalle occhiaie. “Ehi, Dean.”
Gli mette un braccio intorno alla spalla, esitando leggermente, e lo spinge a camminare all’angolo dove c’è un divanetto.
“Come sta Adam?” è la prima cosa che Sam dice non appena si è seduto.
“Sta bene, tranquillo, Sammy.”
“Sua… è tornato con sua madre?”
“Kate voleva che papà glielo riportasse, ma Adam non ha voluto. Dorme ancora nel tuo letto, Sammy. Kate, però, è venuta a controllare, tipo.”
Sam tiene il viso basso, guarda a terra, le spalle sono curve. Si sente in colpa, è chiaro.
Ma non ha ragioni per sentirsi in colpa, lui… lui non ha fatto nulla di male. È la sua testa.
No, Dio, no.
Non è la sua testa. Sam non ha nulla che non vada. Sam, in qualunque modo, rimane il suo fratellino, la sua personale spina nel fianco. E Dean ama Sam, lo ama a tal punto che venderebbe l’anima al Diavolo pur di vederlo sempre felice.
Una volta, gli hanno detto che fra lui e suo fratello c’è un rapporto di codipendenza. Dean non può negarlo, ma non è conseguenza del fatto che si sono cresciuti a vicenda?
“Quanto tempo, Dean?”
“Qui?”
Sam annuisce piano, continua a ignorare deliberatamente il suo sguardo.
“Settantadue ore.”
Sam si sforza di fare un sorriso e dire: “Meno sessanta, allora.”
Annuisce, ma dentro Dean si sente morire un po’.
Il suo Sammy…
 
Le settantadue ore passano come un’agonia. Dean continua a guardare l’orologio, a casa, mentre lavora. Ma passano.
Guida la sua piccola fino all’ospedale, John è accanto a lui. Nessuno dei due parla. Non hanno nulla da dire.
John è terrorizzato, lo ha capito, ma da cosa non lo sa- soprattutto dal giorno prima. È andato a trovare Sam, tornato a casa, si è semplicemente chiuso in camera e non è uscito fino al mattino dopo.
Dean non ama gli ospedali, ma ha scoperto che quello che è il reparto psichiatrico è decisamente la parte che odia di più.
Sono seduti davanti la scrivania della dottoressa, è uno psichiatra e segue Sam. Sono le uniche cose che suo padre gli ha detto.
“Signori Winchester.”
John risponde con un “Salve”, Dean neanche si sforza di parlare, si limita a un cenno.
“Sam sa già quello che sto per dirvi, ma non penso abbia accettato appieno la diagnosi.”
Dean la interrompe, fregandosene dell’occhiataccia che suo padre gli lancia. “Sam è malato?”
La dottoressa annuisce, un ciuffo le sfugge alla coda. “Dean, un attacco del genere è raro che si manifesti senza una malattia come causa.”
Dean si passa una mano sul viso, si asciuga velocemente l’unica lacrima sfuggita al suo controllo.
“Dicevo” riprende la donna “Sam non ha accettato di aver ereditato il disturbo di sua madre.”
“Che disturbo?”
La donna cerca con lo sguardo John, per poi rivolgersi a Dean. “Non lo sai?” Dean scuote la testa, così la dottoressa spiega. “Tua madre soffriva di un disturbo bipolare, Dean, probabilmente eri troppo piccolo per ricordarlo, ma è così.”
Ogni parola è come una coltellata in pieno petto. Sempre più a fondo, più vicino al cuore. “Sam è bipolare.”
La conclusione è davvero semplice, ma orribile. Perché Sammy è malato, Sammy ha una di quelle malattie che Dean ha sempre ignorato- ché era troppo doloroso immaginare di avere, anche solo per un secondo, una persona amata con questa malattia. Eppure lui l’ha. Ed è Sam.
Si sente morire, giusto un po’, a pensare a suo fratello che dovrà conviverci per il resto della sua vita. Poi arriva il pensiero “come deve sentirsi?”, be’, questo fa ancora più male.
“Dov’è?”
“Sta arrivando.”
 
Sam torna a casa con suo padre e suo fratello.
Sicuramente, preferisce casa sua a quel posto.
Dean non ha smesso per un solo secondo di guardarlo preoccupato, sembra che stia facendo di tutto per non crollare, di essere la metà che rimarrà in piedi fino alla fine. Lui aveva iniziato a cedere non appena sua madre era morta. Già da bambino, quando si infilava nel letto di suo fratello per gli incubi. Il fuoco. Sam non ha mai apprezzato il fuoco, o i clown.
“Fame?”
Scuote la testa. “Vorrei andare a dormire.”
“Ti accompagno.”
Lo accompagna su per le scale, in silenzio, seguendolo con un borsone. Ci saranno i vestiti, pensa.
“Il tuo letto non ha le lenzuola, Sammy, non ho avuto tempo di rifarlo.”
Alza le spalle, stancamente. “Posso prendere il tuo, se non ti dispiace”
“Certo che no.”
Sam si cambia i pantaloni, indossando una tuta, poi semplicemente si stende sotto le coperte, il viso affondato nel cuscino, circondato dal profumo di suo fratello. È come quando da bambino lo abbracciava dopo un incubo, se solo lo fosse anche questo.
Quel giorno Sam non si alza dal letto.
Dorme, a volte guarda la parete, ma non si muove. Dean gli porta da mangiare, ma è ignorato. Lo costringe, però, a prendere le sue pillole.
 
La prima settimana Sam la passa per la maggior parte del tempo a letto, dice al massimo una decina di parole.
Jessica chiama, Dean le dice che Sam sta male, non lo fa più.
La settimana successiva, Sam si alza e mangia. C’è anche John a tavola con loro.
Non parla granché, non ha neanche un bell’aspetto, ma Dean è felice che si sia alzato.
Si è appropriato del letto di suo fratello, Dean non ha capito se c’è una qualche ragione, ma non fa storie, glielo cede volentieri, alla fine, il letto di Sam è accanto.
Una sera vede Sam leggere.
“Sammy, che leggi?”
Alza la testa, non ha più gli occhi cerchiati e l’espressione è molto più rilassata.
“Sono i libri de Il Trono di Spade.”
“La serie tv?”
Annuisce. “Ho appena iniziato il primo, vuoi leggerlo con me o la lettura dei libri senza figure ti risulta troppo complessa?”
Non avrebbe mai immaginato che la versione stronza di suo fratello gli sarebbe potuta mancare così tanto, eppure è successo. Sam lo prende in giro e il peso sulle spalle di Dean si fa più leggero.
“Spiritoso, fratellino.”
Quella sera Dean si siede sul letto accanto a Sam e leggono. Litigano perché Sam è più veloce a leggere e non da il tempo al fratello di finire la pagina, sembra tutto normale.
John li vede, passando per andare a letto. Sorride, come non faceva da un po’ di tempo.
 
Passano due mesi, Sam non torna al college, non sa se lo farà mai, ma al momento ha deciso di volere un semestre solo per lui. Per stare bene.
Ci sono sempre quei giorni in cui non vorrebbe alzarsi dal letto, a volte lo fa, però migliora, di giorno in giorno, lentamente. Anche Dean se ne accorge.
 
“Dean, posso farti una domanda?”
“Certo.”
“Io sono malato-”
“Tu sei Sam. E Sam non è la sua malattia.”
“Sì, ma…”
“No, Sammy, sei una persona meravigliosa, e lo eri prima e dopo aver scoperto del bipolarismo. Okay?”
“Sì, io non sono solo la mia malattia.”
“Bene, fammi un sorriso fratellino, su, poi torna a dormire.”
E Sam lo fa.





Angolo autrice:
Sarò veloce, innanzi tutto, grazie di essere arrivati fino a qui. Non avete idea di cosa significhi per me.
Poi, come avete visto, la storia è ispirata a Shameless è la mia conoscenza su questo tema è abbastanza limitata, infatti la OS si è concentrata sul lato introspettivo. 
Vi invito a farmi sapere l'impressione che avete avuto, grazie ancora e, spero, alla prossima!
   
 
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