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Autore: Amaya Lee    30/03/2015    2 recensioni
Il mondo le forgia senza sosta.
Spade per uccidere.
Induttrici di incantesimi.
Certe esistono per proteggere; altre ancora per liberare.
E alcune spade solamente per ferire.

[ SaruMi || Saruhiko!Centric || un primo tentativo, check out le NA ]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Awashima Seri, Fushimi Saruhiko, Misaki Yata
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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NA: Intanto benvenuti, e grazie per essere qui! Piccola premessa; è un primo tentativo in questo fandom, giusto per tastare il terreno e vedere cosa riscontro con questa one-shot, perciò a maggior ragione, naturalmente, accetto qualsiasi critica, a patto che sia costruttiva. Sento che questo non sarà il mio unico esperimento in questo fandom, perché l'anime K Project mi ispira da morire (sento le Muse che mi fulminano con i loro teaser) e specialmente questa meravigliosa OTP, con i suoi problemucci tanto tanto cari. Ok, perdono.
Ringrazio inoltre la mia grandiosissima beta, nonché senpai, Ayako Yume, che mi ha reso possibile pubblicare stasera.
Minuscola precisazione; in quanto "missing moment", l'os si ambienta durante l'episodio 5, "Knife", dopo lo scontro tra Misaki e Saruhiko. Ho finito, ho finito. Buona lettura a tutti!







 

Il mondo le forgia senza sosta.

Spade per uccidere.

Induttrici di incantesimi.

Certe esistono per proteggere; altre ancora per liberare.

E alcune spade solamente per ferire.




 

Lost my s o u l long ago.

 




 

Il termine imposto così, rude, imprevisto, di un'unione intensa, scottante ed eufonica si rivela persino più amaro di una vergognosa sconfitta, a lui che respira grazie a variopinti ricordi ed immagini roventi, con la mente e la pelle che ancora pizzicano d'euforia.

E intanto i raggi del sole intrattengono in un gioco luminoso i riverberi cangianti dell'erba e dei cespugli, nel lussureggiante verde che ricopre l'intera superficie dell'isola, circondando la perfetta Accademia Ashinaka.

È tutto talmente rigoglioso e smagliante da sembrare contraffatto; un illusorio specchio della realtà. Soltanto che non lo è. Sull'isola scolastica regna un inviolabile equilibrio di pace e scorrevolezza, che neppure fuoco e acciaio, torti in una danza discorde, sono arrivati a scalfire.

Misaki è stato così lucido – così bello – nella propria rabbia, avvolto dalle proprie fiamme, scaturite da un cuore furente e provocato, e livoroso e ferito.

Lui, invece, era ebbro. Si è calmato, ora, e il suo passo è flemmatico, quale il suo tono di voce. Ma nonostante la resa – perché di questo, sotto una diplomatica veste, si è trattato – i resti della distorta emozione che ha prevalso su sanità e raziocinio ci mettono un po' ad assottigliarsi fino a svanire. Come è sempre stato.

Non riesce a trovare un solo rimorso tra le increspature segrete di se stesso, e non sa se la cosa lo disturbi, così lascia perdere.

Si convince che la sua è evanescente perversione. Non gli dispiace; in verità non gli importa.

Accanto a lui c'è il sottotenente Awashima. Procedono a passo spedito, ma non troppo, in modo da non destare più curiosità dell'accettabile tra gli studenti che evitano di intrecciare i propri percorsi con il loro.

La spada nel fodero che lui porta al fianco sinistro pende greve. Impugnarla è sempre così facile. Come una donna impaziente di essere spogliata. Gli scotta di eccitazione le dita fredde e gentili, le asseconda mentre estraggono fermamente il manico; e poi, l'attesa... l'attesa del primo fendente!

Saruhiko si lascia sfuggire un soffio seccato, ma ritorna immediatamente al consueto atteggiamento annoiato.

Awashima lo guarda di sottecchi; non le è sfuggito nulla.

«Poteva bastare, non credi?» gli dice, lasciando cadere l'argomento precedente di un'insignificante conversazione.

Saruhiko non capisce se la donna voglia fargli una lavata di capo, ammesso che sia tanto allarmata da sprecare voce e energie allo scopo. Ma ha capito benissimo a cosa si riferisce la Donna Glaciale.

Distoglie semplicemente lo sguardo, portandolo sugli alberi cui passano accanto.

«Se ti scontrerai nuovamente con un membro dell'HOMRA senza le adeguate circostanze, dovrò riferirlo al tenente Munakata» prosegue lei, inflessibile di fronte al comportamento del sottoposto.

Entrambi sanno che non le può rispondere come vorrebbe. «Sissignora» sbuffa invece.

«Lascia andare la spada, Fushimi.» È un'intimidazione autoritaria, su un livello totalmente diverso degli altri ordini. Seri sembra quasi turbata.

Solo allora lui se ne accorge. Percepisce il metallo con le punte delle dita, sui polpastrelli. Realizza che la sua mano è scivolata lentamente, inspiegabilmente, sull'impugnatura fredda della lama. Come una carezza.

La ritrae nel tentativo di dissimulare il proprio disagio, con uno scarso risultato.

Awashima rivolge il viso in avanti, ma lo sguardo a lui, ed è pungente come lo sono poche cose. «Cerca di controllarti» sibila.

«Non c'è nulla da controllare» risponde Saruhiko, guardando altrove, il mento boriosamente alto.

La donna solleva un sopracciglio. «Non definirei “nulla” le tue emozioni.»

Non lo ammetterà mai neppure a se stesso, ma questo non desta solamente stupore in Saruhiko. Il suo petto si stringe contro la sua volontà e lui, pur mantenendo intatto il proprio muro di menzogne, non può far altro che ampliare le labbra in un sorriso.

Non può evitarlo. Il suo cuore trema di freddo. Batte i denti, da qualche parte lì dentro, rassegnato ed arrendevole.

C'è ancora, purtroppo; è qualcos'altro ad aver lasciato Saruhiko, abbandonandolo per sempre, esiliando ciò che di lui resta in un mondo troppo stretto, troppo buio, troppo profondo.

Molti lo chiamano rimpianto, ed altri la denominano anima. Ma senza ciò, qualsiasi nome gli venga dato, è abissale il vuoto.

Saruhiko ha sempre avuto come un'impressione segreta, un frammento dalle parvenze multicolori relegato nella sua immaginazione. Il suo mondo è una teca di cristallo; un giorno, chissà come di preciso, quella superficie viene frantumata, e precipita, a pezzi, tutt'intorno.

Lui non raccoglie quei pezzi. Sono taglienti, dolorosi.

Una ferita è sopportabile. Due fanno male. E prova compassione per chi ne ha innumerevoli.

Ma le sue non sono ferite, lui non è trafitto, né graffiato, né scorticato. Nella sua sconfinata solitudine, lui è solamente un uomo spezzato.

Ed è elegante, confortevole, questo baratro.

Vi imperversa la tempesta, nell'assuefacente pathos di rari e inestimabili momenti, quando la sua spada è lambita da un fuoco violento. Dal suo fuoco.

Saruhiko non finge di essere ignaro, perché quel pathos lo ama e odia dal profondo del cuore la persona che ogni volta lo scatena.

Eppure l'odio, quello amaro e perentorio, altro non è che un amore marcio e bastardo.

Lui preferisce chiamarlo “ossessione”, perché, in fondo, anche il più meschino dei bugiardi può conservare un briciolo di cruda onestà, quando si scende a patti con qualcosa di più grande.

Forse è la sua malattia, quella che gli rovinerà la vita. Chissà.

L'odio e l'amore e l'ossessione; profondamente insani tutti e tre.

Lo destano, l'addormentano, a piacimento. Gli fanno agognare perdutamente una cosa e una cosa soltanto, e quella è la rabbia; la sua.

Solamente pensarci smuove qualcosa... ed era forse calore la fitta che ha attraversato il suo cuore?

Il pensiero fa una piroetta e cade tra la polvere.

A Saruhiko non interessa e mai interesserà il potere. No, quello può ottenerlo chiunque, ed apprezzarlo anche più di lui.

Un paio di occhi dorati, stretti, intensi – temibili! – è quanto di più desiderabile esista, da sempre, a dire il vero. Se ne vergogna ancora come un bambino, ma soltanto quando non è succube della propria depravata ostinazione.

Non morirà, Saruhiko non morirà, fintantoché quegli occhi continueranno ad attrarlo, incendiarlo, demolirlo, come un castello di sabbia, un effimero palazzo di carte.

Ed è dolcissimo e atroce come il suo nome intrattiene la sua lingua... Misaki.

Mi-Sa-Ki.

Soave per lui quanto imbarazzante per colui che lo porta.

Se potesse avere ancora un'anima, anch'essa fremerebbe a quel nome soltanto...

 

 

“Multiply humanity, harmonize insanity,

sharing light of remedy, holding

Tides of clarity, shattered glass in flower beds,

Humanize inhumane ends.”

 

 

Non molte ore dopo, sta affilando la propria spada al quartier generale dello Scepter 4.

È solo nella stanza, finché Awashima non lo raggiunge dopo aver fatto rapporto. Ma al posto di riportare ordini, lei incrocia le braccia, seguendo i suoi movimenti con distacco. È una donna intelligente, e sfortunatamente vigile.

«Ormai la lama può andare, Fushimi. Torna insieme agli altri.»

Non è una novità che Saruhiko non ami particolarmente socializzare, ma stavolta qualunque delle solite ragioni passa in secondo piano.

La spada è sempre più brillante, pulita e perfetta. Mortale.

È sbagliato.

Il ragazzo prende a fissare l'arma con insistenza, sorreggendola con le proprie mani, e tuttavia avvertendola appena.

«Oi, mi hai sentito?» Awashima fa pochi passi in avanti. «Vai –»

«Mi spiace, tenente. Non ho ancora finito.» È strano, e lui lo sa bene, poiché all'apparenza non sta facendo altro che osservare qualcosa che indossa al fianco tutti i giorni. Nessuno a parte lui può vedere il viso di Misaki, riflesso nell'acciaio, come maledettamente impresso a fuoco.

È folle. Ma gli va bene così.

Il tenente lo squadra perplessa, per poi girare i tacchi e uscire. Ha cose ben più urgenti a cui pensare.

Saruhiko è fermo al posto in cui vuole essere, dimentico perfino di cosa lo circondi.

«Esistono molti tipi di spade» mormora, piano, a un certo punto.

Poi resta in silenzio. Il suo volto non lascia presumere che stia riflettendo veramente su quelle parole, benché tra le screziature azzurre dei suoi occhi si sia annuvolata una certa intensità.

È destinato a maneggiare una sola spada per tutta la vita, ancora prima di pensare a combattimenti, dolore e sangue.

Ancora prima di impossessarsi del rosso e del blu. Prima di vedersi crollare addosso la teca di cristallo. Prima di perdere tutto. Certe cose accadono banalmente per destino, forse.

Il volto che la lama gli offre è innegabilmente bello; i capelli ramati, l'incarnato caldo, quasi bruno, commovente, e gli occhi ambrati pervasi di fierezza, la bocca sottile e cattiva, che chiede tanti, troppi baci tutt'altro che cordiali. Saruhiko fa tutto suo. Odia tutto. Ama tutto.

Tanto che si sente perduto, tanto che si sente a casa.

Un giorno o l'altro una voluttà così morbosa non può far altro che distruggerli, dissipando ogni sfumatura di morte di cui il primo araldo è un marchio sfigurato, annientando ogni altro giorno, spegnendo, con la stessa facilità di una flebile candela, i loro occhi smaniosi ed esausti. Una sola esitazione prima di trafiggere, un unico fallo, poi più nulla, ed è spaventoso.

Saruhiko allora comprende ciò che ha sempre saputo, perché certe cose si sanno e basta; la sua spada è esclusivamente per ferire.

 

 

Ti cercherò fino alla fine.

Mi-Sa-Ki.

 


 
  
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