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Autore: Blankbanshee    23/03/2015    6 recensioni
«Qual è la tua concezione di arte?» La voce di Akane è di un'ottava più bassa, la lingua riarsa biascica quelle parole con lentezza.
Kogami frena i gesti, ruotando la matita tra le dita.
«Non concezione, ma percezione» risponde lui, portando la sigaretta alle labbra. «Il concepire è per gli artisti, per gli scrittori, per le anime in pena. Per gli studiosi che non hanno niente da concludere nella propria esistenza se non fare dei battibecchi inutili. Non essendo uno di loro, io percepisco».

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«Non desidero ribellarmi, ma sottostare, poiché non mi è concesso. Da te, dalle menzogne che ritrai con la matita. Se c'è un modo per chiamare la tua arte "menzogna", allora raffigurami... non credo di voler altro».
[AU! Lime | Shinya/Akane | Parigi | Storia partecipante al contest "Titoli su Titoli - 2nd Edition" indetto da Eireen_23 sul forum EFP]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tsunemori, Shinya Kogami
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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"La menzogna è lo scopo dell'arte"
Oscar Wilde


                                                                                           
La grafite sguscia tra le pieghe di carta, sinuosa e incerta. Shinya rilassa le spalle curve in avanti, di tanto in tanto solleva il capo aspirando, avido, boccate di nicotina; il fumo s'insidia nei polmoni, gli annebbia la mente, lo distoglie dalle preoccupazioni abissali. Il tocco vellutato della matita si imprime con gesti impacciati sul foglio ruvido, nella speranza di ritrarre oggettivamente l'ormai donna dinnanzi allo sguardo: Akane giace, a malapena riesce a respirare. Deglutisce, lascia ciondolare i piedi nudi nel vuoto, sfarfalla dolcemente le lunghe ciglia per smorzare la tensione. In cuor suo sa, nonostante le scarse doti artistiche dell'uomo, di dover accontentare la sua piccola follia giornaliera. Shinya adora delinearle l'essenza dopo aver passato l'ennesimo pomeriggio coricati tra le stesse lenzuola, laide di sudore e gemiti. Da un anno a quella parte, Kogami, non fa altro che ripetere quel rito conclusivo con dedizione, cura e perseveranza, semplificando il suo mondo tra una linea timorosa e l'altra. Scruta con gli occhi della mente il sesso che li tiene legati, tra un valzer d'amore e l'altro, entrambi in bilico tra costanti e varianti statiche: eppure, in quella stabilità anormale, ci immerge tutto sé stesso. Le sigarette scadenti divengono l'ultimo dei suoi crucci momentanei, il calore pomeridiano si dissolve sulla pelle di entrambi, ma il sudore resta. Proprio come fa lei.
Indugia.
Shinya porta il filtro mollo alle labbra, il fumo bigio gli graffia la gola. Sa di farsi del male fumando trenta sigarette in un giorno soltanto, ma la constatazione più infame continua ad averla davanti, ad un soffio dall'anima. I tratti neri si accalcano l'un l'altro con angustia, la mina si consuma nel tratteggiare le orbite grandi di Akane: le palpebre leggermente arcuate all'ingiù le donano una perenne espressione afflitta, quasi dolosa, tanto da stonare con la vivacità delle iridi ambrate. Un brivido di piacere gli artiglia le membra con deboli scosse, al solo incrociare l'oro liquido che ha negli occhi. Kogami lecca il pollice, sfuma le occhiaie scure, il nero gli insozza il mento e i polpastrelli.
Una linea grossolana marca lo zigomo destro, lei sospira docilmente e lo scricchiolare della matita si arresta. Solo in quei momenti, Akane, riesce ad essere sé stessa, Shinya lo percepisce. Lo avverte col fiuto, col tatto, tanto da rimembrare all'istante entrambe le sensazioni. Il legno freddo della matita diviene setoso come pelle, gremita di sudore, morbida quanto i seni piccoli che le ingemmano il petto; lui sputa fuori l'ennesima nuvola cinerea, assopito da tale trasmutazione onirica. L'acre odore del fumo passivo lascia spazio al profumo salino che lei sprigiona da tutti i pori, dolce quanto amaro, più dell'essenza che le ghermisce ogni ciocca di capelli. L'uomo si lascia trasportare dalla fame carnale che lo divora pezzo per pezzo, la voglia incondizionata di leccarle il collo fino diviene una necessità.
L'eccitazione si smuove all'improvviso, ma annulla il tutto sul nascere.
Shinya assottiglia gli occhi, riducendoli in fessure. Si limita a baciarla con lo sguardo, ad amarla con una sola occhiata, e le guance della giovane donna avvampano infuocate dall'imbarazzo. L'indole pudica di Akane sbalza fuori in un batter d'occhio, il lento gioco di sguardi intrapreso dai due ha breve durata. Lei china il capo, le iridi si piantano sul parquet lercio di graffi e vestiti.
Parigi, alle sue spalle, è nel pieno della sua esistenza. Il rombo delle auto e i chiacchiericci assordanti filtrano dalle persiane socchiuse, riempiendo il silenzio che c'è in stanza. Le ultime lingue di sole le baciano il collo scoperto, una gocciolina salmastra guizza via tra la piega del seno, coperto per metà dalla camicia larga di lui. Vorrebbe dirgli di continuare a tastarla con gli occhi, ma le parole le muoiono in gola nell'udire gli scricchiolii della matita riprendere.
Lui accende l'ennesima sigaretta, gettando a terra il precedente filtro ormai consumato, tacendo sulle perplessità che lei gli indirizza. Non vuole che parli, non vuole che rovini quel momento. Kogami è frustrato, castigato e addomesticato come un animale chiuso in gabbia, il cedere all'ardente desiderio di ribellarsi ad una vita poco voluta e vissuta per accogliere solo lei, Akane, lo strugge dentro con mille lame di pugnali. Le sente premere nel costato, avrebbe voglia di urlare e dimenarsi come un bambino capriccioso, eppure giace. Non batte ciglio, non tende un muscolo, non lascia spazio alle remote possibilità di farcela. Lascia che sia quell'insulsa celebrazione a parlare per lui: se non può amarla a tal punto da renderla una noiosa routine, la ritrae, per dimostrarle i suoi miglioramenti. Per mostrarle, sfogliando assieme i precedenti disegni, quanto il suo sentimento sia mutato tra una sbavatura e una linea netta.
Quanto Akane, sia per lui, oggetto di persuasione e bellezza, seppur canonica e restrittiva.
Ma entrambi sono consapevoli di vivere in una menzogna più grande dell'ossessione che li avvolge da dodici mesi, e Akane non vuole più accettarlo. Vuole cambiare, mutare come un serpente in primavera. Togliere la vecchia pelle, buttare le ormai sudice lenzuola, convincere Shinya ad uscire allo scoperto, trattenuto da un matrimonio indesiderato.
Non le basta più quel rituale. Non le basta più il sesso e l'amore che lui le dimostra in un ritratto e l'altro.
Lo brama, come la terra e la sua pioggia.
«Qual è la tua concezione di arte?» La voce di Akane è di un'ottava più bassa, la lingua riarsa biascica quelle parole con lentezza.
Kogami frena i gesti, ruotando la matita tra le dita.
«Non concezione, ma percezione» risponde lui, portando la sigaretta alle labbra. «Il concepire è per gli artisti, per gli scrittori, per le anime in pena. Per gli studiosi che non hanno niente da concludere nella propria esistenza se non fare dei battibecchi inutili. Non essendo uno di loro, io percepisco».
Akane si scosta appena e la camicia sguscia via silenziosamente, lasciando scoperto il seno destro. Non desta a coprirsi nonostante gli ultimi strascichi di pudore rimasto; socchiude gli occhi e rimugina sulle parole udite. E' sempre così: lei gli pone un quesito, lui svia il tutto alla sua maniera, Akane tace.
Ma per ora, non intende dargliela vinta.
«Il percepire, per te, è...»
«Il mio canone relativo. Non posso fare arte se non ne sono portato. Ma la realtà si tocca, si plasma, si assorbe e si respira. I colori e le linee fanno parte del campo visivo di ogni uomo, l'egoismo trova sfogo nel materialismo» spiega lui, osservando i turbini grigi danzargli dinnanzi al viso. «Io percepisco il mondo tramite te stessa. La mia arte sei tu».
Le guance prendono a pizzicarle, ma non demorde.
«Il nostro mondo, non il tuo. E' basato su di un concetto di menzogna» mormora lei, fissandolo. «L'arte del mentire, giusto? Penso che ciò si possa concepire, perché lo stiamo facendo da troppo tempo».
La cenere volteggia, sostenuta da una leggera brezza proveniente dall'esterno. Kogami giura a sé stesso di aver avvertito quest'ultima schiantarsi a terra, come la sottile lastra di bugie plasmata da entrambi. Sente il vetro scalfirgli la pelle con mille parole non dette, le schegge si ficcano con violenza nel cuore.
Silenzio.
«E... il desiderio è un atto di concepimento o di percezione?» riprende lei, stringendo tra le dita le lenzuola.
Un angolo delle labbra si piega all'insù. Kogami poggia le braccia sulle ginocchia nude, sporgendosi in avanti.
«E' un atto di ribellione».
«E la possibilità che tu non stia mentendo, c'è?»
Kogami butta a terra il secondo filtro, grattando la guancia destra con far veloce. Non accenna una risposta né una probabile bugia, lasciando Akane, ancora una volta, marcire nelle insulse sfide mai portate al termine. Lei si crogiola nel silenzio provvisorio, tendendo l'udito oltre le mura spoglie del monolocale alla ricerca di distrazioni. L'abbaiare in lontananza di un cane, e gli sbraiti della coinquilina al piano di sotto consumano gli ultimi bricioli di pazienza rimasti. Prima che possa aprire bocca per controbattere, Kogami le poggia sulle gambe nude l'album da disegno.
Akane fissa sé stessa. Le clavicole sono troppo marcate, gli occhi troppo grandi e assonnati; le spalle hanno una curva eccessivamente ampia, tanto da renderla sformata e poco plausibile. I seni lo sono altrettanto, e l'unico pregio in quello scarabocchio difettoso la rapisce in un batter d'occhio: le labbra, appena delineate da giusto quattro linee, sono perfette. Armoniose, stilizzate nel contesto, ma reali nella forma.
Akane, inconsciamente, le tasta con la punta della lingua, realizzando. Che tutto sia una bugia è più che scontato, ma la realizzazione di quel ritratto le fa venire la pelle d'oca. Incassato il capo nelle spalle minute, lei solleva il mento, incrociando lo sguardo di Kogami.
«Non desidero ribellarmi, ma sottostare, poiché non mi è concesso. Da te, dalle menzogne che ritrai con la matita. Se c'è un modo per chiamare la tua arte "menzogna", allora raffigurami... non credo di voler altro».
«Ci sono altre possibilità?»
«Non credo. Va bene così» gracchia lei, e una vampata di calore le avvolge l'intimità. Trascorsi i primi attimi di esitazione, Akane cede. La lussuria c'è, le avvolge il desiderio col solo ausilio delle dita. La lingua di lui che gioca con le sue debolezze non si arresta, eppure le va bene così.
Che sia menzogna, arte o percezione, Parigi vive lo stesso, loro altrettanto, il senso di ribellione pure.

Ribellarmi non è tra le mie possibilità.
Forse, nemmeno tra i miei desideri...


Pensato ciò, l'album cade a terra con un tonfo sordo, e le decine di visi sgusciano fuori.

Tu menti,
io mento.
  
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