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Autore: sad_eyes    23/03/2015    6 recensioni
Sotto le stelle o sotto il diluvio, cerchiamo un modo per dirci addio, ma tu non riesci ad uscirmi dal cuore né io dal tuo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessuna stagione
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E' stato difficile scegliere il rating, il tema e tutto il resto perché io ed il lettore non abbiamo ovviamente la stessa testa, lo stesso vissuto e la stessa percezione delle cose. Ho dato il rating che credevo fosse opportuno, avrei dato il rosso ma sono stata attenta a non approfondire troppo determinati argomenti in modo da non risultare eccessivamente forte e destabilizzante per chi mi legge. Vorrei chiedere scusa, già da ora, se affronterò tematiche che magari possono essere delicate per qualcuno di voi. Spero di cuore che la leggiate prendendone le dovute distanze. Quello in cui state per imbarcarvi è un racconto narrato da Callie, la mia Callie.
 
 
Buona lettura.
 
 
 
 
 
 
Mancavano pochi giorni al natale; io e lui lo avremmo dovuto trascorrere separatamente, lontani dalla casa dove oramai vivevamo insieme da circa un anno. Ben ed io stavamo bene insieme. Era iniziata per caso fra di noi, eravamo entrambi fidanzati, anzi, io ero più’ che fidanzata, ero promessa ad Arizona, ma poi la mia storia con la mia ex mutò, i miei interessi cambiarono, le mie priorità diventarono altre e così la lasciai, con una telefonata, il primo lunedì d’agosto, il giorno che avremmo dovuto festeggiare i nostri 6 anni e un mese di vita insieme.
 
Conobbi Arizona otto anni fa, ad una festa di amici … di amici, insomma, c’era un gran casino in quella villetta quella sera. Io c'ero andata con la mia migliore amica Jen. Ricordo che dovetti costringerla ad accompagnarmi: non è molto festaiola. Un mio amico mi invitò ad andare e mi disse che ci sarebbe stata anche Arizona. Io l’avevo già incontrata qua e là pochi mesi prima ma non avevamo mai scambiato più di qualche parola. Il mio amico, Nick, in realtà era interessato a me e non era molto contento che io passassi del tempo in compagnia della sua bella e bionda amica; aveva notato che provavo un certo interesse verso di lei. Alla fine lui invitò me ed io invitai Jen con la speranza che tenesse a bada lui e io avessi campo libero per guardarmi un po' in giro, fare conoscenze nuove e perché no, parlare un po' di più con Arizona.

Un sex on the beach ci fece innamorare.

Io stavo preparandomi un cocktail nella zona adibita a bar quando lei mi si avvicinò, così quasi per caso, anche se avevo percepito i suoi sguardi sul mio corpo durante quella lunga serata.
 
-“Che fai?” mi chiese con un sorriso.
 
-“Bevo, come vedi. Ti preparo qualcosa?”.
 
Ci pensò su un attimo. Si capiva che voleva dirmi di no ma cercava un modo gentile per farlo. Lei non amava molto bere, preferiva un bicchiere di vino ogni tanto o un amaro dopo un pasto. Beh, io non la conoscevo ancora quindi insistetti.
 
-“Dai, ti preparo qualcosa!”. Sorrisi, mi veniva così naturale sorriderle quando mi era vicino.
 
Un quinto di vodka alla pesca, un quinto di vodka liscia, due quinti di succo d’arancia/ananas (non ricordo cosa avessi sotto mano davanti in quel momento) e un quinto di lemon soda. Lo inventai lì sul momento, non l’avevo mai preparato, non mi piaceva la pesca. Ne avevo però sentito parlare quindi, avendomi detto lei che tra i tipi di vodka del bancone preferiva quella alla pesca, preparai quello, Sex on the beach, i miei amici incontrati in spiaggia il giorno dopo mi dissero che si chiamava così. Ci furono attimi pieni di discorsi senza senso - quando mi piace qualcuno non riesco mai a mettere due parole in croce in sua presenza. Parlai, di tutto e di niente, mentre ci spostavamo all’aperto a sorseggiare le nostre bevande. Sembrava le piacesse ciò che aveva nel bicchiere; ne andavo contenta. Poi parlò un po' lei, raccontandomi dell’ultima ragazza con cui era stata, per ben cinque anni. Si erano lasciate da poco. Quella ragazza aveva tradito Arizona.
Come si può tradire una ragazza come lei? Me lo domandai per tutta la serata, man mano che i nostri discorsi diventavano sempre più intimi e l’attrazione per lei cresceva in me, attimo dopo attimo.
Era sicuramente una ragazza ferita ed io volli mantenere le distanze perché non provavo forti sentimenti e non avevo voglia di farle del male.
Io, però, avevo una grande considerazione di me, avevo appena terminato il liceo e stavo per spiccare il volo verso qualcosa di grande. Avevo mille progetti, mi sentivo felice, ricca di amici, di quelli veri che abbracci quando li vedi arrivare e andare via. Di quelli con cui potresti star seduta sulla spiaggia in silenzio per poi andare via pensando di aver fatto la conversazione più bella del mondo.

Mi sentivo libera, soddisfatta delle scelte che avevo preso fino a quel momento e speranzosa che quelle future non avrebbero deluso le mie aspettative.
 
Piena di fiducia in me stessa, complice anche la scioltezza derivata da qualche bicchiere di troppo, quando accompagnai Jen a casa mi diressi verso il suo appartamento, fastasticando su quando sarebbe arrivata e mi avrebbe vista ... e avremmo parlato ancora qualche attimo. Avevamo passato ore a confrontarci ma quando ti piace qualcuno il tempo trascorso insieme non è mai abbastanza. Conoscevo il suo indirizzo, ci incontrammo proprio lì all’andata con Nick.

Mi appostai laggiù, aspettai qualche minuto, poi arrivò. Mi vide e salì subito sulla mia auto.
 
-“Che ci fai qui?” Era incredula, ma lo percepivo che era felice di riavermi vicino.
 
-“Jen era stanca così l’ho riaccompagnata. Io però non avevo proprio sonno quindi... ho pensato di passare da te, sapevo che tu e Nick avreste lasciato la festa subito dopo di noi e quindi ho tentato”.
 
-“Lo sai che se Nick ti avesse vista qui sarebbe successo un casino?!!”.
 
-“Beh, per quanto io tenga a lui, se ne dovrà fare una ragione. E’ da anni che mi viene dietro e non posso di certo farmi condizionare la vita da questa sua cotta. Siamo amici, questo lui lo sa benissimo e poi io e te stiamo solo parlando”.
 
Seguiva tutte le mie parole, capiva che infondo io non potevo far gestire la mia vita a qualcuno che non sarebbe mai stato il mio fidanzato. Mi accarezzò il capelli, portò la sua mano, lentamente, verso la mia testa e li accarezzò, ed io stavo lì, bloccata a subire il suo fascino. Le sue attenzioni annebbiavano la mia mente. Era ... piccola, con quel viso angelico, quei lunghi capelli dorati, uno sguardo dolce ed un sorriso che avrebbe potuto illuminare l’intero universo. Ero completamente attratta da lei.

Poi una voce poco distante da noi:
 
-“Arizona, hai dimenticato il carica batterie nella mia macchina”.
 
Nick aveva accostato la sua auto affianco alla mia e aveva interrotto quel momento di sguardi pieni di paroloni dolci, almeno da parte mia. Mi presi paura, non dissi nulla, solo presi il carica-batterie e lo passai alla donna al mio fianco. Era arrabbiato, io e Arizona lo sapevamo benissimo, ma pace, così stavano andando le cose. Arizona lo ringraziò, poi lui se ne andò senza aggiungere altro.
 
Parlammo di quello che era accaduto; Arizona e Nick erano molto amici e lei non voleva ferirlo. Io misi in chiaro che fra me e lui ci poteva essere solo amicizia e che quindi non dovevamo colpevolizzarci per niente. Si allontanò da me, poggiandosi allo sportello interno dell’auto, quasi per guardarmi meglio.
 
-“Allora, volevi dirmi qualcosa?”
 
Devo ringraziare chi s'è occupato dell'acquisto piuttosto importante e variegato di alcolici per la serata perché riuscii a tirare fuori tutto ciò che provavo. Quella sera, quei due cocktail (mi bastava poco per essere un pelino alticcia) mi regalarono i 6 anni più belli di tutta la mia vita. Non mi esposi molto ma...
 
-“Beh Arizona, il fatto è che mi sono resa conto che… si, lo so, quasi nemmeno ci conosciamo però, sentivo il bisogno di stare con te, ancora un po’”.
 
Mi uscì tutto così, il discorso era senza capo né coda ma... lei capì. Fu sorpresa perché durante la serata era praticamente lei a farmi il filo; poi mi sorrise. Noi sorridevamo sempre, sempre quando stavamo insieme, complice anche l’imbarazzo che aleggiava nell’aria. Non successe nulla, si sporse verso di me, vedendomi oramai fucsia in viso, e mi abbracciò. Credo ridesse. Che figuraccia avevo fatto, ma l’importante per me in quel momento era averla vicino. Ci abbracciamo per un po’ poi… ci scambiammo i numeri di telefono .
 
Il mattino seguente chiamai Jen, dovevamo organizzarci per andare al mare… ero super felice. Le raccontai tutto, mi sembrava incredibile.
 
-“Callie, tu sei folle. Dove diavolo l’hai trovato il coraggio per dirle tutto quello che sentivi?”.
 
Boh, ancora non ne ho idea. Credo che non avessi nulla da perdere e quindi mi buttai. Se mi avesse rifiutata infondo quella cotta mi sarebbe passata in fretta, con il tempo sarei riuscita a dimenticare gli sguardi di una serata.
Comunque non andò così.
Arizona il mattino seguente mi chiamò dicendomi che era andata da Nick per chiedergli di accettare quello che stava nascendo fra di noi. Fu difficile all’inizio, ci muovemmo con molta cautela per noi ferirlo, poi lui accettò e diventò il secondo (Jen era la prima) sostegno della nostra coppia. Era un amico fedele. Lei, pochi giorni dopo quella festa, partì per il luogo in cui lavorava , a più di 1000km da me. Non c’era mai stato un bacio, solo le telefonate quotidiane ci accompagnarono per un mese fino al giorno in cui tornò. Trascorsi quei giorni nell'attesa del suo ritorno. La sua distanza non riduceva il bisogno che avevo di lei anzi, anche se ci eravamo vissute solo pochi giorni, la voglia di vederla aumentava sempre più.
 
Giunse luglio e con lui anche il suo ritorno. Mi chiese di uscire…il nostro primo appuntamento.
 
'Che mi metto? Come mi trucco? E soprattutto che le dico?'. L'ansia cresceva. I minuti prima del suo arrivo passarono in un baleno e la mia paura di trovare davanti a me una persona che magari, dopo un mese, non era più interessata, cominciava a farsi spazio nei miei pensieri. Infondo era di gran lunga più il tempo che avevamo passato separate che quello trascorso insieme.
 
Ricordo che indossai un vestitino nero che mi arrivava fino a qualche centimetro sopra le ginocchia. Non volevo sembrare troppo appariscente dando l’impressione che mi fossi già innamorata di lei, al contempo volevo che mi guardasse sperando che magari sarei riuscita a farla innamorare di me. Imbarazzo, tanto imbarazzo in quell'auto. Potevo sembrare sfrontata alle volte ma io mi conoscevo nel profondo, ero e sarò sempre una ragazza timida  fino alle ossa. Fortunatamente con la sua simpatia ed i suoi modi di fare così spontanei riuscì a mettermi a mio agio. Andammo alla marina, un luogo in cui c’è un lungo vialetto ricco di ristorantini shic e locali, colorati dalle luci, che costeggiano quel mio bellissimo mare. Camminammo distanti, alle volte le nostre mani si sfioravano ma io cercavo di non farlo accadere, sentivo che un solo gesto mi avrebbe messo a nudo completamente ed io non volevo apparire come la ragazzina innamorata che le si getta fra le braccia subito. Lei indossava un paio di pantaloni di pelle attillati, neri. Lo spillo del tacco la slanciava e rendeva ancora più attraente la sua camminata. Su aveva una larga e lunga maglia che le arrivava un po’ più in giù della vita, bianca, ricca di particolari (paillettes, borchie) neri, ed una giacca leggera sagomata copriva le sue spalle.
 
Ci fermammo ad osservare gli scogli. Io stavo poggiata alla ringhiera intenta ad ammirare il mare illuminato dalla fioca luce della luna, lei si mise dietro di me, mi abbracciò e ... sentii che stava succedendo, che stava diventando davvero mia, che con il minimo della fatica avevo conquistato qualcosa di davvero grande. Il mio imbarazzo arrivò alle stelle, inclinai il mio collo verso destra cosicché dall'altro lato lei potesse appoggiare il suo viso.
Era ovvio che sarebbe successo, mi aveva chiesto di uscire, era un appuntamento senza alcun dubbio, però mi piaceva così tanto che mi parve assurdo riuscire ad avere tutto e subito.
 
Non so cosa accadde qualche attimo dopo, non ricordo nulla di quei pochi secondi, so solo che mantenendo quella nostra posizione le nostre labbra si unirono per scambiarsi il loro primo bacio.
Fu speciale. Non trovo altre parole per descriverlo perché ben poco mi è rimasto in mente della nostra fisicità in quel momento, sento però ancora quelle emozioni forti che mi pervasero completamente. Mi sentii terribilmente piccola, intimidita dalla sua spontaneità. Ero un pezzo di legno ma lei sapeva come rendermi più malleabile.
Mi volta verso di lei, mantenendo ancora le sue salde mani sui miei fianchi. Continuai a baciarla, ci era impossibile staccarci. Le mie mani tiravano il bavero della sua giacca per avvicinarla ancora, sempre di più a me. Aspettavamo da tanto quel momento ed il silenzio che ne sarebbe conseguito non era un’alternativa allettante quindi poteva aspettare che ci saziassimo sempre più l’una dell’altra.
 
-“Quindi siamo fidanzate?”
 
Non so come mi uscì di getto quella frase. Mi vergognai subito dopo averla pronunciata. 'Mi prenderà per una bambina' pensai.
Risi, che altro potevo fare.
 
-“Si, siamo fidanzate”. Ridemmo insieme, mi scostò una ciocca di capelli dal viso guardandomi intensamente negli occhi, poi mi abbracciò forte.
 
Provai una sensazione stranissima e fino ad allora sconosciuta. No, non era amore, ci conoscevamo da molto poco ma quell'iniziale mese di lontananza ci aveva costrette a raccontarci quotidianamente e ci aveva permesso di capire che le parole non ci bastavano. Ok, era fatta. Da quel momento sarebbe cambiato tutto. Pensavo già a quando sarebbe ripartita e cercavo quindi di organizzarmi per poterle stare il meno possibile distante. Era tutto così perfetto.
Anche solo toccare il tessuto di quella giacca che copriva la sua schiena, mi riempiva.
Come diavolo è potuto capitare a me qualcosa di così bello? Solitamente ci si chiede sempre il contrario, “perché capitano tutte a me”, nell'accezione negativa ed invece io mi posi la domanda opposta.
 
Seguirono tanti di quegli appuntamenti. Ogni giorno ci prendevamo qualcosa in più l’una dell’altra. Cene, shopping sfrenato, serate in discoteca, bagni notturni tutti sempre rigorosamente accompagnati dai suoi caldi abbracci. Lei era il tipo che quando ti stringeva lo sentivi proprio. La sua stretta era forte, e poi durava sempre così a lungo. Io mi sentivo protetta fra le sue braccia. Credo che vedesse la luce che donava ai miei occhi. Credo che io non riuscissi a nascondere bene quelle forti emozioni che crescevano in me.
 
L’estate finì e si portò con sé tutti quei momenti magnifici, ed anche lei.
 
Partì, e per me era impossibile seguirla. Avevo da poco terminato gli studi e non avevo ancora deciso cosa fare della mia vita. Scelsi di intraprendere medicina,  e mi iscrissi nella facoltà che distava solo 20 km da casa mia. Lei scendeva spesso, era difficile stare lontane ma il suo lavoro di chirurgo pediatrico non ammetteva lunghe pause. Ricordo che la sera di Halloween stavo ad una festa con Jen ed altri nostri amici; quella sera, fra canti e balli, arrivò la sua telefonata. Mi sedetti sui gradini esterni del locale in cui mi trovavo, non volevo stare in mezzo al casino mentre parlavo con lei. Fortunatamente trovai un luogo tranquillo, silenzioso che mi permise di ascoltare per la prima volta il suo “ti amo”. Non risposi.
Stavo vivendo un sogno e mi sembrava impossibile che ogni giorno, nonostante la distanza, il nostro rapporto si consolidasse.
Poi sorrisi, so che lo sentì perché lo fece anche lei. -“Ti amo!” riuscii a dirlo e mi sentii una scema. Mi ripetevo 'cresci, dì qualcosa di sensato, parla invece di rimanere imbambolata al telefono in silenzio ad ascoltare il suo respiro', ma avevo detto quel “ti amo”, il primo nella mia vita pronunciato con consapevolezza. Si, io stavo già crescendo, la sua presenza, il suo aspettare i miei tempi mi stavano facendo crescere in modo sano.
Lei mi faceva bene, lei mi migliorava. Lei mi rendeva felice.
Dopo quel ti amo, dopo 3 mesi dal nostro primo bacio, l’attesa delle sue capatine si fece sempre più lunga ed estenuante. Sentivo che davvero mi ero innamorata. Sentivo proprio il bisogno della sua presenza accanto a me. Mi raggiunse, faceva mille sforzi per potermi riabbracciare anche solo un fine settimana al mese.
 
Mancavano pochi  giorni alla sua partenza, ricordo i coriandoli per le strade, la gente che correva per i vicoli, travestita da un personaggio dei più disparati film o cartoni animati. C’era un clima di gioia attorno a noi così, le chiesi se aveva voglia di venire la sera seguente a cena da me. Ne fu sorpresa, aveva visto la mia titubanza nel rimanere per troppo tempo da sole al buio di sera in un luogo che avesse un letto, un divano o anche una semplice poltrona. Ma quella volta fui io che con naturalezza presi il controllo della situazione.
'Come va, va! Mi sento pronta, sento che è la persona giusta con cui fare un passo in avanti, un’ esperienza nuova. Sento che con questa donna, dopo questi 8 mesi insieme, ci passerò il resto della mia vita' mi ripetei.
 
Devo dire che mi impegnai davvero tanto con preparazione  della cena. Accesi il camino già nel pomeriggio in modo che la stanza si riscaldasse per bene. Creai addirittura un cd che potesse fare da colonna sonora a quella serata. Volevo che fosse tutto perfetto anche se sapevo che per lei non era la prima volta, ma lo era con me. Pensavo che se un giorno avessi dovuto raccontarlo ai nostri figli, gliel’avrei voluto raccontare cosi, tralasciando ovviamente i particolari.
Mangiò tutto fino all’ultimo boccone. Ero soddisfatta. Scherzammo e ridemmo per tutta la cena. Mi avvicinai al camino per scaldarmi, lei mi seguì. Sentii le sue braccia cingermi i fianchi, accarezzarmi il viso. Ci baciammo, ma questa volta non ci fermammo li. Sentivo il suo corpo sempre più proteso verso di me, la sua lingua si inoltrava sempre più in profondità nella mia bocca ed il suo sapore era così buono.
Dio quant’era bella, dolce, delicata. Ero completamente presa da lei. Mi lasciai andare, fu… naturale. Le mani accarezzavano il suo viso mentre le nostre labbra si conoscevano meglio. Sentivo le sue dita scendere tracciando il profilo del mio corpo; continuammo a baciarci mentre a piccoli passi ci dirigevamo verso il divano.
Si stese sopra di me.
 
'Sta per succedere', pensavo solo a quello. Mi bloccai. Pensavo, troppo. Dovevo solo lasciarmi andare. Non mi fece fretta, sapeva come farmi rilassare. La guardavo dal basso e vedevo quegli occhi blu, splendenti, entrarmi dentro e scrutare la mia anima. Il suo viso era così vicino al mio che non riuscivo neppure a guardarle le labbra che a tratti mordevano le mie. I miei occhi erano puntati sui suoi. Scese verso il mio orecchio e lo stuzzicò col suo caldo respiro. Provavo sensazioni nuove, il mio corpo si muoveva oramai da solo, la mia mente era altrove. Decisi di fare la mia parte. Se prima cercavo di trattenermi, di non spingermi oltre, in quel momento le mie mani non potevano che cercare le sue, il suo corpo, la sua pelle. Raggiunsi i suoi fianchi e le tirai via quel maglioncino nero, morbido, pieno di strass. In quel momento potevo vedere ciò che avevo sempre immaginato ma di cui non avevo mai potuto godere. I suoi lunghi capelli le accarezzavano quella pelle che non vedevo l’ora d’avere fra le mie mani. Rimasi a guardarla, ero…incredula e felice. Sfilò via anche la mia maglia così i nostri corpi entrarono in contatto, per la prima volta. Ci guardammo, nude, per la prima volta. La sentivo muoversi su di me e il mio sguardo non smetteva di fissare il suo. Mi sembrò quasi mi ipnotizzasse  con le sue espressioni. Era sensuale da far paura quasi a sfiorarla. Il suo respiro profondo sul mio collo mi fece chiudere gli occhi e, mentre entrava dentro di me, mi portò in paradiso. Piansi, di gioia.
Fu tutto magico.
 
Il nostro affiatamento aumentava, ci desideravamo ogni qualvolta i nostri sguardi si incrociassero. Arizona era la mia fidanzata ed io non potevo chiedere di più. Decisi di trasferirmi, andare a vivere più vicino a lei cosi da evitarle tutti quei viaggi ed evitarci quella distanza che non faceva bene al nostro amore e ai nostri progetti. I miei genitori erano orgogliosi perché avevo deciso di raggiungere una città che aveva un rinomato college che mi avrebbe permesso di crearmi il futuro lavorativo che sognavo. Quell’estate facemmo una vacanza con i nostri amici. La mia prima vacanza con Arizona dopo un anno dall’inizio della nostra relazione. Affittammo un appartamento e partimmo per quelle meravigliose spiagge. Ero gelosa di lei. Dio, era davvero bella, dolce, sempre gentile con tutti, uomini e donne le stavano dietro, ed io avevo paura che potesse lasciarmi. Una sera, in un localino all’aperto che  passava musica commerciale, tra urla e saltelli, la bloccai, le presi le mani e le portai dietro i miei fianchi. Mi sorrise e ricordo che il mio cuore correva veloce perché avevo paura di dire qualcosa che potesse farla allontanare da me
 
-“ Arizona, io ... ti amo”
 
Sorrise ancora di più e si sporse per darmi un leggero bacio.
 
-“No, è che.. io ti amo proprio, cioè…non so se capisci, io non posso fare a meno di te”.
 
Mi strinse forte, lo faceva spesso e quel tipo di abbraccio mi faceva capire che avevo fatto bene ad aprire bocca.
 
-“Se per caso sei gelosa di questi ragazzi che mi girano intorno” mi fece un occhiolino -sapeva che stavo rosicando perché la guardavano tutti- puoi stare tranquilla” mise le sue braccia intorno al mio collo, attaccò il suo corpo al mio e mi baciò, appassionatamente, come a mostrare a tutti che i suoi occhi non erano che per me.
 
- “Vieni con me” mi portò fuori tenendomi per mano.
 
Ci avvicinammo al bagnasciuga e rimanemmo li abbracciate a guardare le onde che, a cadenza ripetuta, salivano a riva fino a rinfrescare i nostri piedi. Io mi sentivo protetta e sentivo il bisogno, la voglia di proteggerla a mia volta.
La sua felicità  cominciava a diventare anche la mia, le sue priorità, le mie, la sua vita la mia. Così trascorsero gli anni; le poche centinai di km che ci separavano -lei stava a Seattle ed io a Portland- erano copribili con solo qualche ora di treno. Ci vedevamo spesso, alle volte la raggiungevo io, alle volte veniva lei a stare da me. Conobbi i suoi amici, lei i miei o quelli che stavo cercando di farmi.
Comprò una barca e ci incise su il mio nome. Alle volte mi portava a pescare. Era diventata la sua passione, la rilassava. Io ero completamente incapace ma mi piaceva vederla serena. Stavo vivendo un sogno.
Con l’allontanamento da casa, ho sperimentato un altro tipo di vita. Non avevo più la mamma o gli amici di sempre a tenermi per mano tutte le volte che avevo voglia di parlare, fare una passeggiata, guardare un film in compagnia. Dovevo farmi degli amici, smussare tanti lati del mio carattere, essere più paziente, imparare ad ascoltare anche ciò che non volevo sentire. Era arrivato il momento di crescere.
La mia avventura la iniziai da sola. Ero molto intraprendente allora, nessuno mi faceva paura, solo Arizona o meglio solo i sentimenti che provavo per lei. Lei era il mio punto debole, per lei avrei dato via me stessa. A Portland vivevo con  4 studenti, 2 maschi e due femmine. Iniziavo a legare con loro, ci divertivamo insieme, riempivamo le nostre serate conoscendoci, imparando a volerci bene. Cominciavano a diventare per me un punto di riferimento. Loro erano presenti quando lei non c’era. Lei lavorava, non poteva esserci sempre anche se la distanza si era ridotta. Avrebbe voluto lo so. Lei sentì che cominciavo a soffrire per questo. Mi ero immaginata una quotidianità con lei. Lei era tutto per me ma cominciavo a credere che per lei io non lo fossi. Mi rattristava il fatto che lei si fosse abituata a tutto ciò, io volevo di più, molto di più.
 
Sbagliai, non mi fidai di lei. Quando Mark, un mio caro amico, forse il migliore che avevo, morì per un tumore che se lo prese velocemente, lei non c’era. Lavorava. Io ero angosciata, dovevo tornare in città, di corsa, con la speranza di riuscire a guardarlo per l’ultima volta negli occhi. Affrontai quel viaggio con timore. Mark, Arizona. Più aumentava il dolore per la consapevolezza che Mark mi stava abbandonando, più la rabbia verso Arizona e i suoi impegni, seppur lavorativi, cresceva in me. Avevo bisogno dei suoi abbracci in quel momento. Avevo un piatto di pasta davanti quando ricevetti la telefonata di mia madre che mi informò di quello che stava per succedere.
 
-“Hanno già chiamato il prete per l’estrema unzione. Scendi il prima possibile”.
 
Mi chiusi in camera e piansi… e pregai. Non pregavo spesso ma quel giorno lo feci come mai fino ad allora. Quando ricevetti la chiamata di Arizona, le accennai dell’accaduto, che avevo prenotato il primo volo della mattina seguente per Santa Monica. Mark era il mio amico, non il suo. Mi avrebbe voluta accompagnare, lo so, me lo ripeto ancora oggi dopo oramai più di 3 anni. Ma non scese. Io giunsi li, tutti eravamo attorno a lui ed io gli strinsi la mano, forte. Piansi e sorrisi perché sapevo che a lui piaceva il mio sorriso. Rimasi con lui tutto il giorno, ci guardavamo, non era possibile fare altro perché non riusciva più a parlare. Gli avrei voluto dire ancora tante cose. Morì quella notte, riuscii a sentire il suo ultimo respiro. Poi ci fu un attimo di silenzio. Era andato via sotto i miei occhi. Il mondo mi crollò. E questo stava accadendo anche perché Arizona non era lì a sorreggermi. Gliene feci una colpa…poi mi chiusi in me stessa.
 
Mi demoralizzai.
 
Ti senti come se da un giorno all’altro non hai più nulla fra le mani e fai fatica ad accettarlo, ad accettarti cosi, vuota.
 
Lei era tutto per me e non averla avuta li in quel momento mi fece sentire morta dentro e terribilmente sola. Passarono giorni, settimane. Io tornai a Portland .. lei venne da me. Era tutto diverso, credevo fosse cambiata lei invece, forse, ero cambiata io. Non volevo più dipendere da nessuno, non volevo più vivere un amore che potesse farmi così male se fosse finito. Le chiesi del tempo per fare chiarezza. Mi parve di non amarla più, forse mi costringevo a vivere senza di lei, a fortificarmi per evitare che, se quella sua mancanza si fosse ripetuta, io soffrissi ancora come quel giorno.
Ami, ami tanto, troppo, e che fai? Decidi di buttare gli ultimi sei anni della tua vita, via, per che cosa poi? Per paura di soffrire… ancora e ancora.
Lei mi ha amata come nessuno aveva mai fatto, mi ha incoraggiata, sostenuta, aspettata. Lei mi ha amata veramente ed io e le mie paure l’avevamo cacciata via. Le dissi addio con una telefonata, poi qualche ora dopo mi richiamò e fu lei a dirlo a me.
Mi si spezzò il cuore.
 
Ben era uno studente di medicina proprio come me. Viveva nella stanza accanto alla mia. Le sue attenzioni mi hanno distolto dal dolore che provavo, lo hanno accolto, se ne è fatto carico e questo mi ha aiutata ad andare avanti. Le notti le passavo pensando …a Mark e ad Arizona che oramai era in attesa di miei ripensamenti. Ben, lui mi accudiva, mi abbracciava e mi ripeteva che sarebbe andato tutto bene, che si sarebbe sistemato tutto. Non ci credevo, la notte quel dolore tornava, quelle poche volte che riuscivo a prendere sonno vedevo Mark. Non facevo sogni tranquilli. Le mie giornate erano sempre molto piene, impegnative fino a che misi da parte anche le ultime cose importanti che mi erano rimaste, la famiglia, la mia vita nel mio paese natale, e gli studi e pensai che non avrei più potuto convivere col peso che portavo dentro. Era meglio chiuderla li, mettere un punto, smettere di vivere era la soluzione. “Callie, stai diventando pazza” mi ripetevo sempre, tutte le volte che quelle emozioni mi facevano piegare su me stessa sul pavimento del bagno e piangere fino a non avere più altre gocce da versare.
 
“Mi manchi- Ti penso- Non sei sola- Voglio stare con te- Voglio raggiungerti e abbracciarti -Ti amo- Ti prego Callie, ragiona- Non riesco ad andare avanti senza di te” Queste frasi erano contenute nei messaggi che quotidianamente Arizona mi inviava. Di rado rispondevo. Pensavo che per come mi ero ridotta, lei sarebbe stata meglio senza di me. Le mie certezze erano svanite, la mia vita perfetta era andata in fumo…per la mia paura di avere troppo e non saper gestirlo. La morte di Mark fu solo l'inizio di tutto. Quel dolore mi fece lasciare Arizona, gli studi...mi fece mentire alla mia famiglia su come trascorrevo le mie giornate. Paure e bugie si accumulavano e mi sentivo di trovarmi in un punto di non ritorno.
Ho finito per non avere nulla, credevo.
Mi colpevolizzai anche solo per aver pensato che per lei io non fossi importante. Le era più grande di me, più matura, più consapevole. Lei era migliore di me, più affidabile, più decisa. Io non ero alla sua altezza.
Me ne convinsi.
Io non la meritavo. L’avevo lasciata quel lunedì d'agosto dopo 6 anni ed un mese dal nostro primo bacio e mi colpevolizzavo anche per questo. Piangeva sempre, mi riempiva di chiamate per farmi capire che stavo facendo la scelta sbagliata, che ero troppo avventata e che la morte di Mark mi aveva confuso troppo le idee.
Il suo dolore io lo sentivo dentro come un forte macigno. Più soffriva lei, più prendevo consapevolezza che la stavo appunto facendo soffrire e quindi NON MI MERITAVA, perché meritava qualcuno che la rendesse felice.
Accade così, senza che nemmeno te ne accorgi. Un giorno “possiedi” tutto, una famiglia che ti supporta, un test di medicina egregiamente superato che può aprire le porte dei tuoi sogni, degli amici che tirano fuori il meglio di te, una donna che ti darebbe la luna se solo potesse; il giorno dopo non hai nulla di tutto questo GRAZIE A TE che hai deciso, consapevolmente, di liberartene solo perché pensavi di non meritare quello che poi, in realtà ,hai conquistato con fatica.
 
“Perché è capitato tutto questo a me” iniziavo a dire, stavolta nell’accezione negativa.
 
Lo dicevo e ripetevo in lacrime, tra le braccia di Ben, fino ad addormentarmi. Le chiamate di Arizona erano più sporadiche, il mio silenzio la faceva desistere nell’insistere. Lo faceva per me, per darmi il tempo di capire che grande cazzata stessi facendo. I mesi trascorsero
Un bacio, un solo e lungo bacio mi face sentire come se un treno mi passasse sopra travolgendomi all’improvviso. Ben, io baciai Ben e lui baciò me. Non sentivo Arizona da circa un mese e… accadde, una mattina, al mio risveglio al suo fianco. Pensavo che non potesse andare peggio di com' era andata fino ad allora e invece quel bacio mi fece cadere nel baratro. Difficile venirne fuori soprattutto perché mi era piaciuto.
 Ben era un uomo ed io… mi sentivo strana. Non avevo mai baciato un uomo. Mi piacevano gli uomini, li guardavo ma non credevo potessero interessarmi sotto quel punto di vista.
Che diavolo mi passava per la testa? Che stava accadendo dentro di me? Stavo cambiando o stavo imparando a conoscermi meglio?
 
Un messaggio sul cellulare mise un freno ai miei mille pensieri.
 
Testuali parole :
“Affacciati alla finestra, sono venuta qui per te e non andrò via finché non ti avrò abbracciata anche solo per un attimo”.
 
Mi alzai dal letto e corsi fuori sul balcone. Aveva un jeans, una camicina rossa ed un golfino nero. Notai subito la sua alta coda…i suoi capelli erano cresciuti molto dall’ultima volta che l'avevo vista. Aveva un piccolo trolley alla sua sinistra.
Mi portai immediatamente le mani agli occhi. Il mio cuore pulsava, la mia testa scoppiava ..lei invece sorrideva. Si, lei mi guardava, stava laggiù e mi sorrideva. Sorrisi anche io, era il nostro saluto. Corsi dentro dirigendomi verso la porta d’ingresso per aprirla aspettando che arrivasse qui da me.
 
-“Cosa succede? Dove sei scappata e perché stai piangendo?” Ben mi tirò verso la sua stanza poi chiuse la porta
 
-“C’è Arizona.” Lo dissi contenta, poi ,vedendo la sua espressione incupirsi, calò quel senso di vuoto anche dentro di me
 
-“Perdonami ma è qui, è venuta e io devo parlarle”.
 
-“Lo so e.. sono contento per te perché so che lei ti ama ed è meglio così”.
 
Mi fece piangere, mi sentii tremendamente in colpa, lui mi piaceva, lui mi aveva tirata fuori dal fosso ogni qualvolta io ci fossi finita dentro.
Appena mise piede in casa mia ci abbracciammo; Arizona lasciò la valigia e mi strinse a sé forte. Si sciolse in un lungo pianto che coinvolse anche me. Entrammo in camera mia e in un baleno eravamo sotto le lenzuola a consumarci a vicenda
 
-“Ti amo, io non posso perderti. Perdonami se non mi hai sentita vicina, perdonami se ti sei sentita trascurata” mi disse, e sentii tutte le sue paure schiantarsi contro il mio cuore.
 
Si stava scusando lei dopo mesi che non la consideravo, dopo ancora un mese che avevamo tagliato tutti i contatti per scelta mia. Io avevo portato questa persona perfetta, sincera, matura e buona a chiedermi scusa per cosa poi? Per avermi amata troppo, tanto da rispettare i miei tempi, da fare i salti mortali al lavoro per potersi tagliare del tempo per me. Lei si stava scusando perchè quel giorno stava salvando una vita e non poteva essere fisicamente al mio fianco. Lei aveva il cuore a pezzi per causa mia e sempre lei si stava scusando. No, no, io non meritavo una persona così. Solo qualche ora prima avevo baciato Ben… no, no, io non meritavo una persona come Arizona.
Avevo lasciato gli studi, mentito alla mia famiglia, allontanato i miei amici, iniziato a fumare e Arizona non poteva amare me perché non ero più la ragazza onesta, innamorata, intraprendente e sempre positiva che aveva conosciuto oramai 7 anni prima. Io non ero più così ma lei questo non poteva saperlo, io non avevo trovato il coraggio di dirglielo. Rimase li 2 notti; facemmo l’amore solo quella mattina quando arrivò a Portland, poi ritornai sulle mie posizioni.
 
-“Ti amo ma voglio stare da sola. L’amore che provo per te mi ha fatto dimenticare di me stessa ed ora sto facendo i conti con la persona che sono realmente e non mi piace e… e ti amo e non posso farti questo, tu hai bisogno di qualcuno che ti meriti”.
 
-“Io voglio solo te, Callie. Io ho trascorso sei anni a fare progetti con te, a pensare a tutta la mia intera vita con te. Non può finire così”.
 
-“E’ gia finita. Forse credo di amarti ma non ti amo abbastanza da cancellare le mie emozioni e pensare alle tue. Forse dovrei amarti di più, forse dovrei lottare per te, per noi. Io non so cosa mi passa per la testa negli ultimi mesi ma so solo che la tua presenza al mio fianco peggiora tutto perché l’affetto che provo per te mi fa sentire perennemente colpevole. Io non riesco neppure a guardarti in faccia. Io mi sento così sporca e oscura che stare con te per me significa sporcarti a mia volta e io non posso permettere che accada. La tua felicità è diventata una priorità per me e se sto ancora con te continuerò a pensare alla tua felicità e non riuscirò a pensare a come uscire dai miei problemi. Io sto male e se torniamo insieme passerei le serate a piangere e tu all’inizio piangeresti con me poi col tempo mi diresti di farmi forza e quando non ne potrai più, ti innervosirai perché le mie telefonate saranno il momento più brutto della tua giornata. Questo mi ferirà, questo mi farà sentire ancora più in colpa quindi non posso stare con te, non posso portarti a non amarmi più, mi ucciderebbe. Tu sei perfetta così, tu sei davvero perfetta così e ho paura di rovinarti. Io ti voglio fuori dai miei casini”.
 
-“Io voglio affrontarli con te”.
 
-“Io no!”.
 
 Le sue mani, poco prima allacciate alle mie, si staccarono e colpirono il muro.
 
-“Ca**o”  non riuscii a dire altro.
 
Raccolse velocemente le sue cose e se ne andò. Io rimasi ancora poggiata alla parete della mia camera.
Il silenzio scandiva i miei giorni trascorsi a non far nulla. Piangevo, potrei dire che la mia giornata era veramente impegnativa perché vi assicuro che piangere circa 12 ore al giorno non è poi considerabile come “dolce far nulla”. Gli altri coinquilini cercavo di tenerli fuori da tutto, più persone sapevano, più persone sarebbero state quelle alle quali avrei dovuto dare delle risposte quindi meglio tenere tutto per me, e per Ben.
Lui aveva visto come era scappata via Arizona e aveva visto il mio atteggiamento di chiusura dopo quel fatto. Mi attese, mi tese la mano più volte ma attese che fossi io a cercarlo e così accadde. Dopo una decina di giorni sentii il bisogno di dare un senso alla mia vita. Mi sentivo inutile, credevo che la mia presenza sulla terra non portasse a niente di buono e dovevo assolutamente mandare via quei pensieri malati. Avevo bisogno di convincermi che qualcuno (e lui era l’unico) che sapeva tutto di me, mi volesse per quella che ero diventata. Lui mi volle e il sesso con lui rilassava la mia mente ed i miei sensi. Arizona diventava man mano un ricordo, qualcuno a cui dovevo riuscire assolutamente a non pensare sennò sarei ricascata in quell’abisso. Lui  dopo qualche mese, si laureò e non avendo ancora trovato lavoro fu costretto a trasferirsi a San Francisco dalla sua famiglia. Non volevamo separarci, mi ero legata a lui, la mia serenità dipendeva da lui, se avessi perso anche lui non avrei saputo cosa fare. Lui mi salvo letteralmente la vita quando decisi che togliermela era l'unico rimedio. Lasciai tutto e lo seguii, rimasi due mesi a San Francisco, mi trovai un lavoro e cercai di andare avanti per come potevo ma non era quella la vita che volevo. Io volevo diventare un’ottimo chirurgo ortopedico, e per fare quello era necessario che tornassi a Portland. Dal pianto passai al pensare pensare e pensare. I miei amici, per quel poco che sapevano, mi chiamavano spesso e cercavano di tirarmi su in ogni modo.
 
Poi un giorno sentii bussare alla mia porta...
 
-“Non puoi cambiare città e non dirmi niente” Il mio cuore si fermò.
 
-“Non ci sentiamo da un po’ e non volevo condizionarti. Magari ti stavi facendo una vita. Non volevo rovinare i tuoi progetti”.
 
-“I miei progetti? Callie io ho smesso di progettare da quando sei mesi fa mi hai detto che non mi vuoi nella tua vita!”.
 
-“Ti prego, Arizona, ti prego. Va tutto a rotoli, non puoi tornare e rammentarmi quanto io sia pessima”.
 
-“Tu non sei pessima. Callie, tu sei stupenda “- Mi accarezzò il viso e in quell'istante piansi.
 
-“Tu sei una ragazza piena di qualità, socievole, motivata. Tu sei una ragazza piena di vita, sempre allegra, ricca di sogni e speranze. I tuoi sogni e le tue speranza hanno contagiato me, tu hai dato luce alla mia vita, tu mi hai resa felice, tu mi hai fatto ricominciare a credere nell’amore. Tu e il tuo sorriso”
 
-“No, è qui che ti sbagli. Io ero quella ragazza ma adesso non lo sono più. Mark si è portato via una parte di me, le mie paure hanno fatto il resto. Io non riesco più ad amare, io non amo più niente e nessuno”.
 
-“Callie, torna a Portland, torna a studiare, torna alla tua vita e torna da me. Prima eravamo felici. Che diavolo ci fai qui? San Francisco. Perché se qui? I tuoi genitori sono in pensiero per te”
 
-“Perché si, perché volevo cambiare aria”
 
Non le raccontai di Ben, sarebbe stato troppo strano. Doveva accettare quella situazione. La mandai via e così se ne andò lasciandomi a pezzi.
Cominciai a ripetermi ancora e ancora che se avessi messo un punto alla mia esistenza, forse sarebbe stato un bene per tutti. Non ero più una buona figlia, una buona amica, una buona fidanzata e neppure un’amante decente dato che stando con Ben non tradivo nessun se non me stessa e le sue aspettative. Parlai a lungo con Ben, gli dissi che volevo ricominciare, volevo dare un senso a tutto perché sennò non sarei riuscita ad arrivare al giorno seguente. Si prese cura di me, per quel poco che gli lascia fare, non mi piaceva farmi vedere in quei momenti che la mia mente immaginava situazioni catastrofiche assurde.
Feci i bagagli e dopo 2 mesi tornai a Santa Monica. Ritrovai i miei genitori, i miei amici, poi andai a Portland. Un mese dopo Ben venne da me e andammo a vivere insieme con un altro gruppo di studenti. Ripresi in mano la mia vita, recuperai tutti gli esami che avevo lasciato indietro e stabilii dei limiti con l’uomo che in quel momento divideva con me il letto.
 
-“Questo rapporto è complicato e tu lo sai bene. Io…non sono mai stata con un ragazzo e non mi ci vedo, non so. Non so dove mi porterà la vita, so che tengo a te, che mi piaci e che mi fai impazzire ogni volta che le tue mani si posano su di me “ ridemmo “però devo stare da sola. L’avrei dovuto fare sin dall’inizio. Io devo imparare a stare con me stessa, ad  ascoltarmi. Io devo imparare a conoscermi e ad accettarmi invece vivo grazie agli altri, all’affetto che tu e tutti gli altri miei amici mi donate. Io dipendo da voi, dalla considerazione che voi avete di me. Sto bene perché mi sento amata ma non sarò mai felice se non sentirò di amarmi a mia volta. Non riesco ad accettare gli sbagli che ho commesso e questo mi suscita un senso di disprezzo verso me stessa che poi vien fuori quando mi confronto con te e con gli altri. Sto sempre sulla difensiva, tendo a non lasciarmi andare, fingo di vivere.”
 
Ben sapeva che poteva guardarsi intorno, impegnarsi con qualcun’altra, ma non lo fece. Stavamo bene nella nostra situazione di “amici speciali” se così vogliamo definirla.
I cattivi pensieri cominciarono ad abbandonare la mia testa, le giornate di sole riuscivano a darmi la forza per guardare con positività al mio futuro. La scuola di specializzazione mi riempiva di soddisfazioniAvevo ritrovato l’ordine che mancava, un equilibrio che mi permettesse di non cedere. Imparavo giorno dopo giorno a farmi forza da sola e quando superavo un esame o portavo a termine un progetto, cominciavo a ritrovare la fiducia che mi era mancata per quasi due anni.  E se qualcosa non andava bene, pace, proprio come 8 anni fa, me ne sarei fatta una ragione e avrei puntato ad altro.
Io ho conosciuto la luce, quella luminosa che può illuminare l’intero universo, e poi ho conosciuto il buoi più terso. Ho fatto un viaggio lungo ricco di emozioni e questo mi ha fortificata. Ho lottato tanto, contro me stessa e questa è la battaglia più potente e distruttiva che una persona può compiere, ma l ‘ho superata. L’ho superata non grazie al supporto degli altri, o perlomeno non solo grazie a quello, ma grazie all’amor proprio che io ho IMPARATO a sentire per me stessa e per la vita. L’amore che provo per chi mi sta accanto mi arricchisce. Io amo, di nuovo. Amo il mio prossimo, e l’amore che IO provo verso gli altri mi riempie, mi rende viva.
 
Era natale e Ben sarebbe andato a trascorrere le vacanze con la sua famiglia. Io tornai a Santa Monica, riabbracciai i miei genitori e andai a cercare Arizona. Speravo fosse tornata anche lei li in città.
Gli amici che avevamo in comune mi informarono che si stava frequentando con un’altra ragazza e che probabilmente non sarebbe scesa per stare con lei che era salita a trovarla
“Ok”,che altro potevo dire. Le avevo augurato di farsi una vita, di trovare una persona che la rendesse felice. Dovevo gioire del fatto che adesso lo era.
Erano passati quasi 2 anni senza più un suo bacio, avrei dovuto dimenticarla.
 
Andai a trovare Mark. E’ cambiato tutto da quando lui è andato via. Mi manca, mi è mancato negli ultimi 3 anni. Se non fosse morto forse le cose sarebbero andate in maniera diversa, pensai. Ma non gliene facevo una colpa. Mi mancava così tanto che non potevo più fargliene una colpa.
 
Cercai informazioni su questa ragazza con cui usciva Arizona. Pare fosse proprio di Santa Monica.Era  molto più grande di me,e negava di avere una storia seria con lei,cosi almeno si diceva.
Incredibile.Ancora una donna che le avrebbe distrutto il cuore.
 
Dopo le vacanze tornai a Portland,mi fermai a riflettere. Avevo di nuovo tutto , mancava solo Arizona a completare il puzzle iniziale. Adesso ero più consapevole di me stessa, più matura ed avevo attraversato sentieri ripidi e bui che mi avevano fortificata e mi avevano insegnato a non perdere mai la speranza e a credere che se le cose non vanno come vogliamo,vuol dire che non lottiamo per averle. E se semplicemente non le otteniamo perché il destino non lo prevede,beh,trarremo giovamento da ciò che s presenterà davanti a noi. Io ho perso Arizona,la mia famiglia, il mio lavoro perché non erano più la mia priorità . Io in quei due anni volevo nascondermi, volevo essere invisibile, perché dentro di me avevo smesso di credere di poter riavere tutto.
Solo quando scovai, tra il marciume, tutte le cose belle che possedevo, tutte le qualità che facevano parte di me, mi aggrappai ad esse, mi feci forza da sola, ritornai a vivere e tutto tornò al proprio posto.
Arizona era l’ultima incognita.
 
Appena atterrata, posai le valigie a casa emi diressi alla stazione dei treni “Portland- Seattle ore 10.30”
Comprai il biglietto e attesi l’arrivo del treno. Faceva freddo a Seattle, sicuramente più che a Santa Monica e Portland.
Non sapevo neppure se avesse cambiato casa.
Era una domenica, sperai che non fosse di turno. Raggiunsi il palazzo in cui si trovava il suo appartamento.
Le strade erano coperte di neve, i miei scarponcini cominciavano a bagnarsi raffreddando i miei piedi. Cominciò a nevicare ed io rimasi li ferma davanti a quel portone pensando a cosa dire. L’avevo combinata grossa, avrebbe dovuto perdonarmi troppe cose. Io  ero riuscita a perdonare me stessa, se avessi fatto un buco nell’acqua avrei dovuto semplicemente accettare le conseguenze delle mie passate azioni… e poi sarei dovuta andare avanti.
Basta farsi troppe domande. Bisognava suonare il campanello e viversi gli attimi che sarebbero seguiti di li a poco.
Preferii prendere il cellulare e scriverle un messaggio; le avrei dato cosi la possibilità di scegliere cosa fare invece di costringerla a decidere, in un secondo, al citofono, se aprirmi o no.
Iniziai a premere le dita sulla tastiera:
 
Tu eri sempre allegra, divertentissima, piena di speranza, non mi facevi mai sentire sola, mi riempivi di attenzioni, eri protettiva, sempre presente, strapresente(e io non lo capivo). Ce ne siamo fatte di risate insieme.
Ti sei buttata giù subito quando ho deciso di troncare, mi desti quell’addio al telefono che mi fece venir voglia di farmi del male rendendomi conto di tutto il dolore che stavo procurando a te. Hai atteso, hai riprovato più e più volte, hai sopportato i miei atteggiamenti scontrosi nati dal fatto che ero nervosa, spaventata e cosciente che stavo facendoti del male e trattandoti così forse mi avresti mollata, mi avresti dato uno schiaffo morale tu perché eri tu che dovevi lasciarmi, perché gli errori nel nostro percorso li avevo fatti io, dettati dalle insicurezze che sempre mi hanno accompagnato. Sei sempre stata matura. Mi hai sempre protetta, consigliata. Mi hai fatto crescere accanto a te senza lasciarmi mai da sola.
Viaggiavi spesso per starmi vicino. Hai fatto tanti sacrifici economici per vedermi sorridere.
Hai portato rispetto ai miei genitori, hai fatto festa con la mia famiglia quando c’era da essere felici e ti sei presa l’arduo compito di parlare con loro quando ero caduta in depressione. Mi hai difesa anche quella volta. Io non ti ero più vicina ma tu hai continuato ad essere la meravigliosa ragazza che sei sempre stata andando a casa mia a “consolare” loro. Credo che nessuno l’avrebbe mai fatto.
Mi hai insegnato a pescare, o almeno ci hai provato. Mi hai portato ovunque, mi hai abbracciata tanto, mi lasciavi scritte frasi dolcissime su tovaglioli, nella carta igienica, negli specchi…
Mi hai mostrato il valore delle cose, in primis dell’amore vero, verso la tua famiglia e verso me. Mi hai accettata quando, per i primi 7 mesi, non riuscivo a darti quello che era semplice e normale per ogni coppia. Mi hai mostrato il coraggio e la voglia di andare avanti perché l’amore è ciò che conta, ed io invece mi sono persa per strada.
E’ cambiato tutto adesso, invece tu, pur maturando, sei rimasta la stessa ragazza semplice, bella, con un cuore grande. Il mio dolore è stato spesso proporzionale al tuo. Soffrivo perchè tu soffrivi. Più ti facevo del male e ti vedevo stare male, e più mi colpevolizzavo e quindi piangevo per i danni che avevo creato. Io immagino quanto hai sofferto. Immagino quanto hai voluto che io non me ne accorgessi per non mettermi altri pensieri. Immagino quanto tu ti sia sentita  sola, con un dolore enorme nel cuore, solo perché, buona come sei, sicuramente non avresti voluto veder i tuoi genitori in pena per te.
Il mio silenzio di questi mesi è nato dalla mia consapevolezza che amare  vuol dire non fare del male a chi si ha accanto. Questo l’ho imparato da te, ed io, dopo i miei momenti di confusione, ho deciso che lasciarti andare via da me sarebbe stato giusto per te perché ne avresti trovate di persone migliori di me.
Ti ho pensata tutti i giorni, sempre, ma ho pensato che farmi eccessivamente viva potesse impedirti di essere felice, anche se i miei giorni senza te erano nulla.
Se la memoria non mi inganna, dovrei trovarmi proprio  davanti al tuo portone. Resterò qui per un’ora da adesso,non oltre perché credo mi trasformerei in un ghiacciolo. Sono qui, per te.
Ti starai facendo mille domande e, probabilmente, tanti  pensieri come 'ho già una ragazza- lasciami vivere la mia vita adesso che sono felice’ staranno attraversando la tua mente. Io sono qui, e tu sei libera di realizzare il tuo sogno di allora. Se adesso è cambiato, se adesso desideri altro, voglio augurarti tutto il bene possibile perché nessuno quanto te, merita il meglio da questa vita.
Se non scenderai io capirò e ti starò vicino col mio cuore e ti prometto di trovare una persona che mi amerà come hai fatto tu, se è possibile, così da poter dare un senso alla nostra separazione.
Grazie perché mi hai donato la tua vita per rendere migliore la mia.
 
Il tempo passava e le mie mani si facevano gelide.Credo che l’avrei aspettata in eterno lì fuori se solo il mio corpo me l ‘avesse permesso. Aggiustai il mio cappellino, lo tirai più in giù in modo da coprire per bene le mie orecchie. Mi muovevo avanti e indietro  per scaldarmi  ma non serviva a molto.  C’era un treno per Portland dopo 40 minuti. L’ora di attesa stava per terminare. Nulla. Nessuna risposta. Sapevo che aveva letto, mi era stata notificato il recapito del messaggio ed ero certa che non stesse lavorando perché nell’attesa chiamai Nick ,il nostro vecchio amico in comune e lui mi confermò che sarebbe stata a casa.
 
'Fino a che il corpo ce la farà, starò qui' mi ripetevo. Non volevo rinunciare a lei.
 
Era trascorsa un’ora e 15 minuti. Mi sedetti su uno scalino di una casa li sulla strada e mi strinsi più che potevo per scaldarmi.Poggiai la testa sulle sulle ginocchia e con le braccia tentai di coprirmi di più. Mi veniva da piangere e così,rannicchiata su me stessa, piansi.
 
-“Un’ora e mezza! Ti avrei lasciata fuori ancora per un po’ ma  sto congelando anche io a stare ferma in macchina ad osservarti”.
 
Alzai la testa e la vidi, lì, in piedi davanti a me.
 
-“In macchina?” domandai confusa.
 
-“Si, ero passata in reparto a controllare un paziente. Quando sono  arrivata ti ho vista davanti la porta e volevo vedere cosa avresti fatto. Poi mi è arrivato il tuo messaggio;ci hai messo mezz’ora solo a scriverlo… E poi ho aspettato”.
 
-“Me? Hai aspettato che andassi via?”.
 
-“No, ho aspettato CON te, perchè non ti avrei mai lasciata andare via”.
 
Mi tese la mano,bianca, fredda,tanto quanto la mia. Io la strinsi.
 
Raggiungemmo la porta d’ingresso. Si voltò.
Mi sorrise; io feci lo stesso.
 
Sorridevamo sempre quando stavamo insieme.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-L'essenziale è invisibile agli occhi. Non si vede bene che col cuore.
                                                                       
    Le petit prince (Antoine de Saint-Exupéry)
 
 
 
 
 
 
 
 -Due persone che si amano si incontrano facilmente... le anime affini si salutano già da lontano.
                                                                                                                                      
A. Schopenhauer
 
 
 
 
 
 
 
-Sotto le stelle o sotto il diluvio,cerchiamo un modo per dirci addio,ma tu non riesci ad uscirmi dal cuore né io dal tuo.
                                                                                                                                                        
Buoni propositi (Niccolò Agliardi)
 
 
 
 
 
 
 
-Ci portiamo dentro chi non siamo riusciti ad avere accanto.
 
   L'ultimo giorno d'inverno (Niccolò Agliardi)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-S.E.-
 
 
 
 
   
 
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