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Autore: Beckett    30/03/2015    0 recensioni
" Ed ora sua madre dov'è?"
" Chi dice tre metri sotto terra, chi dice tre metri sopra al cielo. Punti di vista."
Quando un omicidio sconvolgerà la vita di tre ragazzi del Mainland un piccolo paesino nel Maryland. Le cose cambieranno.
“ Vedo che si è informata.” Rispose sospettosa Elis.
“ Ma sa, m’informo sempre di chi ha i vestiti sporchi di sangue. Prego, mi segua, da questa parte.”
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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1x09 – Disturbia.
( Nina Dobrev è Katherine Middelton)
( Emma Watson è Elis Everwood)
( Sam Claflin è Max Miller.)


“ Katherine Middelton è in arresto per omicidio volontario, per occultamento di prove e per mancato soccorso. Ha il diritto di restare in silenzio. Qualunque cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale. 
Ha il diritto di permettersi un avvocato, se non può permetterselo le verrà assegnato un avvocato d' ufficio.”
“ Non sono stata io, ve lo giuro! E’ avvenuto tutto per caso. Max era alla guida, io cercavo solo di fermarlo! Mamma, papà vi prego!” dall’altra parte della casa c’erano mamma Katy e il padre di Kat che cercavano di capirci qualcosa chiedendo al detective Hell cosa fosse appena successo.
Katherine piangeva e non si aspettava che il suo arresto sarebbe avvenuto così in fretta. In fondo le cose si stavano aggiustando pian piano. Si stava facendo aiutare da Jackson e Lydia era ormai scagionata. Pensava di potersi creare un futuro e poter andare avanti con la sua vita, inconsapevole di doverle dire addio da un momento all’altro.
“ Cosa sta succedendo a mia figlia?!” urlava Katy e piangeva disperata, ignara di tutta quella vicenda. Katherine era stata brava, li aveva tenuti all’oscuro per mesi, fino a quel giorno.
“ Sua figlia ha commesso un omicidio.” Disse con calma Hell mentre metteva le manette a Kat che nel frattempo cercava di liberarsi pur di dire la verità, e si chiedeva dove fossero i suoi due amici.
“ Mi dia una spiegazione!” urlava dalla cucina suo padre che era il procuratore distrettuale. Sarebbe servito a qualcosa?
“ Mi ridia mia figlia.” Continuava senza preoccuparsi della figura che stava facendo la sua immagine. Una figlia in arresto per omicidio volontario? Davvero si era arrivati a questo punto?
“ Voglio un avvocato!!” urlava Kat mentre veniva portata nell’auto della polizia. Piangeva, si stava immaginando in una cella e pensava che a quello non sarebbe mai sopravvissuta.
“ Dove sono Max ed Elis?” finalmente le uscì la fatidica domanda che aveva intenzione di fare da quando i poliziotti erano subentrati in casa sua e l’avevano incolpata di un omicidio che era stato fatto da tre persone.
“ Chi sono?” si girò il poliziotto che era alla guida dell’auto, e la guardò stranita.
“ I miei due amici. Max Miller ed Elis Everwood. Anche loro sono stati arrestati.”
“ Ti stai confondendo. Sei stata l’unica ad essere stata arrestata. Il caso Eremy Gliffer è ufficialmente chiuso con il tuo arresto.”
“ Non è possibile. Non è possibile agente.”
“ Cosa non è possibile?” nel frattempo entrò nell’auto il detective Erik Hell con un sorriso a 32 denti. Amava concludere un caso. Sarebbe diventato qualcuno.
“ Max Miller ed Elis Everwood dove sono?” urlò Kat mentre piangeva. Consapevole di non riuscire a svegliarsi da questo dannato incubo.
“ Testimonieranno contro di te, tra una settimana, al processo.”
“ Sono stati loro ad uccidere Eremy Gliffer. Max era alla guida, Elis era proprio dietro di me. C’erano anche loro.”
“ Peccato che quando sono stati interrogati hanno entrambi dato la colpa a te. Avevano un alibi che reggeva troppo per essere distrutta. Erano a Yale per un concorso.”
“ Lydia Cortez?”
“ Testimonierà al banco dei testimoni, al tuo processo.”

“ Io non ho ucciso Eremy Gliffer!” urlava Katherine dall’auto dei poliziotti. O meglio, Katherine urlava queste parole dal suo letto. Sudava fredda e si toccava le braccia. Probabilmente perché pensava avesse le manette. Ma invece no, era nel suo letto, nella sua casa a Mainland. Erano partiti il giorno prima da Atlanta e Max aveva spiegato ai genitori di aver avuto un incidente con l’auto di suo fratello. Nessuno dei tre aveva ancora raccontato l’accaduto della notte scorsa. Semmai li avessero nuovamente interrogati, probabilmente avrebbero svuotato il sacco.
Katherine si svegliò nel silenzio di casa sua. Katy era già uscita per andare a lavoro, lo stesso suo padre.

Però, a differenza di ogni mattina, sentì un buon profumo che proveniva dalla cucina. Qualcuno stava riscaldando dei cornetti al cioccolato, peccato che nessuno dei suoi due genitori era in casa. Inizialmente preoccupata, si alzò dal letto, completamente bagnata dal sudore, e scesa prontamente in salone. Si apprestò ad andare in cucina per controllare la situazione.

“ Elis!” disse sorpresa.

“ C’è scuola oggi. Gli esami.”
“ Già?” domandò stranita Kat.
“ E’ stato bello il weekend ad Atlanta, ma Kat dobbiamo ritornare alla vita reale. Niente più relax. Ci sono gli esami.”
“ Ma che giorno è?” domandò quest’ultima.
“ E’ il 28 maggio. Ci sono gli esami finali, tra una settimana ci diplomiamo Kat, una settimana! Ho detto a Max di comprarmi un bel vestito. Il mio ragazzo deve essere all’altezza.” Disse fiera Elis mentre si apprestava a mangiare un cornetto caldo appena sfornato.
“ Max? Il tuo ragazzo?”
“ Sì, e Jackson il tuo.”
“ Sul serio? E tutto quello che è successo ad Atlanta?”
“ Cosa sarebbe successo?” domandò Elis.
“ Abbiamo ucciso un uomo. Non ricordi?” chiese Kat. Era però sollevata, erano passati così tanti mesi e nessuno aveva ancora parlato di carcere.
“ Oh, ci risiamo!”
Katherine la guardò con uno sguardo interrogativo. Che intendeva?
Elis si avvicinò e poggiò le sue mani sulle braccia di Kat, la guardò fissa e cominciò a parlare. Un monologo. Come se ogni mattina ripetesse le stesse cose.
“ Katherine tu hai ucciso un uomo.” E muoveva la testa per dire sì.
“ Tu non sei andata in carcere.” E muoveva la testa per dire no.
“ Ti abbiamo portato in un centro psichiatrico.”
“ Ti hanno curata. Tuo padre ha pagato per tutto. Ci diplomiamo.”
“ E voi dov’eravate?” domandò Katherine ancora più stranita dalla situazione.
“ Io alle Hawaii con il mio ragazzo. Chi è il mio ragazzo?” domandò Elis a Katherine, sembrava che stesse parlando con una stupida. In effetti Kat si sentiva un po’ così. Lei era rimasta al 7 gennaio e si era ritrovata improvvisamente agli ultimi giorni di scuola. Si convinceva di essere pazza e che in realtà l’omicidio lo avesse commesso da sola, senza l’aiuto di Max ed Elis.
“ Lydia?” a questo punto Katherine era dubbiosa su tutto.
“ Lydia chi?”
“ Cortez.”
“ Ricordi ancora chi ti ha accusato per l’omicidio di quel barbone? Non ti preoccupare, starà da qualche parte ad Atlanta a farsi i cazzi suoi.”
D’improvviso bussarono alla porta.
Elis fece segno a Kat di andare ad aprire, come se la casa fosse sua e Katherine fosse diventata una povera pazza.
Katherine aprì e si ritrovò dinanzi il detective Hell con dei poliziotti dietro di lui.

“ Katherine Middelton è in arresto per omicidio volontario, per occultamento di prove e per mancato soccorso. Ha il diritto di restare in silenzio. Qualunque cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale. 
Ha il diritto di permettersi un avvocato, se non può permetterselo le verrà assegnato un avvocato d' ufficio.”
La portarono via. Di nuovo. Elis si alzò prontamente e corse verso la porta.
“ Cosa state facendo?” urlò El mentre cercava il telefono per poter chiamare i genitori di Katherine.
“ Tu hai detto che era tutto risolto!” urlava di rimando la ragazza che ormai era sfinita. Viveva nella paura e nel continuo dubbio.
“ Noi non siamo corrotti come i poliziotti di Mainland.” Rispose con un sorriso a 32 denti il detective Hell. Gli piaceva risolvere i casi, si era capito.
Katherine entrò nuovamente nell’auto dei poliziotti. Il poliziotto che era alla guida era lo stesso del suo sogno. Solo che ora sembrava tutto più reale. Il suo pigiama si trasformò in una tuta da carcere. E questo ogni volta che entrava in quell’auto. Poteva sembrare assurdo, eppure era tutto così reale che Katherine non pensò nemmeno per un minuto che fosse un sogno.
Quel poliziotto, però, aveva un viso familiare. Kat era convinta di averlo già visto, e non si trattava del suo incubo, ma di qualcosa di ancora più reale.
“ Dove mi porta?” domandò la ragazza. Quella domanda nella sua mente le sembrava più sensata.
“ Al penitenziario, dove vuoi che ti porto? Su una stella?”
Kat scoppiò a piangere, consapevole che quella era realtà. O forse no.
“ Io non ho ucciso Eremy Gliffer!” piangeva, urlando queste parole.
“ Si vedrà al processo.” Rispose Hell chiudendo la portiera dell’auto.

Katherine si svegliò, di nuovo. Era un sogno, di nuovo. E Katherine non ce la faceva più. Ripetutamente si svegliava sudata, nella sua stanza, con un forte odore di cornetti al cioccolato.
Quella volta, però, non si ritrovava nella sua stanza a Mainland e l’odore di croissant somigliava più all’odore di una pappetta andata a male.

La ragazza si trovò su un letto che era molto scomodo ed era molto piccolo. Si alzò e si accorse di essere in una cella. Era in carcere. Era stata arrestata, sul serio o forse no? Non sapeva più cosa credere. C’era così dentro che aveva perso la cognizione della realtà. Non sapeva distinguere più niente ed ormai si era convinta di aver ucciso Eremy Gliffer.
“ Dove sono?” domandò ancora stordita.
“ Dove pensi di trovarti? In un carcere.” C’era una seconda donna nella cella. Quest’ultima viveva completamente nel nulla, il suo viso era sopraffatto dalle ombre che c’erano in quella stanza. Si intravedeva appena.
“ Benvenuta all’inferno.” Disse e finalmente si alzò. Aveva una benda all’occhio ma era riconoscibile.
“ Lucy!?” disse Kat sbalordita da quel che aveva davanti.
( Shenae Grimes è Lucy)
“ La tua cara stronza amica Lucy che t’ha fatto cacciare da un collegio. Sono sempre io, un po’ mal ridotta, ma sempre io.”
“ Mi credi se ti dico che non sai quanto mi fa piacere vederti!?”
“ Mh.. sì dai. Vieni qui.” E si abbracciarono. Strano a dirsi dato il loro astio che era nato anni e anni fa. Ma in quel momento un volto familiare per Katherine sarebbe stato sempre qualcosa di buono.
“ Mi prenderai per stupida lo so, ma… perché sono qui?”
“ Dicono che tu abbia ucciso Eremy Gliffer.” Rispose annusando quella pappetta che era stata portata da un poliziotto che vigilava quella parte del penitenziario.
“ E sono stata io?”
“ I tuoi amici dicono di sì, e anche una certa Lydia Cortez. Un certo Jackson Tawson pure. Insomma sono tutti contro di te, non penso che domani al processo verrai assolta.”
“ Mi sono arresa. Posso raccontarti una cosa? In confidenza. Da compagne di stanza, quali eravamo al collegio.”
“ Spara.” Rispose Lucy, disegnando cose senza senso sulla parete. Erano completamente pieni di disegni. Ciò voleva significare che Lu era ormai da anni rinchiusa lì dentro.
“ Questo è il terzo sogno che faccio. O meglio, è la seconda volta che mi sveglio sudata perché ho fatto un incubo. La prima volta sono stata arrestata, la seconda volta, pure. E ora sono qui, e non so quanto questo possa essere reale.”
“ Credimi lo è. Quando ti ritrovi così tanto tempo in una cella, inizi a perdere la testa. Non sai quante volte ho sognato di trovarmi alle Hawaii e invece ero in questo lurido posto.”
“ Lu, non era un sogno. Era troppo reale. Ma da una parte era l’8 gennaio, dall’altra era il 28 maggio. Erano sogni ma erano reali. E ogni volta mi ritrovavo il viso di un uomo alla guida della volante che si voltava verso di me.”
“ Mio padre.” Disse Lucy ascoltando tutto il discorso al quanto contorto e surreale di Katherine. Il bello era che per Lucy tutto ciò aveva un senso.
“ Sapevo di averlo già visto! Ora fa il poliziotto? Non eravate ricchi e famosi?” domandò la ragazza.
“ Manchi da troppo tempo. New York sente la tua mancanza.”
Dopo di che ci fu un lungo silenzio. Katherine era stesa sul letto e cercava di capire che stesse succedendo. Perché non riusciva a svegliarsi da questi incubi che si susseguivano. Eppure era certa che ognuno dei tre portava qualcosa di reale con se. Certo, non pensava di essere diventata una veggente da un momento all’altro, ma sapeva che ognuno di questi portava qualcosa di vero, qualcosa che sarebbe accaduto.
Nel frattempo Lucy era seduta per terra a leggere un libro. Quei libri settimanali che portavano i poliziotti. Giusto per distrarre un po’ i carcerati. Lucy era attratta da ogni tipo di libro. E se anche quelli che leggeva lì non erano il suo genere, doveva adattarsi. Doveva sopravvivere. Il bello è che Lucy nella sua vita aveva sempre sopravvissuto.
Non aveva mai vissuto realmente. Viveva del ‘me la cavo’ e del ‘si sopravvive.’
E questo Kat lo sapeva perché si confidava ogni giorno con Lucy quand’erano al collegio. E anche se lei più volte le ha voltato le spalle, per Katherine, quest’ultima, era la sua coscienza.
Oh sì, era strano, ma era vero.
“ Tu perché sei qui?” il silenzio fu spezzato dalla domanda della ragazza.
“ Ho commesso troppi crimini e sono stata troppe volte scagionata. Ma anche i ricchi, a volte, piangono. Ne sono un esempio vivente.”
Katherine accennò un sorriso. Non le era mai capitato da quando si era trovata in questa sorta di incubo infinito.
“ Mi mancava parlare con te.” Disse Kat, dimenticandosi, almeno per un minuto, di trovarsi in un luogo completamente parallelo alla realtà.
“ Anche a me. Peccato che il tempo stia finendo.”
“ In che senso?”
“ Non è reale Kat. Tutto quello che ti sta succedendo è tutto frutto della tua fantasia. In realtà sei in ospedale. Sei caduta dalla trave mentre facevate educazione fisica. Hai avuto una commozione celebrare e stai dormendo. E’ il tuo subconscio e cose che dice Freud che io non ho mai studiato. Stai semplicemente sognando e tra pochi minuti ti sveglierai, ma, ovviamente, non ricorderai nulla.”
“ Quindi tutto questo non è reale?” negli occhi di Katherine si accese una luce di speranza che non vedeva da tempo. Si rese conto che non era stata arrestata e che era libera. Era, esattamente, libera.
“ In parte no. Realmente hai ucciso un uomo con i tuoi due amici. E poi pensavate che io t’avrei portato guai, be’ non è andata proprio così. Comunque, per il momento, non siete tra la lista degli indagati. Ma la tua amica di Atlanta, Lydia Cortez, sì. Sembra che il detective Hell dia del filo da torcere a quella povera ragazza. Che, tra l’altro, non è chi dice di essere. Non so perché mi trovo qui, ma il tuo subconscio ha voluto questo.”
“ Il mio subconscio ha voluto anche tuo padre ed Elis, Max e Lydia che mi voltavano le spalle. In tutti e tre i sogni.”
“ Hai paura che ti voltino le spalle quelle due pecorellele?”
Katherine annuì. Probabilmente erano dei segnali quelli che gli erano stati dati in questi incubi.
“ Oppure hai paura che sia tu quella che volterà le spalle?”
Kat non rispose.
“ Bene, il mio lavoro qui è finito. Non siamo nel film Una settimana da Dio ed io non sono Dio, ma mi sento un po’ così. E’ tempo di svegliarti Alice, i tuoi genitori t’aspettano.”
“ Non era La bella addormentata?”
“ Cazzo, non sono Dio.”
“ E quando ci vedremo? Dico, quando ti vedrò sottoforma di Lucy e non di coscienza o roba del genere.”
“ Lascia che io vada via. Non verrò mai a Mainland, ma, mai dire mai. Mi manca tanto il tuo fratellino.”
“ Connor? Connor è a Denver.”
“ Ti stupirai di quanto siano vicini Denver e Mainland. Ci tiene troppo per lasciarti in ospedale solo con i tuoi genitori.”
“ Connor è qui?” domandò con gli occhi luccicanti Kat. Fu proprio questo a svegliarla. A svegliarla sul serio.
“ Connor!” Urlò e finalmente aprì gli occhi. Era l’unica cosa che ricordava di tutto il discorso fatto da Lucy poco prima.

“ Oh grazie a Dio!” esclamò Katy e abbracciò la figlia che si trovava nel letto.
“ Che, che giorno è?” chiese Kat ancora molto stanca.
“ L’8 gennaio amore. Ieri sera siete ritornati da Atlanta. Max ci ha detto che avete avuto un incidente e che l’auto è completamente andata. Per quanto riguarda questo” indicò le varie fratture sul corpo di Katherine “ bè questo è frutto della tua incapacità nel fare educazione fisica.”
“ Dov’è Connor?”
“ Connor è andato a prendere qualcosa al bar dell’ospedale. Siamo qui da più di sette ore.”
“ Ho bisogno di parlare con Elis e Max.”
“ Te li faccio venire subito tesoro.” Diede un bacio in fronte a Kat e fece entrare i due.
Il trio si abbracciò e poi Katherine raccontò il suo sogno. I suoi sogni. I suoi incubi.
Il racconto fu lungo, non tralasciò nessun dettaglio. Lucy, il padre di Lucy che si riscontrava in ogni sogno, lei in carcere, Max ed Elis fidanzati – e li scappò una risata mescolata a disgusto – . Raccontò che, in un certo senso, già sapeva che Maxy aveva raccontato ai genitori dell’incidente per non dirgli la verità. Certe cose lei già le sapeva. I due, inizialmente, erano straniti. Ma la situazione era abbastanza strana per tutti.
“ il bello è che tutti mi voltavate le spalle. Quasi fossi solo io la cattiva. E tu, Elis, mangiavi in continuazione cornetti al cioccolato.” Continuò nel suo racconto Kat.
“ Non ti volteremo mai le spalle, mai. E sì, adoro i croissant.” Disse El.
Kat era convinta di questo. Non era convinta di quel che avrebbe fatto lei. Che era ben diverso.
“ Lydia? Jackson? Com’è andata a finire?”
“ Non ti sei persa granché fortunatamente. Lydia vive praticamente in centrale. Ogni giorno nella sala dell’interrogatorio, Jackson ci aggiorna ogni giorno. E poi, sì, c’è una cosa che è abbastanza grande. Ma non è niente di preoccupante.” Disse El.
“ … per adesso.” Concluse Max.
“ Cosa?” domandò Kat preoccupata.
“ Hanno trovato dei resti nel bosco. Ma non si sa ancora se sono di Eremy Gliffer.”
“ Dobbiamo scoprirlo subito.” Katherine fece per alzarsi dal letto ma fu subito bloccata dai due amici.
“ Tuo fratello è venuta apposta da Denver per vederti, i tuoi genitori da stamattina stanno pregando pur di farti risvegliare e noi siamo preoccupatissimi per la tua salute. Oggi non è il giorno in cui penseremo a questo.” Disse Max tenendo stretta la mano della ragazza.
“ Come faccio a non pensarci?”
“ Non pensarci e basta. Quando sapremo qualcosa, sarà Jackson a chiamarci e a dirci tutto. Approposito di Tawson. E’ qui.”
“ E’ stata così grave la mia caduta?” domandò sorridente Kat “c’è mezza Mainland.”
“ Noi ti lasciamo con lui. Non ti preoccupare per il resto. Ce la caveremo, come abbiamo sempre fatto.” Disse El e le diede un bacio sulla fronte. Poi i due lasciarono la sala.

“ Si può?” disse Jackson che si trovava sull’uscio della porta.

“ Entra pure.”
“ La malata come sta?”
“ La malata starà bene se tornerà a casa.”
“ E’ così bello stare in ospedale. Ti curano ogni giorno e ti danno da mangiare.” Disse Jackson appoggiandosi sul bordo del letto.
“ Come vanno le cose con Lydia? Il corpo ritrovato nel bosco?” domandò preoccupata. Sperando che almeno Jackson le desse delle risposte.
“ Lydia sta bene. E non si sa ancora di chi sono i resti. Ma non sono venuto da Atlanta fino e qui per parlare di questo. Tu sta tranquilla. Voglio sapere tu come stai.”
“ Sto bene. Io voglio sapere perché oggi, improvvisamente, a nessuno importi dell’omicidio. Fino a ieri eravamo tutti preoccupati, tutti pazzi e tutti con istinti omicidi. Ho comprato anche una pistola!” disse nervosamente.
“ Questo giorno è dedicato a te. Sei in ospedale Kat, al diavolo tutto. Il tema di oggi è Kat deve stare bene. Domani si ritornerà ad essere i pazzi e gli squilibrati di sempre, te lo giuro. Voi non siete per niente sulla lista degli indiziati, tra poco manco Lydia ci sarà più. Devi solo essere paziente e cercare di andare avanti. Almeno oggi. Pensa a te e alla tua salute.”
“ Va bene.”
“ C’è tuo fratello fuori la porta e penso che tu non veda l’ora di vederlo quindi mi dileguo. E poi ritorna a dormire. Si aggiusterà tutto.”
“ Non mi fido del tuo accento inglese. E no, non ho voglia di dormire. Ho dormito abbastanza.”
“ Iperattiva.”
“ Va via.” Sorridendo si lasciarono e finalmente entrò Connor.
“ Non sai quanto mi sei mancato!!” disse Kat cercando di alzarsi per abbracciare suo fratello.
( Evan Peters è Connor Middelton)
“ Anche tu mi sei mancata tantissimo. Non pensavo che il nostro incontro, dopo mesi che non vengo a Mainland, fosse in un ospedale. Ma meglio di niente. La prossima volta vengo per le feste di Natale, la scuola m’ha tenuto impegnato.”
“ Quanto resterai?”
“ Non lo so. Ho scuola e sto seguendo dei corsi per giornalismo a Denver. I nonni ti salutano.”
“ Ho bisogno di te in questo momento. Per favore, resta il più possibile. Non ce la faccio.”
“ Ora sono finalmente qui. Quando me ne andrò, poi ci penseremo. Domani mi farai fare una visita della mia vecchia scuola, ti dirò, un po’ mi manca.”
Katherine scoppiò a piangere. Non riusciva a reggere quella situazione e, se più  volte, si era mostrata quella più forte e quella più furba, stava crollando prima di tutti. E non sapeva se avrebbe retto quel peso. Non riusciva a fingere così bene come Elis e Max e Jackson. Pensava a Lydia e ad Eremy Gliffer. Aveva saputo il suo nome e molto probabilmente quest’ultimo aveva anche una famiglia. Pensava a tutto questo e non al fatto di essere caduta da una trave.
Connor l’abbracciò, ignaro di quel che era realmente successo.
I due restarono così per molti minuti. Erano tutti quegli abbracci mancati che servivano a Katherine. Connor era l’unica cosa buona di quella giornata. Apparte la visita inaspettata e surreale di Lucy sottoforma di coscienza.

Dopo due ore a girare continuamente canale per trovare un programma decente da guardare in quella cella chiamata ospedale, il telefono di Katherine squillò.
Era Lucy.
“ Lucy!” disse Kat.
“ Caterina!” rispose Lucy dall’altra parte della cornetta. Era solita chiamarla così. A volte. Quando le girava.
“ Mi sei mancata!”
“ Oh, che strano effetto sentirtelo dire. T’ho chiamata giusto per sapere come stavi. Sai, ho saputo da fonti che sei in ospedale. Ci tengo sempre a te. Nonostante tutto.”
“ Connor te lo ha detto? Comunque sto bene, piuttosto a te come va?”
“ Quel ragazzino ha ancora una cotta per me, da quando lo baciai quella volta a New York. Io sto benone, si sopravvive.”
“ Sempre.”
“ Qualche volta sempre ci vediamo Caterina, non vedo l’ora di fare una rimpatriata. Una delle nostre.”
“ Non vedo l’ora. Sei sempre a New York?”
“ Sempre. Sfilate di qua, sfilate di la. Si punta sempre in alto. Proprio ora mi stanno chiamando per un servizio fotografico, ci sentiamo.”
“ Sì. Aspetta, ma tuo padre ora fa il poliziotto?”
“ Sì Caterina, ha cambiato lavoro. Si cambia pur di non sprofondare nella monotonia assoluta. Perché?”
“ Curiosità personale.” Kat sorrise. Consapevole di aver ragione. Quei sogni nascondevano frammenti di realtà. E questo la incuriosiva e la faceva rabbrividire al tempo stesso.
Continuò la sua serata guardando stupidi show in tv. Cercava di abbandonarsi alla realtà dei fatti. Cercava di dedicare, almeno quella serata, a se stessa.

“ Hai finito con quel telefono?” domandò un poliziotto.
“ Oh sì, sì. Grazie per avermi fatto usare il mio telefono.” Rispose Lucy.
“ Ringrazia tuo padre. Ritorna in cella.”
“ Subito capo.” In lontananza si vide una ragazza, con una tuta arancione, che si apprestava a ritornare nella sua cella. Questa volta era sola, a farle compagnia non c’era nessuno, c’era solo un libro. Lo stesso che stava leggendo nel sogno di Katherine. Lucy era finita dietro le sbarre e la condanna? Essere stata scagionata troppe volte per errori commessi in passato.
“ Ti ringrazio papà.”
“ Per quale delle tante cose?”
“ Per avermi fatto usare il telefono, Katherine non deve sapere la verità.”
“ Non deve sapere nemmeno che me l’hai fatta incarcerare e le hai fatto vivere praticamente l’inferno?”
“ Lei crede che sia un sogno. Lascia che creda così.”
“ Giusto perché per farla addormentare, l’hai fatta cadere dalla trave del penitenziario. I genitori credono che sia successo a scuola. Ho dovuto confermare tutte le stronzate che mi hai fatto dire, sennò finivo in carcere.”
“ Doveva assaporare la vita da carcerata.”
“ E perché mai?”
“ Perché tra poco la vivrà nel quotidiano. L’ho aiutata a superare tutto.”
“ Facendole credere di trovarsi in un sogno e di trovarsi in prigione per finta, quando era vero?”
Annuì.
Da questa conversazione si dedusse che Katherine aveva fatto tanti sogni e tanti incubi, ma che l’ultimo era reale. Si trovava davvero in una cella per colpa del padre di Lucy e di Lucy stessa. Tutto per abituarla a quello che sarebbe successo realmente giorni dopo.

FINE EPISODIO
   
 
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