Definirei
questa storia a rating verde, ma per sicurezza data “la lieve
trattazione di tematiche sessuali” l’ho postata come gialla.
Nda: So bene che sono innumerevoli le storie di questo genere,
spero almeno di aver scritto qualcosa di originale. L’impegno verso questa
speranza c’è stato. Non si tratta del preludio alla prima volta di Bulma e Vegeta, ma dei pensieri che sono suscitati in
seguito, nel cosiddetto “giorno dopo”. L’idea, ovviamente, mi è venuta grazie
al mito del Minotauro che mi ha sempre affascinato. Le frasi in corsivo sono
state prese dalla diverse traduzioni del manga e dell’anime, ho cercato di
metterle tutte insieme trovando un senso comune.
Il Minotauro
Al risveglio notò Vegeta al suo fianco che, nudo, dormiva
ancora come un qualsiasi umano sulla faccia della Terra; ma Vegeta non era un
umano: era un Sayan cresciuto a sangue nei campi di battaglia; aveva molte
cicatrici sul corpo e una fra tutte spiccava profonda sul petto scolpito. Era
lì che Freezer l’aveva trafitto a morte, ma Bulma non
poteva saperlo e lì aveva poggiato le sua labbra, inconsapevole di mischiare
alla sua saliva un passato non del tutto accettato a un presente ancora in
divenire.
Il giorno della sua morte per mano di Freezer era un evento a cui
Vegeta pensava sempre con rancore. E di certo non aveva voluto quel genere di
fantasmi tra le lenzuola.
Il sapore salato delle lacrime (lasciate andare ricolme di un
ultimo, disperato ordine ad un proprio suddito, Kakaroth)
era tornato sulla punta dell’agrodolce lingua di lei, a ricordargli di un
orgoglio morto già troppe volte.
Lei che si era aspettata una passione bestiale, vestiti strappati e baci
a fior di labbra si era invece trovata in un amplesso talmente ordinario che,
se non avesse tenuto gli occhi aperti per tutto il tempo, non avrebbe creduto
di stringere tra le cosce proprio Vegeta, l’indistruttibile e distrutto principe
dei Sayan. Lo stesso Vegeta che, un attimo prima di baciarla, l’aveva
minacciata di morte e che poi aveva fatto l’amore con lei tiepidamente, con
impacciati colpi di reni.
Bulma Brief quella mattina mai e poi mai
si sarebbe aspettata di trovarlo ancora addormentato su quel lato del letto.
Eppure lui era là, in tutta la sua inaspettata umanità! La notte prima le era
sembrato quasi di essere stata complice di un segreto, protagonista
di episodio che aveva mostrato l’umana debolezza del principe alieno. Era
davvero quello il modo in cui faceva l’amore? Dov’era finita la foga scimmiesca
dei suoi sogni proibiti?
Quella loro prima volta era stata del tutto diversa da come l’aveva
sempre immaginata.
Deludente?
Il principe si svegliò accanto ad un lato del letto vuoto. Non si aspettava di
trovarla addormentata lì vicino, si era accorto di come Bulma
se l’era svignata all’alba, forse per evitare l’imbarazzo di trovarsi a letto
con qualcuno con cui avrebbe preferito non lasciarsi andare. E non poteva darle
torto. Così si era trovato da solo, nudo, in compagnia del suo ennesimo
fallimento.
Si vergognava terribilmente della notte scorsa; consapevole di non
aver fatto faville, reduce da un tiepido amplesso, adesso quasi si pentiva di
non averla violentata. Avrebbe anche potuto tornarsene in camera sua, piuttosto
che restarsene a dormire in quella coltre dal profumo dolciastro.
Restare, l’unica soluzione per non ammettere la propria vergogna.
Di solito, non era così che andava…
Tanto per cominciare non era mai stato un evento così intimo e
nessuna aveva mai avuto tanta voglia di condividerlo con lui (non gratis, non
senza violenza). Già quest’ultima era stata una novità di per sé sufficiente a
deconcentralo; il naturale affievolirsi della sua eccitazione era risultato
dalle attenzioni fino ad allora mai ricevute e dall’idea di sentirsi per la
prima volta ardentemente desiderato anziché respinto. In fondo, le urla di
dolore gli erano sempre piaciute, lo eccitavano. Ed erano mancate.
Delicato, un aggettivo che lo disgustava al solo pensiero,
eppure lo era stato con Bulma che pareva non aver
notato lo sforzo. Sia chiaro, della terrestre non gli importava: era
quell’inconsueta attrazione che lei provava per lui ad affascinarlo.
Amore, non aveva mai trovato di questi valori nel suo
mondo. Persino la parola stessa gli sfuggiva nell’eco di suppliche rivolte al
cielo, che piuttosto spesso sceglieva invece di pisciarci su quelle preghiere.
Così era successo anche lui, nell’impietrito e inascoltato dolore di una morte
imminente.
Non era infatti scontato che qualcuno s’innamorasse del famigerato
principe dei Sayan, un assassino. Ed anzi lui stesso aveva impiegato diverso
tempo per abituarsi all’idea che qualcuno potesse avere sentimenti positivi nei
suoi confronti. Anche Bulma, viceversa, aveva
impiegato un anno per accettare e maturare l’idea di provare qualcosa per lui,
tanto da costringersi in ragionate giustificazioni prima di arrendersi ai
propri istinti. Innamorata, era stata un pomeriggio la sua impavida
ammissione, che tuttavia lui aveva preso per una provocazione.
Come le piaceva ascoltare la sua voce! Che feroce era stata udita in
battaglia, in galassie lontane scomparse prima ancora che lei nascesse. Lui era
nel cielo che da piccola osservava da un telescopio; era il desiderio che
invocava da bambina: era il cattivo che solo per lei diventava buono.
Da grande aveva poi capito che cattiveria e bontà erano concetti
relativi, dipendenti dalla percezione che si aveva degli altri. Un punto di
vista. La rabbia, un sentimento universale.
Vegeta meritava indulgenza, perché chiunque con quel destino
avrebbe agito allo stesso modo. Persino lei sarebbe stata capace di uccidere se
fosse stato necessario alla conquista della propria libertà.
“Ti ammazzo, se mi stai prendendo in giro”, era stato il preludio
del loro primo bacio; una brusca minaccia seguita da uno sfiorarsi di labbra
incerto. Vecchi fantasmi avrebbero condiviso il loro primo letto. Primo fra
tutti, se stesso; il temibile principe dei Sayan perdeva quel giorno il primo
pezzo, decidendo di non violentarla aveva già perso infatti se stesso. O forse,
proprio nell’indulgenza di quel corpo avrebbe infine ritrovato Vegeta.
È stato Freezer a rendermi quello che sono, Kakaroth,
uccidilo. Vendica il nostro popolo.
Debole, davanti al destino. Patetico, come un umano. Mortale,
persino se mostro.
Bulma gli piaceva. Nell’inadeguatezza
dei suoi pensieri, nell’acerbità dei suoi modi, il suo corpo aveva già scelto
per lui prima ancora della sua testa. Solo, non aduso a quei moti dell’animo
(mani sudate, cuore battente) vi badava appena, magari affatto. Non la
voleva.
Non voleva.
Tornò nella stanza a sorprenderlo con una tazza di caffè fumante,
fragrante. Raggiante.
In quello sguardo Vegeta ne rivide tante; epifanie passate di donne
straziate. Lei vide solo un uomo.
Lasciò la tazza sul comodino e con la mano di nuovo libera
allacciò le dita ai suoi capelli corvini e gli lisciò i pensieri,
intrecciandone di nuovi.
Cercò di essere normale ma lui non osò tanto.
C’era qualcosa di pazzo e di attraente nell’amore incondizionato
che gli veniva esposto. Si chiese se tutto il male che aveva inferto era
servito a meritarselo, quel perdono davvero scomposto.
Abituato a dover rendere conto di ogni sua azione, la osservava in
attesa di una spiegazione; di un resoconto per il fallimento della missione. E
già impastava l’insulto che le avrebbe rivolto.
“So benissimo che è pericoloso; Freezer può distruggere il
pianeta con un dito, non fa differenza dove siamo; così prima di finire
all’altro mondo, mi piacerebbe sapere che tipo di persona è” sfornò invece
in ricordo la sua mente, portandolo ancora a lei.
Leggerezza. La stessa per cui adesso veniva sollevato dal
suo passato, quando per Yamcha non erano bastati
mille baci a comprendere un niente.
Se non avesse ucciso così tanto, non le sarebbe bastato. Sentì di
essere una preda, né più né meno che una conquista d’orgoglio, com’era infondo
sempre stato.
Non era forse quello il motivo per cui anche Freezer lo aveva
risparmiato, padrone del più potente dei guerrieri?
Quanti sacrifici sopportati, quante promesse a lenire una condizione di
schiavo, principe nato suddito di un tiranno.
Bora, Avanda, Edra, Shirt… e migliaia di altri. Ricordava ogni pianeta, ogni volto. Incarichi
sempre più difficili per mettere alla prova la vita e crescere in forza.
La forza, infatti, è tutto ciò che conta, per il soldato
che nella ribellione aveva trovato la sua tomba e per il bambino, conservato,
a cui di virtù non era mai stato spiegato nulla.
«Hai il segno del cuscino sulla guancia.»
In quella frase finì il suo mondo scomposto. Sì sentì normale,
costante dell’universo che per l’immortalità aveva tentato di sconfiggere: umano.
Il più forte dei superstiti, in diritto di una leggenda, lo era
stato. Voleva esserlo ancora.
In quegli occhi azzurri non vide che la volta celeste verso cui
sarebbe svettato, scappato, per riprendersi se stesso. Lo doveva al bambino che
non era stato, allo schiavo maltrattato e al guerriero ribelle.
La bancarella dell’esotico aveva smesso di interessarlo. Era stata
solo una notte ma ignorava sarebbe durata per sempre, dopo il baratto del
proprio seme per il suo grembo.
Sarebbe partito, nel profondo spazio oscuro, a trovare un posto di
pace alla sua mente, a nascondere la frustrazione nella realizzazione di un
sogno. Tuttavia, sarebbe tornato: non all’eroe, questa volta, era stato teso il
filo del ritorno.
Ringrazio tutti coloro che sono arrivati alla fine. Spero
questa one-shot sia stata di vostro gradimento. Se
volete, lasciate pure un commento per la gioia dell’autrice. Alla prossima! :)
Ps: spero di non aver seminato errori (od orrori!) nel
caso, non fatevi problemi a segnalarmeli.