Libri > Il Labirinto - The Maze Runner
Segui la storia  |       
Autore: Stillintoyou    03/04/2015    3 recensioni
[Il Labirinto/The Maze Runner][Il Labirinto/The Maze Runner]Passò un sacco di tempo prima che quel dannato rumore smettesse di darmi il tormento.
‹‹ E ora? ›› pensai, poi alzai lo sguardo quando sentii che qualcosa, sopra di lei, si stava muovendo.
Della luce entrò all'interno di quella sottospecie di stanza, o cella, o quello che era.
Socchiusi gli occhi per l'improvviso impatto con la luce esterna, e qualcuno balzò a pochi centimetri da me.
‹‹ cosa c'è nella scatola? Un fagiolino nuovo, vero? ›› disse qualcuno dall'esterno.
Mi sentivo come se fossi imbavagliata, squadrando il ragazzo che si era inginocchiato per guardarmi in faccia.
‹‹ Oh caspio... ›› inclinò la testa, assumendo un espressione stranita. Si mise in piedi
‹‹ Newt? ››
‹‹ Non ci crederete mai... ›› alzò il volto, rivolgendosi alle persone che si erano raggruppati attorno all'uscita di quella... scatola, a quanto pare la chiamavano così.
‹‹ A cosa non crederemo mai? ››
‹‹ È.... una ragazza ›› il ragazzo abbassò nuovamente lo sguardo su di me ‹‹ Ci hanno mandato una ragazza. ››
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Image and video hosting by TinyPic




Justin delirava, il suo corpo era pieno di gocce di sudore, attorno a lui ormai si era creata una pozza che disegnava la sagoma del suo corpo, ma più largo e... beh... umido. Quella pozza si era formata ed espansa tutta nell’arco di un ora, lo stesso tempo che era trascorso da quando io e Newt eravamo stati avvisati dell'accaduto.
Una corsa veloce ed eccoci lì, in quella stanza ricca di urla e lamenti strazianti.
Non si sapeva bene quale fosse stata la dinamica della cosa, ma Justin era stato riportato nella Radura da Minho poco prima della chiusura delle Porte, facendo imprecare quest’ultimo per il tempismo avuto nel fare le cose.
Gli avevano somministrato il Dolosiero ed era stato trascinato su un lettino a riposare, rendendo però impossibile trascorrere la giornata tranquilla per via delle sue grida disumane.
Era svenuto mentre lo portavano sul lettino, ma poco dopo essergli stato somministrato il Dolosiero si era svegliato in preda alle urla e al dolore. A volte provava a parlare, ma nessuno capiva cosa dicesse.
Le sue grida erano persino più forti di quelle di George, ero abbastanza sicura di non aver mai sentito nessuno gridare in quel modo. Sperai vivamente che qualcuno gli ficcasse in bocca un calzino, perché io ero dannatamente tentata di farlo, anche se provavo pena per lui.
Sul suo braccio c’era un buco enorme e aveva alcuni graffi sul volto e sul petto, ma nulla di troppo profondo o preoccupante... a parte il foro sul braccio che aveva un aria veramente poco confortevole.
«Pensate che smetterà di gridare in quel modo prima o poi?», domandò Chuck grattandosi la nuca. Era poggiato sul bordo del lettino mentre giocavo con i suoi ricci, rigirandomeli tra le dita.
Erano morbidissimi, mi stavo rilassando anche io ad accarezzarli.
Newt annuì e sospirò. «Qui dentro stanno tutti uscendo fuori di testa», brontolò uscendo dalla stanza. Sicuramente ormai era stufo di rimanere lì senza che nessuno sapesse dargli una risposta certa sull'accaduto, e poi Justin per lui non rappresentava nient'altro che un “compagno di Radura”. Una volta aperta la porta per uscire sobbalzò leggermente, ritrovandosi George davanti.
Nel suo sguardo c’era della preoccupazione mista a qualcosa che sembrava dire “lo sapevo”, un po’ di sensi di colpa e una puntina di stanchezza.
Squadrò Newt come se fosse stato l’essere più schifoso che avesse mai visto sulla faccia della terra, schioccò rumorosamente la lingua e lo scansò per entrare nella stanza, come se nulla fosse, come se per lui non avesse mai rappresentato nulla e nessuno di particolarmente importante. Forse era troppo stanco e preoccupato per dar peso a chi aveva davanti.
Newt si girò appena George lo ebbe superato, mi guardò come se gli avesse appena sputato in faccia e allargò le braccia come per chiedermi “Cosa gli ho fatto ora?”.
Gli risposi scrollando le spalle, nemmeno io ero in grado di spiegarmi a pieno quel comportamento, perché quelle precedenti erano solo supposizioni (esatte, probabilmente, ma era comunque qualcosa da prendere con le pinze).
Pensai che comunque George fosse chiaramente preoccupato, forse non voleva avere qualcuno tra i piedi e trovarsi Newt davanti era stato uno schiaffo morale.
Lo osservai mentre si avvicinava al lettino. La sua pelle era ancora grigiastra, ma era molto meglio rispetto a prima. Le vene erano comunque ben visibili nel collo anche ad occhio nudo, il che era dannatamente inquietante: sembrava pronto a trasformarsi in qualche mostro mitologico o qualcosa di simile. Anche se pareva già un mostro in quello stato. Non mi sarei stupita se avesse cominciato a strapparsi la pelle del viso e a mostrare un’altra faccia. O magari le cicatrici sul volto avrebbero cominciato a cedere e la pelle sarebbe caduta da sé... Perché anche a distanza di tempo, il suo volto aveva ancora i segni della lotta con Newt?
Scossi la testa ed abbassai il volto, notando che George mi stava fissando di rimando e non era esattamente contento della mia presenza in quella stanza. Al contrario, aveva un espressione come a voler dire “Ti prendo a testate finché non schiatti e poi ti butto nel Labirinto”. 
Chuck si guardava attorno con fare confuso, mi faceva delle domande che non coglievo perché ero troppo concentrata a realizzare la scena che mi si presentava davanti.
George vivo, Justin in piena Mutazione... ed io ero in stanza con la persona che aveva cercato di strozzarmi.
Osservai George con la coda dell’occhio e vederlo prendersi cura di Justin mi disorientò parecchio. Era strano visto che lui di solito non dava segni di molto interessamento verso Justin. Sembrava sempre il contrario. Forse era più “umano” di quanto volesse dimostrare.
D’altronde era lì contro ogni mia aspettativa.
Spostai una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio e poggiai il mento sulla nuca di Chuck, sentendolo sussurrare qualcosa tipo “Questa è una situazione imbarazzante”.
«Sei un pazzo», mormorò George, scuotendo velocemente la testa. La sua voce tremava, ma non era per la preoccupazione o qualcosa di simile.
Sollevai leggermente lo sguardo per guardarlo meglio, non era messo molto bene. La sua pelle brillava per il sudore che ricopriva il suo corpo, e la stessa cosa faceva la pelle di Justin. Tremava leggermente, si sosteneva con le mani poggiate al lettino.
«Mi dispiace...», azzardai a sussurrare.
Non rispose per una manciata di minuti, poi finalmente sollevò lo sguardo come se avesse appena realizzato che gli stavo parlando. Accennò un sorriso chiaramente forzato, poi tornò subito serio.
«Ti si è rincaspiato il cervello?», sussurrò Chuck dandomi un colpetto col gomito. «Questo psicopive potrebbe lanciarti addosso il corpo di Justin! Non c’è nemmeno Newt in stanza!», continuò a sussurrare cercando di non muovere le labbra.
Pensai che avesse decisamente ragione. E notai solo dopo che effettivamente Newt non era più in stanza da un pezzo.
«Per una caspio di buona volta, Elizabeth, non c’entri nulla con tale scelta», rispose George a denti stretti. «Forse.» Schioccò la lingua e rise in modo sonoro, facendomi accapponare la pelle. Non sembrava nemmeno una risata umana, sembrava qualcosa di molto più spettrale.
«So molte cose, Elizabeth, molte cose. Ora so molte cose di te. Tutto merito dei Dolenti grandi... uhm, I D2MH, giusto? Tutto questo ti è familiare?» Assottigliò lo sguardo. «A pensarci bene, hai fatto bene a scusarti, sai? Forse in verità c’entri più di quanto tutti noi crediamo.» Fece uno scatto verso di me.
Chuck sollevò velocemente le mani. «Okay, okay, stiamo calm-»
«Chiudi quella fogna buona solo a mangiare grosse quantità di panini, Chuck!», sbraitò George, facendo sbiancare Chuck. Si portò le mani sui fianchi e gonfiò le guance, guardandomi.
Chuck fece per rispondergli di nuovo, ma George lo spinse via facendolo sbattere rumorosamente contro la parete vicino alla porta.
Sgranai gli occhi, per qualche strano motivo avevo avuto un Déjà vu.
Decisi nell’arco di un secondo che era il caso di andare via da lì... o meglio, io decisi così, ma le mie gambe non la pensavano allo stesso modo. Erano immobili, come se fossero fatte di pietra. Non fecero nemmeno una piega, anche se volevo spostarmi di lì.
George afferrò un lembo della mia maglietta, sul colletto, e mi trascinò davanti a lui.
Il suo viso era davanti al mio, ora riuscivo a vedere perfettamente i vari tagli e le cicatrici profonde sparse per tutto il suo volto.
I suoi occhi erano fissi sui miei, come se fossero il vuoto puro e immacolato.
La sua espressione la raccontava lunga su tutto ciò che stava provando. Io, infatti, nei suoi occhi vedevo chiaro il tormento interiore che si aggrappava ovunque, lacerando ogni parte di lui con tagli profondi e infetti.
Rabbia, stanchezza, dolore... mi ricordava vagamente lo sguardo di Newt in quello schermo che avevo visto nello specchio del mio ricordo. Solo che stavolta in quello sguardo c’era anche un pizzico di follia pura. C’era il nervoso che portava ad una follia, o forse quella era solo una maschera per coprire il dolore che provava.
Doveva essere davvero distrutto e provato da quella situazione, da tutto ciò che aveva visto e vissuto, probabilmente ormai aveva toccato il fondo del fondo e non trovava più un modo per risalire.
«A pensarci ancora meglio, è seriamente tutta solamente colpa tua, Elizabeth», sibilò tra i denti. Sentivo il suo respiro contro il mio volto. Era pesante, quasi affannato, le vene del suo collo erano così ingrossate che potevo contare quante ne aveva.
Sentii i brividi sulla schiena, sudavo freddo. Il sudore impregnava anche la sua pelle.
«Mia?», mormorai tremando.
Si passò la lingua sulle labbra e mi fissò negli occhi. Ora era davvero chiara quella scintilla di follia. Strinse le mani sul mio colletto, avvicinandomi di più a lui, spostando poco dopo una mano attorno al mio collo e stringendola, sorreggendomi comunque per il colletto.
«Sì. Tua. Ti ho vista nei miei ricordi, ma questo verrà spiegato a tempo debito», sogghignò con fare malefico, come se stesse immaginando la cosa più sadica del mondo.
Schiusi le labbra, volevo chiedergli di spiegarmi, ma non feci in tempo. Minho era entrato nella stanza e aveva spinto George all’indietro, facendogli mollare la presa e cadere a terra.
Ero rimasta sorprendentemente in piedi, evidentemente il mio equilibrio era migliorato parecchio.
«È tutto okay?», chiese Minho, voltandosi verso di me.
Annuii, tenendo il mio sguardo fermo su George. Era a terra, si guardava attorno con fare disorientato. Ricordava vagamente un cucciolo che era appena stato sgridato dal padrone. La follia era stata sostituita dalla confusione più totale, come se non si rendesse conto di ciò che era appena successo.
«George, non mi importa nulla se sei stato punto, se sei stato con i Dolenti, se sei tornato in vita o da una sorta di limbo personalizzato. Per quanto mi riguarda puoi anche aver vissuto quei giorni come infiltrato dei Dolenti, ma devi smetterla di cercare di fare fuori le persone solo perché non ti piacciono!», disse Minho con un tono così fermo e profondo che poteva essere scambiato per il ringhio di un animale. Lo guardò così male che pensai che potesse prendere fuoco da un momento all'altro, ma George sembrò essere totalmente confuso da tutto quanto.
Sbiancò, si guardò le mani e contrasse la mascella, rimettendosi in piedi. Non disse nulla, semplicemente mi guardò con odio, come se volesse saltarmi alla gola e strangolarmi. Mi stava odiando sul serio, non credevo che un essere umano potesse provare tanto odio verso qualcuno.
«Andiamo via di qui», disse Minho in tono premuroso, afferrandomi delicatamente per il braccio e dirigendosi verso l’uscita. «Anche tu, polpetta umana!» Fece un cenno della testa verso Chuck, che ormai si era rannicchiato in un angolo della stanza.
Mi ero anche dimenticata della sua presenza.

Uscimmo dal Casolare, Chuck sgambettava in cerchio come se gli avessero appena levato la catena dal collo e fosse finalmente libero.
Newt era poggiato alla parete del Casolare assieme a Jeff, avevano appena smesso di parlare della salute di Justin e George.
Minho non mi lasciò il braccio finché non fummo davanti a Newt, che ci guardava incuriosito, sollevando un sopracciglio ma tenendo le braccia incrociate. «Che gentiluomo!», disse con un tono infastidito.
«Ma io sono un gentiluomo!» Sollevò la testa con fare vanitoso, poi mi mollò il braccio. «Facendo i seri – per una volta nella vita – ho app-»
«Cos’è quel segno rosso sul tuo collo?», lo interruppe Newt, spostando i capelli dal mio collo e passandoci delicatamente la mano sopra. «Cos'è successo?» Sollevò gli occhi verso i miei.
Feci per rispondere, ma Minho prese la parola prima di me. «Ecco, appunto, stavo dicendo ch-»  
«È stato George?», lo interruppe di nuovo Newt, guardando Minho con uno sguardo freddissimo.
Minho fece un respiro profondo, quasi scocciato per essere stato interrotto una seconda volta. «Sì, è stato George, ma l’ho fermato prima che potesse esagerare. Sono arrivato giusto in tempo.»
Newt schiuse le labbra, rimanendo però in silenzio per qualche secondo, poi fece per andare nella stanza dei Medicali, dove c’erano Justin e George, ma venne fermato da Minho che gli piazzò davanti.
«Ehi, Pive, non ci provare. Vuoi che Alby si infuri con te o cosa? »
«No, io ora vado, lo uccido e torno!» Fece per fare un altro passo in avanti, ma Minho lo fermò di nuovo, spingendolo delicatamente indietro.
«Newt, avanti, George è un Pive rincaspiato nel cervello, vuoi scendere ai suoi livelli? Credo che ne abbia già avute abbastanza!»
Newt non rispose, ma si girò a guardarmi. «Non voglio che le metta di nuovo le mani addosso», sibilò tra i denti.
Minho fece un sorriso che sembrava partire da un orecchio ed arrivare all’altro,  ma gli bastò un occhiataccia per evitare qualche commento dei suoi, il che fu un miracolo.
«Chuck era in stanza quando questo è successo?», domandò Newt, accarezzandomi il collo.
Annuii. «Sì, ma George l'ha spinto via e lui ha sbattuto contro il muro.»
«E non ha fatto nulla?!» Assottigliò gli occhi, girandosi verso Chuck che sembrò farsi piccolo piccolo sotto lo sguardo gelido di Newt. «Chuck!»
«Ha provato a mettersi in mezzo, ma lo sai che George è il doppio di lui!» Poggiai le mani sui fianchi. Detestavo il modo in cui lo trattavano e non avrei mai smesso di ribadirlo. 
Sospirò pesantemente e si passò le mani sul volto con fare frustrato. «Hai ragione...»
«Ecco.» Gonfiai le guance.
Jeff diede un piccolo colpo di tosse per attirare la nostra attenzione. «È probabile che abbia avuto un semplice esaurimento nervoso, o magari è un effetto collaterale del Dolosiero... si sa che a volte fa effetti strani.»
«Allora hai ragione tu. George dovrebbe starsene a letto», brontolò Newt. «Ma lui è una testa di caspio testarda, per cui fa come gli pare. Ma se prima o poi gli tiro contro un bastone appuntito, che nessuno dica nulla.» Scrollò le spalle, seguendo Chuck con lo sguardo mentre quest’ultimo portava in spalla un sacco più grosso di lui raccattato chissà dove per andare a metterlo al suo posto.
«Dici che dovrei andare a dargli una mano?», sussurrò cercando di non farsi sentire da lui.
Lo squadrai dalla testa ai piedi e schioccai la lingua. «Non provarci», risposi secca, incrociando le braccia. «Non puoi fare sforzi, testapuzzona.»
Sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
La mia vista venne coperta di botto. Per un attimo sudai freddo. Pensai di essere caduta di nuovo in quello strano stato di trance. «Ehi ehi ehi, indovina chi sono?» E poi una risatina.
«Caspio, Minho!», brontolai spostando le sue mani dai miei occhi, girandomi e fulminandolo con lo sguardo.
Rise e dondolò sulle punte dei piedi, poi si sistemò la maglietta addosso come se fosse pronto per un incontro galante. Fece saltare i suoi occhi da me a Newt, assumendo un espressione corrucciata. «Beh, dopo questo episodio tragico, com’è che non vi state risucchiando l’anima a vicenda, voi due?»
Sbattei gli occhi più volte. A volte le uscite di Minho mi spiazzavano in un modo impressionante.
Newt schiuse le labbra e si poggiò la mano sul volto, facendola strisciare verso il basso. «Questa cosa me la rinfaccerai in eterno, eh?»
«Caspio, sì! Finché non sentirò un coro dire “Minho lo sapeva!”»
Diedi un colpo di tosse prima che Newt potesse rispondergli per le rime, e sicuramente non sarebbe stata una risposta pacifica data la sua espressione in quel momento.
Minho voleva solo sdrammatizzare, allentare un po’ la pressione ed era comprensibile, ma forse quel momento era veramente sbagliato.
«Beh... cambiando discorso... ho avuto un altro flashback», dissi velocemente. Volevo far calmare le acque il prima possibile.
Minho annuì, passandosi una mano tra i capelli con modo calmo e pacato, come se stesse accarezzando un lenzuolo di seta. «Lo so, mi è stato allegramente riferito.»
«Da me!», esordì Chuck, trascinandosi dietro un altro sacco. «Appena l'ho visto gliel’ho detto! Sono un bravo messaggero!»
«Sì, sì, molto bravo Chuck», disse Minho scuotendo la mano come per dirgli di andarsene, ma lui non sembrava intenzionato a farlo, tant’è che poggiò il sacco e ci si sedette sopra come se fosse stato una sedia. Doveva essere un altro di quei sacchi pieni di “cose che era meglio che io non sapessi”. Poggiò i gomiti sulle ginocchia come se fosse pronto ad ascoltare un favola e ci guardò sorridendo.
Nessuno lo cacciò via, si limitarono a fissarlo come per dirgli “Se rimani, tanto te ne pentirai”, ma non ci fece caso.
«Racconta, cos’hai visto stavolta?», disse Minho, rivolgendo di nuovo lo sguardo verso di me.
Presi un respiro profondo e cominciai a raccontare ciò che ricordavo.
Diversi tasselli, molti anche sconnessi, ricordi confusi, ma comunque Minho apprezzava lo sforzo.
Newt fissava Chuck come per dirgli che era di troppo, ma lui non si mosse nemmeno di un centimetro dalla sua posizione.
Dopo aver finito di raccontare indietreggiai e mi poggiai alla parete, esattamente accanto a Newt, che non fece un piega, tranne che per un’occhiata furtiva.
«Mentre facevamo una passeggiata abbiamo trovato un Dolente morto. Di quel nuovo tipo.
Sono chiamati D2MH, Dolenti di tipo Due, Metallo Duro», disse Newt, guardandomi per cercare conferma.
Annuii, così proseguì. «Mi ha saputo dire questo perché l’ha visto in un suo flashback, ma non sappiamo perché ci fosse il suo nome sia su questo Dolente che sull’altro.»
«Wow... fico! Inquietante, ma fico!», commentò Chuck con una voce sognante, sembrava essere davvero impressionato  ed affascinato da tutto quello che stavo raccontando.
Lo guardammo tutto abbastanza male, così assunse un espressione corrucciata. Mi sentii un po' in colpa, dovevo ammetterlo.
«Chuck, non dovresti esserti già sploffato nei pantaloni a quest’ora?», sbottò Minho, palesemente infastidito dalla sua presenza.
Continuavo ad odiare il modo in cui rispondevano a Chuck, perché era un bambino e si era ritrovato in quel posto come tutti loro. Certo, era un po’ infantile, non era ancora cresciuto velocemente come tutti loro, ma forse era un bene. Era riuscito a mantenere la sua innocenza in quel posto che non lo permetteva.
Gonfiò le guance con fare capriccioso e si voltò dall'altra parte, borbottando tra sé e sé qualcosa che solo lui era in grado di afferrare, così Minho rivolse nuovamente la sua attenzione a me. «Non sai altro riguardo questi D2MH?»
Scossi la testa, sospirando. «Io no. Ma George ne sa qualcosa... dice di essere stato punto da loro e che è merito loro se ora sa delle cose in più.»
Jeff annuì, mi ero anche dimenticata della sua presenza. «Mentre delirava ha ripetuto un paio di volte qualcosa come “D2MH” ma pensavamo che fosse solo qualcosa di insensato, o qualche frase che non avevamo afferrato bene. Con gli altri Medicali ogni tanto nei momenti di noia ci divertivamo ad annotare ciò che diceva, spuntavamo le parole che diceva più spesso e facevamo a gara a chi ne afferrava di più.» Ridacchiò e si stiracchiò. «Uscivano certe parole o frasi proprio senza senso!» 
«E le avete conservate? », chiese Minho, e Jeff annuì.
«Sì, sono conservate nel comodino vicino al letto dov’era sdraiato... e dove ora c’è Justin.
Comunque, ora torno da lui a controllare come sta, sennò Alby mi tira sploff addosso per la mia “incompetenza”.» Ci salutò con la mano e si allontanò.
«I D2MH sono quei Dolenti enormi che sono entrati l’altra volta nella Radura?», domandò Chuck. Sembrava essere parecchio preso da quell’argomento.
«Sì, Chuck, sono quelli», rispose Newt con tono fermo. Sembrava essere sovrappensiero, vedevo chiaramente che qualcosa lo turbava. Forse potevo capire cosa lo preoccupava, d’altronde non era piacevole, sapevo che oltretutto ultimamente andava sotto stress molto facilmente.
Gli presi d’istinto la mano, la strinsi nella mia e gli accarezzai il volto. Abbassò lo sguardo e fissò le mani, come se fosse stata la prima volta che qualcuno provava anche solo a sfiorarlo, ma non fece una sola piega.
«Woh, woh, che ci nascondete?» Chuck si sfregò le mani, sorridendo. «Eeeh? Avanti, confessate!»
Avevo decisamente voglia di crearmi una fossa davanti e nasconderci dentro la testa. Un po’ come uno struzzo, anche se non sapevo bene cosa fosse, ma mi venne in mente quel paragone.
Newt spostò la mano di scatto e se la infilò nella tasca del pantalone. «Nulla, Chuck.»
«Oh, avanti, è la tua ragazza, eh?» Sollevò ripetutamente le sopracciglia.
Newt lo fulminò con lo sguardo, schioccò rumorosamente la lingua e sbuffò infastidito come poche volte era mai successo. «Non è la mia ragazza, caspio.»
Non seppi perché, ma sentii una strana sensazione al petto e allo stomaco. Abbassai lo sguardo sulla punta dei miei piedi, all'improvviso estremamente interessanti.
«Okay, sta calmo», rispose Chuck in quello che sembrava quasi un brontolio contrariato.
«E poi, sei troppo piccolo per certe cose!», aggiunse Minho.
«Ehi, non è vero!»
Vidi le scarpe di Newt esattamente davanti alle mie. Alzai il volto, ritrovando il suo a pochi centimetri dal mio. «Vieni con me, Liz, mi devi raccontare bene cos’è successo lì», sussurrò, e feci quasi fatica a sentirlo per via di quel casino in sottofondo creato dalla discussione appena nata tra Chuck e Minho.

«Pensi che Minho e Chuck stiano ancora discutendo?», domandò Newt mentre mi faceva strada, per l’ennesima volta, in quel dannato posto che non sopportavo.
Ero rimasta in silenzio per tutto il tragitto, non avevo voglia di spiccicare parola, non ero dell’umore giusto, dovevo ammetterlo.
«Mh-mh», mi limitai a quello come risposta, ed era stata l’unica data fino a quel momento.
Si fermò, si chinò e cominciò a spostare rami, foglie, piantine e simili. Stava scoprendo l’entrata del “rifugio”.
C’era una sorta di rifiuto interiore da parte mia, non volevo essere costretta a stargli così vicino, perché, onestamente parlando, non me la sentivo. Per niente proprio, era esattamente l’ultima cosa che volevo. In ogni caso, non ero in grado di dirgli di no, così, appena mi fece cenno di entrare per prima, lo feci. Mi sedetti con le ginocchia contro il petto e lo seguii con lo sguardo appena entrò.
Sistemò bene l'entrata in modo che fosse ben coperta e si accomodò accanto a me. Prese un respiro profondo e si girò a guardarmi.
«Quindi?», chiese.
Corrugai la fronte. «Quindi cosa?»
«Raccontami cos’è successo. Devo ridurgli la faccia a brandelli o può sopravvivere?»
«Mi ha semplicemente afferrata per il colletto, mi ha detto delle cose tipo “ora ti conosco bene”, ha parlato dei D2MH e nel mentre mi stringeva una mano attorno al collo. Poi è arrivato Minho e la cosa si è risolta», risposi, in modo sintetico e freddo. Il mio tono era piuttosto secco e scocciato, non volevo fare così, ma mi venne spontaneo.
Corrugò la fronte e poggiò la nuca sulla superficie dietro di noi. «Okay... cos’altro c’è?»
«Non c’è nient’altro, Newt. Cos’altro ci deve essere?»
«Ci deve essere il motivo di questo tuo cambiamento umorale improvviso, ecco cosa ci dovrebbe essere. Avanti, parla Liz.»
Lo fulminai con lo sguardo, ma sembrò totalmente indifferente alla cosa. «Non lo so, tira ad indovinare!»
Sorrise e mi prese la mano, tirandomi verso di lui. Sapevo che tramava qualcosa, se no non mi avrebbe portata lì.
Mi strinse a lui, legando le braccia attorno alla mia vita e nascondendo il viso tra i miei capelli. Sentivo il suo respiro sfiorarli. Mi stava seriamente innervosendo. Cominciai a dimenarmi nel tentativo di liberarmi, ma la sua presa era forte, non mi permetteva di farlo.
«Smettila Newt, lasciami stare!»
«No, non finché non mi dici perché fai così!» Mi strinse più forte a lui, poi poggiò il mento sulla mia spalla.
«Perché stai facendo così il coccoloso ora?», brontolai, abbassando lo sguardo verso di lui.
«Non posso farlo?» Resse il mio sguardo. Aveva gli occhi di un bambino che era appena stato rimproverato.
«No. Cioé, sì. Ma... uff...» Feci ruotare gli occhi. «Mi da fastidio.»
«Ti da fastidio che stia poggiato così?» Corrugò la fronte, spostando il volto.
«No, caspio. Mi da fastidio che... beh... quello che hai detto prima.»
Inclinò la testa, ci ragionò su un attimo, poi sgranò gli occhi e sorrise. «Che non sei la mia ragazza?»
«Già.» Incrociai le braccia al petto. «Lo so che non lo sono, ma mi infastidisce il fatto che lo dici come se fosse l’insulto più grande che qualcuno potesse rivolgerti.»
Sentii le sue braccia stringersi ancora attorno alla mia vita, poco dopo dei baci lungo il collo. Trasalii leggermente, erano baci così delicati da farmi venire la pelle d’oca.
«Non sei la mia ragazza, Liz», sussurrò, fermando la striscia di baci che stava lasciando. «Non per gli altri... per ora. Non voglio che tutta la Radura sappia di questa cosa, potrebbero crearsi più problemi di quanti già non ce ne siano.» Riprese a baciarmi delicatamente il collo, accarezzandomi la pancia con la mano. «Poi, è ovvio che voglio che tu sia solo mia. Smettila di farti paranoie se dico il contrario in modo freddo o cose simili.» Mi strinse nuovamente a lui, poggiando di nuovo il mento sulla mia spalla.
«E questo cosa dovrebbe significare?»
«Nulla, Liz, semplicemente che non sei la mia ragazza, ma sei comunque mia. Solo mia.»
Mi girai a guardarlo, accennando un sorriso.
«Diamo tempo al tempo, Liz, non facciamo le cose di fretta, abbiamo tutto il tempo di questo mondo.» Sorrise anche lui, avvicinando il viso al mio e dandomi un bacio sulla guancia. Aveva ragione, non potevo essere più d'accordo.
Era meglio che i Radurai non sapessero nulla di quella storia, meno ne sapevano e meglio era, almeno avremmo potuto ancora avere un minimo di privacy a loro insaputa, senza avere per forza di cose il fiato sul collo.
Oltretutto si sospettava già quale potesse essere il motivo del gesto estremo di George, quindi era meglio evitare di dare inutili conferme a quella storia. Avrei avuto gli occhi di tutti addosso e sarebbe diventato quasi impossibile stare tranquilla.
«Perché mi hai portata qui?», domandai, prendendogli una mano e osservandola attentamente, come se non l’avessi mai vista.
«Volevo stare un po’ da solo con te, visto che sono abbastanza rare le volte in cui riusciamo a goderci un po’ di normale tranquillità», disse, poggiando il mento sulla mia spalla. «Mi viene male riuscire a stare tranquillo, in ogni caso. Sto ancora pensando ai D2MH, non capisco perché non mi sia nuova questa cosa. Voglio dire... non li ho mai visti quei cosi, tranne quella volta che hanno invaso la Radura.» Chiuse gli occhi, facendo un respiro profondo. «Tutto questo mi confonde parecchio. Come se non avessi già altro a cui pensare, no?» Riaprì gli occhi e si passò le mani tra i capelli
«Magari è qualcosa nascosto nella memoria che hai perso, no?»
«Oh, ora sì che mi hai detto qualcosa di utile. Non è molto rassicurante dato ciò che sta succedendo grazie a quei cosi», brontolò.
«Lo so.» Mi spostai in avanti. «Usciamo di qui?»
«Uhm... e se non volessi?» Mi prese il braccio, tirandomi su di lui. Mi fissò con uno sguardo divertito, come se quello fosse il suo gioco preferito. «È così bello stare qui... soli... isolati da tutti»,  abbassò il tono della voce, avvicinando le labbra alle mie. I miei occhi erano come incantati da quella scena, fissavo le sue labbra come se fossero state delle calamite. Poi, come con uno schiocco di dita, tornai velocemente alla realtà e risi, poggiando la mano sulle sue labbra ed allontanandolo da me. «Avanti, lo sai che anche tu che dobbiamo tornare!»
Gonfiò le guance come un bambino viziato e sbuffò. «Non subito. Non per forza.» Incrociò le braccia contro il petto. Non voleva decisamente muoversi da lì, probabilmente perché voleva godersi quel poco tempo di tranquillità che riusciva a ritagliarsi nell’arco di una giornata.
Sospirai. Non che non potessi capirlo, perché anche io adoravo quei pochi attimi di tranquillo riposo, ma non potevamo nasconderci in eterno in quel posto.
Ero praticamente sdraiata sopra di lui, la mia schiena contro il suo petto e il mio volto girato verso il suo, mentre osservavo il suo sguardo perso nei suoi pensieri.
Avrei voluto sapere a cosa stava pensando, anche se non era così difficile da capire che con la testa era già ai problemi che c’erano nella Radura. Sicuramente era così, e potevo capirlo anche dal modo in cui respirava: respiri profondi e lenti, come se stesse cercando di mantenere la calma.
Abbassò lo sguardo su di me, poggiandomi una mano sul collo. Allora capii che stava pensando a George, a ciò che era successo quando lui non c’era.
Il suo sguardo si caricò improvvisamente di sensi di colpa che non spettavano a lui. Sospirò, spostò la mano e scosse la testa. «Avanti, torniamo indietro.»
«Pensavo che volessi goderti un po’ di tranquillità!»
«Non riesco a stare tranquillo se penso a quella faccia di caspio di George. Vorrei spaccargli il muso con una zappa.» Strinse le mani a pugno così forte che per un attimo pensai che potesse perforarsi la carne con le dita. Non sopportavo l’idea di vederlo così infuriato per colpa di George. E ultimamente era capitato anche troppo spesso.
Mi girai completamente verso di lui, sedendomi sulle sue gambe e legando le braccia dietro la sua schiena. «Non pensarci, okay?»
Mi fissò negli occhi per un paio di istanti, poi spostò lo sguardo altrove con un grosso sbuffo, poggiando le mani sui miei fianchi. «La fai facile tu, Fagio.»
«Guarda che è facile, sei tu che ingigantisci la cosa! Devi semplicemente non pensare a quello “psicopive”.»
«Mh-mh. Però ora torniamo lì.»ù
Feci ruotare gli occhi verso l’alto, annuendo. «Okay, va bene.»

Tornammo nella Radura, sentivo il collo umido per via dei baci, cominciai anche a sospettare di avere qualche succhiotto o qualche segno in grado di far dire ai Radurai ciò che era successo poco prima, anche se erano state solo pure e semplici coccole.
Avevo una pessima sensazione allo stomaco, un bruciore, come se avessi appena finito di mangiare dieci peperoncini tutti di fila. C’era il silenzio, era sovrano, nessuno parlava con nessuno, non si sentiva nulla.
George era fuori dal Casolare, si reggeva la testa con le mani e camminava in cerchio come se avesse perso qualcosa e la stesse cercando nell’erba sotto i suoi piedi. Borbottava tra sé e sé, tutti lo evitavano come se avesse avuto qualche malattia grave e contagiosa, nessuno si fermava a chiedergli cosa avesse.
Trovai la cosa abbastanza triste in un certo senso.
Newt osservava la scena in modo insofferente, rivolgendo comunque a George lo sguardo più disgustato che potesse fare, nemmeno avesse visto un pezzo di sploff a terra e l’avesse schiacciato per sbaglio.
Si fermò a guardarlo, non gli rivolse la parola. George alzò lo sguardo lentamente, spostando le mani. Si incantò a fissarlo, boccheggiando leggermente. «Newt... io...»
«Tu cosa, George?» Schioccò rumorosamente la lingua, stringendo i pugni. Riuscii quasi a percepire quanto si stava trattenendo.
«Vuoi dirmi che ti dispiace, mh? Parole al vento, come tuo solito razza di rincaspiato che non sei altro. Sei solo buono a creare scompiglio qui dentro, l’unico che continua a creare dei gran casini sei tu, caspio!» Scosse nervosamente la testa. «È evidente che hai deciso di voler essere esiliato. Dillo direttamente, così ti accontento anche subito!»
Ci fu un silenzio totale. Si lanciarono sguardi freddi e distaccati, le loro espressioni facciali sembravano essere scolpite nel marmo. Poi George ebbe un fremito, come se avesse avuto una scossa improvvisa in tutto il corpo. Si guardò frettolosamente attorno, girò la testa a destra e a sinistra, poi scattò in avanti, afferrò velocemente le braccia di Newt e avvicinò il volto al suo. «Stanno arrivando!», gridò di botto, facendomi sobbalzare.
Afferrai d’istinto la mano di Newt, ebbi una pessima sensazione a quella frase. Sentii un nodo alla gola, probabilmente sbiancai. Il mio cuore cominciò a battere velocemente, fissai Newt con gli occhi sgranati, con la stessa espressione che aveva lui mentre fissava gli occhi di George.
«Chi sta arrivando, George, chi?», sbraitò Alby, evidentemente stufo di tutta quella faccenda. Lo allontanò velocemente da Newt, sbuffando rumorosamente. «È da un’ora che ripeti questa frase! Avanti, sputa il rospo, chi sta arrivando?!»
«Loro! I grandi!» George, allora, afferrò le spalle di Alby e lo scosse velocemente. «Saranno qui a momenti, Alby, li sento!» Alzò gli occhi verso le pareti del Labirinto, come se avesse visto qualcosa sulla loro cima. Alby alzò lo sguardo a sua volta, fissarono il cielo tutti e due insieme.
«Anzi... sono già qui! Posso sentirli! Quello sfregare metallico è inconfondibile!», sussurrò George con una voce quasi da estasi.
«Stammi vicina, questo si è sploffato il cervello secondo me», sussurrò Newt, stringendomi la mano.
Quella mossa dovette aver infastidito George, chino sulle gambe. Respirò pesantemente e fece per scattare in avanti, ma venne spinto all’indietro da Alby.
Si sentì il tonfo del suo corpo mentre cadeva a terra. Sembrava quello dei sacchi di cemento quando cadevano. Per un attimo pensai che con un colpo del genere non sarebbe riuscito a rialzarsi tanto facilmente, invece, come una molla, scattò velocemente in piedi, ma non si mosse di un centimetro dalla posizione in cui era. 
Alby scosse la testa e scrollò le spalle. «Finiscila con queste tue scenate da pazzo! Saremo costretti ad esiliarti. Seriamente, George!»
Il suo sguardo andava dai miei occhi alla mia mano. Mi sentii quasi in soggezione, così mollai la mano di Newt per metterla nella tasca, sperando che quella mossa avrebbe alleggerito quella situazione e quella sensazione.
«È lei! Volete capire che è tutta colpa sua? Io l’ho visto, caspio, credetemi, vi prego!» 
Alby sbuffò, si girò e ci fece cenno di allontanarci. «Che qualcuno di voi lo porti immediatamente nella Gattabuia!»
«La gattabuia è il minimo», disse Newt, fissando la scena con fare quasi soddisfatto.
George non oppose praticamente resistenza mentre veniva trascinato via da due Radurai grossi come armadi a quattro ante, si dimenava appena mentre continuava a farneticare dell’arrivo “dei grandi” e su quanto tutto ciò fosse colpa mia.
«Dovete credermi pive! Dovete credermi! Loro arriveranno e si porteranno via tutto quello che incontreranno sul loro cammino e tutto ciò che ritengono che sia di loro proprietà! Chiudetevi nel Casolare, state al sicuro!» Ora sembrava seriamente preoccupato.
Un continuo sbalzo d’umore per tutto il tragitto verso la Gattabuia, continui avvertimenti da far venire la pelle d'oca. Nulla di rassicurante a detta sua, sapeva più di quanto ognuno di noi potesse mai immaginare, di questo ne ero certa. Forse durante la Mutazione aveva davvero visto qualcosa di negativo.
«Lo odio quasi quanto odio questo posto», brontolò Newt mentre cominciava ad allontanarsi. Decisi di seguirlo, sempre meglio che rimanere sola, d’altronde, e poi volevo approfittare del fatto che nessuno dei due dovesse fare nulla di importante. Anche se avevamo ancora un bel po’ di tempo a disposizione.
E poi tanto sapevo che si stava dirigendo verso le Cucine, ed io non vedevo l’ora di essere sommersa dall’odore del cibo che stava preparando Frypan. Sempre se quei strani intrugli che creava si potessero definire “cibo” e non pura e semplice “sbobba attorciglia stomaco”.
In ogni caso, avevo urgenza di distrarmi. Sopratutto perché la mia pessima sensazione aumentava di minuto in minuto.

Appena messo piede in Cucina mi passarono l’appetito e la voglia di stare lì. Pensai vivamente che quell’odore mi potesse dare alla testa e potesse causarmi solo la nausea, ma decisi che comunque avrei resistito e avrei tentato di dare una mano.
Cosa resa impossibile da Frypan che, appena mi vide, mi indicò con un coltellino svizzero, provocando un grosso sospiro contrariato da parte di Newt mentre cominciava a “gustarsi” quella sorta di bistecca che aveva davanti. Più che una bistecca, ricordava vagamente un pezzo di carbone lasciato nel braciere per venti giorni.
«Non provare a prendere neanche un singolo coltello in mano, giuro che se lo fai ti taglio le dita!», disse Frypan, continuando ad affettare la carne davanti a sé, pronta per chissà quale pasto del giorno. 
Abbandonai l’idea di mettermi a cucinare ed optai per starmene zitta e ferma sulla sedia mentre osservavo i casini che combinava Frypan in cucina.
Era chiaro che si divertiva a cucinare, ma era abbastanza incapace nel farlo. Era veramente bravo solo in poche specialità tutte sue, abbastanza gustose quando gli riuscivano, in tutto il resto se la cavava abbastanza. Nulla di troppo eccezionale.
«Potrai tornare a cucinare quando saremo tutti sicuri che stai alla grande!», continuò. Ormai era diventata la solita pappardella di ogni volta che mettevo piede in cucina anche solo per prendere un pezzo di pane. Stavo cominciando ad odiarla, perché mi faceva pesare di più il fatto che non potevo fare nulla. Mi sentivo peggio di un peso morto ed odiavo quella sensazione di inutilità.
Annoiata, mi sedetti accanto a Newt mentre mangiava. Si girò e avvicinò la forchetta alle mie labbra in un vano tentativo di imboccarmi come avevo fatto io qualche tempo fa.
Storsi le labbra e scossi velocemente la testa. Non avevo fame, ero troppo concentrata a pensare per evitare di ripiombare nel fatto che non potessi fare assolutamente nulla.
«Pensate che quel Pive ossigenato si risveglierà prima o poi o continuerà a gridare come Minho quando gli si rovina l’acconciatura dei capelli?», domandò Frypan in un ben accetto tentativo di rompere quel silenzio interrotto solo dallo sfregare della forchetta di Newt sul piatto.
«Non lo so e non mi interessa», rispose quest’ultimo con la bocca piena, mandò giù il boccone e sollevò la testa dal piatto. «O meglio, al momento è l'ultimo dei miei pensieri.»
«Chissà perché si è fatto pungere. Doveva essere seriamente disperato, quel Pive maledetto!»
«Ci sarà pure un motivo se va d’accordo con George», brontolò Newt, mangiando l’ultimo pezzo di bistecca che era rimasto sul piatto.
«Mh, già, hai ragione.» Scrollò le spalle, sistemò i piatti con la carne e cominciò a condire. Ed io che mi ero aspettata chissà quale piatto prelibato.
«Dovremo portargli del cibo?»
«Nah, lasciamolo a digiuno», rispose Newt ridacchiando. Sembrava una pessima battuta, ma era dannatamente serio, glielo leggevo negli occhi.
«Non essere sciocco, gli poterò io stessa da mangiare. Anche se ha fatto delle stronzate non si merita mica di rimanere a stomaco vuoto, caspio!», brontolai, alzandomi dal tavolo. «Deve mangiare, anche se non se lo merita.»
«E poi non può perdersi una tale prelibatezza!», aggiunse Frypan. Sperai che quella fosse una battuta, perché non solo era una semplice bistecca, ma era pure inguardabile.
«Non se ne parla, tu non ci vai lì da sola.» Newt incrociò le braccia al petto.
Non feci nemmeno in tempo a rispondere, che Minho, che era piazzato dietro di me, mi cinse le spalle con un braccio. «L’accompagno io, la mia piccola Giulietta. Sta’ tranquillo, Romeo.»
«Romeo?», domandò Frypan confuso.
«Storia lunga», rispose Newt quasi imbarazzato, poi sospirò. «Bene così, allora. Ma fate in fretta.»
«Non ti faremo stare in pensiero, mammina cara», rispose Minho, poi, per qualche strano motivo tutto suo, si chinò e mi prese in braccio.
Mi domandai che caspio gli fosse preso, ma era evidentemente ingiocosito.

Mi portò in braccio fino a pochi metri di distanza dalla Gattabuia dov’era rinchiuso George.
Si sentiva solo un inquietante brusio proveniente dalla “stanza”. Stava parlando da solo, si stava praticamente confortando con frasi che riusciva a capire solo lui, a quanto pareva.
Ma perché? Continuava a ripetere che sarebbe andato tutto bene, che tutti avrebbero capito, ma sarebbe stato troppo tardi.
«D’altronde, il sole brucia la zona, ma loro non lo sanno, non mi crederanno, lo capiranno quando ormai sarà troppo tardi», sussurrò a denti stretti, frasi che sembravano quasi dette con un ringhio, con l’odio puro in corpo.
«Ancora con la storia del sole che brucia la zona?», sussurrò Minho. «Secondo me continua a parlare di quando Percy brucia le uova al tegamino!»
«Non so nemmeno chi sia questo Percy», brontolai, cercando di non ridere. Non capii nemmeno io se fosse una risata nervosa o effettivamente la cosa mi facesse ridere. In fondo, non c’era assolutamente niente da ridere per una battuta così stupida.
«Percy? Quel ragazzo alto, gracilino, con la pelle pallidina e i capelli neri e tutti piegati da un lato nemmeno l’avesse leccato una mucca quindici giorni fa.»
Soffocai una risata e lo guardai. «Finiscila, se no non riesco a stare seria!»
«Chi c’è là fuori?», sbottò George con un tono quasi impaurito.
Mi avvicinai lentamente alla grata della Gattabuia. Era rannicchiato su sé stesso, poggiato alla parete alle sue spalle. I suoi occhi raccontavano quanto fosse terrorizzato e a pezzi. Uno sguardo che ero sicura di avere già visto da qualche parte. Tremava come una foglia, avrei seriamente voluto fare qualcosa di più, anche se era lui.
«Tu?!», domandò con un tono disgustato. Eppure continuava a farmi tenerezza. Era anche ovvio che si aspettasse qualcun altro, magari proprio Justin... o Newt.
«Ti ho portato da mangiare, Pive.» 
«E ringraziala perché se no saresti a digiuno, bello mio», disse Minho, annuendo in modo serio.
«Grazie», mormorò allora George, allungando la mano fuori dalle grate.
Gli diedi solo i pezzi di carne, il piatto non ci passava. Mi sentii in colpa. Mi sedetti aspettando che finisse di mangiare, non volevo lasciarlo solo. Minho rimase lì con me... perché non voleva lasciarmi sola. Era una catena stupida, ma era così.
«Sei troppo buona con lui», sussurrò Minho. «Fossi in te gli tirerei delle legnate sui denti, credimi.»
«È solo un povero Pive che ne ha passate molte, come tutti voi... e come me, anche se ci sono da sì e no un mese qui.»
«Okay, ma ha cercato di farti fuori ben due volte da quando sei qui!»
«Testepuzzone, guardate che vi sento! Non sono rincaspiato fino a quel punto», brontolò George, con la bocca sicuramente piena di cibo.
Sospirai. «Scusa.»
«E gli chiedi anche scusa? Caspio, Beth, ma sei davvero una Fagiolina!» Minho allargò le braccia con fare scioccato, come se ne stesse facendo un dramma e come se fosse davvero sconvolto della cosa.
Non potevo farci nulla, ero fatta così!
George rise di gusto, si stava praticamente godendo di quella scena. Come poteva ridere rinchiuso al buio in un posto simile? Avevo i brividi solo a stare all’esterno di quel posto, figuriamoci come doveva essere all’interno. Doveva essere dannatamente buio e mi dava la sensazione di un posto che, oltretutto, puzzava da far schifo.
E a pensarci bene... dove faceva i suoi bisogni? Quel posto non aveva esattamente l’aria di essere abbastanza spazioso per avere una mini-toilette dentro.
Okay, stavo cominciando a delirare, forse era colpa della stanchezza o del fatto che il buio mi stava mettendo così tanto i brividi da costringermi a pensare a cose stupide per evitare di dar peso all’oscurità che mi circondava, anche se ero con Minho che era abbastanza capace di tirar fuori le battute peggiori per sdrammatizzare un po'.
«George, posso chiederti una cosa?», azzardai, sentendolo sospirare con fare veramente infastidito.
«No», sbottò. Dovevo ammetterlo, c’ero rimasta abbastanza male.
«Solo una, poi ti lascio in pace, promesso.» 
Sbuffò. «Okay.»
«Cosa intendi con “il sole brucia la zona”?»
«Rispondi “Percy che brucia le uova al tegamino”, rispondi “Percy che brucia le uova al tegamino”...», sussurrò più volte Minho, ma nel frattempo George prese un respiro profondo, come se fosse pronto a raccontare la storia della sua vita.
«Non capiresti. La Terra è bruciata. Tu non ricordi. Tu non sai. Non potrei spiegartelo», rispose in modo secco, poi sbuffò.
«Invece cosa intendevi quando hai detto “loro sono qui”?»
«Avevi detto che era solo una domanda! », sbraitò. 
«Beh, io ti ho portato il cibo, il minimo che puoi fare è rispondere ad un paio di domande, ti pare?!»
«Io non parlo con quelli come te, stupida rincaspiata venduta!» Si aggrappò velocemente alle grate della Gattabuia, sbattendole più volte come se avesse voluto romperle. «Mi fai schifo! È tutta colpa tua! Solo tua! La colpa di tutto quello che sta succedendo è solo tua, caspio!»
«Okay, bene così, possiamo anche andarcene!», disse Minho, alzandosi frettolosamente e prendendomi per un braccio, sollevandomi e cercando di portarmi via.
Non volevo andare. Volevo sapere di più. «Perché?», domandai.
Minho si sbatté la mano sul volto con fare così rumoroso da portarmi a pensare che probabilmente gli sarebbe rimasto il segno della manata sulla faccia a vita.
«Perché? “Perché?” mi chiedi?!» Allungò la mano fuori dalla grata, indicandomi con fare minaccioso. «Lo so che tu ricordi qualcosa! Nella tua testa ci deve pur essere qualcosa ancora! Lo sai nel tuo subconscio che qualcosa non va! Ooh, saliranno i sensi di colpa prima o poi! E saranno fortissimi, Elizabeth, ooh sì! Sarà allora che ti ricorderai le mie parole, cara Elizabeth! Ma ricorderai tutto molto prima, lo so! Mi chiedi che cosa intendo? Oh, semplice, sai quei D2MH? Loro torneranno qui! Ne sono certissimo che torneranno!»
Intravvidi il suo sguardo nella luce di quelle piccole fiaccole vicine alla gattabuia. Sollevò gli occhi al cielo come se stesse osservando dei movimenti sospetti di qualche stella.
«Perché? Perché dici questo?», domandai, azzardando un altro passo vicino alle grate. «Come puoi dirlo con sicurezza?»
«Questi non sono problemi che ti riguardano, Fagio!» Sorrise con fare ambiguo, abbassando lentamente gli occhi verso di me. «E poi, dovresti conoscerli meglio di chiunque altro quei mostri, Elizabeth. Ora voglio fartela io una domanda...» Schioccò lentamente la lingua, avvicinando il volto alle grate, stringendo i pugni attorno a queste. «Ricordi chi ha inventato il progetto D2MH, Elizabeth?» Mi guardò, poi sorrise con in modo particolare, con un misto di divertimento e cattiveria.
Minho sgranò gli occhi, poi mi guardò come se ora anche lui volesse sapere quella risposta. Sentii come un vortice di pensieri nella testa. Ebbi la sensazione di avere tutti gli occhi  del mondo puntanti addosso, o come se fossi stata su un palcoscenico, tutto attorno a me era nero ed avevo un enorme faro puntato addosso, il pubblico c’era ma non lo vedevo.
Mi stava prendendo il panico. Sudai freddo. Quella domanda mi scombussolò. Non ebbi il coraggio di rispondere, perché nemmeno io ero sicura della risposta. Era come avere in bocca l’amaro sapore della consapevolezza.
Ero stata io? O forse era solo un giochetto stupido per far attivare qualcosa nella mia testa?
Forse voleva giocare con la mia mente. Voleva vedere fin dove i miei pensieri erano capaci di spingersi.
Eppure avevo una strana consapevolezza in me, ma non era del tutto chiara.
Qualcosa mi diceva che ero stata davvero io a creare i D2MH. La firma sulla zampa dei due Dolenti morti. I miei ricordi. Il fascino e quella strana sensazione perversa di orgoglio misto alla paura che avevo provato la prima volta... erano tanti piccoli indizi.
Quindi... ero davvero stata io a crearli?

{L'angolo dell'autrice}
Ed eccomi qui con un nuovo capitolo!
Mi spiace dover ritardare ogni volta l'arrivo del nuovo capitolo, ma avendo poco tempoper scrivere sono davvero costretta a fare così, spero mi perdoniate :c
Perdonate anche il fatto che è più corto del precedente, ma è anche un po' voluto. La suspance!
Vi lascio sulle spine, pive!
Alla prossima!


 
 


Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.5 Italia
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Labirinto - The Maze Runner / Vai alla pagina dell'autore: Stillintoyou