La
medaglietta
-Dai,
ragazzi! Un’altra serie di addominali!-.
-Ancora da
venti?-.
-Sì. Ne
vuoi fare di meno, Tom?-.
-No, no!
Mi metto subito al lavoro-.
L’istruttore
osservava attentamente i movimenti dei ragazzi, stesi su tappetini blu
di
gommapiuma. Di tanto in tanto correggeva alcuni gesti sbagliati,
riprendendo
con aria bonaria il malcapitato di turno.
-Bene
così, bravi. Ed ora passiamo ai piegamenti: una serie da
cinquanta potrà
bastare-.
-Che
cosa?-, trillò un giovane alla sua destra, scattando in
piedi.
-Hai
capito bene, Jake. Ti conviene non protestare-.
-Ma
ne abbiamo fatti già cento all’inizio della
seduta… Non ce la facciamo più,
abbiamo addominali e schiena a pezzi. Vero, ragazzi?-,
domandò, scoccando
un’occhiata complice e supplichevole ai compagni.
-È
vero, mister…-.
-Siamo
esausti-.
-Non
possiamo fare una breve pausa?-.
-Abbiamo
lavorato ininterrottamente per due ore!-.
Dieci
voci diverse si accavallarono l’una sull’altra nel
tentativo di convincere
l’istruttore a concedere un break. Non mancava molto alla
resa dell’uomo,
quando un timbro forte e deciso fece zittire tutti i presenti.
-Ehi,
pappemolli! La finite di frignare o devo ancora sorbirmi le vostre
suppliche da
quattro soldi?-.
Una
ragazza bionda si avvicinò lentamente al gruppo che aveva
circondato
l’istruttore e passò tra i giovani, che la
guardavano indispettiti.
-Che
venite a fare in palestra, se poi non avete voglia di faticare?-.
Nessuno
rispose. Lei continuò: -Il mister ha ordinato una nuova
serie. Se siete troppo
stanchi, siete pregati di togliervi dai piedi, perché qui
c’è gente che ha
intenzione di allenarsi duramente-.
-E
tra quelle persone ci saresti tu?-, domandò con un
sorrisetto il ragazzo
chiamato Tom.
-Esattamente.
Perciò smettetela di disturbare e levatevi di torno-.
La
bionda si voltò. Aveva mosso solo pochi passi quando
udì levarsi delle risatine
sprezzanti nella sua direzione.
-Forse
non mi sono spiegata bene-, disse, tornando indietro e guardando negli
occhi
uno ad uno i compagni, ora spaventati.
-Basta
così, ragazzi. Adesso rimettetevi al lavoro!-,
comandò l’istruttore, battendo
le mani ed indicando ai ragazzi i rispettivi tappetini.
-Ma
mister! Eravamo d’accordo nel fare una pausa!-.
-Infatti.
Questi tre minuti passati a bisticciare vi sono serviti per riprendere
le
forze-, replicò l’uomo con una nuova scintilla
negli occhi.
I
ragazzi tornarono ai propri posti, scoccando occhiate furenti alla
ragazza che
si era intromessa nella trattazione del break.
-Ma
chi si crede di essere quella?-, chiese in un sussurro Jake, cercando
di non
cadere a terra per lo sforzo causato dai piegamenti.
-Come,
non la conosci?-, disse un compagno, sbarrando gli occhi.
-No
e non mi interessa-.
-Quella
lì è Jo “Braccio di Ferro”
Jones-, rispose un altro ragazzo alla sua sinistra.
-È diventata abbastanza popolare dopo aver partecipato ad un
reality show-.
-Wow-,
sospirò ironicamente Jake. -E vorrebbe venire a fare la
predica a noi?-.
-Non
ti conviene metterti contro di lei-, gli spiegarono. -Potrebbe ridurti
a
brandelli con una semplice stretta di mano-.
-Ma
siete stupidi? Non mi sembra un granché…-.
-Ti
sbagli di grosso, amico. Pensaci: ci sarà un valido motivo,
se le è stato
attribuito il soprannome “Braccio di Ferro”-.
-A
me pare solo un gran pallone gonfiato. Al termine della seduta le
darò una
lezione-.
-Cosa
vorresti fare?-.
-Sfidarla
nel sollevamento pesi. Sono sicuro che non riuscirà a
battermi: sono o non sono
l’attuale detentore del record in questa palestra?-.
-Io
non sarei così spavaldo. Quella lì è
davvero forte…-.
Dieci
minuti dopo i ragazzi si rialzarono e si diressero verso gli
spogliatoi.
L’unico a rimanere indietro fu Jake, pronto a lanciare il
proprio guanto di
sfida.
-E
così tu saresti Jo Jones-, disse alla bionda, affiancandola.
-Già.
Hai qualche problema?-.
-In
verità sì-.
-Che
cosa vuoi, smidollato?-.
Il
ragazzo preferì sorvolare su quell’ultimo
appellativo e continuò: -Sei stata
scorretta a metterti in mezzo durante la discussione con il mister. Chi
ti ha
dato il diritto di intervenire in faccende che non ti riguardano?-.
-Uhm,
vediamo un po’… Forse mi sono intromessa
perché ci tengo veramente ad allenarmi
in modo serio?-.
-E
gli altri, invece? Credi che siamo qui a perdere tempo?-.
-No,
anzi; voi siete qui solo per far perdere tempo a persone come me. Ed
ora, se
non ti dispiace, vado a farmi una doccia. Tu potresti farne anche a
meno: gli
esercizi non ti hanno fatto sudare-, disse con un ghigno.
-Non
ti permetto di parlarmi in questo modo!-.
Jake
la raggiunse e la strattonò, facendola voltare: -Se sei
così sicura di essere
tanto forte, dimostramelo!-.
-Penso
che tu sappia quanto valgo…-.
-Ti
sfido, allora!-.
-Cosa?-.
-Sì,
hai capito: ti sfido nel sollevare quei pesi da 65 chili-.
-Vuoi
scherzare, spero-.
-Mai
stato più serio-, replicò Jake. -60 è
il mio attuale record e nessuno, nella
fascia d’età compresa tra i 15 e i 18 anni,
è ancora riuscito a superarlo-.
-Senti,
perché non te ne torni a casa come tutti i tuoi amichetti?
Sarà per un’altra
volta d’accordo?-.
-A-Ah!
Stai tentando di sottrarti alla prova!-.
-Niente
affatto-.
-Allora
prova a battermi!-.
Jo
lanciò una rapida occhiata ai pesi tenuti in un angolo della
grande sala e
voltandosi si incamminò verso gli spogliatoi.
-Visto?
Sei solo una femminuccia, come tutte le altre galline tue coetanee!-.
La
bionda si arrestò. Strinse i pugni, cercando di calmarsi, ma
ogni tentativo fu
inutile: ormai era in preda all’ira e l’unico suo
desiderio era quello di
distruggere le convinzioni del ragazzino viziato che aveva osato
sfidarla.
-Ti
pentirai amaramente di avermi voluto provocare-, disse con occhi di
fuoco,
rivolgendosi a Jake.
Prese
con foga i pesi e poco alla volta cercò di sollevarli. Non
si era mai spinta
oltre la soglia dei 60 chili, ma quella era un’ulteriore
scommessa con se
stessa. Distese le braccia e pian piano si portò al petto i
pesantissimi
dischi; poi, con un ultimo sforzo, riuscì a raggiungere il
mento e superò
l’altezza della testa sotto lo sguardo incredulo di Jake,
rimasto a bocca
aperta.
-Ehi,
amico, tuo padre ti sta aspettando qui fuori-.
Dalla
porta si era affacciato Tom, l’altro ragazzo che aveva
protestato per ottenere
una pausa. Vedendo il compagno imbambolato a fissare qualcosa, lo
raggiunse ed
assistette all’incredibile scena.
-Vado
a chiamare anche gli altri!-, esclamò, uscendo di corsa ed
urlando.
-Venite
a vedere! Jo Jones ha superato il record di Jake, correte!-.
Cinque
secondi dopo una piccola folla di quindici persone si radunò
nella sala per
godersi l’inusuale spettacolo. Nessuno osava proferire
parola: la principale
occupazione era cronometrare quanto ancora la ragazza avrebbe resistito
sotto
quell’enorme peso.
-Pensi
che possa bastare?-, domandò Jo con la voce incrinata,
rivolgendosi a Jake.
-S-Sì-,
balbettò il giovane mentre la bionda lasciava cadere a terra
i dischi di
metallo con un terribile fragore.
-Bene,
allora. Ci si vede… Perdente-.
La
ragazza si strofinò energicamente le mani ed
abbandonò la stanza rifugiandosi
sotto l’acqua fresca della doccia. Un sorriso trionfale le
distendeva le
labbra, anche se era ancora stizzita per l’affronto subito.
“E
così il record è mio”, pensò
mentre si frizionava i capelli con l’asciugamano.
“Presto tutti impareranno a temermi, come è giusto
che sia”.
Si
vestì in fretta, infilando la solita tuta grigia che
l’aveva accompagnata per
tutta la durata di quello strano reality di cui conservava ancora
brutti
ricordi. Certo, si era battuta valorosamente, ma essere eliminata per
colpa di
un idiota non aveva fatto altro che renderla ancor più
suscettibile.
Uscì dallo spogliatoio e si diresse
all’uscita: mentre camminava sentì gli sguardi di
tutti i presenti indugiare su
di lei e la cosa non poté che renderla felice. Quel
pomeriggio aveva
conquistato una nuova, memorabile vittoria.
“Non avranno più il coraggio di
attaccarmi”, rifletté, sistemandosi meglio il
borsone sulle spalle ed aprendo
la porta a vetri della palestra. “Femminuccia…
Mai insultare Jo Jones!”.
Il cielo, puntinato di nubi bianche,
stava assumendo un colore rossastro, a metà tra
l’arancione ed il rosa. Da
lontano proveniva il rintocco di alcune campane che fecero intuire alla
ragazza
che ore fossero.
“Le sei… A quanto pare mia madre non è
ancora uscita da lavoro: mi aveva detto che sarebbe venuta a
riprendermi, se
non ci fossero stati ritardi dell’ultimo minuto”.
Per tornare a casa avrebbe dovuto
percorrere la bellezza di cinque chilometri. Normalmente avrebbe
considerato
quella distanza fin troppo breve, ma in quel momento, stanca e
innervosita, non
aveva la minima voglia di fare una lunga passeggiata.
“Appena arrivata preparerò un bel
toast con uova e prosciutto. Ho una fame da lupi”, si
propose, sentendo
brontolare lo stomaco.
Era così presa dai suoi pensieri da
non accorgersi dei passanti sul marciapiede e del rombo del motore
delle
automobili che saettavano sull’asfalto alla sua sinistra.
Probabilmente non
sarebbe stata in grado di riconoscere nemmeno i suoi genitori, se si
fosse
imbattuta in loro. Per questo motivo fu sorpresa nel sentire il suo
nome venir
pronunciato da qualcuno che, con passo veloce, le si avvicinava sempre
di più.
-Ciao, Jo!-.
La
ragazza si voltò, ritrovandosi davanti la persona che meno
di tutte avrebbe
voluto incrociare in quel momento.
“Ma
guarda chi mi toccava incontrare”, pensò la bionda
infastidita. “Non bastavano
quegli idioti a mandarmi in bestia…”.
-Oh,
Capitan Piscina a rapporto-, lo salutò ironica. -Qual buon
vento?-.
-Non
pensavo che vivessi qui-, disse il ragazzo, senza rispondere alla
domanda.
-Infatti.
Mi sono trasferita da un anno-, rispose con freddezza.
-Ti
trovo bene-, affermò Brick con un gran sorriso. -Dove stai
andando?-.
-Me ne torno a casa. Ciao-.
Jo gli diede le spalle e si incamminò
nella direzione opposta.
-Ehi, aspetta! Non ci vediamo da un
anno esatto e te ne vai così?-, la fermò il
ragazzo con tono deluso.
-Sì, perché?-.
-Non mi chiedi niente dell’Accademia?-.
-Dovrei forse farlo?-.
-Siamo stati compagni di squadra e…-.
-Bravo, hai detto bene: siamo stati.
Ora, se non ti dispiace,
avrei una certa fretta…-.
-Quale palestra frequenti?-, domandò
Brick, osservando il borsone e fermandola di nuovo.
-La Gold’s Gym. Sei forse interessato
ad allenarti come si deve?-.
-No, era solo curiosità-.
-Figuriamoci! Faticare richiede troppo
sforzo, vero?-, lo prese in giro Jo.
-Lo sai che non me ne sto con le mani
in mano. Negli ultimi dodici mesi la mia massa muscolare è
cresciuta del 5%-.
-Sì, come no… Te l’ha detto tua madre
per farti contento?-.
-Veramente è stato l’esito dell’ultima
visita medica in Accademia-.
-Bravo, complimenti-. La ragazza batté
le mani con fare sarcastico.
-Sei più acida del solito o sbaglio?-.
-Che occhio, Bagnabraghe! Hai perfino
affinato la magica tecnica dell’osservazione?-.
-Che ti è successo?-.
-Proprio niente. Voglio solo
tornarmene a casa e mangiare come si deve-.
-D’accordo, allora. Ci si vede-.
Brick la salutò con un cenno della
mano e si allontanò di qualche passo. Jo lo vide andarsene e
lo richiamò
indietro per fargli un’ultima domanda.
-Cos’è quella cosa che porti appesa al
collo?-.
-Questa?-, disse il ragazzo,
sollevando con delicatezza una collanina sottile. -È una
medaglietta-.
-Lo vedo anch’io, intelligentone…-.
-È un regalo di mia madre-.
-Sembra una di quelle placche che si
possono aprire-.
-Già-.
Brick le si avvicinò ed aprì il
ciondolo, mostrandole una piccolissima foto ritraente una ragazza che
poteva
avere la loro stessa età.
-Mi è stato detto che, in questo modo,
posso avere sempre vicino la persona a cui tengo di più. Ed
io ho inserito
questa foto-.
Jo guardò attentamente il volto della
giovane: aveva lunghi capelli neri, occhi castani ed un bel sorriso che
le
illuminava il resto del viso. Immaginò che fosse la ragazza
del cadetto e
improvvisamente sentì il cuore precipitarle nello stomaco.
-Buon per te-, disse soltanto,
distogliendo lo sguardo dal ciondolo. -Ora devo proprio andare-.
-Ci vediamo in giro, allora-, la
salutò Brick, guardandola allontanarsi con passo svelto.
“Ci mancava anche questa!”, pensò Jo,
più accaldata che mai. “Il Piscialetto ha trovato
una… Fidanzata!”.
Rimuginando sull’incontro appena
avvenuto, non si accorse di aver percorso praticamente di corsa i due
chilometri che la separavano da casa. Quando giunse davanti al portone
prese le
chiavi dalla tasca della tuta e fece scattare la serratura, buttando il
borsone
sul pavimento dell’ingresso e precipitandosi in cucina per
mangiare il toast
che aveva deciso di preparare.
“Mi sembra incredibile. In questo
modo posso avere vicino la persona
a cui tengo di più… Bah! Ma
perché me la prendo così tanto? Può
fare tutto
quello che vuole, tanto a me non interessa. Non
mi chiedi dell’Accademia? Perché dovrei?
Chi se ne importa della sua
carriera militare! Lo avevo perfino rimosso dai ricordi… Lo
odio con tutto il
cuore, altroché!”.
Jo continuò a lambiccarsi il cervello,
divorando famelica il toast senza neppure percepirne il sapore. Sentiva
solo
una grande ira farsi strada nel suo petto e risalire fino alla testa,
occupandole ogni singolo pensiero. Eppure quella che provava non era
solo
rabbia: era certa che ci fosse qualcos’altro. Cosa fosse
esattamente non
avrebbe saputo spiegarlo.
Pulì il tavolo della cucina e si
rifugiò in salotto, facendo zapping da un canale
all’altro. Quando finalmente
si ricordò della messa in onda dell’Excellent
Wrestling Tournament si
sintonizzò sul Fourth Channel ed assistette ai vari incontri
della serata.
“Juanito
l’Ispanico si lancia dalla terza corda
sull’indifeso Skull Man usando la
micidiale mossa del Paso del Ángel!”
-Vai così! Spacca la faccia a quel
brutto muso!-, incoraggiò Jo, standosene comodamente
stravaccata sulla poltrona
e dimenticando finalmente Brick e la brutta giornata in palestra.
“Attenzione,
cari telespettatori! Skull Man si rialza ed afferra Juanito buttandolo
a terra
e sollevandogli le gambe! Ah, quella sì che deve fare male!”
-No, stupido! Mettiti in piedi e
mandalo KO!-.
-Jo, sono a casa!-.
-Ciao, mamma!-, le urlò la ragazza,
rimanendo incollata al televisore.
“Juanito
esce dal ring e si arma di una sedia. Skull Man è appoggiato
alla seconda
corda, sembra che non ne abbia ancora per molto! Ed ecco che la sedia
finisce
dritta sulla testa del Teschio! Signori, che lotta formidabile!
L’Ispanico è il
vincitore di questo terzo turno! Appuntamento a giovedì
prossimo per l’ultimo
quarto di questo glorioso Wrestling Tournament”
Jo spense la televisione e raggiunse
la madre in cucina, pensando al trionfo di quel Juanito di cui era una
grande
fan.
-Ciao, tesoro! Come è andata la
giornata?-.
-Sarebbe potuta essere migliore… Ho
infranto un record, in palestra-.
-Bravissima! Ora sei campionessa
di…?-.
-Sollevamento pesi. Sono riuscita a
portare fin sopra la testa ben 65 chili-.
-Meraviglioso! Quando lo saprà tuo
padre, sarà fiero di te!-.
-Sì, beh… È stata una sfida contro un
ragazzino
insolente che ha insinuato che fossi tutto fumo e niente arrosto. Ma
per
l’ennesima volta ho dimostrato il mio indiscusso ed
indiscutibile valore-.
-Sono contenta per te. Hai mangiato?-.
-Sì. Penso che andrò a dormire-.
-Come vuoi. Stavi vedendo il Torneo in
TV?-.
-Già. Ha vinto Juanito-, rispose la
ragazza con uno strano scintillio che le illuminò gli occhi.
-Credo che tu abbia una cotta per quel
wrestler…-.
-Cosa? Mamma, che dici?!-.
-Oh, beh… Sorridi e ti brillano gli
occhi al solo nome-.
-Ma…-.
Non seppe replicare nulla:
effettivamente sua madre aveva “quasi” centrato il
bersaglio. Ed in quel
momento le venne un’idea strepitosa.
-Mamma, hai ancora quella collana che
papà ti ha regalato per il vostro primo anniversario?-.
-Quella con il ciondolo apribile?-.
-Esatto-.
-Certo che sì. Non la indosso molto
spesso, ma la conservo nello scrigno che ho sistemato sul comodino.
Come mai me
lo chiedi?-.
-Potresti prestarmela per un paio di
giorni?-, domandò Jo, cercando di mantenere un tono che non
destasse alcun
sospetto.
-Non c’è problema, ma vorrei sapere
perché-.
-Mi piace, tutto qui-.
-Non sai mentire, ragazza mia. Dimmi
la verità-, indagò la madre, sollevando un
sopracciglio.
-Mi serve. Con urgenza-, rispose la
ragazza, sottolineando le ultime due parole.
-Va bene, allora. Prendila pure. Ma
fa’ attenzione: è molto delicata e non vorrei che
la rompessi-.
-Stai tranquilla, con me è in buone
mani-.
Jo si dileguò nell’arco di due minuti.
Salì di corsa le scali che portavano al piano superiore e
recuperò
l’accessorio, poi si rifugiò nella propria camera
ed accese il computer,
collegandosi ad Internet.
-Questa no… Questa è troppo grande…
Bleah,
orribile! Ma non ci sono immagini normali? Oh, ecco quella che
cercavo!-.
Salvò l’immagine appena trovata, la
ridimensionò e la stampò su un comune foglio di
carta; prese un paio di forbici
che teneva riposte nel cassetto della propria scrivania e
ritagliò la foto,
inserendola nella medaglietta di sua madre.
-Perfetta! Vediamo come reagirà…-.
***
Nei
giorni successivi si accertò di
poter andare in palestra rigorosamente a piedi, senza cambiare mai
tragitto. Ai
genitori aveva detto di prepararsi per la maratona che si sarebbe
tenuta al
termine delle vacanze estive, ma la verità era che aveva
intenzione di
incrociare al più presto Brick facendo passare per fortuito
l’incontro.
Indossava la collana sia per recarsi
alla Gold’s Gym sia per tornare a casa: non aveva alcun
desiderio di essere
derisa dai suoi compagni di allenamento, soprattutto dopo aver superato
la
prova del sollevamento pesi.
Trascorse un’intera settimana senza
avere notizie del tanto ricercato cadetto. Sempre più
stizzita, Jo si chiedeva
se valesse davvero la pena di continuare ancora con la farsa della
medaglietta.
“Chissà che fine avrà fatto Sir
Mattone! Sembra sparito nel nulla… Magari è
tornato a casa per trascorrere il
mese d’agosto in tutta tranquillità, tanto non
è interessato a mantenersi in
forma per l’Accademia”.
Entrò in palestra alle quattro in
punto e ne uscì alle sei, come al solito. Quel giorno sua
madre aveva insistito
per andare a riprenderla e puntualmente si presentò di
fronte all’edificio per
adempiere al proprio compito.
-Ciao, mamma-, la salutò Jo, salendo
in macchina.
-Tutto bene?-.
-Sì… Sono esausta!-.
-Stasera ceneremo più tardi del
solito: tuo padre è rimasto bloccato sul posto di lavoro e
non potrà tornare
prima delle nove-.
-Wow, questo sì che mi consola-, disse
ironicamente la ragazza.
-Puoi sempre riposare un po’, prima di
mangiare. Almeno recupererai energia-.
-Sì, potrei fare così-.
Jo si chiuse nel più profondo silenzio
e fissò lo sguardo oltre il finestrino, osservando
sfrecciare i palazzi senza
alcun interesse.
-Hai ancora la mia collana?-.
-Eccola qui-, rispose la bionda,
mostrando alla madre il metallo brillante.
-Bene. Perché…-.
-Ferma!-.
Le gomme dell’auto stridettero
sull’asfalto a causa dell’improvvisa e brusca
frenata. La signora Jones, con il
cuore in gola, domandò alla figlia che cosa fosse successo.
-Devo scendere, subito!-.
Jo aprì lo sportello e si catapultò
sul marciapiede.
-Dove stai andando?-, la chiamò sua
madre dal finestrino.
-Ho dimenticato una cosa in
palestra!-.
-Ti accompagno io…-.
-No, ci metterò dieci minuti, non di
più. Tu vai pure a casa, tornerò tra
un’ora!-.
Jo corse a perdifiato, senza curarsi
della perplessità di sua madre. Sapeva solo una cosa: lo aveva visto. E non poteva farselo
scappare, dopo una settimana
di estenuante ricerca ed attesa.
“Ma dove si è cacciato
quell’idiota?”,
pensò, guardando lungo il marciapiede e continuando a
correre. “Eppure sono
sicura che fosse lui…”.
Dieci minuti dopo si fermò, sentendo i
muscoli delle gambe implorare per una pausa. I battiti cardiaci avevano
superato
di gran lunga la soglia del normale tenore tenuto e la ragazza temette
di
collassare a terra.
“Accidenti! Possibile che lo abbia
solo immaginato?”.
Tenendosi una mano sul fianco sinistro
e l’altra sul petto, Jo entrò nel bar
più vicino e chiese un bicchiere d’acqua,
che le venne versato senza alcun costo.
-Grazie-, disse al gestore, senza
smettere di ansimare.
Uscì nella calda luce del tardo
pomeriggio e riprese la lenta marcia verso casa, dandosi della stupida
per
quella assurda idea che le era venuta in mente alcune sere prima.
“Forse sono impazzita. Ma chi me lo fa
fare? Perché, poi?”.
Aveva percorso poco più di un
centinaio di passi, quando venne affiancata da un paio di stivali
inconfondibili.
-Jo! Sei distrutta! A che razza di
allenamenti ti sottoponi, in quella dannata palestra?-.
La ragazza si voltò e si ritrovò a
guardare negli occhi Brick. Con un mezzo sorriso gli rispose:
-Allenamenti che
tu non ti prenderai mai la briga di eseguire-.
-Vieni, siediti qui e riprendi fiato.
Ti sei perfino messa a correre?-, le chiese, facendole strada verso una
panchina vicina alla fermata degli autobus.
-Sì, ne avevo voglia-.
-Tu sei pazza. Pazza!-.
-E tu sei un Bagnabraghe perdente di
prima categoria-.
Sedettero l’uno accanto all’altra e
rimasero in silenzio per una manciata di minuti.
-Dove sei stato?-.
-Ho fatto una passeggiata fino al
parco e poi mi sono rifugiato al bar per bere qualcosa. Oggi
è il giorno più
caldo dell’estate, almeno secondo gli esperti del meteo-.
-Eri al bar?-.
Brick annuì.
-Come mai non ti ho visto?-.
Il ragazzo arrossì lievemente e
abbassando gli occhi a terra disse: -Ero in bagno… Appena
sono uscito ti ho
vista per strada e ti ho seguita. Come mai me lo domandi? Mi stavi
cercando?-.
-Che? N-no, niente affatto!-, balbettò
in un primo momento Jo.
-Sai, sarei voluto venire in palestra
per assistere ai tuoi allenamenti, ma quest’ultima settimana
si è rivelata
abbastanza impegnativa e non ho potuto lasciare l’Accademia
neanche per un solo
pomeriggio-.
-Beh, meglio così; mi avresti soltanto
fatto saltare i nervi, improvvisando una visita-.
-Quindi vuoi che non ci vediamo più?-.
-Se l’Accademia è qui vicino, in un
modo o nell’altro ci incroceremmo lo stesso-.
-E allora?-.
-E allora niente. Se ci incontriamo,
ci incontriamo-.
I due tacquero. Jo cercava di evitare
lo sguardo di Brick, ma ogni volta che verificava cosa stesse facendo
il
ragazzo, si accorgeva che non smetteva di fissarla.
-Sei rimasto imbambolato o cosa?-,
chiese sgarbatamente per spezzare quel momento imbarazzante.
-No. Mi stavo chiedendo da quando
indossi una collana-.
-Da un po’-.
-Non mi sembrava di averla vista, la
settimana scorsa-.
-Questo è perché non sei un attento
osservatore-, lo rimbeccò la ragazza.
-Sembra simile alla mia…-.
-Sì, anche questa si può aprire-.
Il momento tanto atteso era arrivato.
Jo si sfilò la catenina e mostrò la medaglietta
al cadetto.
-Chi è questo?-, chiese incuriosito
Brick.
-È una persona a cui tengo molto-,
disse la bionda, sottolineando quelle
quattro parole per vedere la reazione del soldato.
-Penso di averlo già visto da qualche
parte…-.
-Impossibile-.
-Ha un nome strano, ma credo che sia
un wrestler-.
-D’accordo, hai ragione-, sbuffò lei,
spazientita. -Io amo uomini del suo
calibro-, affermò con fare deciso.
-Non pensavo che i super palestrati
fossero il tuo tipo-, replicò Brick.
-Perché no? Hai in mente qualcosa di
meglio?-, chiese provocatoria Jo.
-Forse…-.
-Senti, nella mia medaglietta conservo
la foto di chi voglio! Tu hai la tua ragazza, io mi tengo il mio amato Juanito!-.
-La mia ragazza…?-.
-Già, Sir Pisciolotto! Non sono di
certo venuta a contestare il fisico o la bellezza di quella
che hai nel tuo ciondolo!-.
-Intendi questa?-.
Brick aprì la medaglietta che portava
al collo; alla sola vista di quella minuscola foto, Jo sentì
ribollire il
sangue nelle vene.
-Sì! Ho forse detto che…-.
-Questa è Michelle, Jo. È mia sorella-.
La bionda si sentì svaporare. Era come
se le stesse uscendo del fumo dalle orecchie.
-Come?-.
-Ha un anno meno di noi e si è
trasferita a New York per un campus di studio. Non la vedo da sei mesi
e non
avendo la possibilità di contattarla tramite telefono sono
costretto a tenere
una sua foto per sentirla più vicina. Ti è tutto
chiaro, adesso?-.
La bionda ammutolì, diventando rossa
in volto.
-Credevo che fosse la tua ragazza…-.
-Sì, lo avevo capito-, disse Brick,
guardandola e sorridendo. Trattenne a stento una risata, cercando di
rimanere
il più serio possibile per continuare ad ammirare
l’evolversi della
discussione.
-Beh… Forse è meglio che torni a
casa-, riprese a parlare Jo, alzandosi molto lentamente.
-Va’ a riposare: te lo ripeto, il
troppo allenamento fa male-.
-E il troppo poco danneggia gravemente
quei due neuroni che ti sono rimasti!-.
La ragazza si scostò di alcuni passi,
si voltò e lo salutò un’ultima volta:
-Ciao, Bricco di Latte-.
-A presto, Jo-.
La bionda, ancora accaldata, si
incamminò verso casa tenendo un passo sostenuto. Quando fu
sicura di essere
lontana dal soldato, ricominciò a correre, dandosi per
l’ennesima volta della
stupida.
-Che cosa avevi dimenticato in
palestra?-, le domandò sua madre una mezz’ora
dopo, appena rientrata in casa.
-Niente. Credevo di aver lasciato gli
scaldamuscoli nello spogliatoio, ma mi ero sbagliata-.
-Dove vai così di fretta?-, le chiese
ancora, vedendola salire le scale.
-Devo mettere a posto la tua collana.
Non mi serve più-, rispose la ragazza, urlando dal
pianerottolo del piano
superiore.
Entrò nella camera dei genitori, aprì
la medaglietta ed estrasse la foto stampata di Juanito. La
guardò per una
manciata di secondi e poi la fece a pezzi, pestandola sotto la suola
delle
scarpe da ginnastica.
“Che figura tremenda! E poi, proprio
con Sir Mattone mi doveva capitare?”.
Mentre la giovane si torturava in quel
modo, Brick era tornato in Accademia. Stava aspettando che la cena
della mensa
fosse pronta e nell’attesa se ne andò in
dormitorio. Divideva la stanza con
altri tre ragazzi, ma aprendo la porta scoprì di essere solo.
“Meglio così”, pensò,
sedendosi sulla
sponda del letto.
Si tolse con delicatezza la catenina
che portava al collo e la tenne in mano, aprendo la medaglietta e
togliendo la
foto della sorella.
“Sei la persona più incredibile che
conosca. Per questo sei così speciale”.
Nel pugno stringeva un piccolo
ritratto, stampato tempo prima al ritorno dal reality ed inserito
dietro l’immagine
di Michelle: era un fotogramma ripescato da Internet, raffigurante una
ragazza
dallo sguardo fiero ed orgoglioso che gli restituiva un sorriso di
sfida.
“Un giorno saprai la verità. Fino a quel
momento ti terrò nascosta qui, a pochi centimetri dal mio
cuore, perché è
questo il posto che devi occupare, mia cara, testarda Jo”.
A
Hitomi, per il suo compleanno.
E
un grazie dal profondo del cuore per tutte le sue storie sul nostro OTP.