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Autore: WandererS    31/03/2015    1 recensioni
Due mondi differenti, credenze diverse, caratteri quasi opposti eppure così simili: cosa può unire un Vichingo e un Cristiano?
Athelstan e Ragnar riusciranno, infine, a ritrovarsi?
Può la Morte separarli davvero?
NOTA: scritta dopo la 3x06, non tiene in considerazione gli sviluppi succesivi, ritrovandosi quindi in contrasto con le ultime puntate di Viking (3x09 in particolare). Ho deciso comunque di non cancellarla, spero che non sia un problema per nessuno!
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Valhalla, Paradiso o Inferno?
 
 
 
 
 
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo era lì, nell'immenso Valhalla.
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo mangiava le carni del cinghiale Sdhrminir, beveva birra ed idromele quali non aveva mai gustato durante la sua vita mortale, combatteva senza sosta contro i più valorosi guerrieri della storia del suo popolo.
Negli scontri non era certo il più forte, in mezzo a tutti quegli eroi, nonostante avesse mantenuto il vigore della gioventù, ma era il più feroce, mulinava l'ascia con violenza, affondava la lancia e la torceva nelle carni degli avversari, si esponeva più del dovuto alle lame dei nemici, quasi bramando le ferite nonostante si rimarginassero in breve tempo, lasciando null'altro che pelle rosea, intatta.
Si impegnava in quegli allenamenti quanto in ogni battaglia, o forse anche di più, e non si era certo risparmiato in passato.
Avrebbe dovuto essere orgoglioso di ciò che aveva raggiunto in vita, e di ciò che aveva ottenuto dopo la morte. Era caduto gloriosamente in battaglia, un eroe, prescelto da Odino per essere scortato nel Valhalla. E aveva procurato al Padre degli Dei innumerevoli guerrieri per assisterlo e combattere al suo fianco alla fine dei tempi: Torstein, Rollo, Sigvard, Elric, Bjorn, Valgardr... troppi per ricordarseli tutti.
Eppure, non riusciva a godersi il cibo, la birra, la gloria del Valhalla.
Durante i banchetti, con la coda dell'occhio vedeva un lampo azzurro, un fugace sguardo limpido e quieto, fuori posto in quella frenesia di mani voraci e volti dalle espressioni dure. Si voltava di scatto, frugava la sala, senza trovare pace.
Durante i combattimenti, all'improvviso il suo avversario sembrava diminuire di statura, il suo corpo diventava minuto, asciutto. E lui si bloccava, come inebetito, lo sguardo perso chissà dove, mentre l'ascia nemica gli mordeva le carni esposte, ricamando la sua pelle con miriadi di scie rossastre, mutilandolo pezzo a pezzo. Quando i suoi occhi, di nuovo lucidi, tornavano a fissarsi sul suo avversario, si scagliava su di lui, inarrestabile, riducendolo a brandelli nonostante il corpo martoriato dalle ferite, accanendosi sul nemico anche quando ormai era a terra, sconfitto, quasi fosse inconsapevole o dimentico di non poter uccidere ciò che sopravvive alla morte.
Non riusciva a trovare pace, nemmeno nel Valhalla.
Per tutta la vita aveva combattuto la paura della morte pensando alla sua immensa sala, aveva immaginato con orgoglio di poter far parte un giorno di quella schiera di eroi valorosi e prediletti da Odino, aveva confidato in quel glorioso destino, ma, nonostante tutto, ora avrebbe dato qualsiasi cosa per rinunciare a quel luogo, alla sua affollata solitudine.
 
 
 
 
 
Una luce intensa, accecante, lo investì.
Avanzò a tentoni, una mano alzata a proteggere gli occhi feriti da quel candido bagliore.
Gli sembrò di camminare per un tempo indefinito, come in un corridoio senza principio né fine.
Era trascorsa un'eternità, o forse solamente qualche istante (non avrebbe saputo dirlo con certezza, senza punti di riferimento, senza la stanchezza che si accumulava nelle membra, senza lo scandire delle ore del giorno e della notte), quando, infine, vide qualcosa profilarsi davanti a lui.
Un enorme cancello, singolarmente simile al Valgrind del Valhalla, ma candido come la neve.
Al di là di questo, il suo sguardo si spalancò su un mondo di luce dorata.
E, infine, lo vide: una figura minuta, snella, che si stagliava scura al centro di quel chiarore.
Il suo sguardo dolce irradiava serenità, ma dopo un attimo la sua compostezza si incrinò e si slanciò di corsa verso il cancello, verso di lui.
Il limpido azzurro dei suoi occhi lo attirò a sé, come il pericoloso richiamo delle gelide acque dei laghi del nord.
Felice di annegare in quei flutti, fece un passo avanti, un sorriso sulle labbra.
 
 
 
Il suo viso era parso illuminarsi, si era aperto in quel sorriso che tanto amava, che tanto gli era mancato. Quel mezzo ghigno appena accennato, un po' storto, quasi fosse troppo riservato, o troppo orgoglioso, per mostrare al mondo un vero sorriso pieno.
Non era riuscito a controllarsi, si era precipitato da lui come un'adolescente, come doveva aver fatto la sua Gyda innumerevoli volte, dopo averlo aspettato per un tempo che pareva non avere una fine, temendo che non arrivasse mai.
Imbarazzato, abbassò lo sguardo, sentendo le guance imporporarsi.
Ma non riuscì a resistere, non dopo aver sofferto la sua mancanza così a lungo, e non poté impedirsi di rialzare gli occhi a incontrare i suoi.
Erano rimasti penetranti, acuti. La curiosità e la sete di conoscenza non sembravano essere svanite dal suo sguardo con il passare del tempo. Ma, sebbene il vigore del suo corpo e l'acume della sua mente non sembrassero affatto diminuiti, le ciocche grigie nella sua chioma biondo cenere tradivano gli anni trascorsi.
Notando l'armatura di cuoio e maglia di ferro che indossava, l'ascia al fianco e lo scudo sulla schiena, trattenne a stento una risata: chissà se il Signore avrebbe obiettato, a quella vista!
Sperava di no: i suoi pensieri, instancabili, vorticavano da tempo intorno a quel volto, a quel corpo che gli era tanto caro, e ora che lo poteva vedere davvero davanti a lui non avrebbe sopportato che gli fosse strappato via di nuovo. Senza di lui, non gli sembrava di trovarsi in Paradiso, non riusciva a bearsi della presenza del Signore, a distogliere sé stesso dal suo ricordo.
Per un attimo si affacciò alla sua mente un guizzo di sofferenza, un accenno di senso di colpa: come poteva trarre tanto piacere dalla sua morte? Ma l'espressione sul viso di lui, l'intensità del suo sguardo, l'angolo della bocca sollevato in un sorriso lo scacciarono prima che potesse attecchire: la felicità dell'essersi ritrovati, finalmente, dopo un tempo che pareva eterno, oscurava tutto il resto.
Perso nei suoi intensi occhi azzurri, sollevò una mano attraverso le inferriate dell'immenso cancello bianco, sfiorando la sua, intrecciando impercettibilmente le sue dita con quelle di lui.
 
 
 
 
 
Si riscosse, la mano sollevata a mezz'aria a stringere il nulla.
L'oscurità premeva da ogni lato, impedendogli di scorgere altro che vaghe sagome in movimento.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime al pensiero di ciò che aveva perduto, che aveva quasi creduto, per un momento, di poter ritrovare.
Quell'immagine, quella scena che aveva visto così reale davanti ai suoi occhi, quella speranza infranta era più dolorosa di qualsiasi ricordo o pensiero lo avesse tormentato fino a quel momento. La sofferenza dell'essere trascinato senza sosta da una parte all'altra di quel luogo tetro e angusto non era nulla rispetto alla consapevolezza di dover trascorrere l'eternità lontano da quell'uomo che aveva potuto rivedere solo per fugace istante, quasi in un sogno capace solamente di rendere più doloroso il risveglio.
Tremante, spossato dal nitido ricordo di quel volto, si abbandonò all'ululato del vento, all'instancabile bufera che dominava quel luogo.
Quasi non riusciva a rammentare quali peccati lo avevano condotto lì. Pensieri impuri, tradimento del voto di castità, fornicazione con un'adultera...
Non importava più.
La pena peggiore, in quell'antro affollato di anime perdute, era la solitudine, che gli aveva scavato nel petto una voragine che gli era impossibile colmare.
A pezzi, distrutto, tormentato a un tempo dal vorticare del vento e dei suoi pensieri, si arrese nuovamente alla sofferenza.
All'improvviso, sentì una mano stringere la sua, inconsistente come nebbia ma decisa a trascinarlo fuori da quell'abisso di solitudine.

 



























































Nota dell'autore: questa cosa non ha senso. E non avrei dovuto scriverla prima di finire di vedere la terza stagione e farmi una cultura sulle fanfiction di Vikings, perchè ne ho letta solamente una finora. Ma non ho resistito: la 3x06 è stata un vero trauma, e il disagggio di facebook ha aumentato esponenzialmente la mia ossessione per questi due, e ne è saltata fuori questa cosa. Perdonatemi se ho scritto cagate, questa è davvero una storiella senza pretese, e mi rendo conto di aver forse fatto il passo più lungo della gamba scrivendo di qualcosa che conosco così poco, per cui sono assolutamente aperta a critiche e osservazioni! Ah, le solite note "bibliografiche", perchè ci tengo: sul Valhalla mi sono informata su siti un po' a caso, per l'Inferno mi sono basata principalmente su Dante (Canto V, cerchio dei lussuriosi, ovviamente), mentre per quanto riguarda il Paradiso in realtà ho attinto alle credenze più popolari, anche se chi la conosce potrà notare qualche citazione alla canzone di George Blagden, perchè sì.
Grazie per essere giunti fin qui, spero di poter leggere la vostra opinione!
S.

   
 
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