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Autore: solomonty    28/03/2015    1 recensioni
C’è dolore e dolore.
Il suo va oltre e non si può lenire.
È quello dell’anima.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Marty Deeks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Puro dolore
 
Quando abbassa la cornetta, Marty Deeks guarda uno per volta i colleghi: deve aver alzato la voce perché lo stanno fissando piuttosto incuriositi.
Piega le labbra all’insù nel più finto dei sorrisi, si alza dalla sedia e fa un paio di passi nel piccolo corridoio tra le due scrivanie.
“Tutto a posto?” chiede Kensi e lui muove la mano come a sdrammatizzare.
“Tutto a posto” risponde e tira dritto verso la scrivania di Hetty.
Le spiega che ha un’urgenza e chiede se può andare a risolverla.
La piccola e letale ninja chupacabra ci pensa un attimo, poi gli dice di sì.
Marty fa per scendere dal gradino e lei lo ferma.
“La vedo preoccupato; tutto a posto?” s’informa.
Non è facile mentirle, quasi impossibile, ma lui ci prova lo stesso; annuisce e sorride; “sì sì, è solo un contrattempo fastidioso.”
Hetty Lange gli fa un gesto svelto: è libero di andare.
Gli occhi dei suoi colleghi sono ancora su di lui, quando si avvicina alla sua postazione. Tira su da per terra la borsa, gira la tracolla sulla testa e se l’appoggia alla spalla; “c’è un problema al mio condominio” butta lì sorridendo.
“Monty ha allagato il tuo appartamento?”
“Avrà lasciato lo stereo acceso…”
“O le sue amichette spogliarelliste si saranno azzuffate!”
Di nuovo passa tra le scrivanie, ciondolando la testa.
“Sì, una cosa del genere” li rassicura e per essere più convincente scoppia a ridere.
Torna immediatamente serio appena volta le spalle a quelle battute e si chiede per quanto tempo ancora riuscirà a giustificare quell’ironia sfiancante.
“ShaggyShow… per servirvi” sibila mentre sale in auto.
 
Resta seduto nella Chevy a sbuffare. Fa no con la testa, per niente contento.
Maledizione, la giornata era iniziata così bene! Quando alle sette la radiosveglia si era accesa aveva invaso la stanza di un rock melodico che gli aveva fatto fare le smorfie. Strano, quella stazione ci andava giù forte con l’hard rock; l’aveva scelta per quello: così si sarebbe svegliato per forza, senza tergiversare.
Dopo venti minuti era già in spiaggia, con Monty, a fare surf. Faceva un freddo cane, piovigginava e tirava vento; questo aveva scoraggiato un po’ di gente e Marty, felicissimo, si era goduto il mare tutto per sé.
Era arrivato in ufficio puntuale e la giornata aveva cominciato presto a scricchiolare. Cavolo, la pericolosa questione di sicurezza nazionale, che i suoi colleghi avevano puntigliosamente affrontato, era il perché lui preferisse il cappuccino al latte scremato alle nocciole piuttosto che il caffè nero. Davvero un grosso guaio, data l’attenzione che gli agenti speciali avevano dimostrato! E Marty, come tutte le mattine, si era costretto ad abbozzare sorrisi da cartone animato: quello era il suo ruolo e lui mai avrebbe disatteso così alte aspettative.
La giornata era proseguita interminabile e noiosa; preferiva uscire in missione che restare al tavolo a sistemare le scartoffie!
Quando era arrivata quella maledetta telefonata il suo turno stava quasi per finire.
 
Picchietta con le dita sul volante poi, innervosito, gli sbatte contro la mano aperta.
Scende dall’auto che è passato un quarto d’ora e attraversa la strada. “Giornata di merda” mugugna e, saliti quattro gradini, entra al distretto.
Si affaccia nell’ufficio del tenente Bates e si scambiano un’occhiata.
“Sembra che tu debba andare dal dentista” lo prende in giro.
Marty si gratta la testa; “no no, ho una dentista bella e piena di curve… è sempre un piacere, per me, andarla a trovare!”
Restano in silenzio per qualche secondo poi, l’uomo più giovane sospira; “dov’è?” chiede con disappunto.
“Sala interrogatori 2; ha insistito, ha detto che altrimenti ti avrebbe fatto chiamare dal suo avvocato” spiega il Capo.
“Va bene, non c’è problema.” Mente ancora, Marty, e ha quasi perso il conto di quante volte l’ha fatto, oggi.
Sta per sparire dietro la porta quando il tenente Bates richiama la sua attenzione.
“Tutto a posto?” chiede anche lui.
“Tutto a posto” conferma il detective pensando che «tutto a posto?» può essere scelta come la domanda settimanale preferita dagli americani.
“E tagliati quei capelli” gli grida dietro il tenente.
Per reazione Martin se li scompiglia tutti e controvoglia porta i propri piedi in fondo al corridoio e gira a sinistra.
 
Passa un dito sulla targhetta con su scritto Sala Interrogatori 2 che campeggia sulla porta; muove freneticamente le gambe con i piedi piantati per terra e manda giù il nulla nella gola asciutta.
Riesce a ritrovare padronanza di sé: smette di muoversi, sbuffa aria dal naso e apre la porta.
Serra la mascella perché proprio non gli va di stare lì né di guardare la persona che ha di fronte e quando la serratura scatta al chiudersi della porta, tutta la sua sicurezza svanisce in un lampo e si sente perso.
Sono anni che non prova quell’angoscia: una sensazione orribile di freddo assoluto, di solitudine totale, di dolore incommensurabile.
Ha ancora vivido il ricordo del male che quella persona gli ha fatto e averla così vicina gli fa montare una rabbia che a fatica riesce a controllare.
“Santo cielo, sei bellissimo” si sente dire.
“Cosa vuoi?” chiede con la voce più atona che abbia mai emesso.
“Lo sapevo che saresti stato uno spettacolo ma, santoddio, tu sei pirotecnico!”
Marty Deeks si passa le dita a stropicciarsi gli occhi.
“Non perdere tempo, cosa vuoi?” chiede ancora, con la pazienza al limite.
“Dopo tutti questi anni sei ancora così pieno di livore; perché non cerchi di essere un po’ gentile, Marty?” il suo tono ha un sottofondo di durezza.
 
Gli si accappona la pelle nel percepire quell’intenzione malevola; la persona seduta di fronte a lui non è cambiata per niente e gli basta questo per sentire legittimati i sentimenti negativi che prova.
“D’accordo… cosa ci faccio qui, Rachel?” anche lui non maschera durezza nella voce.
Lei balza in piedi dalla sedia, stupita e arrabbiata.
“Rachel? È così che ti rivolgi a tua madre?” ringhia offesa.
Lui fa spallucce e s'infila le mani in tasca.
“Non so immaginare in quale altro modo potrei chiamarti, Rachel” le dice calmo rimarcando il nome.
“Mamma mamma mamma… ecco come” gli grida contro.
“Avermi partorito non ti da prerogative su di me” quel modo di parlare così calmo gli dà forza e la toglie a lei.
Rachel si gratta la nuca con un gesto stanco e si siede nuovamente.
“Scusami” gli getta un’occhiata; “sei un uomo non un ragazzino, non dovevo alzare la voce… scusami, lo sai come sono fatta” tenta di giustificarsi.
“Attenta…” l’ammonisce il figlio. Incrocia le braccia al petto e si appoggia al muro alle sue spalle.
“Ho saputo che sei diventato un poliziotto. Ho chiesto in giro e… sono venuta qui” la sua voce è lieve, quasi morbida.
Martin fa una smorfia con la bocca e lei si passa una mano sui  capelli, in evidente difficoltà.
Quando parla di nuovo la sua voce si è fatta ancora più lieve; “ti ho cercato tanto, nel quartiere dove abitavamo… ti ricordi la nostra veranda? adesso è molto cambiata e…”
“Stai tentando di manipolarmi, Rachel?” le parla sopra; “mi credi ancora così ingenuo?” chiede con le labbra strette.
“No, io… non so, non so proprio come pormi… con te” alza le mani nel gesto di arrendersi.
“Non me ne frega niente della tua stramaledetta veranda… tuo marito, quello schifoso ubriacone, mi pestava su quella veranda… questo, tu lo ricordi?” si scosta dal muro solo un po’, per la foga; “o fai ancora finta che quelle cose, il tuo Gordie, non era capace di farle?”
Rachel sbuffa contrariata; “tuo padre aveva un caratteraccio ma non era cattivo.” Il suo tono è tornato malevolo.
Marty non riesce a trattenere un sorriso, annuisce e mette mano alla porta.
“Non mi cercare più, Rachel” taglia corto.
Lei si alza svelta come una saetta e lo raggiunge in tre passi.
“Perdonami, ti prego… sono qui per chiederti scusa” dice accorata.
Il giovane si gira a guardarla e se la ritrova a pochi centimetri che lo guarda dal basso con occhi imploranti. Sono tanti anni che non si trovano così vicini e per un solo momento Marty Deeks vuole abbracciarla e stringerla.
“Tu hai lasciato che lui mi facesse male, non mi hai mai difeso” alza la voce e fa due passi indietro per allontanarsi; “tu mi hai rovinato la vita, sei stata peggio di lui” e pare proprio strano che delle parole siano riuscite a uscire dalle sue labbra strette.
“Bevevo… non sapevo quello che facevo” tenta di giustificarsi lei, passandosi da una mano all’altra un pacchetto di sigarette.
“Cosa t’inventi? Hai iniziato a bere che erano già anni che mi batteva” replica Marty e la sua bocca bella e morbida si contrae ogni momento di più.
La donna si muove e cammina per la stanza.
“Va bene… è vero, hai ragione… è tutto così confuso; vorrei tentare di spiegarti e vorrei chiederti scusa” ripete quelle parole in automatico.
“Mi sa che stasera avrai bisogno del tuo sponsor, Rachel… so quali sono i dodici passi del programma e mi sembra ovvio che tu sia arrivata al nono, l’ammenda” cantilena ironico; poi, quando lei gli dà le spalle, l’espressione della sua faccia cambia. Si chiede cosa stia facendo. Scuote la testa; lui non è così: Marty Deeks, se può, non infierisce sulle persone; però lo sguardo di quella donna è ostile. Lo ha cercato dopo una vita per chiedergli scusa eppure basta parlare di Gordon e lei si chiude a riccio e drizza gli aculei.
 
“Sono stata succube di tuo padre fin da ragazza… e non posso giustificare il mio amore per lui, ma è sempre stato il primo dei miei pensieri, non riuscivo a staccarmi” sorride che sembra vergognarsi di quella ammissione.
Si siede di nuovo ma è irrequieta, sembra seduta su un pugno di chiodi; si passa una mano sulle labbra in un gesto che Marty fa spesso.
“Avevo diciotto anni quando sei nato… non ne sapevo niente di come si facesse la madre” muove la testa e i capelli che tiene ordinati sulla testa si muovono appena.
“Non bevevi all’epoca” si sforza di ricordare quello che lei gli ha raccontato della sua storia d’amore.
“No, no, infatti… e neanche tuo padre… eravamo solo dei ragazzini che giocavano a mamma e papà con una bambola vera” dice a voce così bassa, che lui riesce a sentirla a malapena; “non avevamo nessuno; solo mio padre ci ha dato una mano, finché ha potuto.”
“Finché Gordon gli ha prosciugato i pochi risparmi che aveva e gli ha fatto venire un infarto, volevi dire” la corregge lui con tanta nostalgia nella voce.
Rachel guarda il figlio e capisce quello che prova.
“Assomigli così tanto a tuo nonno… hai i suoi occhi e i suoi capelli, sei alto e lungo come lui”. È contenta d’aver trovato un appiglio per riuscire a parlare con quel giovanotto così ostinato.
Lo sguardo di Martin si addolcisce: voleva bene a suo nonno; era sempre molto contento quando lo portavano da lui, al mare. Non ha neanche bisogno di sforzarsi a cercare dei momenti altrettanto belli passati con i suoi; non ce ne sono.
“Ho preso il suo cognome appena avuta l’emancipazione” dice alla madre e lei ne rimane stupita; “lui è sempre stato buono con me e anche se ho pochi ricordi, so che mi voleva bene.” Rachel può esserne certa dalla sua voce, che si è finalmente calmata e abbassata.
“Sono otto mesi che non bevo un goccio, sai? mi sento come rinata, sento che c’è ancora speranza per me” prova a cambiare discorso.
Marty resta appoggiato al muro e non sembra provare alcuna emozione.
“Un giorno alla volta” afferma guardandola e lei annuisce lasciando intravedere un sorriso.
“Esatto” tamburella con le dita sul pacchetto di sigarette poi lo prende; “posso fumare?”
“No, ma puoi farlo fuori di qui” risponde lui indicando la porta e spera che lei si alzi per assecondare quel vizio.
Rachel spinge il pacchetto lontano da sé e scuote la testa.
“Voglio che ci chiariamo… devi sapere che avevo tanta paura che tuo padre mi lasciasse, non volevo contraddirlo” balbetta.
“Mi pestava a sangue!” All’improvviso Marty alza la voce e si agita; proprio non ci sta a quel modo di fare. “Tu… tu non volevi che ti lasciasse?” la guarda sgomento e si indica; “tu, dovevi amare me” si batte una mano aperta sul petto.
La donna si alza nuovamente e quando si avvicina, svelta gli prende una mano.
D’istinto lui fa un gesto secco e si tira indietro; “non mi toccare” e ha tanta rabbia nella voce.
“Scusami, scusa… ma tu mi devi capire, speravo che tutto finisse e avrei avuto la mia famiglia… guardati” fa un gesto eloquente con le mani; “nonostante tutto te la sei cavata, sei sempre stato forte… sapevo che potevi resistere” insiste caparbia, scandendo le parole.
Marty si porta le mani alla bocca, incredulo. Sua madre è davvero convinta di quello che dice, pensa davvero che il danno che gli ha procurato non sia così importante.
“Potevo resistere? Ho sparato a mio padre che avevo undici anni, è un miracolo che non ne sia uscito pazzo… ero solo un bambino… tu hai sempre e solo voluto lui, hai cominciato a bere per sentirti più vicina al suo mondo e hai abbandonato il mio” grida ed è così furente che è paonazzo in volto e ha le vene del collo gonfie.
“Perché ti accanisci così? Perché non sai perdonare il mio amore per lui? Ho sbagliato, lo so, ma non riuscivo a oppormi a quel sentimento… tu sei mai stato tanto innamorato da fare qualsiasi cosa per tenerti il tuo amore?” chiede.
“No” risponde secco; “non è amore se fa male, nessun amore vale la distruzione di qualcun altro” continua; “e il tuo amore per lui mi ha fatto così male che ha condizionato tutta la mia vita; l’ha resa un inferno” e il tono che ha non è più aggressivo ma stanco. Scuote la testa e le sue labbra generose sono storte all'’ingiù; “tu eri mia madre, l’ultima persona al mondo che poteva nuocermi” si passa una mano sul collo e indietreggia ancora, per allontanarsi da lei; “dovevi stare attenta, bisogna avere riguardo delle persone, si deve insegnare il bene… perché altrimenti si rischia di creare un mostro che fa finta di essere un buono o, peggio ancora, un brav’uomo che è in grado di diventare mostro” la voce si fa cupa e annuisce. Prende un profondo respiro e poi butta fuori l’aria, rassegnato; “sono capace di essere crudele quanto non potresti mai immaginare ma non voglio che la rabbia prenda il sopravvento, non qui, non con te… è giusto che tu sappia quale incubo mi costringi a vivere ma non voglio che tu veda in cosa mi hai insegnato a trasformarmi. Non mi piace quando divento in quel modo e lo sai che succede? la realtà si allunga, è come un rettilineo avvolto da nebbia buia e mi inghiotte e tutto diventa facile, terribilmente facile; sono cosciente di quello che faccio e mi congratulo con me stesso perché imbrogliare la gente, ingannarla, offenderla, è uno scherzo per me; saper dosare il male che posso fare mi fa sentire onnipotente; sono così bravo a soggiogare le donne che non mi diverto più; sono il mostro, io e nessuno può nascondersi nell’ombra in attesa di aggredirmi* e quando mi guardo intorno sono come ubriaco, non m’interessa di vedere la strada alle mie spalle e diventa così faticoso tornare indietro. Tu mi hai insegnato che è più facile essere egoisti e Gordon che non bisogna avere rispetto per nessuno, ma io non sono come voi, mi sforzo di essere bravo.” È stanco ma vuole farle sapere ciò che sente, una volta per tutte; “sono un avvocato, sono un poliziotto; difendo le persone, io amo la gente, cerco di essere generoso e leale… in un modo o nell’altro la strada di casa la ritrovo sempre… tu mi hai abbandonato come essere umano e come figlio, come posso chiamarti "mamma"? Non mi hai protetto, non mi hai nutrito… non mi hai amato e mi hai lasciato solo." Scrolla le spalle e si schiarisce la voce; "ti presenti qui, dopo essere sparita per anni, e vuoi fare ammenda? Va bene, accetto le tue scuse ma voglio andare via, adesso; non voglio stare qui, non voglio che mi cerchi più, perché ti guardo e l’unica cosa che riesco a pensare è che sono stato catturato e torturato, ma qualunque patimento io abbia subìto, nulla può essere nero più del nero al quale mi hai costretto tu.”
Rachel lo guarda e si rende conto che l’uomo che ha davanti non è più suo figlio. Gli ha preferito un altro amore, non lo ha scelto e del legame atavico che c’era tra loro non è rimasto niente. Ha detto addio a quel giovane uomo un pezzetto alla volta, un sorso dopo l’altro e lui se n’è andato per una strada che non incrocerà mai la sua.
 
Il silenzio tra loro è incolmabile e definitivo.
Gli occhi negli occhi, per la prima volta da quando è entrato, Marty sente i propri pizzicare.
Guarda sua madre, fa un lieve movimento in avanti con la testa e poi con il corpo; il suo è un congedo.
Esce dalla Sala Interrogatori 2, chiude la porta alle sue spalle e senza esitazione si allontana a passo svelto.
Quando esce in strada sta correndo e non se n’è neanche accorto.
Vuole andare a casa; sprona l’auto, batte le mani sul volante come a spingerla e gli viene da piangere. Abbassa il finestrino e respira a bocca aperta.
Il semaforo rosso all’incrocio sembra non avere fine ma "la quiete arriva sempre, dopo la tempesta" e finalmente il verde scatta.
Martin Deeks ha bisogno di essere amato da un amore puro, senza riserve, senza compromessi, che non ammette scelte; vuole sentirsi amato più di ogni altra cosa e appena varca la soglia di casa ha finalmente ciò che vuole: il suo cane gli salta in braccio a fargli le feste e gli lecca la faccia inondandolo di baci.
 
 

 
 
 
 
Ho messo in bocca a Martin pensieri che sono miei, mischiati a parole e paure sue; ho dato un’occhiata a Max Gentry (sono andata in loop con gli epp. 217 e 423!), spogliandolo del gioco che faccio sempre e credo di essere stata in grado di guardarlo nello stesso modo in cui lo guarda Martin.
Sarà che Martin Deeks per me è così; lo sento molto vero e davvero, davvero in linea con l’uomo che ho conosciuto qualche anno fa. Faceva il poliziotto e il surfista, aveva un bagaglio umano faticoso ed era cazzuto, fico e triste e per un brutto scherzo del destino, le sue indagini hanno sbattuto contro quelle di un’intelligence del governo.
Un gran brutto scherzo: un episodio dopo l’altro, gli autori, che dovevano tutelarlo, l’hanno invece svenduto e ridotto ad una tabula rasa ignorante, dove chiunque avesse voce, psicologia spicciola e aforismi da biscotti della fortuna, ha saccentemente scritto perle d’umana saggezza, dicendogli quello che doveva capire e provare; l’hanno perso nelle ripetitive provocazioni Shaggate, infarcite dalle solite facce e imboccamenti su inconsistenti scenari d’amore, così appassionati, sensuali e caldi da sfiorare i -273°C, trasformandolo da rabbioso e malinconico spirito libero, a titolare d’autofficina che cambia l’olio e fa il tagliando alla puerile e frigida Kensi Blye.
Sicuramente, chi era Martin Deeks e com’era, non lo vedremo mai più. Davvero, davvero un gran brutto scherzo.
Monty
* la frase “sono il mostro, io e nessuno può nascondersi nell’ombra in attesa di aggredirmi” è ispirata e trasformata: la trovate nell’ep. “Charlie e Lisa” di Taken, ed. italiana, come viene detta in realtà. Mi è sempre piaciuta molto e spero di averla inserita al momento giusto.


Disclaimer: Martin Marty Deeks, Kensi Blye, Henrietta Hetty Lange, Monty, Shaggy, il tenente Bates, Gordon John Brandel non li ho inventati io.
 
 
 
 
  
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