Questa è una fanfic
semplice e senza pretese, scritta in pochissimo tempo, un regalino che avevo
scritto mesi fa per il compleanno del mio caro Albion-sama^^
Non aspettatevi chissà che,
grandi imprese, grandi eventi… una minuscola oneshot nella quale non succede
niente, un episodio di vita quotidiana ai tempi dell’addestramento^^
I personaggi, a parte Shun,
Redha, Albion e June che sono originali dell’anime, sono nati dai miei sogni e
per conoscerli meglio vi rimando alla mia fanfic “ La via delle stelle” che
aggiornerò prossimamente^*^
I DISPETTOSI
FOLLETTI DELL’ISOLA DI ANDROMEDA
“Allora, avete finito?”
La bambina bionda saltellava impaziente alle spalle
della sorellina e del suo piccolo amico, impegnati a tracciare misteriose linee
su un foglio di carta rimediato per puro miracolo tra le cianfrusaglie che
Heather e Shun amavano ammassare al fine di assecondare la propria vena
artistica in quel luogo sperduto che, il più delle volte, rendeva impossibile
farlo.
“Un attimo” protestò Heather “devo fare le
sfumature ai capelli, non voglio che resti male proprio questa parte dopo il
bellissimo lavoro che ha fatto Shun.”
Il bimbo accanto a lei arrossì vistosamente e si
spostò un poco per lasciare che l’amichetta completasse la propria opera.
I ragazzini si trovavano tutti insieme nel largo
spiazzo dove di solito si svolgeva l’addestramento; si erano alzati prima,
quella mattina, per portare a compimento il proprio piano. Il maestro Albion
solitamente bussava a ciascun alloggio per svegliarli, ma per una volta non
avrebbe trovato nessuno all’interno delle rudimentali abitazioni di pietra e
paglia.
Proprio tutti avevano accettato di partecipare a
quel progetto, anche i bulletti dispettosi o coloro che di solito se ne stavano
isolati dagli altri, ma il maestro era amato da ognuno di loro,
indistintamente, non importava quanto nobile fosse il cuore di ogni ragazzo,
era Albion stesso a nutrirli tutti con la sua nobiltà alla quale nessuno sapeva
opporre resistenza.
“A che punto siete?” strillò He-Lush-Ka, il piccolo
pellerossa che, fino a quel momento, era rimasto a fare da sentinella in un
punto strategico.
“Perché?! Sta arrivando?” lo interrogò June,
ansiosa.
“No” rispose il ragazzino, scuotendo la chioma
rossiccia e piegandosi con le mani sulle ginocchia per sbirciare, nel
frattempo, il lavoretto che le manine di Shun ed Heather stavano
definitivamente portando a termine “Però non credo manchi molto ormai… oh… è
davvero bello, complimenti, che artisti!”
“Hai lasciato il tuo nascondiglio!” lo rimproverò
June, con la voce scandalizzata resa metallica dalla maschera grigia che le
copriva il volto.
Il ragazzino rosso si strinse nelle spalle:
“Raul è rimasto là…”
“E se si addormenta? Lo sai che fa sempre molta
fatica a svegliarsi al mattino, torna immediatamente da lui!”
Sbuffando ma non provando neanche a mettersi a
discutere con la prepotente compagna che si divertiva a fare da mammina a tutti sull’isola, il ragazzino
tornò sui propri passi, non prima di aver arruffato con tenerezza la chioma di
Shun, che rifletteva la carezza dell’alba accendendosi di tutti i riflessi
dell’oro e del rosso.
***
“Ma che diavolo sta succedendo?” mormorarono le
labbra del giovane biondo che vagava da un capanno all’altro, bussando e
chiamando, senza ottenere alcuna risposta.
All’ennesimo silenzio, dopo che ebbe bussato alla
finestra di June ed Heather, si decise ad accostarsi alla porta e a spalancarla
con decisione, ben disposto a scrollare le due dormienti con la voce grossa, ma
rimase con la frase a mezz’aria nel trovarsi di fronte a due letti vuoti e
sfatti.
Uscì di corsa dal capanno e si recò a quello più
vicino, trovandovi lo stesso scenario di abbandono, così come in quelli
successivi che aprì uno ad uno.
Quindi si fermò, portando una mano a carezzarsi la
nuca, immergendosi in bizzarre riflessioni:
“O è successo qualcosa, o mi stanno giocando uno
scherzo… e ovviamente inizieremo tardi l’addestramento.”
Dopo qualche istante cominciò a camminare, a passo
deciso, preparando mentalmente la ramanzina che avrebbe dovuto rivolgere a quei
monelli dei suoi allievi, qualunque cosa stessero complottando.
***
“Arriva arriva arriva!”
Il minuscolo filippino dai capelli neri balzava
sulle rocce in direzione del gruppetto raccolto intorno all’opera ormai
completata, mentre He-Lush-Ka correva alle sue spalle. Le sue gambe erano molto
più lunghe ed agili, ma voleva che l’amichetto avesse il piacere di portare a
termine quel compito che aveva preso tanto seriamente, così lasciava che fosse
lui a guidarlo lungo la strada pietrosa. Poi Raul inciampò e precipitò da una
roccia, qualche centimetro più in basso, non un volo troppo alto, ma
sicuramente umiliante per il piccolo dell’isola che venne immediatamente
raggiunto dalle risate di scherno di coloro che lo prendevano sempre di mira.
He-Lush-Ka si affrettò ad accorrere al suo fianco
per raccattare il corpicino offeso più moralmente che fisicamente e anche Shun
li raggiunse nel giro di pochi secondi: entrambi riuscirono a prevenire ogni
esplosione di pianto, mentre altri amici rivolgevano occhiatacce di ammonimento
ai colpevoli della presa in giro.
In ogni modo la giornata doveva essere davvero
speciale, perché le acque si calmarono abbastanza in fretta e fu Redha, la cui
adorazione nei confronti di Albion era proverbiale, a spronare tutti i ragazzi
perché si muovessero.
Ordinati e veloci come mai erano stati, diversi
gruppetti di ragazzini dalle età più svariate sfrecciarono in diverse
direzioni, fino a scomparire tra le rocce, come se si fossero volatilizzati.
Solo June si attardava, per attaccare il foglio misterioso, con l’aiuto di un
piccolo chiodo e di una pietra che usò come martello, alla roccia piatta sulla
quale Albion era solito posizionarsi per seguire gli allenamenti da una
posizione elevata.
Non appena fu soddisfatta della propria opera,
saltellò via lasciando lo spiazzo completamente deserto.
***
Albion si fermò al centro dell’arena naturale dove
era solito dirigere gli addestramenti dei suoi allievi; deserto… non volava una
mosca ed ovviamente il caldo era già insopportabile benché fosse da poco
passato il momento dell’alba.
“Dovevo aspettarmi che non li avrei trovati qui”
disse tra sé “figuriamoci se hanno avuto la bella pensata di venire ad
allenarsi in anticipo.”
Un fruscio attirò la sua attenzione; un raro refolo
di vento marino aveva fatto svolazzare l’angolo di un foglio appeso un po’
maldestramente al suo seggio di pietra; sollevò le sopracciglia e, in preda
alla perplessità, si diresse verso quella strana presenza. Quando poté vedere
meglio cos’era rappresentato sopra a quel pezzo di carta, la sua espressione
attraversò tutte le gradazioni possibili dallo stupore, allo sconcerto, al puro
divertimento, alla commozione infinita.
Lo prese tra le dita tremanti: si trattava di un
suo ritratto, abbozzato da mani infantili ma piuttosto abili, sia nel tratto
che nel colore. Si sentì improvvisamente felice di avere regalato ai suoi
allievi una scatola di matite colorate giunta un giorno, su una nave, dalla
Grecia: egli stesso l’aveva chiesta espressamente, dopo essersi reso conto di
quanto Heather e Shun amassero disegnare, e non se ne era mai pentito. Ma in
quel momento la sua felicità raggiunse il culmine, non avrebbe davvero mai pensato
che i suoi allievi lo amassero a tal punto.
Non vi era infatti solo il disegno su quel foglio
ma tante, piccole frasi, a volte dolci, a volte spiritose, a volte timide,
qualcuna un po’ chiusa, altre grezze e non propriamente corrette e ognuna era
accompagnata dalla firma del suo autore. Non mancava nessuno, tutti quanti
erano riusciti a stringersi e, per una volta, ad essere amici, uniti, a
lasciarsi posto l’uno con l’altro in quel piccolo, piccolissimo spazio. Una
lacrima scese lungo la sua guancia, un po’ per gioia, ma anche per un sentore
di malinconia, perché avrebbe desiderato ardentemente che quell’armonia che
erano riusciti ad infondere nel regalo, in nome dell’affetto che provavano nei
suoi confronti, regnasse sempre tra di loro in tal modo.
Si sforzò di cacciare, per una volta, i cattivi
pensieri e si erse, imponente, guardandosi intorno e tuonando, con voce che
comunque non riuscì a rendere del tutto ferma:
“Avanti, piccoli lavativi! So che siete qui, venite
fuori!”
Non faceva paura quell’ordine, la frase venne
pronunciata in modo da lasciar trasparire un messaggio molto più tenero.
La prima a spuntare fu la testolina dorata di June,
con quella maschera sul volto che impediva a chiunque di scorgere ciò che
provava, ma Albion lo comprendeva ugualmente benissimo.
Subito dopo, uno ad uno, come tanti folletti
curiosi, sbucarono da ogni roccia ed anfratto tanti visetti, tutti diversi,
tutti ugualmente graditi al giovane che li attendeva e che per tutti aveva uno
sguardo d’amore.
Quello sguardo lo lasciò correre in ogni direzione,
riconoscendoli uno ad uno, contandoli, per rendersi conto che nessuno mancasse
all’appello.
Pian piano i folletti lasciarono i propri
nascondigli di pietra e strisciarono allo scoperto, lenti, timidi, le guance di
alcuni arrossate, non a causa del sole una volta tanto.
Albion sorrise e, con un cenno d’intesa, allargò le
proprie braccia accoglienti.
Negli istanti successivi, un nugolo di urlanti
creaturine estasiate accolse quel muto invito e il maestro gentile li strinse
tutti a sé, lasciando che lacrime paterne bagnassero il suo viso abbronzato.
Non ci sarebbe stata lezione quel giorno: lui voleva essere un padre e i suoi
bambini avrebbero giocato, felici, con lui, sotto il sole di Andromeda che
improvvisamente appariva più dolce, carezzevole, di quanto mai fosse stato.