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Autore: benzodiazepunk    29/03/2015    11 recensioni
" Anche lui doveva aver dimenticato l’ombrello, proprio come te, ma a differenza tua sembrava non curarsene troppo. Pareva aspettare qualcuno da come si guardava intorno, ma forse la sua attesa era stata più volte delusa e lui oramai non credeva più davvero nell’arrivo di colui che aspettava, perché, dopo essersi spostato a destra e a sinistra tra la gente, il suo sguardo tornava sempre ad abbassarsi sul selciato sferzato dalla pioggia, fisso e triste.
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Lui appartiene già a qualcuno, e adesso che la malinconia l’ha abbandonato per sempre non ha più bisogno di te, non ha più bisogno di nessuno se non di lui.
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-Ciao... ...Bill-
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L'atmosfera è forse strana, tutta la narrazione potrebbe anche sembrare di difficile interpretazione... ma così come mi è venuta in mente io l'ho scritta. A volte certe storie saltano in mente e pretendono di essere trascritte, e chi sono io per oppormi al loro volere se non una semplice amanuense?
A voi la parola.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note
Questa breve storia mi è letteralmente saltata in mente, mi ha catturata
del tutto, e non ho potuto far altro che scriverla; tutto questo
durante l'ascolto di Heilig, canzone stupenda, di una
musicalità, di una poesia che non riesco nemmeno
a spiegare. Forse non ha né capo né coda, ma
comunque nonostante tutto l'ho voluta
condividere. Come dicevo nella
presentazione, a voi la parola.
R.


 







 
Immer heilig sein
 
 
 
 
Du wirst für mich immer heilig sein
Ich sterb für unsere Unsterblichkeit

Lui è lì, davanti a te, come ogni mattina.
Lo vedi, dignitosamente composto, assurdamente bello, ritto al suo solito posto, terzo banco dall’esterno in quarta fila.
Fissi i suoi capelli neri che, lucidi e morbidi, gli ricadono sulla schiena, scorri con lo sguardo lungo le sue braccia, lasciate scoperte dalle maniche della t-shirt, spii il suo respiro che gli solleva impercettibilmente le spalle.
Non puoi farne a meno.
Da quando l’hai visto per la prima volta, un mese fa, ogni mattina ti siedi a breve distanza da lui e lo osservi in silenzio, ti limiti a guardarlo e per ora ti è sempre bastato, ma sai bene che non sarà sufficiente per sempre.
Quel giorno, che ti sembra ormai così lontano ma allo stesso tempo tanto chiaro, era iniziato come la peggiore delle giornate: dopo aver perso un appuntamento con un professore a causa di un esagerato ritardo del treno, avevi sbagliato aula cercando la prima lezione, saltato metà della spiegazione e infine ti eri accorta di aver dimenticato l’ombrello proprio quando il cielo grigio della mattina aveva deciso di trasformarsi in un nero portatore di tempeste.
Avevi corso, coprendoti alla bell’e meglio con la giacca, verso la pensilina dell’autobus, avevi cercato di scrollarti l’acqua di dosso come fa un gatto appena scampato a un acquazzone, e proprio allora l’avevi visto.
Lì, sotto la tua stessa pensilina, appoggiato al vetro freddo e seminascosto dalla gente, con i capelli fradici appiccicati al volto e un trucco nero e pesante colato sotto le palpebre. Anche lui doveva aver dimenticato l’ombrello, proprio come te, ma a differenza tua sembrava non curarsene troppo. Pareva aspettare qualcuno da come si guardava intorno, ma forse la sua attesa era stata più volte delusa e lui oramai non credeva più davvero nell’arrivo di colui che aspettava, perché, dopo essersi spostato a destra e a sinistra tra la gente, il suo sguardo tornava sempre ad abbassarsi sul selciato sferzato dalla pioggia, fisso e triste.
Si, quel ragazzo ti era sembrato così infinitamente triste che avevi avvertito l’impulso di avvicinarti a lui e di rivolgergli la parola.
Ma non avresti saputo cosa dire, cosa fare, come attaccare discorso, e infine, prima che tu prendessi quella folle quanto desiderata decisione, il tuo autobus era arrivato portandoti via da lui.
L’avevi seguito con lo sguardo mentre ti allontanavi, e da quel giorno non avevi fatto altro che pensare a lui. L’immagine di quel ragazzo dallo sguardo spento e dal trucco nero ti tornava in mente nei momenti più impensati: mentre seguivi una lezione, quando tentavi di cucinare, e naturalmente ogni qualvolta salivi su un mezzo pubblico.
Ti eri pentita di non avergli rivolto la parola, temevi di non vederlo più.
Ma i tuoi timori erano stati spazzati via una settimana più tardi, quando il suo viso ti era comparso di nuovo di fronte, davanti alla porta della tua aula. Con stupore l’avevi visto entrare, non avevi potuto fare a meno di seguirlo e da allora non avevi più smesso, avevi finito per conoscere a memoria ogni suo gesto, ogni suo tratto, ogni suo sguardo, conoscevi i suoi lineamenti e la piega che prendeva il suo collo congiungendosi alle spalle, la forma dei muscoli, longilinei e poco evidenti, sotto la leggera stoffa delle sue magliette.
Sapevi di essere al limite dell’ossessione, ma quel ragazzo ti era entrato sottopelle come nessuno mai, senza che tu potessi farci niente, e nonostante fossi quasi spaventata da quella fissazione che aveva stregato la tua mente ormai non potevi far altro che continuare a riempirti gli occhi di lui.
Ogni mattina ti dicevi che quella sarebbe stata la volta buona, che quel giorno si, gli avresti parlato, ma ogni volta il tuo cuore impazzito ti bloccava e il coraggio, alla fine, ti mancava.
E così eri sempre lì, nell’ombra, seduta a breve distanza da lui in posizioni strategiche che ti permettevano di osservarlo senza essere vista.
Il professore entra in aula e la classe, improvvisamente, si zittisce. Lui se ne sta seduto sempre nella stessa posizione, con le mani pacatamente abbandonate in grembo e la schiena dritta come un fuso, leggermente staccata dallo schienale; sul banco tiene un quaderno aperto che però non ha mai usato, le sue pagine sono immacolate e credi proprio che così rimarranno.
Nonostante ti trovi alle sue spalle puoi quasi vedere, nella tua mente, il suo viso pallido rivolto verso la lavagna e la sua espressione che a un primo sguardo sembra semplicemente tranquilla e leggermente apatica, ma che nasconde una malinconia nata dal profondo, una di quelle malinconie che non abbandonano più il cuore una volta che vi si sono insediate e che permeano ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero.
Rimpiangi di non aver trovato un banco più laterale ora, ciò che ti piace maggiormente osservare sono i suoi occhi, chiari nell’iride, ma resi pozzi neri su una carnagione troppo pallida dal pesante trucco che li contorna. Ti sei chiesta molte volte a cosa sia dovuto quell’insolito e impeccabile make-up; forse alla necessità di nascondere ciò che i suoi occhi trasmetterebbero altrimenti? Forse a quella di esprimere invece uno sprazzo dell’oscurità che si porta dentro? Magari faceva semplicemente parte di una band metal, o punk?
Avresti voluto chiederglielo.
Irrazionalmente avresti voluto penetrare quell’aura di apatia che emanava e quel senso di solitudine che trasmetteva. Non lo conoscevi, lui non sapeva nemmeno della tua esistenza, ma desideravi ardentemente avvicinarlo. Sapevi che sarebbe stato tanto, forse troppo difficile, potevi intuire dai suoi movimenti misurati e fluidi che sarebbe stato come avvicinare un animale selvatico, smarrito e spaventato, ma avresti potuto avere pazienza.
Improvvisamente, proprio a metà della spiegazione, la sua schiena si irrigidisce, i muscoli si tendono, la sua testa scatta, e nel giro di un secondo lui si volta.
Vedi i suoi occhi sondare svelti ed efficienti la classe, guizzare verso la porta e infine stringersi leggermente in un’espressione imbronciata e concentrata.
E in quel momento capisci che quella sarebbe stata la tua ultima occasione: a te la scelta se buttarti o meno.
La lezione finisce e il tuo misterioso ragazzo sguscia fuori prima di tutti, felino ed elegante come sempre; tu lo segui, svelta ma goffa, sentendoti così piccola in confronto a lui, così sciocca e inadeguata.
Cerchi di non perderlo tra la gente mentre lui continua la sua corsa verso chissà dove, ma è alto e non ti è difficile individuare la sua testa tra le altre.
Poi, improvvisamente, si ferma, nel bel mezzo di un corridoio meno frequentato degli altri; ansima leggermente e si guarda intorno, ma ancora una volta quello sguardo che per un attimo era sembrato speranzoso si abbassa sul pavimento, deluso.
Le sue mani, curate, adorne di curiosi anelli e dalle unghie laccate di nero, si aprono e si chiudono, stringendosi a pugno in una rara dimostrazione di frustrazione. Hai sempre fantasticato riguardo quelle mani, così delicate e affusolate, immaginando di stringerle tra le tue, di accarezzarne le dita, i palmi, i polsi.
Sospiri. È il momento, e la consapevolezza ti fa battere il cuore. Gli parlerai, è la tua ultima occasione, devi prendere coraggio ora, adesso, non puoi aspettare.
Muovi un passo incerto nella sua direzione, poi un altro nonostante il cuore stia tentando di saltarti fuori dal petto, e un altro ancora. La distanza fra voi diminuisce, non è mai stata così breve, e da questo punto riesci a scorgere particolari di Lui che non avevi mai notato.
Sei lì, a pochi passi, ma il destino non è dalla tua parte.

 
Ich schau durchs meer, und seh dein licht, uber mir. Ich sinke , Ich sinke, weg von dir.

È alle sue spalle che si apre silenziosamente una porta, una di quelle trasparenti che portano i corridoi dell’università verso l’esterno, e la porta lascia entrare un ragazzo. Ha la sua stessa forma fisica, le stesse mani affusolate, ma più callose, gli stessi muscoli snelli, ma più modellati, incredibilmente gli stessi lineamenti che conosci così bene, ma in un qualche modo più duri, lo stesso viso dagli zigomi alti, ma meno pallido, gli stessi occhi chiari e limpidi, nonostante tutto.
Veste una divisa che non riesci a collocare, di esercito e marina tu non sai molto dopotutto, ma deve essere parte comunque di un settore del genere.
Sorride di sbieco, quasi con circospezione, carico di aspettativa e timore, lo puoi vedere distintamente.
È ancora lontano almeno di cinque o sei metri dal tuo misterioso ragazzo, ma Lui si volta lo stesso; percepisce la sua presenza come fossero legati da qualcosa di troppo grande per essere spiegato, lo sente ancor prima che i suoi passi possano produrre un qualsiasi rumore, prima che lui possa dire qualunque cosa. E tu vedi la scena come se il tempo si fosse dilatato, e ogni millesimo di secondo dura un minuto intero, ogni minimo movimento ti si spiega davanti chiaramente, non puoi perderti nulla.
Il ragazzo, di spalle alla porta, prende un respiro profondo sgranando leggermente gli occhi, vedi le sue spalle minute alzarsi e le sue braccia ritirarsi dalla posizione di abbandono lungo il busto in cui si trovavano, la sua schiena si torce su sé stessa prima che i piedi riescano a compiere qualsiasi movimento e il suo capo si gira quasi di 180 gradi in una volta, rischiando uno strappo ma non curandosene minimamente.
Vedi i suoi capelli neri e morbidi svolazzare intorno al collo, mossi dal movimento dell’aria, vedi l’incredulità nel suo sguardo, non più apatico ora, leggi lo shock e lo senti trattenere il respiro, vedi l’emozione negli occhi del giovane militare e per la prima volta la gioia nei suoi.
E poi i pochi metri che li dividono in un attimo scompaiono mentre lui si getta tra le braccia del nuovo venuto.
Assisti impotente alla loro gioia, e mentre i minuti passano, mentre li osservi guardarsi come fosse la prima volta, mentre lo guardi passare curioso le dita fra le strette treccine che decorano il cranio dell’altro, mentre ti rendi conto che l’incredibile somiglianza tra i due non può essere un caso, capisci che lui non sarà mai tuo.
Lui appartiene già a qualcuno, e adesso che la malinconia l’ha abbandonato per sempre non ha più bisogno di te, non ha più bisogno di nessuno se non di lui.
Ma forse, pensi, non ha mai avuto bisogno di nessuno se non di lui.
Il militare ora sorride del tutto, il timore per la reazione del ragazzo alla sua comparsa è sparito, e tiene le mani strette alle sue braccia; ad un tratto scoppia in una risatina imbarazzata e abbassa leggermente la testa socchiudendo gli occhi. –Bill…- mormora con tono confortante e stupito allo stesso tempo.
Non aggiunge altro perché, lo sai, loro non hanno bisogno di dirsi nulla per capirsi; hanno un metodo di comunicazione tutto loro, diverso, più profondo, che non necessita di parole.
Lentamente nel tuo cuore raggiungi la consapevolezza che è finita. Non lo vedrai più, questo è l’ultimo giorno, l’ultimo pomeriggio, l’ultimo minuto.
Riprendi a camminare, ma questa volta non sei tu a forzare la tua volontà al movimento ma le tue stesse gambe che si spostano autonomamente in direzione dei due giovani.
-Andiamo- dice il ragazzo che finalmente, dopo un mese, hai scoperto chiamarsi Bill, guidando l’altro nuovamente fuori dalla porta da cui, pochi minuti prima, è comparso, e tu continui a seguirli come un automa; non sai nemmeno cosa stai facendo né perché, ma non te ne preoccupi. Cammini e basta.
-Aspetta, prendo la mia roba- afferma il ragazzo militare sorridendo all’altro, che si ferma a ridosso del muro, immerso nella luce del sole.
È questo il momento che aspettavi. I tuoi piedi continuano a camminare e ti trovi sempre più vicina a lui, vicina tanto quanto non avresti mai immaginato, mai sperato.
-Ciao…- bisbigli, ma lui ti sente lo stesso e si volta stupito nella tua direzione. -…Bill- concludi. Gli rivolgi uno sguardo dispiaciuto, ricco di rimpianto, infine gli volti le spalle una volta per sempre.

 
Meine hand, von anfang an, uber dir

Bill alza semplicemente le spalle in risposta allo strano, improvviso saluto di una sconosciuta. Forse l’aveva anche già vista, forse a lezione, non lo sa, ma non si sofferma sulla questione più di tanto così come non si era mai soffermato su di lei, troppo preso nella sua terribile attesa per notare il mondo intorno a sé.
Da quando è partito, troppi mesi fa, tutta la sua vita è improvvisamente cambiata, tutta la sua vita è improvvisamente finita. Tra il terrore di non vederlo più e l’ansia di dover affrontare tutto da solo, senza colui che l’aveva sempre supportato, aiutato, ascoltato, ma che si era anche sempre rifugiato da lui per ogni cosa, aveva smesso di guardarsi intorno e di interessarsi al mondo. I suoi occhi, pian piano, si erano spenti della luce che avevano sempre avuto, la sua voce, entusiasta e squillante, si era zittita, i suoi movimenti, sempre stati esuberanti e gioiosi, erano divenuti misurati e prudenti, limitandosi all’indispensabile.
Aveva smesso di vivere.
Ma ora le cose sono cambiate, ora Tom è tornato e lui avrebbe abbandonato la paura, sarebbe tornato ad essere quello di sempre, il Bill che conoscevano tutti.
Tom è tutto ciò che conta.
Quando suo fratello torna, la sacca con i suoi pochi averi in spalla, Bill si allontana con lui, dimentico di tutto il resto.
  
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