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Autore: Clockwise    31/03/2015    6 recensioni
Ho perso l'amore: forse è stata colpa del tempo, forse di un'antica guerra, forse di un cuore che ne ha viste abbastanza. Non lo so, e gli psicologi mi stanno antipatici. Cerca di perdonarmi, se puoi. Ti voglio bene. Ti ho amato, a modo mio.
Molto tempo dopo, raccogliendo i cocci.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fra le righe'
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Yep, sono di nuovo qui.
Un paio di note per capire: Amanda è la figlia di John e Mary, cresciuta con John e Sherlock a Baker Street dopo la morte di Mary, per mano della rete di Moriarty – vedi fine di Aforismi ma non è fondamentale. In sostanza: John e Sherlock hanno cresciuto insieme Amanda, con tutte le conseguenze che ne sono derivate.
Buona lettura =)

 

Trio

pour Piano, Violon et Violoncelle

 

 

La quiete polverosa del pomeriggio viene interrotta da un timido accordo. La fronte di Sherlock ha un fremito, mentre fatica un po' per riconoscerlo, con sua irritazione – Re minore settima, ripetuto quattro volte, esitante. Segue un Si bemolle maggiore, appena teso. Il giro continua sul Fa maggiore – la tonica, finalmente –, variando con un intrigante Sol naturale, per poi scivolare di nuovo al Re.
«Questions of science,
science and progress,
do not speak as loud as my heart.
I had to find you...
No, questa veniva dopo, ho sbagliato...»
L'angolo delle labbra di Sherlock si solleva, divertito e intenerito, mentre degli accordi confusi e goffi si affastellano gli uni sugli altri, fino a cadere bruscamente in un Fa maggiore che chiuda il tutto. Poi il silenzio.
«Eppure una volta la sapevo tutta, è talmente facile, sono quattro accordi... Non ricordo bene le parole però, come cominciava?
Running in circles,
chasing our tails
coming back as we are...»
Il canticchiare frammisto al sommesso pianoforte. La maggiore, tenuto per una battuta – sa di fine, di giudizio.
«Oh, let's go back to the start.»
Sherlock strizza le palpebre, per la precisione con cui quelle parole lo hanno colpito. Non si rende conto di aver espresso ad alta voce il suo dolore finché non sente le fresche mani di Amanda sulle sue braccia.
«Pa', tutto bene? Papà?»
Si riscuote e apre gli occhi. Il dolore è ancora lì, però, dietro le iridi chiare che ormai non sono più in grado di mascherare la sua anima come un tempo.
Annuisce brevemente, evitando lo sguardo di sua figlia.
«Suoni il pianoforte da quando avevi dieci anni e ora l'unica cosa che produci per allietare il mio pomeriggio è una canzone commerciale di genere indefinito che si basa su quattro accordi – banali per altro. Davvero, Amanda, sei deludente.»
Ad un orecchio non allenato, il commento di Sherlock risulterebbe quasi offensivo, ma ad Amanda non sfugge la vibrazione divertita, le rughe del sorriso intorno agli occhi appena accentuate, la sfumatura affettuosa nell'azzurro glaciale dello sguardo.
«Dove hai nascosto il violino?»
Sherlock sorride, stupito e fiero della capacità della figlia di leggerlo così bene – di leggere tutti così bene – un po' come John, ma con la sua abilità di osservazione e analisi.
Con la testa fa un cenno verso la libreria, dove Amanda scova lo strumento dietro un'anta che non chiude bene. Non fa domande, ed è un sollievo.
Poggia la custodia sul tavolo e la apre ammirando lo strumento con una venerazione che riempie Sherlock di orgoglio. Lancia uno sguardo al padre, per chiedere il permesso, accordato con un cenno indulgente della testa. Felice come una bambina, Amanda tira fuori l'archetto, ne tende i crini e vi passa sopra la colofonia con accuratezza. Quindi prende il violino, lo appoggia all'addome e lo accorda, aiutandosi con il pianoforte. Quando è soddisfatta, porge archetto e violino al padre, che la ringrazia con gli occhi, quindi torna a sedersi al piano.
«Cosa suoniamo?»
Sherlock si alza, con un po' di fatica, ignorando il lampo di preoccupazione negli occhi della ragazza, e si avvicina al pianoforte, dritto come un soldatino di stagno, il violino pronto sotto il mento. Tenta un paio di note, per saggiarlo – il Sol è leggermente calante, ma non osa accordarlo di nuovo per non ferire Amanda.
Silente, aspetta, nell'aurea calma che raccoglie i pensieri, le forze – tremende forze servono per suonare quello che stanno per suonare senza crollare – non è più forte, inattaccabile come un tempo.
Amanda annuisce – ha capito dalla sua posa rigida, dallo sguardo fiero ma tremante, di giovane soldato. Si volta e posiziona le mani, sospese sopra i tasti d'avorio. Conta sommessamente otto tempi.
Oh, let's go back to the start.
 
~~~ 
 
I. Modéré
 
«John.»
L'uomo si volta verso di lui, sorridendo. C'è qualcosa di incredibilmente solido e rassicurante nel sorriso di John in quella giornata d'estate, tagliato nel suo viso di amabile terracotta, raggiante e sincero e così abbagliante, che Sherlock dimentica quello che stava per dire e la sua mente diventa bianca.
«Ti amo, John.»
Lo dice con chiarezza e fermezza, come se stesse constatando un dato di fatto – temperatura a ventitré gradi centigradi lì all'ombra del padiglione, assolato, umidità al sette percento, la cravatta non ti dona e, sì, ti amo, John.
La sua mente è bianca in maniera disarmante, il suo cuore è calmo: semplicemente, non avrebbe potuto dire niente di più giusto e vero, tutto è esattamente al suo posto.
John, dal canto suo, annuisce e sorride un po' di più, dolcemente, poi torna a guardare Amanda che avanza emozionata verso il pianoforte, mentre annunciano il suo nome e il suo brano. Lei si siede sullo sgabello, visibilmente nervosa; guarda verso John e Sherlock con un sorrisino incerto e spaventato. John irradia calore e conforto da ogni centimetro di pelle; Sherlock annuisce una volta, solenne e fiero di lei. Amanda posa le dita sui tasti.
La mano di John cerca e stringe quella di Sherlock quando riconosce il brano – confonde tutti i titoli e i compositori, ma ha orecchio per le melodie. Si volta verso l'altro.
«Non è quella... Quella che le hai insegnato tu? Quella che suonavate insieme?»
Sherlock annuisce, senza staccare gli occhi dalla ragazza sul palco.
«Maurice Ravel, Trio, primo movimento. Questo è un arrangiamento per solo pianoforte, in realtà è composto per piano, violino e violoncello.»
Il sorriso ammirato e orgoglioso di John si allarga, e torna a guardare il palco con rinnovato sentimento. Nessuno dei due parla, si limitano a tenersi uniti per le mani, finché Amanda non termina il pezzo con una lenta ripresa del tema e un tenue La. Si sciolgono le mani; John si alza in piedi per applaudire con le lacrime agli occhi – ovviamente è toccato solo perché suona sua figlia e perché non ha notato un accordo sbagliato, un trillo non riuscito e quando è inciampata su una scala; Sherlock applaude e sua volta, nascondendo quanto anche lui sia scosso – più per abitudine che per altro. Amanda si alza, si inchina, rossa in viso, e corre via, salvo poi tornare indietro e recuperare lo spartito.
Si alza un altro ragazzo, rosso di capelli, con gli occhiali, un papillon e le orecchie quasi fosforescenti. John socchiude appena gli occhi: è lo stesso ragazzo che accompagna Amanda a casa da scuola tutti i giorni e si attarda sempre di più sui gradini del 221b, deve tenerlo d'occhio, non sembra granché affidabile...
«Non è un pezzo semplice, tutt'altro. È stata davvero brava» commenta Sherlock, distraendolo. John sorride e si lascia andare impercettibilmente contro di lui.
«Potreste dare concerti insieme. Quando smetteremo di rincorrere criminali.»
«Non tanto presto: hai preso almeno mezzo chilo nell'ultima settimana, hai bisogno di correre.»
«Non è vero! E poi è colpa di Mrs Hudson, che sta mettendo su una pasticceria nel salotto. Aveva bisogno di una mano a finire i dolci, non poteva rischiare che andassero a male, sarebbe stato un peccato...»
«E comunque no, quando saremo troppo vecchi ce ne andremo nel Sussex ad allevare api.»
«Api? Di tutti gli animali del Signore, si può sapere perché proprio le api?»
«Perché sono gli unici animali, uomo incluso, ad eccezione di pochi esemplari, ad essere veramente intelligenti.»
«E tu saresti fra quei pochi esemplari, eh?»
«Certo, John. Io, Mrs Hudson e Anderson, geni incompresi che rivoluzioneranno il proseguimento della specie.»
John ride rovesciando la testa all'indietro, finché non gli viene chiesto di smettere. Coglie Sherlock rivolgergli una saettante occhiata prima di voltarsi di nuovo verso il palco.
Gli stringe la mano di nuovo.
«E api siano. Ci ingozzeremo di miele da far invidia a Winnie de Pooh.»
«E a Mycroft.»
John ride di nuovo, e viene zittito di nuovo. E di nuovo coglie un guizzo dello sguardo complice e divertito del detective.
Ed è quel guizzo che ama.
 
~~~ 
 
II. Pantoum (Assez vif)
 
«John?»
Sherlock si acciglia, in piedi al centro del salotto: la porta della sua camera è socchiusa. Lui la chiude sempre.
Avanza lentamente lungo il corridoio, spingendo la porta con la punta delle dita.
«John.»
Le spalle dell'ex-soldato si raddrizzano, Sherlock lo sente tirare su col naso. Si schiarisce la voce.
«Oh, ciao, Sherlock. Sei già a casa, non ti aspettavo. Mh, io sto... hem, beh, il tuo stereo è più potente. Volevo soltanto...»
Non lo guarda, ha voltato la testa quel tanto che basta per non risultare maleducato. Si prende ancora qualche istante per ricomporsi, poi si tira su e spegne la musica, indelicato, nel mezzo di un fraseggio.
Sherlock rimane fermo sulla soglia, bloccato. Vedere John in quello stato lo riempie di risentimento: tutto quello che fa, tutto quello che gli ha dato in questi anni, ancora non basta.
«Sei già stato al cimitero.»
Lo dicono le scarpe e il taglietto sul dito – perché non l'ha aspettato? Ci sono sempre andati insieme.
Piange ancora la morte di Mary? La sola domanda gli stringe il cuore e lo rende grave come un masso.
«I-io, sì, sì, non volevo... dovevo farlo.»
Si schiarisce di nuovo la voce, infila le mani in tasca e lo fronteggia, finalmente. Ma Sherlock è ancora lontano, mentre cerca di rimettere insieme i pezzi.
«John, perché...»
«Amanda si sposa.»
Suona di maledizione.
«Si sposa? E con chi?»
La solita ingenuità di Sherlock fa stendere in un sorriso le labbra di John.
«Con Bill, il suo fidanzato. Stanno insieme da secoli.»
La straordinaria stabilità e tranquillità di Amanda, inaspettata con due genitori come loro, ha sempre sorpreso entrambi. Eccola che si sposa con un ragazzo normale, educato e senza troppi grilli per la testa, eccola che si costruisce una vita luminosa e serena, felice perché ha deciso di esserlo, perché ha capito presto chi era e come voleva essere – John e Sherlock si stanno ancora battendo in questo.
«Oh.»
Amanda. La loro bionda, vivace bambina. Sherlock la ricorda giocare con il suo violino come se fosse una chitarra – ora ne sorride, al tempo l'aveva castigata a non giocare più con Billy il teschio per una settimana –, la ricorda scarabocchiare sul tavolo della cucina, impiastricciarsi di uova e farina nel tentativo di fare dei biscotti, cantare a squarciagola la domenica mattina, strimpellare il pianoforte verticale che Mycroft le aveva regalato per compleanno; la ricorda nel buio periodo appena fuori dall'infanzia, in cui iniziava a scoprirsi donna, sola in una casa di uomini; la ricorda al cimitero, da sola, in lacrime, abbandonata dalla donna di cui aveva bisogno; la ricorda adolescente, esuberante e vivace, ribelle e fiera, sempre in lotta con qualcuno o il mondo intero – la passione di John, l'anima di Sherlock; la conosce giovane donna, più quieta, immersa in libri e poesia e umanità, ansiosa di far parte del flusso incessante della vita.
Amanda si sposa.
Ora capisce. Si avvicina a John finché questi non alza lo sguardo verso di lui. Sherlock abbassa appena la testa – posso? John chiude gli occhi – per favore.
Si abbracciano in silenzio, a lungo, ciascuno perso nell'altro. La loro bambina si sposa, a Baker Street torneranno ad essere soltanto loro due, ma più vuoti, praticamente inutili. E a Sherlock viene il tremendo dubbio se John rimarrà qui, ora. Forse, era rimasto solo per Amanda, per non separarla da Sherlock, a cui era tanto visibilmente affezionata. Adesso potrebbe andarsene – perché restare?
La parte razionale del suo cervello gli dice che non avrebbe motivo di andarsene, dopo quasi trent'anni di convivenza, ma poi le mancano le parole per continuare: quelle sono di competenza della parte irrazionale, che però è invasa dalla paura.
«Sherlock.»
Appena un fremito sulla sua spalla. Si scosta leggermente, a malincuore.
John è sempre stato il più romantico e sentimentale, tra i due, nonché il più familiare con le parole; eppure non gli ha mai espresso a voce nulla di veramente importante.
Ora le sua labbra gli sorridono appena, un sorriso spezzettato e fragile, increspato dalle piccole rughe che lo circondano, che plasmano e intagliano tutto il suo viso, più profonde che in passato – firma del tempo e del dolore; gli occhi, invece, vibrano di luce, e Sherlock si chiede da dove venga, dove abbia la forza di cercarla. Con fatica, come uno scolaro sul suo primo libro, Sherlock legge sul suo viso quello che le sue orecchie non hanno mai sentito, un messaggio che gli scalda il cuore e lo tranquillizza – quello che John gli ripete da tutta una vita, guardandolo ogni giorno.
«The two of us against the rest of the world, di nuovo. Va bene.»
John annuisce e seppellisce di nuovo la testa nel petto dell'altro.
 
~~~ 
 
III. Passacaille (Très large)
 
«John!»
È quel grido che lo richiama al presente, lo riporta a galla, lo desta – grido disperato, combattuto, lacerante. Scuote la testa, sbattendo le palpebre.
Intorno a sé, devastazione. Sherlock ansima appena, soffre nella lotta, ferito ma deciso a sopravvivere ad ogni costo – è la legge nel profondo di ogni essere vivente, è più forte di lui. Le pareti del 221b riecheggiano ancora dei toni irati ma sofferti delle due fiere.
Che cosa stanno facendo? Perché?
«John, ti prego, ritira quello che hai detto.»
La voce di Sherlock è bassa, vibrante. Gli occhi pallidi tremano.
John sente meno ossigeno di quanto ne dovrebbe avere. La sua mente è sgombra, desolata.
«Mi dispiace.»
«No.»
«Sherlock, non renderlo più difficile.»
«No!»
Eccolo, il giovane, irrequieto Lord Byron che si ribella al mondo, tempestoso.
«Abbiamo vissuto insieme per quasi trent'anni. Se non fosse stato per te, io non li avrei probabilmente mai vissuti, sarei morto molto prima. Siamo stati insieme per quasi metà della nostra vita, non puoi ignorarlo.»
C'è ferocia nel suo sguardo e la rabbia di chi non vuole arrendersi davanti all'evidenza. John sente freddo.
«E ti ringrazio, Sherlock, per tutto quello che mi hai dato. E forse mi odierai, oppure odierai te stesso, ma non devi: non è colpa di nessuno. È successo, e basta. Troppe domande irrisolte, troppe questioni in sospeso dentro di me: devono chiarirsi.
Ho perso l'amore: forse è stata colpa del tempo, forse di un'antica guerra, forse di un cuore che ne ha viste abbastanza. Non lo so, e gli psicologi mi stanno antipatici. Cerca di perdonarmi, se puoi. Ti voglio bene. Ti ho amato, a modo mio.»
Ci vuole un grande sforzo per separarsi dagli occhi di Sherlock, prendere la giacca e muoversi verso la porta. Gli sembra di stare camminando in mezzo alla sabbia, in un tempo polveroso.
«Chiamalo un biglietto, il mio biglietto. È questo che la gente fa, no?»
Sherlock vorrebbe ridere e piangere, abbracciarlo e tirargli un pugno. John sorride mesto, agita appena la mano, ed è fuori, oltre la porta, giù per le scale, nel vento della strada. E Sherlock rimane in mezzo alla tempesta a chiedersi perché.
 
~~~ 
 
Tutto il corpo di Sherlock segue il movimento dell'archetto nello spasimo finale dell'ultima nota. Poi tace, e Sherlock sente la morte.
È invecchiato tutto d'un colpo. Tutti gli anni che non aveva sentito, che si erano nascosti solo in qualche ruga e una spruzzata d'argento, si sono improvvisamente presentati a chiedere il conto: il suo cervello è rallentato, le ginocchia scricchiolano ed è infinitamente stanco.
Amanda si alza e gli toglie il violino dalle mani, con delicatezza, e lo ripone al suo posto. Lui torna a sedersi, esitante.
«Hai avuto notizie di lui?»
Amanda va a sedersi sulla poltrona di fronte alla sua, appoggiando i gomiti alle ginocchia, per guardarlo bene. Sa che da quando Sherlock se n'è andato da Londra, non ha più sentito una parola da John – è passato quasi un anno, ormai.
«Abita ancora a Londra, non lontano da noi. Viene a trovarci spesso. Si è messo a scrivere per una gazzetta settimanale, aspetta non ricordo il nome...»
«Il 221a? Baker Street?»
La ragazza alza gli occhi, colpevole. Annuisce.
«Si stanca a fare le scale. Ogni tanto esce con il bastone, ma è psicosomatico, hanno detto i dottori. Comunque non ha affittato niente. Il 221b è rimasto com'era.»
Sherlock sbuffa, scuotendo la testa.
«Tipico» borbotta. Amanda si sporge ancora verso di lui. Il sole sta calando, Sherlock sente il desiderio di una coperta.
«Papà... So che la nostra famiglia è stata a dir poco atipica. Io posso soltanto immaginare cosa voglia dire perdere una moglie, trovarsi a crescere una bambina con un uomo come te, uno scienziato pazzo che si credeva fosse solo un amico. Che dolore. E per te... Hai sempre amato papà, lo so benissimo. Ormai sono grande» sorride, strappando un sorriso anche a Sherlock.
«E anche lui ti ha amato, a modo suo. Solo che tu... Qualunque cosa tu faccia è plateale, visibile a tutti. Il tuo amore esplodeva, era evidente a miglia di distanza. Ed era puro, forte e inarrestabile – travolgente, come te. Mentre papà... aveva sofferto molto. Prima la guerra, poi te, poi la mamma... Portava scoperte tutte le sue cicatrici. E tu hai scardinato l'ordinarietà in cui si era rifugiato, mostrandogli un'alternativa migliore, ma molto esigente, faticosa. Papà ti ha sempre amato, ma di un amore ricco di sfumature, sfaccettato, articolato, fatto su misura per te. Non ha mai amato nessuno come ha amato te.»
«E allora perché non è qui?» domanda Sherlock con voce roca. Amanda sorride dolcemente.
«Forse, ha paura delle api.»
 
~~~
 
IV. Final (Animé)
 
«Sherlock»
Lo sguardo di John tradisce tutta la sua sorpresa.
«Non ti aspettavo.»
L'altro solleva appena il mento.
«Mi ha invitato Amanda. Se ti do dispiacere, tolgo il disturbo.»
«No, no, no!» si affretta a rimediare John. Trova i suoi occhi per un attimo, poi li lascia di nuovo – quante volte hanno tirato di scherma così. «Resta, ti prego.»
Sherlock raddrizza le spalle, passando i suoi occhi inquisitori sul corpo dell'altro, deducendo.
«Ti sei occupato del dolce. Zuppa inglese.»
John sorride, meravigliato, ancora dopo tutti questi anni.
«Mi ricordo che ti piaceva, quella di Mrs Hudson.»
«Io ho portato del miele.»
L'altro sgrana gli occhi.
«Hai già il miele? Così in fretta?»
Sherlock solleva un sopracciglio.
«Avevi dubbi?»
John scuote la testa ridendo.
«No, suppongo di no.»
Tacciono, e il dolore torna a palpitare. Amanda viene a salvarli fortuitamente.
«Allora, come stanno i miei vecchietti preferiti? Sono o non sono riuscita a mettere su una bella festa?» sorride, prendendoli a braccetto entrambi, le guance rosse.
«Sì, tesoro, hai lavorato tanto, ti ringrazio davvero...»
«Sei già brilla, è incredibile, dopo appena un bicchiere di vino, e deve ancora arrivare lo champagne, proprio come tuo padre...»
«Disse l'uomo che mi ha fatto passare l'addio al celibato in prigione perché era ubriaco marcio!»
«Un lieve errore di calcolo e un'eccessivo fermento, tutto qui...»
Amanda sorride, mentre continuano a battibeccare allegramente come li sente fare da sempre; sembra quasi che non sia cambiato niente – sono ancora tutti e tre lì, nel salotto del 221b – eppure niente è lo stesso.
«Ehi, ho un'idea! Papà, suoniamo qualcosa!» propone all'improvviso, riscuotendosi dai suoi pensieri. Sherlock la guarda oltraggiato.
«Sei impazzita? Neanche per idea. E poi non ho il violino.»
«Te l'ho portato io, infatti. Oh, per favore...»
John punta lo sguardo a terra.
«Non con tutta questa gente. Forse, quando se ne saranno andati. E ora vogliate scusarmi» fa con sarcasmo, deglutendo una smorfia di fastidio mentre Mycroft si avvicina a loro. John e Amanda si scambiano un'occhiata divertita, e lui stringe la figlia a sé, stampandole un bacio sulla guancia.
Diversa torta, chiacchiere, brindisi e auguri dopo, il 221b torna silenzioso: solo John, Sherlock, Amanda e Bill, leggermente a disagio come tutte le volte in cui si trova a tu per tu con il signor Watson. Fra i due, è quello che l'ha sempre spaventato di più, sin da quando era ragazzo e aspettava Amanda sotto il portico. Ora, con molto tatto, mentre il silenzio cala nel soggiorno, finge di dover andare giù a buttare la spazzatura, dopo un'occhiata d'intesa con la moglie.
Amanda afferra al volo lo sguardo di suo padre.
«Possiamo suonare, adesso?»
Sherlock alza gli occhi al cielo, fingendo esasperazione.
«E sia. Passami il violino.»
Amanda zampetta felice per recuperargli lo strumento, poi si siede al suo posto al pianoforte. John osserva trepidante ed emozionato, quasi fosse lui sul punto di esibirsi, Sherlock prendere posizione accanto alla finestra – rivede come riflesse sul vetro le decine di Sherlock più giovani che hanno compiuto gli stessi identici gesti: pochi passi eleganti con la schiena dritta, un piccolo scatto all'indietro della testa, poi il braccio e la testa che si piegano simultaneamente sulla spalla per accogliere lo strumento, mentre la destra alza in aria l'archetto e lo affianca alle corde; è come se Sherlock e il violino appartenessero a quel posto, lo perseguitassero come spettri – e non è sempre stato così?, riflette con un brivido.
«Finale, va bene?» domanda Sherlock, spalle al soggiorno. Amanda acconsente e conta piano fino a cinque.
Sherlock e Amanda lasciando cantare le proprie dita su note simili ad uccelli, in una danza tremante e tesa, piena di alti e bassi, inquieta, alternante giochi allegri, vivaci e trillanti a passi marziali e lunghe note dolorose, culminante in un lungo, vibrante, argentino La.
John lascia che la musica gli riverberi nel sangue, gli parli. Sente che manca qualcosa. Sherlock e Amanda sono innegabilmente bravi, eppure adesso riesce a capire perché Sherlock si arrovellava tanto su quegli spartiti, studiandoli per Amanda: manca il violoncello.
È uno strumento timido, meno melodrammatico del violino e meno imponente del pianoforte. Semplicemente, se ne sta lì, a fare da pilastro ad entrambi, a mettere il giusto equilibrio fra le parti con le sue lunghe note struggenti. Se ne può fare a meno, forse, ma non si può scacciare il freddo spettro che aleggia al suo posto.
John lascia scorrere lo sguardo sul soggiorno dell'appartamento che ha abitato per tanti anni – il suo personale addio.
Sherlock coglie il suo sguardo e abbassa l'archetto, interrogandolo. John chiude le palpebre una volta, annuendo appena.
John ha passato anni difficili, dopo la morte di Mary. Accettare tutto quello che era successo, tutto quello che stava succedendo: comprendere Sherlock e i suoi sentimenti, venire a patti con questi, combattere tutti i giorni con un esuberante genio iperattivo e una vivace bambina curiosa, cercare un po' di sé stesso in tutto questo.
Le api, semplicemente, lo avevano spaventato – la prospettiva di ritrovarsi faccia a faccia con l'uomo che gli nascondeva tutte le risposte e gli mascherava anche le domande, che gli scombussolava l'esistenza da trent'anni (l'uomo che amava).
Eppure, adesso guarda Sherlock, in piedi alla finestra, con il violino sotto il mento, e si ritrova a chiedersi come faranno a trasportare le due poltrone nel Sussex, e chissà se c'è una bella finestra in soggiorno come questa, dove mettere il leggio, così che Sherlock possa suonare e lui ascoltarlo dalla sua poltrona, esattamente come adesso, e chissà se c'è già un pianoforte – e dove l'hanno trovato? – così Amanda può tenersi questo, che ora è incastrato nell'angolo accanto al divano.
Gli ci sono voluti mesi di dolore per capirlo – di nuovo –, ma il suo posto è ovunque sia Sherlock, fedele fino alla fine.
Non si può tagliare via il violoncello.
 
 
Running in circles,
chasing our tails,
coming back as we are.
Coldplay, The Scientist

 






I nomi delle varie parti, quelli con i numeri romani, sono i quattro movimenti del Trio di Ravel (lasciati in francese perché faceva molto figo).
I Coldplay, perché è nato tutto per causa loro. 
E se siete arrivati fin qui, un cuore tutto per voi <3

-Clock

 

EDIT: Prima classificata al contest "Your best- slash -shot" di DonnieTZ sul forum di EFP – yay!
  
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