Aprì
l’armadio e passò in rassegna gli abiti, come
ormai faceva tutti i giorni. Ne
scelse uno
rosso, con la gonna non molto ampia e sul davanti uno spacco dalla
scollatura a cuore fino
alla vita che rivelava altro tessuto rosso impreziosito
da piccoli brillanti. Raccolse i capelli in
una treccia laterale e scese in
salotto per la cena.
Adam
era già lì, in piedi davanti al camino, le dava
le spalle.
-Adam-
lo chiamò in un sussurro, ma se ne pentì subito.
Le sembrava così strano
chiamarlo
per nome. Lui si voltò e le sembrò stupito
proprio come lei. Felicemente stupito.
Dopo
che lei ebbe finito di mangiare, Adam le porse il libro dei viaggi di
Gulliver
e si sedette
ancora una volta accanto a lei per ascoltare la sua voce. Non si
accorse nemmeno di essersi
lasciata scivolare il libro dalle mani un istante
prima di addormentarsi contro la poltrona. La
mattina seguente avrebbe
ricordato solo sprazzi di immagini e suoni, due braccia che la
sollevavano da
terra con delicata attenzione, le lenzuola del suo letto poco dopo, dei
passi
che si allontanavano e la sua stessa voce.
‘Adam’,
avrebbe ricordato vagamente di aver biascicato, ‘domani
potreste venire con me
alle
serre’
Immersa
nell’oblio del sonno, non vide la bestia esitare, stringere i
pugni,
combattendo contro
se stesso. E poi quell’assenso appena sussurrato, prima che
andasse via.
agitato i suoi sogni e rimase alcuni istanti rannicchiata sotto le
coperte, sorridente.
Le
giornate erano passate così rapidamente tra le serre, la
biblioteca e le cene
con.. Adam.
Arrossì di colpo e si
maledì subito. La bestia. Doveva tenere bene a mente che lui
era pur sempre
una
bestia. Qualsiasi cosa avesse fatto per diventare così,
doveva essere stato
qualcosa di grave,
no? Aveva fatto del male a qualcuno? A quella donna? Sua
moglie. Una fitta di gelosia le
colpì
inaspettatamente il petto, ma la scacciò via con rabbia.
Scosse il capo,
cercando di riportare
ordine tra i suoi pensieri. Bestia. Bestia. Bestia..
Doveva
continuare a considerarlo semplicemente come una bestia se non voleva
correre
il rischio
di affezionarsi a lui. Si morse il labbro e tirò le lenzuola
sopra
la testa, sospirando.
Ma
temeva che ormai fosse troppo tardi per questo.
Un
pensiero le attraversò la mente, ma fu talmente rapido che
non riuscì ad
afferrarlo e fuggì lontano
dalla sua portata. Poi, improvvisamente, le tornarono
alla mente le parole della sera prima. Domani
potreste venire con me alle serre.
Dio,
cosa le era saltato in testa? Cosa credeva di fare? Una passeggiata
romantica
tra i fiori, eh, Belle?
Tu e il tuo carceriere. Perfetto. Iniziamo a soffrire
della sindrome di Stoccolma?, pensò, maledicendosi
e alzandosi come una furia
dal letto. Si guardò allo specchio. E aveva un aspetto
orribile! Con quei
capelli arruffati e le guance arrossate.. ma cosa diavolo stava
facendo? Ringhiò,
frustrata. Cosa
avrebbe dovuto importarle dei capelli o dei vestiti o di quella
stupida passeggiata o.. di lui.
Bestia,
bestia,
bestia,
continuò a ripete sottovoce, cercando di rimanere con i
piedi per terra. Sei
una
prigioniera, Belle, e sei qui solo per salvare tuo fratello, non certo
perché dopo tanto tempo ti sei sentita
di nuovo apprezzata, no, assolutamente
no. E decisamente non per le serre o per i libri o per come ti
ascolta
ammaliato quando leggi per lui..
In
fondo, era lì a causa di Christian, aveva compiuto un atto
eroico, allora
perché non cercare di godere
dei lati positivi della vicenda?
Vide
il jeans e la felpa nera che Rebecca aveva lavato e sistemato sulla
sedia
accanto allo specchio.
Non li indossava da quando era caduta nella fontana e
lui l’aveva salvata. Aprì l’armadio e
sorrise.
Avrebbe messo l’abito verde.