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Autore: Seagull83    26/03/2015    4 recensioni
Si avvicina la fine anche di questa stagione di Grey's Anatomy e gli Spoilers sono sempre più preoccupanti...sulla scia di questi io e la mia compagna, abbiamo provato ad immaginare come sarà la puntata 11x21...ovviamente Calzona centrica!Buona lettura...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Tutti sono convinti che la migliore forma di memoria sia quella visiva, tenendo in poco conto le sue altre forme, che sono in realtà i pilastri dei nostri ricordi. 

In fondo quando veniamo al mondo tutto quello che vediamo sono solo delle ombre, distinguiamo a mala pena i contorni di qualcosa che ricorderemo poi, ma solo perchè qualcuno prima di noi ha dato a quelle forme abbozzate un nome. Eppure i rumori, gli odori possono non avere nessun nome che li ricorderemo comunque, riconoscendoli in mezzo a centomila altri. 

 

Il rumore incessante della pioggia annidata di qualche giorno prima che goccia a goccia cade sul terreno disfatto scivolando lungo la lamiera dell’ala sinistra, si sta accumulando in una piccola pozza di fianco alla suo corpo, di fianco alla gamba legata pochi centimetri più in giù dell’arteria femorale, con la cintura che Cristina le aveva fissato nel miglior modo possibile per impedire al sangue di defluire troppo velocemente. La pozza di pioggia sporca di fango che Arizona continua a guadare, immobile e priva di qualsiasi sensazione. La voce strozzata del pilota che come una cantilena religiosa fluisce nelle orecchie senza avere davvero nessun senso. “Sta zitto” gli aveva urlato qualche sera prima, cercando di distinguere in quell’ inferno i rumori ignoti di un un posto ignoto. Le urla di Mark, il pianto di Meredith e il rumore lontano di foglie calpestate da chissà cosa e poi, poi c’era la pioggia che goccia a goccia cadeva nella pozza lasciando disegnare dei cerchi concentrici. E poi il suo respiro interrotto a tratti dal dolore lancinante che le pervadeva la gamba, ma che le ricordava di essere ancora viva. L’odore del fango e del sangue, l’odore della paura e del terrore e poi…l’odore della rassegnazione quando la voce del pilota era divenuta muta, quando tutti erano diventati muti.

 

Nessuno sa davvero quanta importanza abbiano gli odori e i rumori nella porzione di cervello dedicata alla memoria, nessuno sa davvero che ogni volta che un nuovo odore o nuovo rumore si insinua nella nostra testa è come rinascere di nuovo. Nessuno sa che spesso  è proprio quella parte ignorata e sottovalutata che ci tiene in vita, ricordandoci che siamo ancora qui e ancora in piedi. Il fiato corto, il dolore, e la pioggia e poi…

 

07.56 am

 

“…lo schianto si è sentito per tutta Seattle. Non è ancora chiaro se il Boing 4723 della United Airlines proveniente da New York abbia avuto un’avaria in fase di atterraggio o se fosse già in difficoltà in volo. Quello che sappiamo è che le fiamme avvolgono completamente il velivolo. Dei 248 passeggeri del volo e del personale  non si sa nulla, gli ospedali della città sono in allerta in attesa dei molteplici, si immagina, feriti.”

 

…Lo schianto…

 

…Il  volo…

 

La voce della cronista coprì il rumore di un intero ospedale, ci fu silenzio in un solo istante e la sua pupilla si dilatò in modo innaturale. 

Vide Owen passarsi la mano nei capelli rossi e incominciò a tremare quando l’uomo iniziò a dare ordini per affrontare l’emergenza.

Fece un passo indietro e urtò qualcosa, si sentì immediatamente in trappola, chiusa, costretta e l’aria iniziava ad entrare nei polmoni a fatica. 

Afferrò il corrimano del desk con uno scatto violento cercando di sostenersi per non cadere.

 

Appena Owen aveva finito di organizzare il ps un caos apparente si era impadronito del reparto, specializzandi, strutturati e infermieri come in un meccanismo ben oliato, avevano preparato la strumentazione, i box e i farmaci indispensabili.

I camici di carta gialla erano stati indossati, tutto era pronto e Meredith continuava a dare ordini agli specializzandi, con una voce di una nota più stridula del normale. Il sangue correva nel suo corpo ad una velocità incredibile eccitandole i sensi.

“Preparate le sale ad ogni evenienza, non sappiamo quanti saranno e in che stato.” urlò.

Con gli occhi scorse l’intero Pronto Soccorso e la vide, lì dov’era rimasta sempre dall’annuncio televisivo, aggrappata a quella maledetta scrivania, immobile e pallida come un cencio.

“Robbins!” le grido attirandone finalmente l’attenzione.

Le due si guardarono per un interminabile istante e Meredith seppe che tutto ciò che la sua mente stava ripercorrendo non era solo suo.

 

Arizona si ridestò sentendosi chiamare da lontano, quasi un sussurro, in mezzo a rumori stridenti di lamiere e animali che in quell’attimo le violavano i ricordi. Guardo la Grey trovandola subito in mezzo a tutta quella confusione e come calamite i loro occhi si incatenarono in un grido muto che lasciò spazio al silenzio.

 

…siamo vive…

 

Il suono lontano delle ambulanze azzerò i rumori, tutti i chirurghi si trovarono in fila oltre le porte del Pronto Soccorso, mani alte già inguantate, camici d’emergenza allacciati e adrenalina a mille.

“E’ venuto giù quasi in verticale…dicono.” fece April.

“I pompieri non hanno ancora domato le fiamme, ci saranno ustioni gravi.” aggiunse Jackson.

“Siamo il Centro Traumi più vicino, i casi più gravi arriveranno qui da noi…non appena saremo al limite smisteremo al Presbiterian. Lasciate il triage agli infermieri, visitiamo direttamente i Codice Rosso, gli specializzandi si occuperanno del resto." ordinò Owen mentre si sistemava il camice.

“La Torres dove diavolo è?”continuò e assentì quando Amelia gli ricordò che non era in turno, ma era stata chiamata ed era in arrivo.

Meredith e Arizona erano una affianco all’altra, le sirene si avvicinavano sempre più e uno stato di agitazione misto a confusione gli segnava il volto.

“Ce la fai?” chiese Meredith a denti stretti, Arizona annuì non troppo convinta.

 

Ci fu un attimo in cui le sirene si zittirono per un secondo…un solo secondo di quiete in cui la sua gamba schizzò in mille pezzi e lei sentì un terrore impietoso mangiarsela viva.

Ma era tardi…eccole.

 

La prima ambulanza squarciò tutto, come non ne avesse mai sentita arrivare nessuna.

“Robbins, Wilson alla prima, Grey e Jackson sulla seconda, April sei con me!Amelia, Edwards gestite la seconda ondata.” gridò Owen smistandoli.

Percepì Jo passarle rapidamente di fianco, vide e sentì il portellone dell’ambulanza spalancarsi, i paramedici scendere e scaricare la barella e poi sentì il timpano ferito da urla incredibili.

“Femmina, 13 anni, schiacciamento e perforazione da lamiera alla gamba destra. Morfina in vena, pupille normoreagenti, tachicardica e pressione 70/50.”

“Come ti chiami tesoro?” chiese Jo alla ragazza, che però non smise di urlare ne le rispose.

“Sarah Miller.” parlò per lei il paramedico.

“Sarah sei in ospedale, è tutto finito, ora ci prenderemo noi cura di te! Dottoressa Robbins in box 2!”

Arizona che come in trans aveva seguito la scena e Jo, si risvegliò sentendosi chiamare e deglutendo cercò di non sentire Sarah gridare. Seguì la barella all’interno dell’edificio e con la coda dell’occhio vide Meredith chinarsi di scatto e vomitare l’anima.

 

 

Callie entrò in Pronto Soccorso passando tra le barelle lasciate li dai paramedici e ansimando paurosamente, la prima cosa che  vide fu una sagoma china che per poco non urtò.

“Mer stai bene?” lo sguardo di Callie si schiantò contro quello della Grey facendole gelare il sangue.

Meredith si tirò su chiudendo gli occhi e deglutendo pesantemente “SI” fu le uniche sillabe che riuscì a pronunciare, fredde e inespressive e per questo poco convincenti.

Callie si avvicinò per sorreggerla ma la donna non aveva intenzione di accettare il suo aiuto, così con un mezzo sorriso di default si congedò “Sto bene Torres” .

Mentre la schiena della Grey si allontanava Il caos del pronto soccorso avvolse completamente il chirurgo ortopedico, rumori di sirene, urla di pazienti, pianti dei familiari accorsi li in attesa di notizie.

“Torres!!Ci serve una mano qui!” urlò Avery e Callie corse in suo soccorso infilandosi un camice giallo in fretta e furia e sostituendo Meredith.

“Cos’abbiamo?”

“Uomo, 43 anni. Rottura del bacino e pneumotorace. Bacino stabilizzato in loco.” l’aggiornò il medico.

La Torres osservò assentendo.

“Subito in sala per lo pneumotorace, appena possibile angiografia per scongiurare la lacerazione delle arterie renali. Jackson ci pensi tu?” l’uomo assentì portando via la lettiga.

La donna si guardò intorno abbandonando il box 3 dove aveva appena finito con quell’emergenza, evito un’infermiera che correva in direzione opposta e osservò il Pronto Soccorso per cercare un nuovo paziente.

“Libera!”

Alle sue spalle sentì la voce della sua ex- moglie leggermente instabile e si voltò di scatto vedendola caricare nuovamente le piastre. 

“L’abbiamo ripresa, subito in sala operatoria!Ho bisogno di un ortopedico, dov’è Callie cazzo!!”

“Sono qui Arizona.”

Era al suo fianco, la vide sopra le righe, la sentì poco distaccata, non professionale, le bastò ascoltarne il tono di voce per rendersi conto che non era un paziente fra tanti e quando vide di che trauma si trattava sbiancò.

E già sapeva, non appena dall’ospedale l’avevano richiamata descrivendole che tipo di emergenza fosse, che quel giorno per alcuni di loro sarebbe stato rivivere un incubo…anche per lei.

Ma Arizona e Meredith…Arizona cosa avrebbe percepito?Arizona come stava?Arizona…

“Arizona…”

“Callie le dobbiamo salvare la gamba, la sala è pronta, ti aggiornerò salendo.”

 

Le due donne entrano in ascensore entrambe in un  silenzio tombale, ognuna dal proprio lato della barella con il ticchettio del monitor a scandire i secondi. 

Arizona guardava dritto davanti a se stringendo con la mano la fredda sponda della lettiga.

“Sarah Miller 13 anni una lamiera le ha causato un estesa lesione della gamba dx con interessamento dei vasi, trattata con morfina ma ha avuto un arresto cardiaco a causa dello shock emorragico. Ora è stabile, devo solo salvarle la gamba.” la bionda parlo senza respirare, sputando fuori le parole con un tono di una nota più alta del normale, muovendo il capo nervosamente, senza mai guardare quella che una volta era stata sua moglie. 

Callie strinse le labbra annuendo, voleva poterle dire qualcosa ma le parole le morirono in gola.

In fondo cosa si può dire in situazioni come queste? Niente. E così fece. 

Le porte dell’ascensore si aprirono e fu allora che la mora finalmente si pronunciò.

“Non sappiamo da quanto tempo è esposta la ferita, ne quanto sangue abbia perso, ne tanto meno se i tessuti siano già danneggiati.” ma mentre spingevano la barella con il sopraggiungere degli infermieri di sala operatoria si resa conto che la donna non la stava ascoltando, persa in un ricordo che non le apparteneva se non nell’immaginario irreale di chi non ha conosciuto ma ha ipotizzato.

“La sala è pronta Dottoressa quando vuole” la voce di Ben le colpi alle spalle ma nessuna delle due gli rispose. 

“Arizona hai capito cosa ho detto?” la voce di Callie risuonò nella saletta mentre la bionda si lavava nevroticamente. 

“Arizona?” 

Finalmente si girò guardandola diritto negli occhi.

Il colore azzurro era opaco e per quanto si convincesse che fosse colpa della poca luce Callie sapeva di averla persa, non come era già accaduto, non persa in quanto moglie, persa in quanto persona.

La dottoressa Robbins non era più li era altrove e lei non c’era. 

“Ti ho ascoltata Callie, ma è una ragazzina, ha 13 anni. Devo…dobbiamo salvargli la gamba.” 

Il suono delle sue parole completamente asettiche e gelide fecero rabbrividire Callie. 

“Arizona faremo del nostro meglio, ma sai benissimo che…” 

“Sono un medico anche io quindi lo so.” la interruppe questa volta con una voce più viva e quindi più rassicurante.

“Ora entriamo li dentro e aiutiamo quella ragazzina, devo farlo!” 

Il rumore dell’acqua che scendeva gelida accompagnato dallo sfregare della spugna che scivolava dai polsi ai gomiti, era tutto ciò che risuonava.

Arizona la fissava e questa volta guardandola davvero, Callie le si avvicinò tanto quanto bastava.

“Faremo il possibile, ok? Te lo prometto.” 

Le parole uscirono dalla bocca della mora causando un onda d’urto invisibile che spinse Arizona ad indietreggiare e trattenere il fiato, il suo sguardo divenne instabile e i denti si serrano.

“Non lo fare…non sei mai stata brava a mantenere le promesse.” vomitò fuori il più crudele dei pensieri e gli diede la forma di una lama. 

“Sono pronta.” disse entrando in camera operatoria e lasciando Calllie immobile dietro di sé.

 

In una sala operatoria ci sono una miriade di rumori, il crepitio dei camici, il tintinnio dei ferri, lo sfarfallio delle macchine di sala, il suono scandito e elettrico dei monitor e una schiera ben fornita di piccoli fruscii caratteristici.

Il silenzio è inarrivabile.

Non è possibile giungere ad un’assenza di suono e a volte l’insieme di tutti questi rumori si alza come un’onda e ti travolge come fosse un frastuono clamoroso.

Sconfiggere questo frastuono è per molti chirurghi il quid di concentrazione, l’alfa di una buona operazione, da lì la mente prende spazio e supera il rumore fissando obbiettivo e strategia.

Per questo nelle sale si parla, la voce è un buon contrasto, di tutto e di niente, del segmento chirurgico appena eseguito, della prossima mossa.

Si parla per uccidere il frastuono.

La sala della Dottoressa Torres e della Dottoressa Robbins quel giorno era dominata dal frastuono meccanico.

Il clamore a volte può essere uguale al silenzio più sordo, può renderti solo nella moltitudine, può crearti pesce nei fondali oceanici, può privarti di qualcosa senza che tu te ne renda conto.

Le due donne si ostinavano a rimanere in silenzio, le loro voci si alzavano solo per chiedere gli strumenti essenziali, ma le comunicazioni erano ridotte all’osso.

Baki, l’infermiera ferrista più anziana e più affidabile dell’ospedale che sapeva indovinare ogni ferro preferito richiesto a seconda di chi stesse operando, tossì insistentemente facendo voltare Callie e indicandole con lo sguardo il movimento ondulatorio che Arizona impercettibilmente manteneva.

La mora inclinò leggermente la testa, la sua ex-moglie stava spostando il peso da gamba a gamba, in un dondolio infinitesimale che però a Baki non era sfuggito.

“Ti fa male?” chiese mantenendo la voce fredda, le era costato parecchio parlare per prima.

La bionda alzò lo sguardo non capendo e quando si rese conto del dondolio lo fermò all’istante.

“No…non è nulla è sopportabile.”

“Se vuoi sederti continuo io.”

“Non se ne parla.”

“Arizona…”

“Dottoressa Torres so benissimo quali sono i miei limiti e questo non lo è.”

Arizona si rese conto di aver alzato la voce e si morse un labbro, non era il caso, non era giusto. Callie si era fermata un attimo, con i ferri ben fermi nelle mani, immersi nella carne della ragazzina, aveva visto gli occhi sfilare in due fessure e le tempie stringersi per poi rilassarsi, la reazione sarebbe stata molto dura lo sapeva.

Ma non arrivo.

Gli occhi di Callie tornarono limpidi e grandi, con qualcosa dietro l’iride, un dolore appena accennato, conosciuto che la bionda non riusciva ad intuire, poi Callie aveva alzato la testa e l’aveva guardata e Arizona aveva perso la terra sotto i piedi.

Veloce aveva guardato il campo operatorio che Callie le aveva divaricato con i ferri, aveva visto i legamenti e i tendini irrimediabilmente squarciati dalla lamiera, aveva visto il tessuto necrotico mangiare la carne di Sarah Miller, il danno era irreparabile.

Callie allentò la presa sui ferri e sospirò vistosamente.

“Baki preparate la sala per un’amp…”

“No!Aspetta…” aveva sussurrato Arizona con il terrore nella voce.

“La sezione necrotica è ridotta, possiamo recuperare la vascolarizzazione dei tessuti.” questa volta il tono di voce era più corposo ma in maniera fittizia, le sue parole suonavano prive di convinzione, perchè in fondo tutti in quella sala sapevano che non c’era una soluzione. 

Eppure Ariziona era arenata, ferma e immobile su qualcosa che razionalmente sapeva ma che emotivamente rifiutava. 

E mentre fissava un punto lontano si vide, la dottoressa Robbins vide se stessa su quel freddo tavolo operatorio e vide la sala trasformarsi in lamiere e stridore. 

Il respiro le si blocco  in gola e dovette deglutire pesantemente e chiudere gli occhi per allontanare quell’immagine. 

Non era lei, non lo era. 

Eppure ripeterlo non lo rendeva reale, ma solo più freddo e lancinante…come il dolore fantasma. 

“Arizona, non possiamo fare più niente. Lo vedi anche tu.” la voce di Callie la destò, ma non voleva ascoltarla, non poteva.

“Certo che possiamo!” alzò gli occhi al cielo mentre cominciava nuovamente a distribuire il peso del suo corpo, improvvisamente divenuto un macigno.

“Un innesto tendineo! Si, è l’ideale.”  

A quelle parole Callie scosse la testa non dando suono al quel “No” che le moriva in gola. 

Arizona si guardò intorno mentre tutto il personale di sala operatoria spostò lo sguardo altrove, dove gli occhi del medico non potevano arrivare.

“Cosa c’è? E’ perfetto! Un innesto tendineo e possiamo darle una speranza!”

Questa volta Callie non poté tacere. Tutti lo sapevano.

“Arizona stai scherzando? Non le diamo una speranza ma dolore. Diamo dolore ad una ragazzina di 13 anni. Una vita d’inferno. Nessuna riabilitazione potrà ripristinare il danno. Ma soprattutto un innesto è fuori discussione. In fase di crescita è un’ assurdità si strapperebbe in poco tempo. Come diavolo ti è venuto in mente!” La voce della dottoressa Torres tuonò in sala con la forza di chi non può più assecondare un dolore alimentato nuovamente. 

Ma Arizona continuava a non ascoltarla persa chissà dove, con lo sguardo fisso sul bisturi che iniziò a vacillare. Nessuno poteva vederlo, ma lei lo sentiva, il tremore interiore che iniziavano ad informicolire le mani.  

“Arizona?” l’ennesimo richiamò di Callie e l’ennesima assenza della bionda, spinsero la Torres a fare quello che qualsiasi altro chirurgo avrebbe già fatto. 

“Amputiamo. Lama 10.”

La presa salda dello strumento metallico, l’ultimo sguardo ad Arizona. 

Callie era pronta, stava per tracciare una linea forse definitiva. 

La mano della Torres stava riducendo la distanza, la lama poggiata appena sulla cute, un accenno di sangue e il confine stava per essere superato. 

C’è un attimo in cui i rumori di sala operatoria si annichiliscono, è un attimo di apnea, di sospensione nello spazio, un attimo immutabile e ogni volta diverso. 

Adrenalina, terrore, risoluzione, vita e morte. 

La mano di Arizona scosse innaturalmente quella di Callie, la presa si allentò e il rumore del bisturi sul pavimento risuonò prima acuto e poi sempre più lieve, fino ad assopirsi totalmente.

La linea era stata tracciata. 

 

 

L’orgoglio è una lama a doppio taglio, figlio della rabbia e amante del coraggio, chi cavalca su questo filo è destinato a grandi cose, ma non necessariamente luminose.

Un fiammifero che si accende nel buio, odore di zolfo, come un innesco improvviso che fa divampare l’onda di fuoco.

Gli occhi di Callie e Arizona erano sul bisturi, a terra, lentamente si cercarono e trovarono e se la colpa improvvisa e consapevole era in quelli della bionda, quelli dell’altra erano pozzi di pece ardenti.

Calamite nere.

Quando un’emozione ci investe in tutta la sua potenza, si tesse una tela intricata di schegge fatte di ricordi, pugni allo stomaco, lacrime e risate, principi e limiti.

E Callie si trovò a fronteggiare il suo orgoglio di chirurgo, quello di donna messo in dubbio da chi le era stato accanto per anni e la rabbia la corrose correndo su un giro della morte ripidissimo, risalendo un gesto, quello di Arizona, che non significava nulla e tutto, che frantumava convenzioni e status, sgretolava le fondamenta del rispetto tra colleghi e le sbatteva in faccia di nuovo sua moglie straziata e mancante.

La bionda dal canto suo era pietrificata, incredula lei per prima, colpevole e terrorizzata, Callie l’avrebbe distrutta, perchè lei stessa sapeva che quella paziente non avrebbe nemmeno dovuta toccarla dall’inizio, lei sapeva che tutta quella situazione era un tiro crudele e beffardo del destino che l’aveva destabilizzata e colpita al cuore più ancora di quanto ammettesse.

E quel gesto, quel gesto era l’ultima goccia per la mora…aveva ragione e ora la guardava annichilita e in attesa che Callie colpisse.

Fu quello sguardo a rallentare l’ira, a spezzare le gambe all’orgoglio, fu uno sguardo ferito e pronto a soccombere al prossimo colpo…per quello sguardo Callie chiuse gli occhi e ferma scandì poche parole.

“Fuori dalla mia sala.”

Stilettate di fuoco e Arizona nonostante si aspettasse di peggio abbassò il capo ed uscì, sentendo alle sue spalle l’altra chiedere una nuova lama, tutto il suo corpo si sgretolò riprovando tutto da capo.

 

L’operazione proseguì senza intoppi. Con meticolosità e precisione assoluta Callie incise prima i tessuti molli fino a raggiungere l’osso. Il rumore della sega che lo tranciava da parte a parte riecheggiò coprendo ogni altro suono. I denti serrati in una morsa, le mandibole contratte, le braccia intorpidite dalla fatica. Era tutto finito, Callie respiro pesantemente incamerando quanta più aria possibile e sebbene cercasse di dare la colpa alla fatica appena compiuta sapeva bene che tutto quello che stava provando era pura rabbia. 

Quando il corpo viene colpito da un trauma la reazione principale è la sopravvivenza, la selezione di ciò che è può sopravvivere e di ciò che invece viene lasciato alla morte. Il nostro corpo da il via ad un tirare crudele, seleziona, valuta, decide e taglia. La circolazione si riduce per garantire la sopravvivenza dei pilastri: cuore, cervello, reni. Le periferie vengo lasciate alla deriva. Viene attuata una scelta, la vita per la morte. Quando una parte del nostro corpo è destinata al disfacimento cellulare, non possiamo fare altro che rimuoverla.  Callie avrebbe voluto essere capace di strappare via la parte morta di Arizona, tagliarla di netto con precisione chirurgica  e buttarla via. Avrebbe voluto essere in grado di farlo. Ma non funziona così nella vita. La fisiologia è un meccanismo perfetto, noi no. Noi lasciamo che il marcio si propaghi, lasciamo vivere la morte.

Callie sospirò ancora una volta mentre strappa via il camice, sembrava quasi si togliesse di dosso il più pesante dei fardelli. 

“Ben occupati del post operatorio e chiamami quando si sveglia.” le parole della dottoressa Torres scivolarono dietro di lei mentre usciva dalla camera per rifugiarsi nella stanza di fianco. 

Buttò fuori l’aria a piccole dosi, lasciò che la schiena si poggiasse contro al muro per sostenersi e poi si coprì il viso per trattenere le lacrime. Gli occhi le bruciavano fino a fare male, aveva tagliato la gamba di una ragazzina e sebbene ciò fosse successo altre volte, sapeva che questa volta era diverso, perchè aveva deciso nuovamente cosa salvare e cosa no. Sentiva ancora una volta il peso di una colpa che non le era mai appartenuta ma che nonostante ciò le calzava come il migliore dei vestiti.

Era ingiusto e si sentiva fragile, ancora una volta marginale ma dolorante, lei subiva, lei doveva tacere, supportare, capire.

Ma non era più come prima, aveva rifiutato anche quell’autoflagellazione mandando a puttane il loro matrimonio, pagando un prezzo incredibilmente alto e no non avrebbe permesso di nuovo a quel vortice di distruggerla.

Non era più il suo ruolo, non era più lei a dover “restare”, per quanto la sua anima la supplicasse di farlo ancora…per Arizona.

Già Arizona…il punto dove l’aveva colpita, lì sulla mano frizzava d’ira e dietro più in profondità, dove la bionda affondava da anni la sua lama migliore bruciava orrendamente.

Si Arizona l’aveva fatto ancora e lei, ora non poteva dare più alcun dazio.

Si asciugò il viso con la manica, serrò la mascella e uscì di scatto dalla stanza sbattendo la porta.

Basta.

Doveva trovarla e ancora una volta urlare per non piangere, doveva spingere “loro” ancora più in basso, doveva renderla incapace di colpirla ancora.

Quando una persona va via dovrebbe trascinare con se tutto quanto, anche i ricordi. Soprattutto i ricordi.

Ma non era così…capiva suo malgrado tutto.

Lo respinse, costringendosi a non passare sopra anche a questo, a non amare Arizona più di se stessa, di nuovo.

 

I corridoi dell’ospedale si annebbiarono mentre la cercava, non rispose a Owen incontrandolo davanti agli ascensori che le chiedeva che succedesse, schivò per un pelo Miranda che usciva da una camera di degenza e spintonò involontariamente una lettiga.

La rabbia cresceva proporzionalmente al tempo impiegato per trovare la bionda, ma dov’era?Era colpa sua, totalmente, tutto quanto.

Vide qualcosa con la coda dell’occhio, forse l’aveva immaginato, una porta, un fruscio.

Si fermò davanti ad uno dei magazzini di materiali sanitari del terzo piano, aveva il fiato corto, spalancò la porta e la vide, di spalle.

“Come cazzo ti sei permessa?Come cazzo hai potuto solo pensare di togliermi il bisturi nella mia sala operatoria Robbins??!!”

La sua voce era alta, pericolosamente alta, vide la bionda stringersi nella spalle e tremare, ma non si voltò a guardarla e questo fece schizzare la sua rabbia alle stelle.

“Non me ne frega un cazzo dei tuoi buchi esistenziali, non me ne frega niente se non hai più la gamba!L’ho pagata cara già una volta, ma ora basta!” esagerò.

“Non hai nessun diritto di farmi questo ancora, non siamo più niente!Non sei niente per me!Toccami un’altra volta in sala e passerai i cinque minuti più brutti della tua vita!” vide Arizona scuotere la testa tremando sempre più vistosamente, la sentì ansimare, ma ancora non si voltò.

“Porca troia guardami in faccia questo me lo devi!” urlò ancora più forte allungando il braccio e strattonandola per farla voltare.

Vuoto.

Tachicardia.

Grida.

 

Panico.

 

PTSD.

 

Arizona piangeva gridando, battendole i pugni sul petto che senza alcuna esitazione l’aveva accolta, la teneva con difficoltà ma con grande attenzione per evitare si facesse male.

Il suo cuore batteva velocissimo, sorpreso e spaventato, la sua mente non riusciva a connettere un pensiero lineare, perchè era Arizona a star male e ancora una volta lei c’era e voleva restare.

La rabbia era sparita e l’impotenza di quella situazione la teneva ostaggio di un senso di colpa immotivato.

Urlava, continuava ad urlare e le lacrime scendevano copiose e amare, Arizona non si fermava e lei…lei si sentiva inutile.

 

Il fumo, il fumo si estendeva nella sua testa offuscandone ogni pensiero. Tutto era divenuto lontano, opaco, sbiadito. Non c’era più niente di delineato, ogni pensiero che si affacciava nella sua mente era distorto da sensazioni confuse, ogni singolo pensiero era qualcosa di lontano ma di conosciuto. Ricordi. Ecco cos’erano i ricordi assopiti negli angoli più reconditi stavano venendo allo scoperto chiedendo il conto forzando contro le pareti della ragione e della razionalità. Eppure non erano immagini ma solo odore di fumo, rumore di lamiere , di pianto e poi il dolore che vivido e reale più che mai si estendeva ricostruendo un pezzo che ormai non c’era più. 

Il fiato divenne corto quasi inesistente, ogni boccata d’aria era una pugnalata al metto.

Il cuore lo sentiva pulsare in ogni fibra del suo corpo con ritmo ingravescente fino alle tempie. 

Il cervello chiuso in una morsa, schiacciato dall’interno pronto ad implodere. 

I ricordi che prendono forma un pezzo alla volta, a tappe, a brandelli mentre  sopravvissuti cominciano ad essere reali e l’indicibile trova un modo per essere trasmesso.

E poi la paura che scivola concentrandosi nelle meni e svuotando ogni altra parte del corpo. I pugni serrati contro Callie che restava li ferma davanti a quel dolore, se lo lasciava vomitare addosso, lo tratteneva per snaturarlo.

Poi i colpi si attutirono, la forza si affievolì e i due pugni serrati si sciolsero e le mani di Arizona si fermarono sul petto di Callie che a ritmo incalzante si riempiva d’aria e di paura. E poi l’abbracciò, la stringe con tutta la forza che possedeva fino a quando le braccia reggevano.  E mentre l’abbracciava, vomitando fuori tutta la paura e la rabbia che aveva dentro Arizona fu nuda.

Poi i due respiri si normalizzarono, Arizona alzò appena la testa fino ad incrociare lo sguardo di Callie.

 

Le parole che si dicono con gli occhi, con le mani, con gli abbracci, con la pelle, sono le migliori che si possano dire. E le migliori che si possano ascoltare.

 

E Callie voleva solo fermare quel dolore del tutto, voleva non essere più impotente, voleva ammettere a se stessa che la rabbia passa, ma l’amore no.

Perché lei voleva restare.

Perché lei voleva che Arizona restasse.

 

Prendersi cura di qualcun altro è l’avventura più faticosa e dolorante che esista…ma viverla ti cambia l’esistenza.

 

Arizona lo sapeva.

Callie anche.

 

E quel bacio fu dolce e caldo, un bacio colmo di significati antichi e nuovi…l’anima di entrambe andata in pezzi pochi mesi prima, tornò intera.

 

Basta prendersi cura di noi…e lasciarsi cadere in un bacio, la paura verrà poi, verrà dopo e l’affronteremo.

 

 

 

 

 

  
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